martedì, settembre 30, 2008

La neolingua di Tremonti e Gelmini

Vale davvero la pena di leggerlo, lo "Schema di piano programmato del Ministero dell'Istruzione (...) di concerto con il Ministro dell'Economia", ovvero il manifesto ideologico del Governo per la distruzione della scuola pubblica.

Fa tremare i polsi, ad una prima lettura.
Nessun dubbio, nessuna incertezza. Asserzioni che non consentono nè verifiche nè smentite. Parole chiave che creano una realtà nuova e positiva: "impoverire" diventa "essenzializzare", un po' come il termine "termovalorizzatore" fornisce valenza positiva ad un inceneritore.
Di nuovo la semplificazione come concetto magico di soluzione della complessità.
Basta con la confusione e lo spreco. ESSENZIALIZZAZIONE, appunto, è la parola magica che ricorre nel documento ad ogni pagina.
Saranno "essenzializzati" le sedi scolastiche, i piani di studio, le discipline e gli orari.
Razionalizzare e semplificare sono i concetti a contorno, egualmente piacevoli e positivi alle orecchie del volgo (che non sopporta più le cose complicate, in cui c'è da pensare e rompersi la testa).
E verità assolute vengono porte così, con la semplicità con cui si beve un bicchier d'acqua: "nell'arco di vita intercorrente dai sei ai dieci anni SI AVVERTE IL BISOGNO di una figura unica di riferimento con cui l'alunno possa avere un rapporto continuo e diretto".
Vertici che non raggiunse neppure la pedagogia sovietica.

Un modello che, inutile dirlo, "semplifica e valorizza la relazione tra scuola e famiglia".
E poi si passa al ragionerismo: "Si può dunque stimare che una buona percentuale di istituzioni scolastiche, compresa tra il minimo CERTO del 15% e il massimo PROBABILE del 20%, NON SIA LEGITTIMATO A FUNZIONARE come istituzione autonoma".
Notate il linguaggio: non sia legittimato!
Chi è legittimato dal voto, fornisce ormai le patenti di legittimità al resto della realtà.
E sentite quest'altra: "In effetti, la polverizzazione sul territorio di piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici, in quanto NON CONSENTE l'INSERIMENTO DEI GIOVANI IN COMUNITA' EDUCATIVE CULTURAMENTE ADEGUATE a stimolarne la capacità di apprendimento e socializzazione".
Insomma, le scuole piccole, con pochi alunni, non sono adeguate culturalmente a stimolare l'apprendimento dei giovani. Una cagata pazzesca, lasciatemelo dire, e può testimoniarlo chiunque abbia conosciuto chi ha potuto mandare i figli in una scuola di dimensioni umane, di paese, magari multiclasse, in cui il programma viene svolto non solo in profondità ma con un approccio quasi individualizzato.
No, è necessario raccontare ora una realtà diversa: non la verità, ma una realtà a cui credere per accettare e giustificare un'operazione meramente ideologica e finanziaria.
Altro esempio di Neolingua gelminian-tremontina: "superamento delle attività di co-presenza", dove "superamento" dà l'idea di un avanzamento rispetto a qualcosa di sorpassato; "riconduzione a 18 ore"...

Ecco, un documento che è fondato sulla menzogna linguistica non andrebbe nemmeno preso in considerazione, se non per smascherarlo: se in questo paese esistesse ancora un pensiero libero, ed una capacità di analisi, una tale operazione di "traslazione della verità" sarebbe rigettata a priori, e la Gelmini rimandata a casa, a furor di popolo, con in testa il cappello a cono con le orecchie d'asino.

Ma probabilmente è troppo tardi, ormai. Ci toccherà ricostruire domani, per prima cosa, quando e se mai riusciremo a liberarci da costoro, un nuovo significato delle parole, autentico, senza menzogna: il primo passo per ricostruire daccapo un paese che possa ritrovare il senso di sè.

mercoledì, settembre 24, 2008

Esserci. In carne ed ossa. A muso duro./2

Update: eravamo in 20.000, sabato a Torino. Colorati, festosi, (qui le foto della manifestazione ) ma sommamente preoccupati. Difficilmente vinceremo questa battaglia adesso: arriviamo da oltre un decennio di rimbambimento collettivo via TV, siamo solo quattro gatti consapevoli del baratro che si è aperto di fronte a questo paese.
Ma ci siamo, esistiamo, e sappiamo che solo INSIEME avremo la possibilità di segnare l'idea di un mondo diverso e possibile. Non saremo più noi a costruirlo per tutti, probabilmente, e non avremo neppure la forza di tentarci.
Ma abbiamo il dovere di crederci, per lasciare in eredità ai nostri figli almeno la speranza che un mondo migliore sia possibile, perchè RESISTE da qualche parte nei cuori e nei cervelli.



Tra gli innumerevoli difetti che ho, sono pure iscritto alla CGIL da oltre vent'anni.
E - orrore orrore:-) - ho fatto anche il delegato per una decina d'anni, ai tempi in cui esistevano ancora cose misteriose e sovversive che si chiamavano "Consigli di Fabbrica", e sono stato quadro sindacale in una organizzazione piccola ma combattiva - quella dei lavoratori dell'energia - che con decenni di anticipo affrontò temi come la previdenza integrativa ed la sincronia dei tempi di lavoro con quella della vita.

