venerdì, novembre 19, 2010

La crepa

Adriano Olivetti era un tipo strano. Imprenditore effervescente, figlio di un geniale capitano d'impresa socialista ed ebreo e della figlia di un pastore valdese, educato a non dipendere da nessun dogma, si mise in testa che la responsabilità etica dell'impresa era una cosa dannatamente seria.
Credeva che avere un sacco di soldi e fornire lavoro comportasse doveri ineludibili nei confronti delle persone e del territorio in cui si avviava la propria attività economica.
Era convinto che formare e trattare bene gli operai fosse fondamentale per il successo dell'impresa. E così non gli riduceva la pause, ma le allungava: e dentro, ci metteva Gassman che recitava l'Adelchi in sala mensa, e Pasolini e Moravia e Dario Fo che tenevano lezioni ai dipendenti.
E faceva costruire stabilimenti in cui, da ogni postazione di lavoro, si potesse vedere la natura dalle finestre (Pozzuoli). E creava biblioteche, che giunsero ad avere un totale di novantamila volumi.E diede per primo in Italia, in aggiunta al contratto nazionale, il sabato libero (suo padre aveva già dato ai suoi dipendenti una settimana di ferie in più, nel 1936!!, e creato il primo asilo nido per i figli dei dipendenti, nel '34, e previsto casse mutua e formazione permanente...).
Tentò addirittura di convincere il CdA a trasferire progressivamente il controllo dell'azienda in mano alla Fondazione Olivetti, controllata dalle maestranze: e di condividere gli utili.
Potete immaginare come gli Olivetti fossero visti male non solo dagli altri industriali, ma anche dal sindacato, che ne detestava il presunto "paternalismo" e l'idea di cogestione: Adriano fondò anche un sindacato aziendale, Autonomia Aziendale, che svuotò interamente la UIL di iscritti (restituendoglieli al termine della sua storia).
Convinto che le sue idee (un originale mix di marxismo, elitismo e liberalismo) potessero diventare un progetto politico, fondò il progetto di Comunità e si presentò alle elezioni politiche (con scarsi risultati: divenne senatore solo lui, ma lasciò presto per gli impegni imprenditoriali). Comunità elesse molti amministratori locali nel Canavese, ma dopo la morte di Adriano (febbraio 1960) pian piano la spinta morale ed etica della famiglia si spense.
L'Olivetti fu "normalizzata", costretta ad uscire dall'elettronica su pressioni Fiat (nonostante la creazione del primo grande computer, l'Elea) e pian piano diventò un'azienda come le altre. Anche se, ancora negli anni '80, essere dipendente Olivetti dava un senso di appartenenza ad un'esperienza unica nella storia imprenditoriale (ed a vantaggi ancora nettamente superiori, dal punto di vista dell'assistenza sociale, a qualsiasi altro posto di lavoro).
E dire che, oggi, c'è chi pensa che Marchionne sia un mito...che tristezza!

Di Marchionne scrissi abbondantemente qui a suo tempo, ma mi ripeto brevemente.
Egli interpreta il suo mestiere in modo decisamente diverso da quello di Adriano Olivetti: il suo unico scopo è procurare profitto per gli azionisti e per sè, producendo merci (automobili, ma non solo).

E tale obiettivo non prevede – anzi, esplicitamente esclude – la “responsabilità etica dell’impresa”: ovvero che sia lui ad occuparsi del futuro del pianeta, della compatibilità di ciò che produce con una visione sobria e sostenibile del mondo, e nemmeno della felicità delle persone che lavorano per lui.
Quindi tutte le cose che disse nel "Porta a porta di sinistra" di Fazio non vanno analizzate una ad una, è abbastanza inutile.
Esse sono perfettamente logiche e coerenti nel contesto di una visione di cui Marchionne è consapevolmente (e doratamente) prigioniero: questo è il capitalismo di oggi, bellezza.
Visibile nella sua nudità, spogliato da ogni residuo etico, ridotto all’essenza: e dunque vero, reale, spietato (come direbbe Cetto Laqualunque; “io sono la realtà: voi siete la fiction!”).
Il capitalismo, sistema di merda (iniquo, egoista, infame) ma unico rimasto in piedi tra le macerie del mondo (macerie che esso stesso produce).
C'è chi vince, e detta le regole, e c'è chi perde, e deve subirle: al massimo può mitigarle, ma mai partecipare a scriverle.

Una volta accettata questa visione come unica possibile, ogni discussione finisce per vertere su corollari e dettagli.
Sono corollari (pienamente legittimi) di questa visione le posizioni di Bonanni ed Angeletti ("Prima manteniamo i posti di lavoro, dopo pensiamo ai diritti") o quelle del Governo ("L'impresa è libera di agire come meglio crede, lo strumento con cui governiamo le crisi è la Cassa Integrazione").
Sono dettagli le surreali dissertazioni sul valore dei dieci minuti di pausa in più o in meno.
Sono dettagli le dichiarazioni di Bersani ("Ricordiamoci che siamo in Europa, e non in Cina"): non sono gli "auspici" a determinare le forme in cui il capitalismo si manifesta nelle diverse parti del mondo, ma solo la resistenza che incontra nel suo affermarsi.

La posizione della CGIL (e, seppur con accenti più vistosi ed apparentemente radicali, della Fiom) è, a mio avviso, una posizione di resistenza "emotiva" ed inconscia a questa visione, ma il linguaggio con cui si esprime alla fine non esce dallo schema e dalla visione di cui sopra. Si richiede di fatto un “capitalismo più umano” (ma in una visione infinitamente meno coraggiosa di quella che aveva elaborato Olivetti), che presti più attenzione alla dignità del lavoro, al mantenimento dei diritti.
Ma, alla fine, si fanno proposte che restano completamente in seno a questa visione: non si mette in discussione quel che viene prodotto, se non per dire che sarebbe meglio produrre in Italia i modelli di auto di fascia medio-alta che sono più redditizi, se non per suggerire strategie che permettano di “competere sui mercati” salvaguardando un certo livello di qualità della vita dei lavoratori.
Si “resiste”: ed anche questa è una posizione legittima, onorevole.

Sia ben chiaro: non sto criticando nessuno degli attori in gioco, ognuno dei quali ha una posizione “realista”. Ed è giusto, perché i conti con la realtà sono ineludibili.

Quel che mi chiedo, però, da essere umano miseramente pensante, è: “è davvero finita qui?”
Davvero quel che si poteva produrre attraverso quella immensa e faticosa sovrastruttura che chiamiamo “pensiero” deve considerarsi esaurito?
E’ questo, dunque, è questo mondo il massimo e più avanzato punto di equilibrio possibile che siamo stati capaci di raggiungere?
Un capitalismo (dal volto più o meno feroce a seconda delle possibilità) è davvero il massimo che gli uomini riescono ad immaginare ed a mettere in pratica?
Abbiamo sviluppato tecnologie straordinarie, capaci di curare e dar da mangiare a tutta l’umanità, eppure non riusciamo a stabilire ed a mettere in pratica priorità semplici come “far vivere il maggior numero possibile di persone in un modo decente”?

L’essere umano è davvero, in fondo, inseparabile dal suo istinto alla sopraffazione?
Dobbiamo accettare l’idea che né la cultura né la consapevolezza della capacità di amare, in fondo, possano modificare questo istinto?

Ad esempio: Marchionne è una persona indubbiamente colta ed intelligente, eppure quando afferma “lavoro 18 ore al giorno, QUINDI ho pienamente diritto di godere di un reddito 435 volte superiore a quello di un operaio italiano, (e MIGLIAIA DI VOLTE rispetto ad un abitante dell’Africa)” non esprime con semplicità il più feroce degli istinti di sopraffazione?
Sentire affermare con naturalezza che il valore di sé (o il valore che IL MERCATO attribuisce alla propria professione) può essere pari alla somma di quello di centinaia, migliaia di altri individui nel mondo non è una cosa che dovrebbe farci sobbalzare sulla sedia?
Occhio, non lo dice e non lo pensa mica solo Marchionne.
Lo pensiamo anche noi quando, istintivamente, ci sentiamo “superiori” non solo a chi “non ha voluto studiare” o “non ha voluto farsi il culo”, ed in questo inseriamo almeno una giustificazione di tipo meritocratico, ma anche a chi – semplicemente – ha avuto la sfiga di nascere in una parte del mondo esente da privilegi.
Riteniamo che il nostro lavoro, il nostro salario sia qualcosa di dovuto, “un diritto”, mentre esser nati qui – dove il capitalismo, per ragioni storiche e di “resistenza culturale” non ha semplicemente potuto esprimere appieno il suo potenziale di ferocia – è stata semplicemente una botta di culo (e poi, sì, ci sono infinite varianti: c’è chi di culo ne ha avuto meno e chi di più, ma se assumete come parametro di riferimento questo o questo direi che sul termine “culo” ci sia alla fine da convenire).
E’ vero, a volte ci “sensibilizziamo” od acquistiamo consapevolezza, ma nel quotidiano, anche per meri motivi di sopravvivenza, non possiamo star lì tutti i momenti a pensare che anche la nostra sfigatissima e precaria condizione quotidiana è comunque infinitamente migliore di quella in cui versano i cinque sesti dei nostri fratelli umani che sono sparsi per il mondo.

