mercoledì, luglio 28, 2010

E se il rigore facesse bene alla blogosfera?

Oggi, manifestazione dei "blogger" contro il "bavaglio alla rete".
Leggo questa intervista su Repubblica, che riporto qui di seguito, ed alla fine...mica mi convince!

Ma leggiamola insieme, poi ne parliamo.

ROMA - In piazza per 24 ore. Una protesta non stop contro il Bavaglio alla Rete. Si parte mercoledì. Appuntamento a mezzanotte in Piazza Montecitorio, a Roma. Una "veglia" animata dal "Comitato per la libertà e il diritto all'informazione e alla conoscenza", il 'cartello' che riunisce le forze protagoniste della manifestazione del primo luglio contro il ddl intercettazioni. Obiettivo: arrivare alla modifica del comma 29 del decreto Alfano, la disposizione che prevede per i blog l'obbligo di rettifica entro 48 ore.
Tra le proposte per correggere la norma c'è quella della "rettifica fai da te", un modo per consentire agli utenti di un blog di intervenire su ciò che viene pubblicato. E per fornire ai blogger la possibilità di eludere l'obbligo di rettifica entro 48 ore previsto dal Ddl. Ne parliamo con Fabio Chiusi, blogger, doppia laurea in Italia e master alla London School of Economics, tra i primi firmatari dell'appello contro il bavaglio alla Rete.

E' una "normativa sbagliata - dice - che non tiene conto delle differenze tra giornalismo professionale e produzione amatoriale delle notizie. E che non garantisce allo stesso modo i blogger e i giornalisti".

Chiusi, non ritiene giusto chiedere ai blogger di garantire un'informazione corretta?
"Credo che da un lato sia impossibile fornire una 'garanzia di correttezza' in Rete e dall'altro che quella garanzia non serva a nulla. In Rete vale il motto 'content is king': chi scrive cose vere viene premiato dai lettori. Chi diffonde notizie false o diffamatorie è punito in termini di visibilità. E se necessario, dalla legge".

Cosa comporta per un blogger far fronte all'obbligo di rettifica?
"Il punto è che il codice deontologico di un blog sono i suoi lettori. Saranno loro a mettere in evidenza un eventuale errore. E a chiedere, tramite i commenti, una rettifica. Succede di sbagliare, ma con un po' di onestà intellettuale tutto si aggiusta. Quando questa viene a mancare, non c'è legge che tenga".

Ipotizziamo: la legge bavaglio passa. I blogger eluderanno la normativa?
"Si pensa a un 'widget', un'applicazione che permetta agli utenti stessi di comporre la rettifica e pubblicarla sul blog. Ne ha parlato l'avvocato Guido Scorza, uno dei maggiori esperti, in Italia, di diritto sulla Rete. Poi si potrebbe pensare a server localizzati all'estero. Ma su questo il dibattito è aperto, e non tutti sono disposti a giurare che basti per evitare di ricadere sotto l'ombrello del decreto Alfano".

Il 29 luglio sarete a Montecitorio. Cosa chiedete alla maggioranza e cosa vi aspettate dall'opposizione?
"La libertà di espressione sul web non va ridotta a una campagna dell'opposizione. Detto questo, la direzione del governo è sbagliata. L'accesso alla Rete è un diritto fondamentale. E assicurarlo dovrebbe essere preoccupazione del legislatore. Del resto sono le posizioni di Fini: non capisco perché la sua maggioranza faccia di tutto per smentirle".