Insomma, è un'appartenenza che - lungi dall'essere acritica - ho sempre rivendicato con orgoglio, anche se - ovviamente - su diverse cose sono stato in disaccordo con le scelte (sul caso Alitalia: il non voler firmare l'accordo con Air France prima delle elezioni, ad esempio: mentre sono d'accordo con le questioni di rappresentatività e di correttezza di rapporti che hanno portato Epifani a dire no all'accordo con CAI).
Non ho mai sentito mio, nè condiviso mai, il mito dello sviluppo, anche se capisco che è figlio legittimo di chi conosce bene un mestiere e ne è orgoglioso: il lavoro come strumento di emancipazione una classe sociale, come era quella operaia, per chi possiede solo la propria testa e le proprie mani capaci, è un concetto antico di cui posso comprendere bene il significato, anche se ho la fortuna di non sentirlo come vincolo.
Ma il sindacato per me è stato, soprattutto, uno dei luoghi dove praticare realmente la democrazia ed il pragmatismo.
Trattare, nel rispetto delle regole, con una controparte che difende interessi contrastanti dai tuoi, e saper giungere ad un punto di equilibrio e di accordo che tenga conto dei valori e delle forze in campo, e le rispetti, è stato per me una scuola di vita.
Convincere gli iscritti ed i colleghi che hai fatto il meglio possibile per tutelare gli interessi collettivi, e spenderci la tua faccia e la tua credibilità, tutti i santi giorni, è un esercizio sano; devi rispondere e rappresentare bisogni collettivi in un contesto in cui contrastano con gli interessi aziendali e privati, devi confrontarti con la realtà e saperla spiegare.
Decidere dopo aver discusso a lungo, scontrandosi e confrontandosi, e poi giungere ad una sintesi, e votarla, e rispettare il volere della maggioranza, pur non rinunciando a riproporre in modi e tempi diversi le proprie diversità.
E poi confrontarsi ancora con le altre organizzazioni, fino allo sfinimento, per trovare faticosamente quel punto di sintesi che - scontentando un po' tutti - rappresenta l'unico punto di incontro possibile tra i desideri e la realtà.

Sono ancora perfettamente convinto della necessità del sindacato, e della necessità di rappresentanza di interessi collettivi: tanto più oggi, in cui "collettivo" è una parolaccia, in cui cercano di renderci soli, isolati, isolabili, vulnerabili.

Non è un caso che la CGIL, che ha cinque milioni e mezzo di iscritti (non so quanti ne abbia il PdL, per dire, e quanti di questi siano veri), sia al centro di un attacco virulento e concentrico - e non nuovo: vi ricordate la sfida sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, durante il precedente governo Berlusconi? - da parte di governo e Confindustria.
Che disegnano la CGIL come un branco di rompicoglioni contrari agli interessi del paese (la CGIL racchiude in sè sindacalisti, quindi fannulloni, e comunisti: il peggio del peggio!).
Che propongono che non si possa scioperare per sei mesi prima e un mese dopo il rinnovo dei contratti, costringendo al pagamento di una penale persino in caso di scioperi spontanei:-(-
Con CISL e UIL che guardano altrove fischiettando, un po' come facevano negli anni '50, quando alla Fiat il prode Valletta si occupava di eliminare la Fiom licenziando dalle sue fabbriche ben 2000 quadri del sindacato metalmeccanico della CGIL (cfr. "Gli anni duri alla Fiat", di Emilio Pugno e Sergio Garavini, Einuadi 1974: credo che il libro sia difficilissimo da trovare, ormai, ma la sua lettura è estremamente consigliata).

Insomma, son tempi duri.
E allora, quando la CGIL organizza per questo sabato manifestazioni in tutte le città, per la difesa dei diritti e contro la politica del governo, per questi e per tutti i motivi che ho detto sopra, IO CI SONO.

Esserci. In carne ed ossa. A muso duro./1

La rabbia e l'indignazione che crescono dentro, ogni giorno, non sono più rivolte solo ai miseri, nefasti, pericolosi figuri che hanno "legittimamente" occupato le istituzioni per farne pascoli per le proprie vacche.
No... ormai, quando sono in mezzo ad una folla, penso che due persone su tre tra quelle che vedo - se devo credere a quel che mi dicono i sondaggi, e se accetto un banale criterio statistico - stanno approvando in silenzio quel che accade, la macellazione della convivenza civile in questo paese.
(E se fosse un inganno? Se i sondaggi fossero finti, se le percentuali fossero rovesciate, se fosse un ulteriore inganno degli Unni al potere, se lo facessero apposta per farci pensare minoranza senza possibilità di riscatto e costringere anche noi all'odio verso "gli altri"?)

E le vedo lì, tranquille e beate, apparentemente senza alcuna inquietudine. Magari in una chiesa affollata, come mi è capitato domenica, concentrate sul richiamo alla fratellanza e sul valore di un sacramento come "chiamata del Signore".
O negli uffici di questa multinazionale, dove ormai la melassa che chiamiamo "relazioni umane" fa sì che lo stesso Megadirettore che considera, nei fatti, quasi tutta l'umanità come una merdaccia senza valore, dispensi poi amabilmente il "tu" anche agli ultimi della catena, e sorrisi e abbracci e motti di spirito, confondendo la visione nitida della realtà, le sue gerarchie, le scale di valori imposte.