Riporto qui un pezzo di post che scrissi a gennaio:
"A Salvador de Bahia, una delle città più belle e disperate del Brasile, puoi essere portato ad ammirare la splendida città vecchia, capolavoro dell’architettura coloniale portoghese, fatta di bellissimi edifici color pastello, di stucchi candidi, di forme morbide e curvilinee, e rimanerne affascinato.
Ma non puoi (e non devi) non andare in altri due posti della città dove puoi comprendere il senso della parola “inferno”.

Il primo luogo è (ancora oggi) il poverissimo quartiere detto degli “Alagados”. Il nome è ironico, perché si tratta di palafitte di legno costruite direttamente sugli scarichi fognari a mare della città., collegate fra loro da incerte e precarie passerelle marcite.
L’alta marea provvede periodicamente a innalzare il livello dei liquami sui pavimenti della abitazioni.
Qui vivono centomila persone. Centomila. Arrivate da qualsiasi parte del paese, come gli abitanti della favelas di Rio e San Paolo, in cerca di una speranza qualsiasi tra l’immondizia del presente.
Come a Rosarno e nelle periferie delle nostre città, anche se a Salvador tutto è moltiplicato per cento: i numeri, così come la disperazione e l’orrore.
Immaginate la situazione igienica, morale, educativa. Non vi racconto cosa significa, qui, guardare negli occhi le persone, o – peggio ancora - i bambini. Immaginate da voi la sensazione che si può provare: immaginate come quello sguardo – accompagnato spesso, e questa è la cosa più sconvolgente, da un sorriso sincero - possa cancellare in un millisecondo, dal nostro cervello da uomini superiori, tutte le migliaia di cazzate che ci hanno inserito a forza.
L’affollamento di minchiate (i programmi tv, la macchina nuova, il cellulare, i viaggi, la “qualità della vita”, il buon cibo, gli abiti eleganti, l’invidia, la carriera, la competizione sociale) si dissolve all’istante, e nell’immenso spazio vuoto che si crea all’improvviso lampeggia una scritta che recita qualcosa come “dare un senso alla vita”.

E’ uno shock. Uno schiaffo violento al castello di bugie su cui costruiamo l’idea di un mondo “sviluppato” e di uno “arretrato”, che lo fa crollare come fosse sabbia – e poi, per tutta la vita, non c’è più verso di rimetterlo insieme.

Un altro inferno, a Bahia, è la discarica della città. O, meglio, la città nella discarica.
Tra le montagne di rifiuti di ogni genere, ed i milioni di variopinti sacchetti di plastica lacerati e sventolanti come bandiere tibetane, ci sono delle autentiche strade. E, ai margine delle strade, direttamente su rifiuti, le tende in cui vivono le persone. Quasi sempre si tratta solo di un telo di plastica agganciato su qualche bastone.
Qui vivono centinaia di persone, in maggioranza bambini.
Attendono l’arrivo dei camion della spazzatura, attorno ai quali, quando il pianale rovescia altra immondizia sulle montagne già esistenti, si affollano come formiche operose.
E dallo scarto della società civile traggono non solo rifiuti da rivendere o da impiegare per costruire rifugi meno precari (materiale ferroso, legno): ma cibo, che viene consumato subito, con le mani che pescano a cucchiaio, perché la fame e la disperazione se ne fottono assai del bonton.

Moltitudini, dunque, che non possono essere definite deficienti o “fallite”, come si è tentati di fare sbrigativamente secondo la nostra concezione “da vincenti”: sono soltanto parte di quella immensa maggioranza di persone che nel mondo hanno avuto la sfiga di nascere dalla parte sbagliata del mondo (a Salvador de Bahia, si tratta del 90% della popolazione).

Senza lavoro, senza soldi, senza averi, senza cibo, senza presente né futuro, in un mondo che non tollera la povertà: e, anzi, non vuole nemmeno pensarci.


Noi “che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, noi che troviamo tornando a sera il cibo caldo”, come diceva Primo Levi, siamo portati a pensare che la differenza tra noi e “gli altri”, nel senso degli ultimi del mondo, sia solo una questione di “volontà”.


Se uno ha buona volontà…se ha voglia di lavorare…se si comporta bene…se dice sempre sì…se si adatta…se è “meritevole”…


Continuiamo a raccontarci queste palle, d’accordo: è molto più semplice che ammettere che l’ingiustizia su cui si basa questo mondo è semplicemente intollerabile, e che ne siamo in qualche modo complici nel momento in cui neghiamo la verità, e ci ostiniamo a “parlare d’altro” (mai della vita, ma in genere di ciò che in essa vi è di più futile).”


E dunque: dobbiamo rassegnarci all’idea che la rappresentazione di un mondo RADICALMENTE sovvertito nel suo assetto attuale sia non solo non proponibile, ma nemmeno più IMMAGINABILE?
NO. Io credo di no. Perché solo continuando disperatamente, forsennatamente, maledettamente ad immaginare, sognare, desiderare, spargere i semi di un mondo profondamente diverso, potremo trovarci preparati quando - per una di quelle circostanze che capitano ogni tanto ma inesorabilmente nella storia - si creerà una fessurazione, una crepa di questo mondo.

Quello sarà il momento in cui infilare in essa, con tutta la forza possibile, il cuneo della nostra rabbia.

giovedì, novembre 11, 2010

Il caso ed il sorteggio come antidoti al fallimento della democrazia e del merito?

Poche settimane fa, tre ricercatori dell'Università di Catania hanno vinto a Boston il premio IgNobel (una sorta di parodia intelligente del Premio Nobel, che premia ricerche stravaganti, assurde o curiose) per il settore Management, con uno studio sull'organizzazione aziendale, e in particolare "per aver dimostrato matematicamente che enti e aziende sarebbero più efficienti se promuovessero le persone in modo del tutto casuale".

(Qui troverete una nutrita rassegna stampa sulla ricerca, ma ne ha parlato in sintesi qui anche la mia amica blogger Chicca.

Quelle che seguono invece son parole mie, anche se scritte già altrove...)

"Nulla infatti garantisce che una persona che sa eseguire il proprio lavoro con competenza sia altrettanto brava, una volta promossa, a svolgere le nuove mansioni: e ovviamente non sarà più "promossa", quindi spostata dal nuovo ruolo, poiché non sarà più in grado di manifestare bravura e competenza: risultato, rimarrà prima o poi congelata nel ruolo che le è meno congeniale.

"In una organizzazione gerarchica in cui i ruoli non sono strettamente dipendenti, i membri della stessa vengono promossi fino a raggiungere il loro massimo livello di incompetenza": questo principio, enunciato da Laurence J.Peter nel 1969, è stato dimostrato da Rapisarda e dai suoi colleghi simulando al computer le dinamiche di una ipotetica azienda con 160 dipendenti organizzati su sei livelli.

Gli scenari analizzati sono stati due: un'organizzazione in cui i ruoli nei vari livelli sono dipendenti, e quella in cui i ruoli non lo sono (la situazione prospettata da Peter): la simulazione ha calcolato l'efficienza dell'organizzazione adottando diverse logiche di promozione.
E ha dimostrato che, quando non c'è relazione di competenza tra i ruoli, promuovere il più competente è la strategia peggiore: conviene promuovere a caso, o alternando il più competente con quello che lo è meno.

Risultati provocatori? Più semplicemente, dai risultati della ricerca giunge un invito a non adottare esclusivamente punti di vista convenzionali ed automatici, quando si tratta di prendere una decisione importante per un'organizzazione: un "pensiero alternativo" può produrre risultati positivi inaspettati."

Ed in questa intervista , uno dei ricercatori premiati risponde così alla domanda che segue:

"La casualità può essere un agente di innovazione delle scelte, dunque? Potrebbe migliorare i risultati rispetto a scelte dettate esclusivamente dal "raziocinio", e non solo all'interno di una organizzazione?Anche nella nostra vita di individui la "scelta casuale" potrebbe portare risultati inattesi e positivi?

E' sicuramente così, pensi ad esempio all'evoluzione naturale. Le mutazioni sono casuali e se danno un vantaggio alla specie non vengono certo rimosse (promosse ad altro ruolo...) ma incentivate e rafforzate. Esattamente quello che noi proponiamo. La casualità fa emergere possibilità nascoste, talenti che magari non avrebbero nessuna possibilità di emergere. Quante volte leggendo qualcosa per caso ci ha fatto nascere un'idea vincente. Io credo che tutti abbiamo qualche esempio di questo tipo all'interno della propria esperienza familiare e/o lavorativa."

La seconda "provocazione culturale" che vi propongo non è meno interessante, ed è legata all'uscita di un libro del politologo franco-americano Bernard Manin ("Principi del governo rappresentativo",Il Mulino, Bologna 2010,pp. 312, € 30)., recensito qui.

Riprendiamo dal sito "Lo spiffero":

La democrazia si è ridotta a scheletro di procedure, a feticcio di regole. Questo percorso è ricostruito, in modo originale, da Manin, il quale dopo aver puntualmente esaminato le cause si concentra sull’avvento dell’odierna “democrazia del pubblico”, ovvero l’epoca contemporanea in cui i partiti cedono spazio alle persone, l’organizzazione alla comunicazione, mentre le identità collettive si indeboliscono, compensate dalla fiducia personale diretta.

Il rapporto con la società e gli elettori avviene, sempre più, attraverso i media e il marketing politico.

Manin parla di “democrazia del pubblico” perché lo spazio della rappresentanza coincide con lo scambio fra leader e “opinione pubblica”. Che avviene, prevalentemente, attraverso i media. In modo asimmetrico, perché a senso unico.