Mumble mumble.
Parliamo solo di questo comma specifico, il 28.
Io, alla fine, non vedo cosa ci sia di male, nell'applicare alla informazione su rete le stesse regole che si applicano fuori.
Ovvero: perchè mai uno che dice cose in pubblico dovrebbe essere autorizzato ad essere "meno responsabile di quello che dice" se lo fa sul web piuttosto che sulla carta stampata?
Ovvero: perchè il web dovrebbe essere uno spazio "più aperto" o "meno regolato" del resto dell'universo della comunicazione? In base a quale concetto?
Chiusi dice: "E' una normativa sbagliata che non tiene conto delle differenze tra giornalismo professionale e produzione amatoriale delle notizie. E che non garantisce allo stesso modo i blogger e i giornalisti".
Dunque, ammette e delinea una netta differenza tra "giornalismo professionale" e "produzione amatoriale delle notizie " (bleah...).
E la domanda è: cosa ce ne facciamo, realmente, della seconda?
Davvero abbiamo bisogno di una "produzione amatoriale delle notizie"?
La maggior parte dei blogger (incluso me) esprime opinioni su notizie rese note altrove: non crea notizie, semplicemente le usa.
Quindi, non dovrebbe essere minimamente toccato da questa norma. A meno che le sue opinioni non diventino rilevanti da un punto di vista penale: beh, in questo caso mi sembra sacrosanto che uno, prima di scrivere, PENSI a quello che sta scrivendo. E se ne assuma le responsabilità.
Se BloggerA scrive un post in cui afferma che "Tizio è un ladro" e poi se ne va in ferie per una settimana, non mettendosi nelle condizioni di rettificare se Tizio reclama la difesa della propria onorabilità, permettete che questo sia un problema di BloggerA e non di Tizio?
E che sia giusto che BloggerA paghi per la stupidaggine che ha scritto, se la cosa non è vera?

Ci sono blog (ne gestisco uno anch'io) che in qualche modo, in effetti, generano una "produzione amatoriale delle notizie". Blog di liste civiche, di associazioni, che possono "recepire" sul territorio notizie che non sono state pubblicate sui giornali. E, in completa autonomia (lo faccio anch'io, a volte), possono decidere di pubblicare autonomamente queste "notizie" sulla rete.
Beh, permettete che anche in questo caso chi lo fa corra almeno gli stessi rischi che corre un giornalista quando pubblica su carta?
Se il blogger in questione non è un giornalista, questo non lo autorizza a pubblicare "parole in libertà": può segnalare il fatto ad un giornalista vero, che si preoccuperà di verificare le fonti, di accertare l'accertabile, ed infine pubblicare - sotto la sua personale responsabilità e con la sua firma esplicita - quanto sia pubblicabile.
Se il blogger decide di fare il giornalista, beh, se ne assuma anche gli oneri ed i rischi.
Troppo comodo, per un "luposelvatico" qualsiasi, mettersi a pubblicare "notizie amatoriali inedite", neppure firmate con nome e cognome, e poi invocare la "zona franca" del web per non pagare il dazio in caso di violazione delle leggi.
Ancora Chiusi: "Il punto è che il codice deontologico di un blog sono i suoi lettori. Saranno loro a mettere in evidenza un eventuale errore. E a chiedere, tramite i commenti, una rettifica. Succede di sbagliare, ma con un po' di onestà intellettuale tutto si aggiusta. Quando questa viene a mancare, non c'è legge che tenga".
Mamma mia, ma vi rendete conto di quel che dice? Un autentico trionfo dell'irresponsabilità: non si può affrontare un argomento cosi' serio come l'informazione con una simile approssimazione ed un simile pressapochismo.
"Tutto s'aggiusta". Ma siamo matti?
La verità dei fatti, in questa dichiarazione, sembra una variabile dipendente dal "successo" della notizia presso i lettori. Ovvero, la stessa cosa che rende insopportabile il TG1 di Minzolini.


"Succede di sbagliare". Embè, succede anche di pagare. Passi col rosso, e paghi la multa: dici una minchiata che arriva a decine, centinaia di persone, e paghi la multa. Where is the problem? La prossima volta ci stai più attento, come con il semaforo.

"Ofelè, fa 'l tò meste", si dice a Milano.
"Siamo giornalisti o blogger?" direbbe Totò.