E sempre più, ogni giorno, sento il bisogno di trasformare questa rabbia in gesti, in azioni, in fisicità, in formalismi visibili.
Di squarciare il velo dell'ipocrisia. Di ristabilire la realtà, senza fumogeni.
Di prendere le distanze da chi non stimo, da chi ha deciso di non esistere, di rinchiudersi nella sua pavidità.
Di distinguere il bene dal male, senza sofismi, senza esagerare con i distinguo.
Di dire che chi non sceglie, oggi, in realtà sceglie lo stesso, e contro di me: e per legittima difesa non posso più sorridergli, mangiare con lui, conversare come se niente fosse sul tempo o su cazzate senza importanza.
Di spostare il disagio da me a loro, di metterli in crisi, di costringerli a capire che non siamo pacificati, che è l'ora di un sano conflitto, che non sono io a dovermi vergognare di quel che sento, ma lo devono fare loro per quel che NON sentono.
"Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti".

Esserci. Rioccupare gli spazi anche fisicamente, esprimendo il proprio dissenso in modo forte, individuale. Non far più dormire sonni tranquilli e giusti a chi giusto si considera. Instaurare il tarlo del dubbio, costringere al pensiero, non dare scampo.
Esprimere giudizi. Biasimare. Recuperare gli spazi per un confronto cancellato dagli slogan, dalla approssimazione, dalla superficialità.
Che scappino, che ci rifuggano, che guardino a noi con paura e fastidio: ma che non si permettano più, mai più, di credersi dalla parte giusta.
Che siano inquieti, disturbati, scossi. Che tutto ciò che è normalmente accettato venga intelligentemente, ironicamente rimesso in discussione.
Sorridendo. Incrinando le certezze. Dimostrando che si può essere felici senza nessuna (o con pochissime) delle cagate che sono spacciate per indispensabili.
Vivendo in un modo nuovo, diverso, sconcertante. Destabilizzante.

lunedì, settembre 22, 2008

Siamo tutti uguali

Notare l'equo e proporzionato rilievo dato da questo quotidiano online (La Stampa) alla notizia del rapimento di cinque italiani e quella relativa al rapimento di 150 (CENTOCINQUANTA!) operai afgani.
Tutto normale: gli operai non contano nulla, gli afgani molto meno, figuriamoci l'incrocio tra le due tipologie...:-(
...e meno male che non erano gay, se no non ne avremmo mai saputo nulla.

(Anche sugli altri quotidiani on line italiani ovviamente le due notizie hanno rilievi ben diversi, ma qui - nello stesso box! - la cosa faceva più impressione).

Odiando s'impara (a devastare una nazione)

Capita spesso, chiacchierando con chi ancora conserva lucidità e pensieri propri, di chiedersi: “Ma come è possibile? Come può essere che tutto questo schifo – l’involuzione etica ed autoritaria del paese, la perdita di una coscienza civile, l’attacco ai fondamenti della Repubblica – sia condiviso o invisibile dai più, e che il consenso per questo governo continui a crescere?”

In questi giorni, su “Repubblica”, sono apparse alcune riflessioni utili ad approfondire questa domanda.
Questo articolo di Edmondo Berselli affronta il tema della comunicazione da parte del governo da un punto di vista interessante (scusate, abitualmente quando parlo di una istituzione uso l’iniziale maiuscola: ma in questo caso l’istituzione è occupata da chi non mi riconosce come cittadino, e dunque l’iniziale minuscola è l’unica forma di reciprocità che posso adottare).
Secondo Berselli, il governo ed i suoi ministri (la Gelmini, Brunetta, Maroni, la Carfagna in particolare) adottano un “format” comunicativo comune, che è usato assai efficacemente, ad esempio, da Brunetta:

“Nello schema del ministro della pubblica amministrazione, la popolazione nazionale si divide in due parti ben individuate: da un lato, "sessanta milioni" di italiani per bene, contrapposti a un milione di farabutti, fannulloni, lavativi, buoni a niente, sabotatori. Dal lato dei fondamenti empirici, il modello descrittivo di Brunetta è irrilevante.

Ma quanto a capacità di mobilitazione è formidabile. Il format del ministro è un perfetto produttore di consenso, perché colloca la stragrande maggioranza dei cittadini dalla parte del buon senso e della buona volontà, e consegna a una gogna ipotetica un imprecisato milione di italiani (questi sì "imbarazzanti", quindi licenziabili, punibili, penalizzabili dagli ukase ministeriali).

Sarebbe superfluo dire che il format è impreciso, e non descrive nulla della società contemporanea, se non fosse che come modello proposto in pubblico ha successo. Anzi, un successo travolgente. Da un lato rassicura, dall'altro esorcizza. Rassicura i bravi cittadini, gli impiegati onesti, l'intera platea di chi auspica efficienza e rigore nei comportamenti pubblici; esorcizza il rischio di una società contagiata dagli imbroglioni, indifferente ai dettami etici, governata dai criteri di un familismo ancora e sempre amorale.”

Rumeni, zingari, prostitute, mendicanti, sindacalisti, piloti, statali, insegnanti, e da qualche giorno i medici: ecco dove si annida il nemico, il sabotatore. Il governo è innocente, ed anzi opera con impegno per distruggere queste sacche di resistenza immorale, sgominate le quali il paese sarà libero e felice.

Ilvo Diamanti (che scrive in un modo insopportabile, con quelle orrende frasi spezzate, ma dice cose intelligenti) affronta l’argomento in questo articolo da un altro punto di vista: è la delusione che crea consenso.

“Oltre al format comunicativo del governo, c'è un'altra spiegazione. E' che ci siamo abituati, assuefatti alla delusione. Non la consideriamo uno emergenza, di cui ha colpa, anzitutto, chi manovra le leve di governo. Ma una situazione normale, per quanto sgradevole. Come la nebbia in val padana d'inverno e le zanzare d'estate. Gli italiani: non possono non dirsi delusi. A prescindere. Perché nessuno, è stato capace di sanare i bilanci, abbassare le tasse, rilanciare l'economia, ridurre la paura della criminalità. E se anche avvenisse, non ce ne accorgeremmo. D'altronde, anche se i crimini sono diminuiti, la paura è cresciuta lo stesso. E se il tasso di criminalità in Italia è tra i più bassi d'Europa, noi restiamo il paese europeo più impaurito e deluso. Il più sfiduciato. Chiunque ci governi. Berlusconi o Prodi.