Ciò non sancisce la fine del sistema democratico, ma ne rappresenta semmai una metamorfosi. La personalizzazione, in particolare, non va considerata una degenerazione, ma un elemento costitutivo della democrazia rappresentativa. Perché la rappresentanza è, per sua natura, “personale”. Fin dall’origine, al tempo del parlamentarismo (nel XVIII e XIX secolo). Ma anche nell’epoca della democrazia - e dei partiti - di massa i rappresentanti erano - sono - persone, che esercitano un grado, più o meno ampio, di autonomia personale.

Può sembrare una provocazione astratta, ma non va in questa prospettiva sottovalutata la possibilità rilanciata da Bernard Manin di affiancare ai classici, ma scricchiolanti metodi di selezione della classe dirigente anche quello in uso nella polis ateniese ai tempi di Pericle: l’estrazione a sorte. Un metodo che gli stessi Montesquieu e Rousseau hanno in più occasioni rivalutato. Un metodo che peraltro, come ha ricordato il bel film “Il sorteggio” nei giorni scorsi, è ancora previsto pur se solo nell’ambito molto particolare dei giudici popolari.

All’origine del sorteggio ateniese c’era anche al fondo un pensiero religioso: il fatto che gli dei avrebbero guidato le scelte. Ma c’era soprattutto il principio della rotazione delle cariche, cioè della necessità che ogni cittadino potesse avere sia il dovere di essere governato, sia il diritto di governare. «In altre parole – afferma Manin – la libertà democratica consisteva non nell’obbedire solo a se stessi, ma nell’obbedire oggi a qualcuno al cui posto ci si poteva trovare domani».

AGGIORNAMENTO!

Pubblico volentieri questo documento inviatomi da Sileno, che riguarda il sistema in uso per la nomina del Doge:

Venezia, anno 1268. Sì, avete letto bene: 1268. Settecentoquarantuno anni fa. Si elegge per la prima volta il Doge della Serenissima. Come fanno, i veneziani? Si affidano al sorteggio.

Non a un sorteggio qualsiasi, come un banale sorteggio del superenalotto. No, i veneziani, che in quel periodo già spadroneggiano in tutto l’Adriatico e oltre, e quindi hanno bisogno di una guida seria, scelta bene, eleggono il Doge con un sistema di sei sorteggi consecutivi.

I membri del Gran Consiglio votano e, contemporaneamente, a ogni votazione, procedono a un sorteggio. Elezione e sorteggio non rappresentano più una contraddizione, ma un congegno virtuoso.

Lo spiega bene Mario Ascheri nel suo libro “Le città-Stato” (ed. Il Mulino).

In sintesi: con il primo sorteggio si individuavano i primi 30 elettori, cioè i 30 membri del Gran Consiglio a cui il “ballottino” (un ragazzo scelto a caso) consegna le “ballotte” contenenti la scritta “elector”.

Con il secondo sorteggio, sempre con la stesso sistema delle “ballotte”, i 30 vengono ridotti a 9. Questi 9 elettori scelgono 40 cittadini, ognuno dei quali deve ottenere almeno sette voti.

Terzo sorteggio e nuova riduzione di numero: i 40 eletti diventano 12. I 12 quindi votano e scelgono 25 cittadini, che devono ottenere non meno di nove voti a testa.

Con il quarto sorteggio e la quarta estrazione di “ballotte” i 25 ridiventano 9. Questi 9 votano per 45 cittadini, ognuno dei quali deve ottenere almeno sette voti.

Siamo al quinto sorteggio, che riduce i 45 appena eletti a 11. Questi 11 eleggono i 41 veri elettori del Doge, ognuno dei quali deve ottenere almeno nove voti. I 41 votano segretamente per chi gli pare e le schede finiscono dentro un’altra urna.

Da quest’urna, ed eccoci al sorteggio numero sei, viene estratto un solo nome.

Ma non è finita qui.

L’estratto veniva “processato” e chiamato a difendersi. Dopo di che, si votava di nuovo. Per poter essere eletto Doge, l’estratto doveva ottenere almeno 25 voti favorevoli. Altrimenti si estraeva un altro nome e si ricominciava la procedura.


Finalmente la risposta...!


...alla domanda che noi piemontesi ci poniamo da diversi mesi:
"ma ROBERTO COTA, oltre a sparare cazzate e stare sempre in TV, A COSA SERVE?"

Ovviamente, qui era in missione in Veneto. A far cosa, lo sa solo lui: si vede che il Trota non ha ancora le competenze per reggere i posaceneri.

(foto rubata al sito http://lospiffero.com, che sull'argomento pubblica un post che merita...)

venerdì, ottobre 29, 2010

Nemico del "popolo" e dello Stato

Nel giorno in cui Tremonti condivide con Draghi i dati devastanti sulla disoccupazione, confermando che siamo all'11% includendo cassa integrati e "scoraggiati" che il lavoro nemmeno lo cercano più, il ministro Brunetta annuncia che bloccherà il turn over nella Pubblica Amministrazione cancellando 300.000 posti di lavoro tra il 2008 ed il 2013.
Finti? Improduttivi?
Ma chissenefrega. Sono redditi che oggi fanno campare (se ogni stipendio mantiene in media tre persone) un milione di individui. Siamo senza dubbio d'accordo sul fatto di renderli più efficienti, funzionali, utili alla collettività: ma che sia lo Stato a cancellare volontariamente, scientificamente posti di lavoro in questa situazione è CRIMINALE.
Uno Stato che mette in difficoltà volontariamente un milione di persone è uno Stato nemico dei suoi cittadini.
Brunetta (a cui di certo non si può imputare una ricerca del facile consenso) andrebbe arrestato dai Carabinieri, per impedirgli di attuare un crimine annunciato: togliere il reddito ad un milione di cittadini italiani nel corso della più dura crisi economica degli ultimi decenni.
Non si può permettere.

P.S. è possibile però che il Presidente del Consiglio renda pubblico al popolo, e non solo alle sue compagne d'orgia, il numero del suo cellulare privato: in questo modo, l'ulteriore milione di persone che in futuro sarà costretta a rubare per mangiare potrà chiedere il suo aiuto, nel momento in cui dovesse malauguratamente finire in una stazione dei carabinieri.
Si sa, lo ha dichiarato egli stesso: "Sono una persona di buon cuore e mi muovo sempre per aiutare chi ha bisogno di aiuto".

martedì, ottobre 26, 2010

La prevalenza del cretino

E pensare che questo è l'esponente di punta della nuova Lega, quello intelligente e col bel faccino di quelli che hanno studiato...
Si vede che la vicinanza con Borghezio, di cui non disdegna mai la compagnia, sta incominciando a mostrare i suoi effetti irreversibili: come diceva Gaber,

"Le cose buone non fanno epidemia, è un fatto biologico, niente da fare.
Io c'avevo un fratello, gracile poverino ma geniale, intelligente, e io gli stavo vicino, come dire... ora anch'io: BSSS, BSSS, BSSS.
Niente! L'intelligenza non si attacca... la scarlattina sì!
Secondo me certe persone che si aggregano, invece, c'hanno come incorporato una specie di distillatore che, FFFTTT, FFFTTT, FFFTTT, filtra, elimina tutto il buono attraverso un tubicino di scappamento, POH-POH, via il buono, POH-POH-POH, poi filtra il resto, distilla, e lascia passare... FFFTTT, FFFTTT, la merda pura! È capita?"

Di che parlo? Nel video qui sotto, il nostro presidente (un borghezio piccolo piccolo) sostiene:
«In Piemonte dev’essere fatta un’attenta valutazione che porti in futuro la Regione a finanziare le borse di studio dei piemontesi. Ritengo sbagliato che ogni regione non si faccia carico delle borse di studio dei propri cittadini».

Minchia, amico mio, ti è andato proprio in segatura il cervello.
"I propri cittadini" son quelli che ti vivono in casa, ti pagano le tasse e ti creano ricchezza, non quelli che son nati qui e poi sono andati in Argentina due secoli fa.
Se un piemontese di valore va a studiare a Pisa o ad Harvard o a Berlino, risiede lì, lì paga affitto e tasse e trasporti e tutto il resto, e magari si merita una borsa di studio, a nessun cretino di governatore passa per la testa di dirgli "ennò, sei bravo ma sei un mandrogno(1), fatteli mandare da Cota, i soldi per studiare, sennò torna al tuo paese!"

Perchè poi, mio bel piccolo borghezio, se sei coerente e applichi questa idea deficiente devi mandare un fax a tutte le università d'Italia, d'Europa e del Mondo, affinchè tutti applichino lo stesso principio negando le borse di studio agli studenti piemontesi meritevoli.

La verità è che tra "studenti", "meritevoli", "cittadini" e "piemontesi", un cervello leghista (così piccolo che quando due pensieri s'incrociano uno deve far retromarcia) va in confusione: quattro concetti da gestire in una sola volta, tutti insieme, sono una mission impossible.



UPDATE (di qualche giorno dopo)


(1) Termine piemontese per "Nativo dell'Alessandrino":-)

giovedì, ottobre 21, 2010

Dove osano i manganelli

Ci stiamo abituando.
Son tornati, piano piano.

Prima così, isolati, sugli studenti di Torino e Milano, le scorse settimane.

Poi più consistenti, più compatti, più duri.