La libertà di accesso alla rete, la libertà di espressione non devono significare libertà di minchiata.
Le minchiate non arricchiscono la democrazia, la inquinano, le rendono torbida, nascondono le cose importanti dietro la nebbia delle cose inutili.

Chi ha i numeri per fare il giornalista lo faccia, e dia "notizie".
Noialtri blogger, continuiamo tranquillamente ad esprimere "opinioni" senza adombrare il martirio: nessuno ci perseguiterà per una attività così inutile ed innocua.

lunedì, luglio 26, 2010

Sessantacinquemila passi

Alcune foto relative alle camminate degli ultimi otto giorni...tra il GranPa ed il Bosc Grand...Il cielo sopra Gimillan (Val di Cogne, 2000 m circa)

Gli stambecchi del Lauson (Valnontey, 2680 m)


La "Ro Verda", cerrosughera di oltre 200 anni, simbolo del "Bosc Grand"...


Nel Bosc Grand...


Panorama dal crinale del Bosc Grand: quasi invisibili (ma fidatevi), a sinistra l'inconfondibile triangolo del Monviso, a destra Superga...

Panorama da Gimillan (Val di Cogne, 1750 m)

I laghetti sul colle del Lauson (Valnontey, 2680 m)

Panorama dal Colle del Lauson (Valnontey, 2680 m)

Casalborgone

venerdì, luglio 16, 2010

Il male della banalità

Alfano, sulla P3:
"Non bisogna fare di ogni erba un fascio, e non bisogna fare la caccia alle streghe".
Si. E le stagioni non sono più quelle di una volta.

Cota, sulla sentenza del TAR Piemonte:
"Qualcuno voleva che io non vincessi".
Si. Circa metà dei piemontesi: niente di cui preoccuparsi, Robbè.

E i giornalisti li ascoltano.
E i cameramen li riprendono.
E le televisioni li mandano in onda.
E il popolo ascolta. Mio Dio.

mercoledì, luglio 14, 2010

Comando e controllo: la doppia tragedia dell'Aquila (e di una Italia apparentemente perduta)


Finalmente ho avuto l'occasione di vedere il film-documentario "Comando e controllo", di cui parlò Anna nel suo blog ai tempi della proiezione del 25 aprile a L'Aquila.
E' stato proiettato a Cascina Caccia, un bene sottratto alla 'ndrangheta ed affidato a Libera, a San Sebastiano Po in provincia di Torino, nell'ambito della rassegna "Libero Cinema in Libera Terra" che ha avuto inizio ieri.
Il film è alla fine della sua lunga tourneè di presentazione in Italia (ha avuto una anteprima a New York): se potete, andate a vederlo. Sennò, contattate chi viene indicato sul sito per organizzare una proiezione: è importante, è utile, è doveroso.