Per cui, dopo aver provato, invano, a invertire la rotta con il voto, cambiando governo e maggioranza, gli italiani si sono rassegnati. Così, oggi che la delusione è penetrata dovunque: nelle case, nelle famiglie nei vicoli, nei programmi tivù, negli indici di borsa che sembrano bollettini di guerra, nelle stime dei mercati, della produzione e dei consumi: oggi che la delusione è dappertutto, gli italiani hanno smesso di considerarla un accidente. La considerano una perturbazione durevole, uno stato di necessità. Che non è il caso di imputare a qualcuno. D'altronde, chi c'era prima ha fatto di meglio? E' riuscito a darci fiducia? A renderci felici? Allora, inutile ritorcere la nostra rabbia, la nostra delusione, su chi governa oggi. Teniamocelo. Accontentiamoci. Tanto più se riesce a consolarci e a offrirci capri espiatori, a suggerirci che non è colpa nostra (né tanto meno sua).

Ma se la delusione non costituisce più uno strumento di delegittimazione del governo, né un metodo di opposizione, allora - scusate la tautologia - per fare opposizione la delusione non serve. Non solo, ma diventa dannosa. Un boomerang.

Per fare opposizione occorrerebbe, al contrario, spingere la delusione più in là. Generare speranza, non nuove illusioni. Ma la speranza è un attributo del futuro. E il futuro, per ora, è solo una speranza. Pardon: un'illusione, che in pochi si ostinano a coltivare.”


Sempre Diamanti, sulla Repubblica di oggi, affronta un tema collaterale a quelli appena citati: come si diventa “nemico pubblico” del paese, ovvero “la professione come colpa”.

“D' altra parte, due anni fa, il decreto Bersani sulle liberalizzazioni produsse (come effetto laterale e in parte imprevisto) un ampio risentimento sociale contro alcune categorie professionali "autonome". Come i tassisti. Che reagirono con proteste talora estreme. Così oggi le professioni servono perlopiù a catalogare le persone in modo spregiativo. A dividere la società, erigendo barriere di risentimento e indignazione. Professori, piloti, statali, tassisti, medici, immobiliaristi, notai, ministeriali, bancari, banchieri, assicuratori, farmacisti, bottegai. E ancora: giornalisti, giudici, magistrati e politici. Gli uni contro gli altri. E tutti insieme contro ogni singola professione.”


Odiate, dunque, sudditi ormai ex-cittadini, odiate liberamente: è il vostro governo che ve lo dice e ve lo suggerisce. Odiate il vicino, odiate senza ritegno. Senza pietà, senza tregua. Il nemico è vicino a voi, attorno a voi. Come negli anni '20.

P.S. a proposito di odio: questa mattina tutte le edicole di Torino espongono, come al solito, la locandina gialla che riprende i principali titoli di cronaca cittadina de “La Stampa”. Il titolo principale di questa mattina è “I bambini ROM che rubano tutto”. Senza parole.

venerdì, settembre 12, 2008

A noi i fascisti continuano a fare schifo, anche se sono "legittimati dal voto popolare"/2

Dichiarazioni di Silvio Berlusconi alla festa di Azione Giovani a Roma (da Repubblica.it):

Elogio di Balbo. Nei giorni in cui il revisionismo sul fascismo torna di moda, Berlusconi si lancia in uno sperticato (e applauditissimo) elogio di Italo Balbo, esuberante gerarca fascista con la passione del volo, spedito dal Duce a fare il governatore in Libia anche per moderarne l'eccessivo e irrequieto individualismo. "Italo Balbo in Libia fece cose egregie, cose buone - lo loda - e questo l'ho ricordato a Gheddafi, ma lui mi ha replicato che aveva fatto, sì, cose buone, ma soprattutto caserme e centrali operative per i colonizzatori".

Dal libro "Genocidio in Libia",di Eric Salerno, SugarCo Ed., citato in questa vecchia dichiarazione di Falco Accame, che alle pagine 117-118 riporta le parole dello storico Giorgio Rochat: "L'Aeroanautica Militare fece la sua prima apparizione in Libia e dopo una prima fase in cui i piloti scaraventavano giù bombe di modeste proporzioni che più che altro spaventavano, si passò all'uso in misura considerevole dei gas velenosi proibiti dalla convenzione di Ginevra e da tutti gli altri accordi internazionali in materia di guerra chimica. Furono bombardamenti "sperimentali", avevano due scopi: da una parte uccidere e terrorizzare la popolazione civile all'interno del paese; dall'altra fornire allo Stato Maggiore italiano elementi di valutazione con cui decidere se utilizzare i gas nella grande avventura coloniale a venire: la conquista dell'impero di Adis Abeba. I risultati conseguiti in Libia dovevano essere veramente confortanti se i militari fascisti in Etiopia decisero di far largo uso di bombe all'iprite. Interi villaggi furono distrutti, migliaia di persone uccise o menomate".

Le dichiarazioni di elogio del fascista Balbo da parte del Presidente del Consiglio sono ancora più gravi, considerato che vengono dopo le riflessioni del Presidente della Repubblica che, amaramente, rilevava che in Italia c'è ancora una grave questione aperta: la mancata accettazione dei principi della Carta Costituzionale da parte di molte componenti del Paese.