Sulle teste dei manifestanti di Terzigno, sui corpi dei pastori di Cagliari.
Manganelli (nomen omen:-)), nel senso del capo della polizia, ha espresso rammarico per il fatto che «temi che altri soggetti sono chiamati a risolvere vedano il ruolo di supplenza delle forze dell’ordine. Accolgo anche il rammarico dei miei uomini che tutte le sere fanno battaglia e non sono certe nemici di chi manifesta».

Già, evidenzia una realtà sempre più evidente, Manganelli.
Di fronte a chi protesta la politica non solo non svolge il suo ruolo, ma arretra, si nasconde. Non si fa vedere, se non circondata da un numero considerevole di guardie del corpo.
Sta chiusa nelle sue torri d'avorio: i palazzi blindati, gli studi televisivi.
Anche il Mago di Arcore, adorato a suo dire dal popolo, da lunghissimi mesi si guarda bene dal tornare, per dire, all'Aquila o a Napoli per stupire le masse. Basta bagni di folla.

Più un certo numero di persone esce di casa per dire basta, per chiedere aiuto, spiegazioni, certezze (le persone consapevoli, o quelle la cui vita è già stata stravolta dalla realtà che non raccontano sul TG1), meno incontra qualcuno che abbia il ruolo, la delega per dargliele.

E, anzi, incontra sempre più spesso la polizia (quella stessa che viene privata di mezzi per evitare che faccia il suo mestiere più vero, indagare) che viene mandata in piazza per evitare che le domande vengano poste, che le contraddizioni venga evidenziate, che le risposte vengano richieste con forza.

E quelli che decidono? Spariti.
Se si fossero rinchiusi nei palazzi a pensare al disastro, al milione di posti di lavoro persi, alla disoccupazione che colpisce un lavoratore su dieci ed un giovane su tre, se stessero cercando una soluzione, un futuro, una speranza per chi sta fuori, allora ne saremmo lieti.

Ma l'impressione (bruttissima) è che non solo continuino a farsi i cazzi propri, ma che addirittura si stiano preparando ad abbandonare la nave, dopo aver contribuito ad affondarla. Quando le acque invaderanno i ponti, sulla tolda di comando non ci sarà più nessuno.

Ed il popolo (incarognito, abbruttito) solo allora forse capirà, solo allora forse si alzerà da quei divani di merda davanti alle televisioni di merda che propinano continuamente merda.
E se la piglierà allora con chi resta, chiunque esso sia, colpevole o innocente. (Perchè se il popolo capisse qualcosa, non saremmo dove siamo oggi).
Soprattutto se, anche al popolo, come è giusto, verrà chiesto il conto di questi quindici anni di follia, passati a gettare al vento il bene in comune in nome della speranza di appartenere a qualsiasi camarilla, cricca, gruppetto che potesse dare come privilegio quello che invece si chiama diritto.

Perchè si è sempre responsabili, si è sempre coinvolti, anche quando si pensa che basti chiudere gli occhi e non guardare, anche quando si pensa che quello che accade al tizio accanto non ci interessa, anche quando si pensa che "io non c'entro un cazzo, lavoravo, c'avevo una famiglia, non mi occupavo di politica".

Già, peccato che la politica si sia comunque occupata di te, ed ora sian tutti cazzi nostri.

E pensare che te le meriteresti tu, probabilmente, quelle manganellate che per ora gli altri stanno uscendo a prendersi per primi.

venerdì, ottobre 15, 2010

Teppisti in arrivo!

"Se al termine del riconteggio (dei voti delle elezioni di marzo) ci portano via la Regione, si metterà male" (Umberto Bossi).

Nelle prossime settimane, sono dunque segnalati probabili flussi di teppisti dalla Padania verso il Piemonte. Siamo sicuri che le sedicenti autorità padane non faranno nulla per impedirlo, anzi: temiamo fortemente le infiltrazioni padane nelle istituzioni repubblicane italiane del Piemonte.

Invitiamo il Ministro dell'Interno Maroni ad intervenire preventivamente tenendo sotto stretto controllo di polizia i capi della teppaglia, per evitare che Torino venga messa a ferro e fuoco.
Un po' meglio di come ha fatto a Genova, ed un po' meno pericolosamente di come sta facendo per la manifestazione della FIOM (dove sta comprando lui la benzina per il fuoco della tensione).

E se proprio qualcosa deve accadere, invitiamo la cittadinanza all'autodifesa della città dai teppisti verdi. Pacifica, neh.

martedì, settembre 28, 2010

Smoke gets in our eyes

Mentre sulle prime pagine dei giornali campeggiano articoli fumogeni su cognati, appartamenti e angosce processuali del Satrapo, è scivolata via in fretta una notizia pubblicata ieri - ed evidentemente sgradevole per tutti coloro che dovrebbero avere responsabilità in questo paese - ovvero l'analisi dell'Ires CGIL sulla crisi dei salari in Italia.

Il rapporto, sintetizzato in una serie di slides molto esplicite e comprensibili che trovate qui, fornisce una serie di dati sul periodo 2000-2010 che - se non vengono smentiti e se vengono compresi da un popolo ipnotizzato - possono davvero far incrementare in modo repentino la produzione, la vendita e soprattutto l'uso dei forconi.
Ne estraggo un campionario significativo, di questi dati. Quanto basta.

Occupazione.

Dall’inizio della crisi al secondo trimestre 2010 sono stati persi oltre un milione di posti di lavoro.
Il tasso di disoccupazione 2010 nel II trimestre 2010 è arrivato all’8,5%, circa 2 milioni e 136mila persone.
Gli inattivi in Italia sono arrivati a circa 15 milioni.

Nel picco (III trim 2009) dei 508mila posti di lavoro persi, circa 220mila erano a tempo determinato e, per la prima volta dal 1999, 110mila a tempo indeterminato.
Le lavoratrici e i lavoratori coinvolti dalla CIG sono oltre 1.200mila (pari a 650mila inattivi con –4.900 euro in un anno).
Le imprese coinvolte sono oggi oltre 5.000 (oltre 180 tavoli aperti) per oltre 400mila lavoratori.

Se consideriamo tra gli inoccupati anche gli scoraggiati (circa 300mila nuovi inattivi, soprattutto al Sud) il tasso di disoccupazione reale arriva all’11% (12% con i lavoratori in CIG).

Il tasso di disoccupazione reale tornerà ai livelli pre-crisi solo nel 2017.


Occupazione giovanile in crisi.

La disoccupazione giovanile ha raggiunto il picco del 28,2% a febbraio 2010 e nel II trimestre si è attestata al 27,9%.
La media europea nell’anno 2009 è del 19,8%.
Nel Mezzogiorno l’indice arriva al 39,3%.

In Italia, secondo il CNEL, nel 2009 sono stati oltre 450mila i posti di lavoro persi da parte dei giovani (16-24 anni).

Secondo l’Istat nel 2009, poco più di due milioni di giovani non lavora e non frequenta nessun corso di studi (il 21,2% della popolazione tra i 15 e i 29 anni: i cosiddetti Neet, Not in education, employment or training).

Per quanto riguarda coloro che sono fortunatamente impiegati, il 30% della popolazione 18-29enne svolge un lavoro atipico ed è in questo segmento che si è concentrato il calo dell’occupazione: se, per ogni 100 giovani occupati nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno, 15 sono transitati nella condizione di non occupato (erano 10 un anno prima), tra i giovani collaboratori questa percentuale sale a 27.


La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza.

Secondo l’ultima Indagine di Banca d’Italia sui redditi delle famiglie italiane, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane, che vuol dire che 2.380.000 famiglie possiedono ognuna mediamente 1.547.750 euro.

Così come il 50% della popolazione (la metà più povera) possiede solo il 9,8% della ricchezza netta complessiva: ovvero 11.908.000 famiglie posseggono mediamente 68.171 euro.
La distanza tra la ricchezza netta media (137.956 euro) e la ricchezza netta mediana (di quel 50% più povere, cioè 68.171 euro) evidenzia l’iniquità della distribuzione.

Indice di concentrazione della ricchezza netta (0,614) è quasi il doppio dell’Indice di concentrazione del reddito familiare (0,353).

Classificando i 30 paesi OCSE attraverso l’indice di concentrazione del reddito l’Italia risulta il sesto paese più diseguale.
In Italia, la distanza tra reddito medio e reddito mediano (del 50% popolazione più povera) risulta invece essere cresciuta più di tutti gli altri paesi OCSE, passando, negli ultimi 15 anni, dal 10,5% al 17,3% (prima della crisi).
La nostra previsione è che nel 2011 tale distanza raddoppierà, superando il 20%.


Le dichiarazioni dei redditi 2008

I redditi maggiormente dichiarati sono quelli da lavoro dipendente e da pensione, sia in termini di frequenza (86%) che di ammontare (78%).
Seguono i redditi da partecipazione (5,47%), i redditi d'impresa (5,03%) e i redditi da lavoro autonomo (4,20%).

Il 27% dei contribuenti (11 milioni) paga zero IRPEF al fisco (quota esente). Il 50,86% dei contribuenti dichiara meno di 15.000 euro l'anno e il 40,04% dichiara redditi tra 15.000 e 35.000 euro.
Lo 0,9% dei contribuenti dichiara redditi superiori ai 100.000 euro annui.

In totale il 90,90% (oltre 37 milioni di contribuenti) dichiara meno di 35.000 euro.
Il reddito medio dei lavoratori dipendenti è pari a 19.280 euro e quello dei pensionati è di 13.440 euro.

Oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese.

Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne.


