giovedì, aprile 10, 2008

Lo videro partire nella nebbia (racconto)

Lo videro partire nella nebbia, in un mattina di autunno, lungo il sentiero che saliva alla vecchia montagna: ma nessuno ebbe il coraggio o l’insolenza di fermarlo.

Solo un cucciolo di cane, sulle prime, lo seguì guaendo, ma quando il sentiero iniziò ad inoltrarsi in un fitto bosco di roveri si fermò, annusando l’ignoto, e decise che era assai più saggio ritornare al calore di una cuccia e di una ciotola mai vuota.

Quando scomparve alla loro vista, gli abitanti del villaggio tornarono alle loro case, senza pronunciare una parola. Ora avrebbero dovuto fare lo sforzo di dimenticarlo, di trasformare in ricordo la sua presenza e le sue parole, perché erano certi che non sarebbe mai più tornato.

I suoi passi risuonavano sulle foglie secche e sui rami spezzati lungo il sentiero. Agile, affrontava la salita con decisione, lo zaino in spalla con poche cose utili per il lungo cammino: cibo, e il taccuino su cui conservava le emozioni, le cose viste, i pensieri che avrebbe voluto conservare e trasmettere come traccia delle sua esistenza terrena.

Dopo alcune ore di cammino uscì dal bosco, mentre il sentiero si apriva su pascoli ancora verdi, su panorami conosciuti e visti mille volte – eppure mai così, mai come adesso che li vedeva con la certezza che sarebbe stata l’ultima volta.

Rallentò il passo, e respirò quell’aria ossigenata e rarefatta a fondo, lentamente, fino a sentir bruciare i polmoni.

*

Camminò per giorni su sentieri aperti, al di sopra del limitare dei boschi, godendo della vista del suo mondo da una posizione in cui tutto sembrava assumere il giusto peso, la giusta dimensione: i villaggi lontani, con i piccoli fili di fumo esalati dai tetti di pietra…il fiume, laggiù a valle, tormentato serpente azzurro, luccicante nel sole… e le rocce, e la neve, e le vette a dominare tutto, e le nuvole bianche oltre quelle, ed il sole accecante.

Ogni tanto consumava frugalmente una parte del cibo che aveva portato con sé, sedendosi su una roccia sporgente.

Scriveva, rappresentava quel che vedeva, e tentava di liberare i suoi pensieri dai pesi inutili, dal fango di una vita troppo complessa, dalla nebbia del conformismo.

Respirava a fondo, e con l’espirazione si liberava da tutto quello che la vita gli aveva appiccicato addosso per errore o per sua distrazione.

*

Si sentiva sempre più leggero, mentre avanzava verso la meta che si era prefisso, e i giorni ed i mesi passavano apparentemente uguali.

Il cibo era terminato, e si nutriva ormai di quel poco che trovava ai bordi dei sentieri, spesso ormai innevati, bevendo dai torrenti.

Ma ad ogni passo si sentiva più forte, più sereno, più essenziale.

Anche se invecchiava, anche se il tempo passava, anche se il suo corpo si asciugava, lui sentiva di ringiovanire, sentiva i suoi pensieri sempre più sintonizzati con il suo passo, con il suo respiro, con gli elementi della natura intorno a lui – i paesaggi, la pioggia, la neve, il freddo…

*

Arrivò la primavera, a riscaldare le sue ossa, e quasi non ebbe più bisogno di pensare. Ormai era una cosa sola con il mondo che stava attraversando, lo intuiva e lo capiva senza più bisogno di formulare parole, di costruire frasi.

Ma proseguì, ancora, a camminare, per stagioni ed anni, senza fretta, senza tregua.

*

Qualcuno disse che ce l’aveva fatta, anche se nessuno seppe mai per quale motivo fosse partito.

Qualcuno disse che era semplicemente scomparso in un burrone, tradito dalla nebbia.

Qualcuno disse che aveva trovato la porta di accesso al paradiso, ed un giorno sarebbe tornato dalla gente del villaggio ad indicare la strada affinché tutti giungessero alla felicità.

Qualcuno non disse nulla.

Qualcuno, in silenzio, afferrò lentamente uno zaino dal fondo di un armadio, e si accinse a partire.

3 commenti:

Carla ha detto...

E' tuo il racconto?

luposelvatico ha detto...

si...

Carla ha detto...

Delicato ma efficace.