Il Presidente del Consiglio, con le sue dichiarazioni, lo conferma nel modo più osceno e sprezzante possibile.

mercoledì, settembre 10, 2008

A noi i fascisti continuano a fare schifo, anche se sono "legittimati dal voto popolare"

COMUNICATO STAMPA

L’ANPI NAZIONALE: «Continuano a sovvertire la storia per dare assalto all’antifascismo, alla democrazia e alla libertà»
SULLE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO IGNAZIO LA RUSSA RILASCIATE L’8 SETTEMBRE 2008 IN OCCASIONE DEL 65° ANNIVERSARIO DELLA DIFESA DI ROMA A PORTA S. PAOLO
In seguito alla dichiarazione del Ministro della Difesa Ignazio La Russa secondo la quale «anche i militari dell’RSI combatterono per la difesa della Patria», espressione di un revisionismo che pone sul medesimo piano storico ed etico dittatura e libertà, totalitarismo e democrazia, l’ANPI Nazionale ribadisce quella che è una verità storica inoppugnabile: in Italia c’è chi si è battuto per ridare libertà e dignità alla nazione − i partigiani, i 600.000 militari deportati nei campi di concentramento nazisti e le truppe angloamericane − e chi per riaffermare un dominio assoluto e criminale, ricorrendo anche a stragi di civili innocenti e deportazioni, cui parteciparono attivamente i militari della Repubblica di Salò già considerati dall’allora legittimo governo italiano collaborazionisti dei nazisti e quindi perseguibili penalmente. Con preoccupazione assistiamo all’ennesimo tentativo, da parte di illustri esponenti del Governo, di sovvertire la Storia d’Italia per dare assalto ai valori che l’hanno sorretta per sessant’anni: democrazia, antifascismo e libertà. E per evidenziare sempre di più l’importanza e l’urgenza della Memoria l’ANPI fa sue le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pronunciate proprio in occasione della celebrazione per il 65º anniversario della difesa di Roma a Porta S. Paolo:
«(...) ho parlato e l’ho sempre sottolineato anche nelle celebrazioni della festa del 25 aprile – a Cefalonia come a Genova − di un duplice segno della Resistenza: quello della ribellione, della volontà di riscatto, della speranza di libertà e di giustizia di tanti giovani che combatterono nelle formazioni partigiane sacrificando in non pochi la loro vita; e quello del senso del dovere, della fedeltà e della dignità che animarono la partecipazione dei militari, compresa quella dei 600mila deportati nei campi tedeschi che rifiutarono l'adesione alla Repubblica di Salò».
8 settembre 2008

E ancora, Marco Revelli sul "manifesto" di ieri.

martedì, settembre 09, 2008

Tassiamoci per una buona causa!


«Piuttosto che rimettere l'Ici o qualunque tassa in più sono disposto a bruciarmi davanti al Quirinale» (Calderoli).

Questo blog avvia ufficialmente una raccolta di firme in calce alla seguente petizione:

"Il sottoscritto si dichiara disponibile a pagare l'ICI (anche se non possiede case di proprietà), la TARSU, la TOSAP, l'IRAP e quant'altro, anche maggiorate del 50%, purchè il ministro Calderoli mantenga le sue promesse".

(La maternità della battuta è della mia amica Daniela, l'ho solo riadattata).

Scherzi a parte: su codesta questione si prepara un'altra carognata galattica.
Il problema di garantire i fondi ai comuni, che hanno i bilanci compromessi dall'abolizione dell'ICI sulla prima casa (con una media del 30% di entrate scomparse grazie a questa bella trovata elettorale) sta portando ad una soluzione molto pericolosa.
Il governo esclude, per bocca del fiammeggiante Calderoli, il ritorno di qualsiasi forma di tassazione di tipo patrimoniale come modalità di autofinanziamento dei comuni. Ovvero, di una delle poche forme residue di redistribuzione del reddito (hai una villa in collina, suppongo che tu possa dare di più rispetto a chi vive in un alloggio in periferia).
E parla di "Service Tax".
Cioè, di una tassazione legata all'uso dei servizi.
Riepilogo: l'abolizione dell'ICI restituisce più soldi a chi già ne ha molti. La tassazione sui servizi colpisce maggiormente chi i servizi li deve usare (trasporti, pre e post scuola, nidi...).
Chi ha più "bisogni", insomma.
Insomma, sto governo assomiglia sempre di meno a Robin Hood e sempre di più a Superciuk.

venerdì, settembre 05, 2008

Scandalosa Gelmini

Prima di arrivare misteriosamente dove è arrivata, come abbiamo detto nel post precedente, la ministra Gelmini era deputata alla Camera. E lì, nel febbraio 2008, presentò il testo di una proposta di legge "per la promozione e l’attuazione del merito nella società, nell’economia e nella pubblica amministrazione".
Nella proposta si leggono cose simpaticissime, a partire dall'esordio e dalla presentazione:

"ONOREVOLI COLLEGHI ! — La presente proposta di legge intende agevolare la diffusione e l’attuazione concreta nella societa` italiana del principio del merito."

Leggiamo insieme l'articolo 1, vi prego:

ART. 1.
(Definizione di merito).
1. Ai fini della presente legge, si intende per merito il conseguimento di risultati individuali o collettivi superiori a quelli mediamente conseguiti nei rispettivi ambiti di attività, tenuto conto dei compiti assegnati e delle capacita` possedute.