La caduta del reddito reale.

Nel I trim. 2010 Il reddito disponibile reale delle famiglie ha subito un’ulteriore flessione tendenziale rispetto al I trim. 2009 pari al -2,6% a prezzi correnti (considerando la somma mobile di 4 trimestri).

Se rapportiamo tale ammontare alla popolazione residente, ottenendo il reddito disponibile pro capite, la flessione passa al -3,2%.

La caduta del potere d’acquisto per abitante in realtà risulta già molto evidente prima del 2009: rispetto al “picco” del III trim. 2006 la flessione del reddito in termini reali supera il 6%, che corrisponde ad oltre 1.100 euro annui.


…caduta del reddito di quali famiglie?
L’impatto della crisi è stato generalizzato e ha colpito tutte le famiglie italiane.
Eppure, a differenza delle famiglie con a capo un imprenditore o un libero professionista, le famiglie di lavoratori dipendenti hanno accumulato una perdita di reddito disponibile reale che si è trascinata fino alla crisi, in cui la riduzione dell’occupazione e l’abbattimento delle retribuzioni (soprattutto per effetto della CIG) hanno trascinato ancora più in basso il potere d’acquisto delle famiglie di operai e impiegati.


Variazioni dei redditi reali 2002-2010

Imprenditori e liberi professionisti: +5940 euro

Lavoratori dipendenti: - 3118 euro

Fonte: elaborazioni su microdati Banca d’Italia (I bilanci delle famiglie italiane, anni 2000-2008). (*) Stime 2009 e 2010.


La perdita dei salari reali tra il 2000 ed il 2010: – 5.453 euro
(considerando una mancata restituzione del fiscal drag di 2069 euro)


Quanto sono cresciuti i profitti? Variazione media annua (anni 1995-2009, 1400 grandi aziende): Profitti per dipendente+ 5% Retribuzione per dipendente: +1%

Dove sono andati i profitti? Tra il 1980 ed il 2009, il rapporto tra investimenti fissi lordi e profitti lordi è calato del 38,7%. Tra il 1990 ed il 2008, i redditi da capitale sono aumentati dell'87%.

Interessante anche questo articolo dal sito voce.info:Ieri l’Istat ha pubblicato il comunicato su occupati e disoccupati nel secondo trimestre del 2010. Aggiorniamo la tabella e i grafici già pubblicati su queste pagine in cui analizziamo l’andamento dell’occupazione durante la crisi.

LIEVE RIMBALZO DELL’OCCUPAZIONE, MA LE ASSUNZIONI SONO CON CONTRATTI TEMPORANEI.
Il tasso di disoccupazione peggiora ed ha raggiunto il livello più alto dal 2003, 8.5 per cento. Grave in particolare è la situazione della disoccupazione giovanile (27,9 per cento oggi contro il 20,4 per cento di due anni fa).
I posti di lavoro bruciati tra i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono 131.000 (-16.6 per cento sullo stock).
La figura 1 è un aggiornamento delle stime già pubblicate sulla percentuale di lavoratori in cassa integrazione (1).
Il peggioramento dei dati sulla Cassa Integrazione nel secondo trimestre 2010, in gran parte dovuto alla CIG in Deroga insieme al nuovo aumento del tasso di disoccupazione, porta questa stima della quota di forza di lavoro in cerca di occupazione all'11,3 per cento.
Le ripercussioni della crisi sul mercato del lavoro non si arrestano anche se sembra esserci per la prima volta un’inversione di tendenza sul lato dell’occupazione. Il numero complessivo di occupati è salito rispetto al trimestre precedente, benché sia ancora inferiore rispetto allo stesso trimestre di un anno fa.
Questa lieve ripresa è avvenuta esclusivamente attraverso le nuove tipologie contrattuali, su cui sin qui si era concentrata la distruzione di posti di lavoro (i contratti a tempo determinato sono calati del 10 per cento dal secondo trimestre 2008 e pesano per ben il 42 per cento del totale dei posti andati persi). La fine del periodo di Cassa Integrazione e il fatto che ormai non si assuma più con contratti a tempo indeterminato contribuisce a spiegare la loro flessione (-1 per cento, rispetto allo 0,7 per cento dello scorso trimestre).



Il numero di posti di lavoro bruciati dal secondo trimestre 2008 ad oggi è 929.307. Questi sono i posti di lavoro persi tra i lavoratori italiani, tenendo conto dell’aumento della componente straniera (che per la prima volta ha superato 2 milioni di unità).
Tuttavia, come già ricordato tre mesi fa, le statistiche che riguardano gli stranieri risentono delle regolarizzazioni e sono pertanto meno attendibili.

Aggiorniamo di seguito anche la tabella e il grafico che riassumono l’andamento del mercato del lavoro in questo periodo.

(1) Per ottenere queste stime si calcolano il numero di lavoratori equivalenti a tempo pieno, dividendo le ore autorizzate totali di cassa integrazione per le ore lavorate in un trimestre da un lavoratore medio italiano.


Riassunto di tutta questa roba: in Italia un sacco di persone (e relative famiglie) stanno molto peggio di dieci anni fa, la situazione sta peggiorando e la classe dirigente sembra del tutto indifferente al problema.
E in tutto il resto del mondo, va ancora peggio: non è che il giusto e doveroso peggioramento del nostro tenore di vita serva a migliorare le condizioni degli ultimi del mondo (il che avrebbe un senso), ma serve solo ad arricchire una sempre più ristretta elite di bastardi (assassini, criminali, farabutti: come li definireste, altrimenti?).

Ecco perchè a chi vuol parlarmi di cognati, appartamenti, dibattiti nel partito, confronti sulla leadership, non intendo prestare il benchè minimo segno di attenzione.


venerdì, settembre 24, 2010

Scanderebech, praticamente un mito/2

Che questo blog ami quest'uomo è noto.
Lo abbiamo scritto qui e qui.
Deodato Scanderebech ci è sempre stato simpatico per la sua assoluta incapacità di essere ipocrita; lui vaga di qua e di là, dall'UDC al centrosinistra all'UDC al sostegno a Cota al PDL all'UDC, instancabile, tra la regione ed il Parlamento, ed ogni volta spiega, racconta, motiva.
Oggi, a noi che siamo di parte, ci è simpatico per due ragioni; la prima è che il vecchio marpione, presentando una lista di sostegno a Cota alle ultime regionali in modo illegale (dimettendosi prima dall'UDC e poi presentando la lista in qualità di espondente dell'UDC), sta facendo rischiare il posto a Cota (si stanno ricontando le schede in queste settimane, togliendo a Cota i voti della lista Scanderebech che non indicavano espressamente il voto a Cota Presidente).
La seconda è che, inaspettatamente, il buon Deodato, entrato due mesi fa in Parlamento nelle file dell'UDC (primo dei non eletti nel 2008 dopo Vietti, diventato vicepresidente del CSM) e passato immediatamente armi e bagagli al PDL, in questi ultimi giorni ha abbandonato il PDL ed è ripassato all'UDC.
Sul suo sito non racconta più una cippa da un sacco di tempo, probabilmente perchè nemmeno lui sa esattamente cosa sta facendo oggi e cosa farà domani.
Ah, ma vi promettiamo che noi lo marchiamo stretto, 'sto fenomeno: niente niente un giorno scriveremo un saggio sul suo camaleontismo, e ci faremo un sacco di soldi.

giovedì, settembre 16, 2010

Neppure in francese diventa decente.

Dall'intervista a "Le Figaro", 16 settembre 2010

Quel bilan tirez-vous depuis votre retour au pouvoir en mai 2008?

J'ai affronté avec succès trois grandes difficultés: la grève du ramassage des ordures ménagères à Naples, le séisme à l'Aquila et la crise économique. En moins de deux mois, j'ai réussi à faire enlever 50.000 tonnes de déchets qui s'étaient accumulés dans les villes et les campagnes de la région de Campanie sous le gouvernement précédent, et dont le spectacle dévastait l'image de l'Italie.

Il y a eu ensuite la situation d'urgence créée par le séisme du 6 avril 2009 dans les Abruzzes. En un temps record, nous avons secouru 65.000 sinistrés et reconstruit une ville entière pour ceux qui avaient perdu leur maison. Nous avons aussi reconstruit toutes les écoles détruites et fait en sorte qu'à la rentrée 2009, tous les écoliers et les étudiants puissent reprendre leurs cours. Devant une tragédie de cette ampleur, aucun autre gouvernement au monde n'a obtenu un tel résultat.

Enfin, en pleine crise financière, nous avons sauvé Alitalia. C'est un résultat important. L'industrie italienne du tourisme avait besoin de continuer à disposer d'une compagnie aérienne nationale. Aujourd'hui, Alitalia fonctionne et ses comptes sont en ordre.

lunedì, settembre 13, 2010

Toccato il fondo? No, c'è chi bussa da sotto...

"Si protesti anche per simboli sinistra".
Pungolata sulla scuola di Adro, dipinta di verde e costellata di simboli leghisti, Mariastella Gelmini chiede che si protesti anche quando in classe entrano i simboli della sinistra.
"Il sindaco di Adro ha specificato che il simbolo del Sole delle Alpi è stato scelto non perché simbolo della Lega Nord ma perché appartenente all'iconografia del Comune. Dico solo - aggiunge il ministro - che comunque è sempre un fatto importante quando enti pubblici decidono di investire nella scuola e nell'edilizia scolastica.
E poi aggiungo che mi piacerebbe che tutti coloro che hanno polemizzato in queste ore con il sindaco di Adro lo facessero per coerenza anche le molte volte in cui sono simboli della sinistra a entrare in classe".