Alberto Puliafito è un regista torinese che, nei primi tempi del post terremoto aquilano, si accontentava, come tutti, della narrazione miracolosa degli eventi che i media propinavano quotidianamente, elegiando i miracoli del Satrapo e di San Bertolaso.
Giunto a Roma per raccogliere informazioni sul G8, sul quale intendeva realizzare un documentario, si imbattè per la prima volta negli aquilani "non sedati" che già manifestavano tra il disinteresse e l'antipatia generale ("ma che vogliono questi, dopo che hanno avuto tutto?"): tra di loro, un avvocato dichiaratamente berlusconiano che lo accusò (in quanto "giornalista") di non diffondere la verità su quel che realmente stava accadendo a L'Aquila.
Alberto decise a quel punto che avrebbe dovuto "andare a vedere": andò dunque a L'Aquila, per documentare quel che accadeva. Ed i giorni divennero settimane, e le settimane mesi: otto lunghi mesi di osservazione, ragionamento, ascolto, che hanno prodotto il film.
Film che, rispetto a quanto si è sempre letto sul blog di Anna (tra l'altro intervistata e presente nello stesso film), non presenta nulla che non si sapesse già: ma, rimessi in fila in capitoli - all'inizio di ognuno dei quali una sorta di "rap" dei vocaboli simbolo dà il senso dello sconvolgimento della narrazione rispetto alla realtà-, i pezzi compongono un puzzle che è organico, credibile, ed in quanto tale angosciante:
  • nonostante la situazione di grande pericolosità presente in Abruzzo a causa di scosse sensibili ed importanti registrate dall'inizio del 2009, le istituzioni competenti non hanno pensato a predisporre piani di emergenza e di evacuazione della città e del territorio per un evento "possibile": tant'è che dopo il terremoto di inizio aprile i primi interventi sono stati contrassegnato dal caos e dall'incertezza;
  • L'Aquila post-terremoto è stato il laboratorio in cui si sono applicati scientificamente i criteri della cosiddetta "Shock economy", termine coniato da Naomi Klein che potremmo volgarmente tradurre con "come farsi un sacco di soldi con le tragedie altrui, naturali o provocate artificialmente";
  • il piano di costruzione delle new-town era un progetto già pronto indipendentemente dall'evento, e che probabilmente sarebbe stato adattato a qualsiasi altra catastrofe nazionale, si trattasse di un'alluvione in Pianura Padana o un incendio di una fabbrica chimica alla periferia di Firenze;
  • per fare il massimo dei soldi con il massimo della tranquillità, è necessario che siano eliminate tutte le possibilità di dissenso, quindi è opportuno che il territorio in questione sia militarizzato e si attui di fatto una sospensione dei diritti democratici: è quel che ha fatto la Protezione Civile a l'Aquila, diventando un organo di governo indipendente e incontrollato - con capacità di deliberazione in deroga che è stata usata in modo abnorme - ed applicando il "Metodo Augustus", che ha guidato il disegno dei piani di emergenza con modalità militari (sicuramente adatte all'emergenza, sicuramente pericolose da un punto di vista dell'autodeterminazione delle popolazioni nel momento in cui "lo stato di emergenza" viene artificialmente prolungato ed ampliato nel tempo);
  • nel film, le interviste a Zamberletti chiariscono cosa deve essere la Protezione Civile, e cosa era effettivamente diventata dopo il terremoto in Irpinia negli anni '80: un organo dello Stato che coordina le forze in una condizione di emergenza, e poi si "ritrae" non appena l'emergenza è finita, restituendo ai corretti attori istituzionali il proprio ruolo; all'Aquila, non è accaduto così, e la Protezione Civile ha gestito in emergenza, escludendo del tutto le istituzioni locali, anche la fase della ricostruzione.

Emerge dunque, dietro a questa vicenda ed oltre la cortina fumogena della propaganda mediatica, un "sistema" pronto ad approfittare della catastrofe (evidentemente di QUALUNQUE catastrofe, che offre le possibilità di guadagno di qualsiasi grande evento) e pronto ad imporre una sospensione della democrazia affinchè il profitto sia massimizzato: e non si capisce quale delle due cose sia più preoccupante.

Grazie ad Alberto per questa fatica che gli ha "cambiato la vita": perchè ci ha dato una idea chiarissima, incontrovertibile di come il potere stia cambiando le nostre.

giovedì, luglio 08, 2010

Vittime e stupidi: chi lotta e paga, e chi mistifica

Da La stampa.it:
"...ieri l’assessore regionale all’Ambiente, Roberto Ravello, ha sottolineato di non «aver timori per il fatto che la nostra regione possa aprirsi al nucleare». Di più ha definito «stupida» e «limitata» la posizione di chi contesta questa scelta perché è «inaccettabile che il Piemonte possa solo subire i rischi delle attività delle centrali francesi e svizzeri e non i benefici derivanti dalla costruzione di impianti di ultima generazione con le più ampie garanzie di tutela per il territorio e la popolazione»."