E' una cazzata, lo so, fumosa e velleitaria: ma qui siamo nel campo delle opinioni, e la cosa non ha importanza. Quel che importa è che la onorevole Gelmini si mette lì, nel 2008, e decide di promuovere il merito nella società italiana.

Ottimo, splendido: "meritorio", direi:-).

Bene: adesso, invece, leggete qui.

Ed eccoci scoprire che la stessa bella personcina, nel 2001, è andata a sostenere l'esame di stato per diventare avvocato a Reggio Calabria anzichè nella sua città, a Brescia.
Perchè mai? Chissà! Sappiamo soltanto che, allora, a Reggio Calabria passava agli orali il 94% dei candidati, contro il 50% della media nazionale ed il 6-10% della media al Nord.

Ecco le giustificazioni che la ministra fornisce alla giornalista della Stampa che le chiede motivo di quella curiosa scelta.

"«La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria».
I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.

Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell'Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato l'esame? «Assolutamente regolare»."


La Gelmini (dunque, e guarda caso!) passò l'esame, appena in tempo, prima che lo scandalo portasse ad una riforma dei criteri di costituzione delle commissioni, nel 2003, e riconducesse la situazione ad un minimo di decenza.

Inutile dire che, in un paese normale, un ministro di cui si scopra un simile trascorso si dimetterebbe all'istante.
Ma c'è anche da dire che, in un paese normale, probabilmente non ci sarebbe mai stata una Gelmini come ministro.

giovedì, settembre 04, 2008

'Aiutami, dai, Tremonti...cos'è che non abbiamo ancora distrutto, in questo paese? Già, la scuola elementare!...'

Antescriptum: Artemisia ha elencato in questo prezioso post i danni che il governo sta facendo al paese (alcuni irreparabili): consiglio di stamparlo, e rileggerlo diverse volte al giorno. Quanto segue va visto come una possibile integrazione di tale post.

Ma si ripara subito, oh già!
Ecco a voi, dal duo Tremonti-Gelmini, il decreto legge n.137 del 1° settembre 2008.

Che è pieno di tante cosine che sembrano graziose, che evocano anche cose antiche e piacevoli, un po' gozzaniane ed un po' deamicisiane...i voti come una volta, il maestro di Vigevano, la maestrina dalla penna rossa...la scuola solo al mattino...che bello, ci manca solo il buon Garrone...

Già, ma in realtà 'sti articoli sembra li abbia scritti Franti, e fanno alla scuola elementare italiana - una delle MlGLIORI in Europa, ad oggi - lo stesso bene che farebbe un sasso lanciato in una vetrata.

E vi spiego perchè per me questo decreto è da avversare.

Sul metodo: ne penso tutto il male possibile. Operare interventi sostanziali sulla scuola per decreto legge, senza neppure ipotizzare un confronto in Parlamento, è una modalità "autoritaria" che è nel DNA di questo governo, piace molto al popolino che non sopporta più i tempi e le procedure della democrazia, ma io personalmente continuo a ritenere inaccettabile (e penso non cambierò mai idea).

Sul merito: c'è un po' di "fuffa" (Cittadinanza e Costituzione in cosa dovrebbe differenziarsi da quanto affrontabile in "Storia ed Educazione Civica"?), un po' di restaurazione che piace anch'essa - tanto - al popolo (il ritorno al voto! che bello! il numero è chiaro, nitido, non come quei giudizi che si fa una fatica terribile a leggere ed interpretare. ..), e, secondo me, la cosa peggiore è il ritorno al maestro unico.
Spacciato, nelle interviste del Ministro, per una scelta ANCHE dal contenuto pedagogico (ove si sostiene la opportunità di tornare al "riferimento unico" per i bambini), è assolutamente evidente che lo scopo primario (e probabilmente unico) è la riduzione dei costi, partendo dal taglio di decine di migliaia di insegnanti ottenuto - da qui al 2012 - con il blocco del turnover, e con la riduzione (art.4) a sole 24 ore di insegnamento settimanale.
Una scuola con meno insegnanti, meno specializzati e con meno ore di lezione per i bambini, è sicuramente una scuola destinata a diventare peggiore: non vedo come potrebbe essere altrimenti, anche se in questo paese ultimamente ci sforziamo oltre ogni logica per credere alle favole.
Il tempo pieno lascerà presumibilmente il posto ad un doposcuola "assistenziale" , svuotato di contenuti: un caro, vecchio parcheggio di bambini.
E' dunque una proposta, a mio avviso, fortemente ideologica e autoritaria: prima ancora di rigettarla, sarebbe opportuno creare un fortissimo movimento (docenti/genitori) che costringa perlomeno il governo a confrontarla con "il resto del paese", anzichè imporla a colpi di decreto: la scuola pubblica appartiene alla storia ed ai cittadini di questo paese, non è cosa privata di chi "legittimamente" governa e usa la legittimità per devastare la legalità, come dice Gustavo Zagrebelsky.


Non dimentichiamo che resta, sullo sfondo a mo' di spada di Damocle, il disegno di legge della deputata Gelmini (presentato quando non era ancora assurta sorprendentemente al trono di Viale Trastevere) che intende proseguire il percorso di privatizzazione delle scuole trasformandole in fondazioni, con la mutazione genetica dei consigli di circolo e di istituto in consigli di amministrazione, con conseguente riduzione ai minimi termini della presenza di genitori e studenti (un po' ce la meritiamo, visto l'uso deprimente che abbiamo fatto degli strumenti di partecipazione conquistati qualche generazione fa ed elegantemente ignorati dalla grandissima maggioranza dei genitori "moderni").