NO COMMENT.

UPDATE 15/09/2010:

"Si ignora quali simboli della sinistra abbia in mente la poveretta: probabilmente, i libri."

sabato, settembre 11, 2010

Domanda (pressochè retorica)

Ma se 600 giocatori di calcio professionisti che hanno uno stipendio medio annuo di 1,3 MILIONI DI EURO, proclamano uno sciopero perchè si sentono "poco tutelati", cosa dovrebbero fare, in proporzione, gli operai metalmeccanici che Marchionne e Federmeccanica vorrebbero trasformare in persone senza diritti?:-)

Dopo Bonanni

Dopo l'aggressione a Bonanni avvenuta alla Festa del Pd qualche giorno fa (se uno ti tira una cosa pericolosa addosso, di aggressione trattasi), leggo cose abbastanza preoccupanti in giro sui blog.
Che queste cose preoccupanti rispecchino il clima malato di questo paese, non è cosa che mi consoli.

Qualcuno interpreta questi segnali di violenza come "il risveglio di un popolo oppresso": io, li giudico come segnali di violenza.

Ma vogliamo forse interpretare senza conoscere? Giammai.
Pare infatti che quell'aggressione non sia stata un ragazzata idiota e pericolosa come sembrava, ma che abbia avuto dietro anche il fantasma di un "ragionamento teorico".
Esiste infatti, come nelle migliori tradizioni, un comunicato di "rivendicazione politica" del Centro Sociale Ask*tas*na di Torino, che si è assunto la responsabilità del gesto: leggiamolo insieme.

"Contestare qualcuno è legittimo, alla festa del Pd come in qualsiasi altro luogo. Se poi la festa si tiene in una piazza, libera e di tutti, lo è ancora di più.

Se quel qualcuno è Bonanni, è giusto persino di impedirgli di parlare. Le prese di posizione che trovano spazio sui giornali e sui tg di ieri e oggi lasciano alquanto dubbiosi per le categorie che si utilizzano (attacco violento, squadrista, ritorno agli anni di piombo) e per le soluzioni (isoliamo i violenti, abbassiamo i toni). Non appena accade un fatto si apre il circo della politica, quello che foraggia i Bonanni e i Letta, quello dei salotti televisivi, quello del volemose bene.

Bonanni è il responsabile di quanto sta avvenendo nel nostro paese con la Fiat e più in generale nel mondo del lavoro. E’ la sponda certa per Confindustria e Governo su qualsiasi argomento. Il sindacato che rappresenta si permette di estromettere un altro sindacato dalla contrattazione e dalla rappresentanza nonostante abbia più iscritti del suo. Quelli come Bonanni sono tra i tanti responsabili delle condizioni di vita e di lavoro che vive la gente, rappresentando gli interessi di chi non ne ha bisogno a discapito di chi lavora.

Togliere la parola a qualcuno non è una cosa così fuori dal mondo, del resto a quanti è tolta parola (e dignità) tutti i giorni per le scelte dei vari Bonanni? I senza voce sono quelli (metalmeccanici o meno) che possono solo subire una vita di ricatti, che gente come “il nostro”, avvallano e perpetrano,. Zittirlo è legittimo punto e basta.

Ora sui motivi della contestazione non entriamo neanche nel merito parchè sono così tanti e chiari che ci sembra di offendere chi legge. Sui modi possiamo spendere qualche parola perché chiamati in causa più volte e nelle maniere più fantasiose. I centri sociali non sono un’entità fuori dal mondo, estromessa dalla quotidianità, con soldati pronti a combattere la prossima battaglia. Sono luoghi dove trovano spazio tutti, lavoratori, studenti o disoccupati che siano, e in quello spazio, non solo fisico, si confrontano ed esprimono le tensioni di questa società. A differenza dei partiti, i collettivi e le soggettività che trovano spazio nei centri sociali intendono la democrazia come una pratica di partecipazione diretta, senza mediatori, senza rappresentanze. I “democratici”intendono la democrazia come un insieme di regole e norme alle quali far sottostare i governati, estromettendose ne ed elevandosi a rappresentanti di tutto e tutti. La politica per noi non è un posto di lavoro, non è una carriera alla cui aspirare, è un mezzo per mettere in pratica i bisogni collettivi che questo sistema nega con tutti i mezzi che ha disposizione. Così è normale che vadano anche i centri sociali a contestare Bonanni, perché essi sono la voce di quanti non ce l’hanno, e a differenza dei partiti, senza voler rappresentare nessuno, mettono in pratica quello che molti lavoratori avrebbero voluto fare ma che non possono fare, limitandosi a insultare Bonanni davanti alla televisione.

Altro che abbassare i toni, qui i toni sono da accendere al massimo volume! E’ semplice per politici, opinionisti e sindacalisti patinati fare i discorsi che abbiamo letto sui giornali che richiamano al confronto , alla pacatezza, a tante belle parole. Ci dicono anche che così si rischia di rispolverare la figura del nemico o non quella di semplice avversario. Certo per chi fa parte della stessa cricca è normale che chi schiaccia o collaborare a schiacciare sotto i piedi i tuoi diritti minimi sia solo un avversario, come in una partita a briscola. E se gli devi dire qualcosa, glielo devi dire con gentilezza e abbassando i toni. Per noi non è così, crediamo ancora che esistano le categorie dei nemici, e questo mondo ce lo dimostra giorno dopo giorno, e siccome non partecipiamo a un torneo di carte, ma la partita è la vita di tutti, indichiamo e avversiamo i nemici. Siamo di parte, e lottiamo per una parte sola di questa società: quella che lavora o non lavora, che è sottomessa a chi comanda e chi governa, quella delle fabbriche che chiudono e non sa come arrivare a fine mese. Padroni, proprietari, sindacalisti di mestiere, politici di professione, pennivendoli al soldo dei propri editori sanno far valere le loro ragioni molto bene!

Al resto delle considerazioni non diamo neanche spazio, il ritorno degli anni di piombo, la violenza estrema, lo squadrismo e tante altre parole le lasciamo al vento assieme a quelle tante altre che sentiamo in tv tutti i giorni. Avessimo mai sentito dire a Bersani parole del genere nei confronti degli squadristi veri, dei fascisti in doppiopetto, degli imprenditori delle varie cricche allora potremmo anche prenderle in considerazione.

centro sociale Ask*tas*na "

Anzitutto, non una parola sul fatto che gli hanno lanciato un fumogeno addosso. E' un dettaglio insignificante. Forse ora, quando non è accaduto nulla. Se il fumogeno arrivava in faccia e lo rovinava, forse non ne avrebbero fatto menzione lo stesso, perchè si scrive che "è normale che vadano anche i centri sociali a contestare Bonanni, perché essi sono la voce di quanti non ce l’hanno, e a differenza dei partiti, senza voler rappresentare nessuno, mettono in pratica quello che molti lavoratori avrebbero voluto fare ma che non possono fare, limitandosi a insultare Bonanni davanti alla televisione."

E' normale. Forse ad Ask*tas*na ci passano i sabato sera, divertendosi a tirarsi addosso i fumogeni l'un l'altro. Questa tesi del "ecchessaràmaiunfumogeno" si legge molto in giro, sui blog militanti. In effetti non sarebbe grave, nei noiosi sabati sera, passare in macchina gettando fumogeni con fare annoiato all'interno di Ask*tas*na: ma così, senza cattiveria, perchè "è quello che molta gente normale vorrebbe fare ai centri sociali ma non può fare", no?

Ironia a parte (che poi temo i centri sociali non la comprendano, e mi accusino di incitare all'assalto antidemocratico nei loro confronti), la cosa gravissima (tra le tante gravi) di quel comunicato è
"Contestare qualcuno è legittimo, alla festa del Pd come in qualsiasi altro luogo. Se poi la festa si tiene in una piazza, libera e di tutti, lo è ancora di più.

Se quel qualcuno è Bonanni, è giusto persino di impedirgli di parlare."

E' giusto. Impedirgli di parlare. In un piazza "libera e di tutti", meno che per lui.
Giusto in nome di cosa?

"Bonanni è il responsabile di quanto sta avvenendo nel nostro paese con la Fiat e più in generale nel mondo del lavoro."

IL responsabile. Nemmeno uno dei. IL.

Dopo, migliorano:
"Quelli come Bonanni sono tra i tanti responsabili delle condizioni di vita e di lavoro che vive la gente, rappresentando gli interessi di chi non ne ha bisogno a discapito di chi lavora."

A parte che non si capisce una cippa in italiano ("rappresentando gli interessi di chi non ne ha bisogno" di cosa?), ma la conseguenza logica è che a tutti questi "tanti responsabili", quando vanno in giro nelle piazze, "è giusto impedirgli persino di parlare".

Non so voi... che poi se gli dici che questo è esattamente fascismo e squadrismo si offendono.
Ma a me la gente che va in giro impedendo agli altri di parlare, in genere, sta profondamente sui cosiddetti. Mi è antipatica. Mi fa senso. E non la vorrei tra i miei amici, nè tra chi mi governa.