L'idea è davvero brillante: le scuole devono diventare soggetti interamente privati (incontrollabili, liberi dall'orribile "morsa centralista") con i soldi pubblici. E' il nuovo capitalismo codardo che avanza, il liberismo ipocrita: come per la vicenda Alitalia, "Stato" e "pubblico" sono sinonimi di condivisione collettiva delle perdite e dei costi, ma al contempo il potere decisionale si restringe e si concentra sempre più nelle mani di pochi, intoccabili soggetti sordi ad ogni richiamo ed ogni regola che non si concili con gli interessi di casta.

mercoledì, settembre 03, 2008

Considerazioni dopo un viaggio in Europa

Due parole sulle vacanze...
Ho trascorso una quindicina di giorni in Austria con il camper e le biciclette, pedalando senza fretta attorno ai laghi del Salisburghese e lungo la pista ciclabile sul Danubio fino a Bratislava.

Che sensazione strana, stare in una Europa che sa essere ricca senza essere arrogante, che sa di essere privilegiata senza per questo farsi cogliere dalla paura dell'altro...
Stare in una Europa dove quel che è di tutti viene tutelato, invece che violato imbrattato stuprato distrutto, fosse pure un cartello stradale, dove puoi guardare nelle case e nei giardini senza che lo sguardo venga fermato da recinzioni, telecamere, cani feroci, dove ogni paesino ha strutture meravigliose per far giocare i bambini, e servizi per i viandanti (wc, acqua, panchine) che ti spingono a fermarti, sorridere, curiosare, dove sei sicuro che TUTTI si fermano per farti passare sulle strisce (e se tu esiti a passare perchè non ti fidi, qualcuno ironizza: "italiano, eh?", facendoti arrossire di vergogna).
Dove dormi dove ti pare, con la tenda e la bici, senza che nessuno venga a dirti che te la sei cercata se ti derubano e ti stuprano.
Un'Europa dove "il mercato" fa sì che se crolla il prezzo del petrolio del 30% in un mese, cali anche il prezzo dei carburanti. Dove il latte fresco in fattoria costa 40 centesimi il litro, dove tutto è più o meno normale, non esasperato, non febbrile o isterico: o almeno l'isteria è sotto controllo, non è il sentimento principale che si respira nell'aria.

Dal 2002, quando ci siamo finalmente potuti permettere l'acquisto del primo vecchio camper scassato per riprendere le vacanze itineranti che facevamo in tenda prima del lungo stop per metter su casa, abbiamo girato l'Europa facendo più o meno sessantamila chilometri: Bulgaria, Grecia, Romania, Ungheria, Croazia, Francia, Germania, Austria, Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia, Repubblica Ceca, Gran Bretagna...
Non solo le capitali, ma soprattutto i centri minori, raggiunti con le strade secondarie, spesso persino troppo:-), dando al viaggio la stessa importanza e la stessa attenzione dei piccoli "obiettivi" e delle cose "assolutamente da vedere".

(Nota divertente: quando a Plovdiv, seconda città della Bulgaria, ci fermammo - involontariamente - vicino ad un quartiere di zingari stanziali, fummo da questi riconosciuti e quasi festeggiati come "parenti ricchi":-)))

Beh, in tutta questa strada, in tutte queste esperienze, in tutti i maldestri tentativi di comunicazione in uno stentato inglese o a gesti con la gente normale, noi ci siamo sempre sentiti tranquilli, accettati, riconosciuti come persone, invitati in casa con cordialità da perfetti sconosciuti, e gli episodi "critici" sono stati pochissimi, mai drammatici.

Questo per dire che il clima orribile che si respira qui è peculiare e caratteristico di un paese che ha perso completamente il senso di sè, e sempre più spesso rivelare di essere italiani all'estero è imbarazzante (e meno male che siamo andati in Romania molto prima delle sparate xenofobe governative), e ti fa guadagnare - se va bene - un sorriso di compassione...

Ritorno quindi più depresso e disgustato che mai, avvilito dal permanente trionfo della menzogna (su Alitalia, sulla crisi tra Georgia e Russia...su tutto), ma convinto che si debba ripartire a ricostruire, a rifondare, a ricreare un paese civile (perchè persino "democratico", nello stato attuale, sembra un termine utopistico) partendo dalle relazioni tra le persone per bene, che non possono più abdicare al proprio ruolo e devono affrontare il male, guardarlo negli occhi, giudicare, prendere posizione, rischiare, litigare, incazzarsi.

Fatico a trovare le parole, temo di cadere nell'invettiva, nel rancore malmostoso, nel "vada tutto a ramengo", ma mi sforzo, combatto, resisto, evito di scrivere post sfiduciati e incazzati: cerco una via oltre l'indignazione, una mia personale via per avviare la ricostruzione.

Non sono solo, e questa è un'immensa consolazione: non siamo soli, perbacco.

Ci sono le persone che amiamo, ci sono gli amici in rete (e con Angela inizia la costruzione di un evento che tra un paio di mesi potrà anche consentirci di toccarsi, abbracciarsi, sorridersi e guardarsi negli occhi).
C'è tanto di buono, di giusto, di vero, di semplice, che va riscoperto, valorizzato, curato, accudito, affinchè diventi forte e rigoglioso, affinchè la lotta contro il male abbia anche solo una speranza di essere combattuta.

Se perdiamo la speranza, ci hanno già vinti, ci hanno già battuti.
Un mondo migliore non solo è possibile, ma è obbligatorio. Ed oggi, in questo paese, senza fari e senza leader, dobbiamo sognarcelo da noi, insieme, e condividere il sogno con altri, e crederci, e inseguirlo.
Mica ci sono alternative.

martedì, settembre 02, 2008

Si riapre...

Difficile ripartire e dire cose sensate, dopo tutto questo tempo: dipanare e rendere comprensibili le singole emozioni di questo periodo, numerose, intense, aggrovigliate e incastrate insieme, è faticoso.
Ma da qualche parte occorre iniziare: per non perdere la capacità di analisi, di introspezione, di comprensione.
La fatica di capirsi e raccontarsi è un dovere morale, per non affondare nella palude delle parole senza senso e non perdersi nel rumore del chiacchiericcio fine a se stesso.

Partiamo dunque dalla fine, e da una cosa semplice semplice: una gita in montagna. Poi, il resto verrà...spero:-)
Sabato scorso, nelle Valli di Lanzo: a due passi da Torino, la montagna vera e aspra con vette che stanno poco sotto i quattromila; la culla dell'alpinismo torinese e delle sue "guide" storiche.
In fondo ad una della tre valli, quella di Ala (in cui scorre la Stura che a Torino si tuffa nel Po), esiste un lungo pianoro, caro ai torinesi, che si chiama Pian della Mussa, che si distende per tre chilometri attorno a quota 1700-1800.
Da qui, luogo di fresche e chiare sorgenti, giunge, storicamente, l’acqua migliore che bevono i torinesi: qui, da sempre, si viene in tenda a pernottare, accendere fuochi (il rischio è minimo, parola di ex guardia ecologica) e fare il barbecue sulle rive della Stura nascente, teatro di antichi riti iniziatici di quella genie - strana e quasi perduta in Italia - che sono i campeggiatori.
Da qui, inoltre, si dipartono innumerevoli sentieri ed escursioni, alla portata di ogni gamba e di ogni polmone.
Una delle più classiche e brevi è al Rifugio Gastaldi, a 2679 m: circa 800 metri di dislivello che si percorrono normalmente in due ore e mezza.
Da qui, un’escursione semplice e tranquilla porta al Lago della Rossa, a quota 2759: un grande lago naturale la cui estensione è stata raddoppiata negli anni 50 da una diga dell’Enel. Calando di quota, e risalendo poi per il Passo delle Mangioire (2780), si ridiscende finalmente (e brutalmente, per ben 1000 metri) al Pian della Mussa.
Questo giro “circolare”, che un escursionista normale compie in circa sei ore e mezza, a noi famiglia di viandanti e nomadi - poco allenati ed assai inclini alla distrazione ed al cazzeggio - ne ha richieste quasi dieci, con il consumo di quasi tutte le energie disponibili.
Ma ovviamente le visioni accumulate in quota ripagano ampiamente dello sforzo compiuto: i dolori passeranno, i ricordi mai.
Vallate immense, cinte a perdita d'occhio da montagne aguzze. Nessuna traccia dell'uomo: ed è bello sentirsi così piccoli, così indifesi di fronte ad una natura così possente, ed al contempo stupefatti, incantati, emozionati. Laghi di un blu cobalto, su cui si allungano lingue residue di ghiacciai).
Marmotte grasse e grosse come cinghiali, che ci guardano curiose e stupite dalle rocce. Nevai residui, sporchi ed un po' tristi, vaghi ricordi di quando queste valli erano ricoperte di candore per 11 mesi l'anno...
Canaloni arditi, pericolosi, aspri.
Quassù le differenze (di razza, di classe, di età, di censo) si annullano: i pochi viandanti si incontrano e si riconoscono, e con tre-quattro ore di cammino alle spalle si dicono contenti: "bene, siamo già a metà!"...più si sale e più la concentrazione di imbecillismo fatuo ed arrogante diventa rarefatta per poi scomparire definitivamente, a meno che non ce la porti un elicottero...il sacrificio, la fatica, la (relativa) sofferenza sono nemici mortali dell'inconsistente.

La fatica è immensa, ma non c'è altro da fare che andare avanti, con i propri piedi e con le proprie forze: non si può far altro che uscirne, scendere, spararsi questi mille metri di dislivello lungo sentieri e canaloni che fanno gridare e scricchiolare tutte le giunture. Non serve nessun'altra tecnologia al di fuori dei propri scarponi:-), non serve nient'altro che la propria testa ed i propri piedi.
Una metafora della vita: si fatica, si suda, si soffre per raggiungere un panorama straordinario, meraviglioso e si fatica anche per abbandonarlo e tornare alla normalità:-)

E arrivare finalmente a valle (mille metri di discesa ripida e senza tregua, tre ore immersi nelle nuvole, dopo sette ore di sole delizioso), un quarto d'ora prima che faccia buio, rende felici quasi come essere arrivati in cima...
Dopo, tutto sembra più facile. Più semplice. Più comprensibile. Mettere impegno e fatica per raggiungere una meta, e poi riposare, rifocillarsi, godersi il giusto riposo. Per poi ripartire, appena ci saranno le condizioni: appena ci sarà tempo, e si sarà di nuovo in forma, e sarà smaltita la stanchezza.
Il giorno dopo le nuvole coprono tutte le vette, e pensiamo che sarebbe stato impossibile andar su: troppo freddo e nulla da vedere, e sentiamo di aver avuto fortuna, per aver potuto – al momento giusto - far qualcosa che ci ha messo alla prova, e ce l'abbiamo fatta a superarlo con le nostre forze, ancora una volta.

E come ci si sente bene, poffarre, dopo una cosa del genere.