Veniamo al gran finale
"Per noi non è così, crediamo ancora che esistano le categorie dei nemici, e questo mondo ce lo dimostra giorno dopo giorno, e siccome non partecipiamo a un torneo di carte, ma la partita è la vita di tutti, indichiamo e avversiamo i nemici. Siamo di parte, e lottiamo per una parte sola di questa società: quella che lavora o non lavora, che è sottomessa a chi comanda e chi governa, quella delle fabbriche che chiudono e non sa come arrivare a fine mese. "

Ottimo, davvero. Ditemi una sola ragione per cui dovreste essere considerati più simpatici di Bonanni, Schifani, Berlusconi. Una sola ragione per stare dalla vostra "parte sola di questa società".
Indicate ed avversate i nemici. Bravi. Ma i nemici di chi? I vostri? E a noi che ce ne frega? Chi sareste, voi? Chi rappresentate? Siete, in questo, meglio di Bonanni, che almeno ha tre milioni di iscritti che lo hanno eletto con procedure democratiche, che a voi piaccia o no?

A me sembra, semplicemente, che vogliate un'altra società di merda più o meno uguale a questa. Dove i padroni stavolta siete voi, e siete voi a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, chi deve parlare e chi deve tacere. Lo annunciate voi stessi:

"Togliere la parola a qualcuno non è una cosa così fuori dal mondo, del resto a quanti è tolta parola (e dignità) tutti i giorni per le scelte dei vari Bonanni? I senza voce sono quelli (metalmeccanici o meno) che possono solo subire una vita di ricatti, che gente come “il nostro”, avvallano e perpetrano,. Zittirlo è legittimo punto e basta.
"

Ma perchè sprecare risorse, energie per una società in cui il posto degli oppressori attuali sarà preso semplicemente da oppressori nuovi, e nemmeno troppo simpatici come voi? Teniamoci questa. Con un piccolo sforzo di adattamento, vedrete che ce la farete benissimo ad arrampicarvi sui gradini del potere. Ce la farete anche qui, a essere oppressori.

Già cominciate bene. Come piccoli parassiti, andate a contestare le feste degli altri, 'che le vostre sono invisibili, per entrare nel meccanismo mediatico. Per esistere, dovete usare gli stessi, identici meccanismi che fingete di contestare.
Che pena. Che tristezza.

Per ripulire il post dalla malinconia delle vostre parole, mi sembra doveroso riportare le parole del più grande rivoluzionario che abbia solcato i suoli patri negli ultimi secoli, Errico Malatesta: un anarchico vero. Uno che di queste cose, a differenza di voi, ci capiva parecchio.

"Ma non è per Ravachol personalmente che noi sentiamo il bisogno di protestare: è per le difese che fanno di lui certi suoi amici. L'uno dice che Ravachol ha fatto bene a uccidere il vecchio, perchè "era un essere inutile alla società"; un altro dice che non vale la pena di fare chiasso per un vecchio "che aveva pochi anni da vivere" e così di seguito.
Il che vuol dire che questi anarchici che non vogliono giudici, non vogliono tribunali, si fanno poi essi stessi giudici e carnefici, e condannano a morte e giustiziano quelli che essi giudicano inutili. Nessun governo ha mai osato confessar tanto!
Così per le esplosioni. Per uccidere un meschino procuatore si rischia di uccidere 50 innocenti.Per fortuna non è successo tutto il male che poteva succedere (...)
Si vede nel modo come la cosa è stata fatta, che i suoi autori disprezzano la vita umana, non si curano della sofferenza altrui.
Ma infine, su tutto questo si potrebbe passare, e considerare le disgrazie come dolorose conseguenze della guerra.
Ma come non protestare quando sentite dire che si ha torto di lamentare la morte di una serva o di un operaio, perchè " i domestici son peggio dei padroni e bisognerebbe ammazzarli tutti", e "i bambini son semenza dei borghesi e bisogna pure ammazzarli tutti"?
Come non inorridire quando trovate una donna la quale a voi che lamentate la disgrazia incorsa a quella povera donna che nella esplosione della Rue Clichy ebbe la faccia lacerata da schegge di vetro, risponde: "Come? Siete così sensibile voi? Io ho riso tanto pensando alle smorfie che doveva fare quella donna colla faccia tutta tagliuzzata".
Tutto questo vuol dire che succede a molti anarchici quello che succede ai soldati, agli uomini di guerra, che ubriacati dalla lotta, diventano feroci e dimentichi persino del fine pel quale si lotta finiscono con il volere il sangue per il sangue.Non è più l'amore per il genere umano che li guida, ma il sentimento di vendetta unito al culto di una idea astratta, di un fantasma teorico.
Ciò si comprende:tanto più in presenza di una borghesia che ci dà quotidianamente lo spettacolo della ferocia, ma non si può approvare, non si può incoraggiare. Una rivoluzione nella quale trionfassero questi istinti, sarebbe una rivoluzione perduta. Il terrore provoca la reazione: prima la reazione della pietà, poi la reazione degli interessi.
Vi è poi un'altra cosa. Questi anarchici pare si vogliano fare distributori di grazia e di giustizia e ciò non è niente affatto anarchico. Se avessimo il diritto di condannare in nome dell'idea che ci facciamo noi della giustizia, lo stesso diritto l'avrebbe il governo in nome della giustizia sua.Naturalmente ognuno crede di aver ragione, e se ognuno avesse il diritto di condannare quelli che secondo lui hanno torto, addio giustizia, addio libertà, addio eguaglianza, addio anarchia: i più forti sarebbero, come sono oggi, il governo, ed ecco tutto.
Noi dobbiamo essere dei libertari. La dinamite è un'arma come un'altra, spesso migliore di un'altra nella lotta contro gli oppressori: ma, come tutte le armi, può essere adoperata bene o male, può servire a liberare gli oppressi, o a spaventare e opprimere i deboli. Noi dobbiamo servirci di tutte le armi, ma non dobbiamo mai perdere di vista lo scopo, nè la proporzione tra il mezzo e lo scopo.
(...)
So bene che queste idee non sono fatte per incontrare la simpatia generale dei nostri amici.
Per quanto si sia anarchici, si è sempre più o meno uomini del proprio tempo. Ed il popolo dei nostri tempi, come quello dei tempi passati, si lascia ancora imporre dalla forza, dal successo, senza guardarci tanto pel sottile.
Se esplosioni sono riuscite, hanno messo paura...ai paurosi, e molti dei nostri amici applaudiranno incondizionatamente, senza preoccuparsi dell'effetto che hanno sulla massa, che noi dovremmo attirare a noi, senza fare le parti del bene e del male.
E' la stessa tendenza per la quale il popolo applaude a tutti i guerrieri, a tutti i tiranni che vincono.
Ma a questa tendenza noi dobbiamo reagire, se no addio anarchia. La rivoluzione si farebbe per aprire il varco ai nuovi tiranni.
La verità è che v'è molta gente che si chiama anarchica, e che dell'anarchia non ha capito nulla.(...)
Vedete dunque che anarchici! Come l'inquisizione: le bastonate (non potendo applicare la ghigliottina o il rogo) a quelli che non pensano come loro e dicono il loro pensiero.
E' necessario reagire: mettere i punti sugli i, uscire dai termini generali i quali spesso fan credere che si sia d'accordo, mentre si sta agli antipodi."

(Errico Malatesta: lettera a Luisa Pezzi su "il rifiuto del terrorismo amorfista", 1892, in "Rivoluzione e lotta quotidiana" (pp. 60-62), edizioni Antistato, Torino 1982.)

lunedì, agosto 30, 2010

La virgola valdese

No al crocefisso nelle aule scolastiche; sì alla ricerca sulle cellule staminali; sì al testamento biologico; serena accettazione delle coppie omosessuali.

No, non è l'ipotetico programma elettorale di una possibile lista dell'UAAR, ma la netta posizione sui principali temi etici che è uscita dal Sinodo della Chiesa Valdese, svoltosi a Torre Pellice tra il 22 ed il 27 agosto.

Riporto qui il comunicato stampa della Chiesa Valdese sui temi affrontati dal Sinodo:

"Accoglienza, fraternità, scambio, condivisione: queste le parole chiave del discorso della pastora Maria Bonafede, rieletta moderatore della Tavola valdese, a conclusione dei lavori del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, svoltosi dal 22 al 27 agosto a Torre Pellice nel Pinerolese.

Un discorso, accolto con un applauso scrosciante dai sinodali, che non ha nascosto le difficoltà del camminare insieme, soprattutto quando si affrontano temi difficili come quello delle benedizioni di coppie dello stesso sesso: "Abbiamo vissuto cinque giorni intensi di confronto e scontro, su temi importanti che investono sia la vita della chiesa che quella delle persone. Il Sinodo ci ha dimostrato che il modo di procedere è quello di non perdere mai di vista il valore dell'accoglienza".

Il Sinodo infatti quest'anno ha posto l'accento non solo sull'accoglienza degli omosessuali nella chiesa e sulla benedizione delle loro unioni, ma anche sull'accoglienza degli immigrati, che a migliaia stanno bussando alle porte delle chiese valdesi e metodiste italiane.

"Accoglienza significa anche arricchimento – ha proseguito Bonafede -. Che cos'è la fede se non l'incontro? L'incontro che cambia, trasforma e arricchisce la vita di chi la riceve. 'Sinodo' vuol dire esattamente questo: camminare insieme, ascoltando la parola di Dio, ma anche le parole e i silenzi delle persone. Abbiamo bisogno gli uni degli altri".

Per la moderatora Bonafede il Sinodo si è assunta una grande responsabilità aprendo alla benedizione delle coppie dello stesso sesso. Una decisione che non chiude il dibattito, ma che andrà ulteriormente approfondita, verificata, vissuta nella prassi. "Vogliamo essere una chiesa che vive nel confronto e del confronto, senza mai mettere un punto ai ragionamenti, ma una virgola", ha affermato Bonafede.

Guardando al paese, "che attraversa una profonda crisi morale e politica", ma anche ai 150 anni dell'Unità d'Italia e ai valori risorgimentali, la moderatora così ha concluso: "vogliamo un paese unito, plurale, laico, e democratico". E citando la lettera di Paolo ai Romani (12): "Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite".

I lavori del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, si sono conclusi con l’elezione delle altre cariche amministrative ed esecutive. Nuova vice moderatore è la metodista Daniela Manfrini.
Nuovo decano della Facoltà valdese di teologia di Roma è il professor Yann Redalié che subentra a Daniele Garrone, giunto alla fine del suo mandato.

Il Sinodo si è chiuso con un culto liturgico di Santa Cena presso il tempio di Torre Pellice."

"Vogliamo essere una chiesa che vive nel confronto e del confronto, senza mai mettere un punto ai ragionamenti, ma una virgola".

Trovo bellissima questa affermazione. Perchè rende perfettamente l'idea di un atteggiamento aperto alla complessità della vita, e non si richiude nella facile formulazione del dogma.

E' quel che la Chiesa Cattolica di solito appella spregiativamente con il nome di "relativismo".

Il Vescovo cattolico di Pinerolo si è detto, infatti, addolorato per le conclusioni del Sinodo:

«Mi addolorano profondamente le conclusioni cui è giunto il Sinodo. L’orizzonte attuale, così confuso, ci spinge a ribadire, con forza e senza compromessi né cedimenti, valori etici irrinunciabili come la sacralità della vita dal suo concepimento sino alla sua naturale conclusione e il concetto di famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna».

Continuo ad esser assai lieto di versare ogni anno il mio 8 per mille alla Chiesa Valdese.

venerdì, agosto 27, 2010

Marchionne e Marx (corrente Groucho)

"Grazie, ho trascorso una serata veramente meravigliosa. Ma non è questa."
(Groucho Marx)










"Superiamo la vecchia idea di un'Italia divisa in padroni ed operai."
(Sergio Marchionne)








"...che ce ne facciamo di operai, se possiamo avere schiavi?"

(Luposelvatico interpreta Sergio Marchionne)


Se c'è un parola che mi irrita, è "cambiamento". Perchè il dizionario dice che significa "mutamento, trasformazione, modifica". Da A a B, da qui a lì, da questo a quello.
In genere, invece, chi la pronuncia e ne fa mito non lo specifica mai, quale A e quale B ha in testa.
Al massimo la accompagna a parole generiche che non significano una cippa, tipo "il passato" ed "il futuro", "il vecchio" ed "il nuovo", o "il male" ed "il bene".

Ieri, Marchionne, al meeting di CL, ha fatto proprio questo. Ha fuffoleggiato di cambiamento, passato, futuro, meglio e peggio senza mai entrare nei dettagli. Eppure la platea di ciellini lo ha applaudito calorosamente, ed allora vuol dire che loro lo hanno in qualche modo capito, il significato nascosto di quel che Marchionne ha detto in modo fuffologico.
E quando un ciellino approva ed applaude, io per principio mi preoccupo - e non mi sbaglio mai, dice la mia esperienza. E' quel che si dice "ragionare per differenza": se una cosa è buona per un ciellino, o per la Confindustria, o per Cicchitto, è sicuramente una cosa pessima per me.

Oooohhhh, ma che modo "vecchio" di ragionare, direte voi, e direbbe anche Marchionne.
Perchè il modo nuovo di ragionare, come risulta da ieri, è questo:
  • non esistono più padroni ed operai;
  • Marchionne e gli operai della Fiat, come risulta dalla sua "lettera ai Corinzi" di qualche mese fa, sono semplicemente "colleghi";
  • è assolutamente normale che un tuo collega, se si chiama Marchionne, guadagni 435 volte quel che guadagni tu.

Immagino anche che, "essendo le differenze tra padroni ed operai storicamente superate", qualsiasi operaio della Fiat possa decidere di far spostare in Italia uno stabilimento Fiat operante all'estero. Cioè, Marchionne non l'ha detto espressamente, ma nella logica delle cose che ha detto ci dovrebbe stare.

Oh, lo specifico: a me, personalmente, Marchionne non è antipatico. E' uno che sa fare il suo mestiere, che è quello di rappresentare l'interesse di un gruppo di azionisti che fanno soldi attraverso la produzione di automobili.
E che devono trovare il modo di fare più soldi possibile, con le automobili, spendendo il meno possibile; e quando con le automobili non ci sarà più verso di far soldi, passeranno a far soldi con altro.
In questo ruolo, Marchionne è bravo: ed anche molto più rispettabile di pescecani come Colaninno e Tronchetti Provera, per dire.
Però, anche con lui, rimaniamo sempre nel campo del capitalismo assistito: nel senso che è bellissimo fare i soldi con il proprio ingegno e le proprie idee e le proprie opere, ma non c'è nessun capitalista che rinunci a usare i soldi degli altri, per fare soldi; e questi "altri" di solito siamo noi, perchè i soldi degli altri sono "pubblici".

Punto. Tutto molto semplice. Tutto si tiene.
Tu produci cose per guadagnarci, e lo Stato ti dà una mano perchè così redistribuisci un po' della ricchezza prodotta sotto forma di posti di lavoro.

Certo, bisognerebbe anche ragionarci un po', sulle cose che produci.
Le automobili sono un'invenzione stupenda, e produrle occupa anche un sacco di gente.
Peccato che arriva un punto in cui si producono più automobili di quelle che si possono vendere, ed allora gli azionisti che fanno soldi mediante la produzione di lavoro cercano - marxianamente - di aumentare il profitto riducendo i costi: e finito lo spazio di riduzione dei costi attraverso il rinnovamento tecnologico dei mezzi di produzione, non resta che comprimere i costi del lavoro - riducendo i salari o aumentando la produttività il più possibile per lo stesso salario.

Ripeto, tutto normale, risaputo, e persino assai "vecchio" ("Il capitale" del fratello illegittimo di Groucho, Karl, è del 1867).

Ma proprio perchè tutto è chiaro, perchè diamine Marchionne viene a raccontarci queste cazzate sul "superamento della divisione tra padroni ed operai" proprio in una fabbrica di automobili, che è forse l'unico contesto al mondo in cui l'analisi marxiana è ancora uno strumento valido per interpretare la realtà?

Quel che Marchionne vuol dire (e che i ciellini plaudenti evidentemente han capito benissimo) non è che le ragioni del conflitto tra le classi sociali siano superate, ma che una classe vuol dichiarare, approfittando del momento storico ed economico, la vittoria definitiva in questo conflitto, certificando nel contempo la dissoluzione dell'altra.

E' una cazzata, e lo sa anche lui benissimo, parlare di un'Italia che "difende il passato" e di una che "guarda al futuro".
Esiste un'Italia che ne sta schiacciando un'altra, semplicemente, perchè i rapporti di forza lo consentono. Punto e basta, tutto il resto è fuffa.
E, come scrissi tempo fa quando si apriva la questione Pomigliano, non si tratta nemmeno di capire se questo sia "giusto" o "sbagliato", se i "diritti" che si stanno perdendo siano o meno inalienabili. I diritti sono esclusivamente un risultato temporaneo dei rapporti di forza, non sono mai "acquisiti per sempre".
Così come Berlusconi sta tentando di imporre una "Costituzione sostanziale" che cancelli quella formale, ed anche qui la questione non è se sia giusto o sbagliato: è semplicemente in chi ha più FORZA per difendere la propria visione.
Abbandonare l'idea che esistano "valori supremi" a cui fare riferimento, "regole assolute" che tutti in teoria devono rispettare, è il primo - doloroso, ma necessario - passo per scendere dalla luna e ritornare alla realtà.
Che è fatta di conflitto permanente, o di sottomissione al volere del più forte.

Ecco, io rispetterei di più Marchionne se, da un palco, dicesse finalmente la verità e la smettesse con le fregnacce:
"Siamo un gruppo di persone che difendono i propri interessi, ed in questo momento siamo così forti che tentiamo di fottervi definitivamente.
Non ci interessa affatto la qualità delle vostre vite, nè cosa ci sarà nel vostro futuro, nè la sorte dei vostri figli e delle vostre famiglie: non siamo la San Vincenzo, siamo gente che fa soldi producendo automobili. Certo, potremmo adottare una strategia diversa e più umana. Potremmo dirvi: guadagneremo solo 100 volte quel che guadagnate voi, e redistribuiremo questa ricchezza in modo più equo tra di voi, perchè abbiate dignità e perchè siate orgogliosi di quel che fate, fosse pure una inutile ed inquinante automobile.
Ma perchè mai dovremmo farlo, se oggi possiamo schiacciarvi e voi non siete in grado di imporci una realtà che sia più equilibrata, e migliore per voi?
In fin dei conti, in tutto il mondo quelli come noi trattano quelli come voi in modo assai peggiore di quello che conoscete. In tutti questi anni siete stati fortunati: l'Occidente non aveva avversari, e vi abbiamo lasciato credere che avreste potuto partecipare al gioco del benessere per sempre.
Peccato che sia finita, e che vi tocchi smettere di giocare."