Da Il Manifesto:
  • RICORDO DI LUISA MINAZZI da Circolo Verdeblu di Legambiente
    Ricordo di Luisa Minazzi, morta, troppo presto, a causa di un terribile mesotelioma e per colpa dell’Eternit (Casale Monferrato, 6 luglio 2010).
    Luisa Minazzi è mancata ai suoi cari e ai tanti amici.
    E’ stata uccisa dal mesotelioma provocato dall’amianto che, come è stato riconosciuto proprio in questi giorni nel processo che si celebra a Torino, l’Eternit ha fatto respirare agli operai e ai cittadini di Casale nonostante la consapevolezza che fosse altamente nocivo.
    E’ stata uccisa come altre centinaia di persone (operai e no) che hanno avuto a che fare con l’aria di questa città negli anni in cui l’Eternit produceva i manufatti in cemento-amianto (tetti, tubi, …) e svendeva gli scarti di produzione (come il “polverino”) con cui i casalesi sistemavano cortili e sottotetti con poca spesa.
    Luisa, l’Eternit l’ha sempre combattuto. E’ stata tra i fondatori del circolo di Legambiente di Casale Monferrato, di cui è stata per un lungo periodo una dei responsabili. La sua sensibilità per le questioni ambientali è sempre stata elevatissima. Il suo impegno, la sua capacità, le sue conoscenze sono state sempre messe al servizio delle battaglie “civili”, per una vera civiltà anche nei rapporti umani, che in questi anni si sono dovute affrontare.
    Ne ricordiamo solo alcune che hanno visto Luisa come protagonista: la lotta contro il nucleare, per il risparmio energetico e per le energie alternative, la lotta contro gli inquinatori dell’acquedotto casalese nel 1986 che ha portato alla costituzione dell’associazione “Casalesi contri gli inquinatori” di cui Luisa fu presidente; la lotta per introdurre la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e per sensibilizzare la popolazione con le campagne di “Puliamo il Mondo” ; la partecipazione ad un’altra campagna nazionale di Legambiente, “Mal’aria”, che permise di avviare una forte battaglia per la sostituzione dei tetti in amianto dei palazzi di Casale e soprattutto dei luoghi pubblici.
    L’impegno di Luisa non poteva essere solo patrimonio di un’associazione come Legambiente. Per questo fu convinta ad accettare l’impegnativo compito di assessore all’ambiente del comune di Casale tra il 1990 e il 1995, ruolo nel quale si fece stimare per la serietà e la decisione sia dai suoi collaboratori che dalla cittadinanza. Va ricordata una pubblicazione, che da assessore, Luisa fece distribuire a tutte le famiglie casalesi: riguardava proprio l’amianto, i rischi e le proposte di soluzione.
    In un congresso di Legambiente svoltosi poco prima che scoprisse di essersi ammalata di mesotelioma (poco più di quattro anni fa) ci ponemmo l’obiettivo di lavorare per una città che pur ancora con le ferite aperte provocate dal dramma dell’Eternit, fosse in grado di riprogettarsi, di ricostruire una visione di sé innovativa, sostenibile, in grado di garantire un futuro migliore alle nuove generazioni.
    A questo progetto Luisa credeva molto, anche per il suo ruolo di insegnante prima e di dirigente scolastico, poi.
    A questo progetto ognuno di noi si deve sentire più che mai legato, anche se Luisa non c’è più.
    Glielo dobbiamo… per ricompensarla almeno in parte di una sorte crudele che proprio sul suo fragile corpo si è accanita. Lei che si è battuta con tutte le sue forze a favore di un ambiente più sano è stata stroncata dalla malattia simbolo della mal'aria casalese.
    Gli amici e le amiche del Circolo Verdeblu di Legambiente - Casale Monferrato


lunedì, luglio 05, 2010

Eroi ed enigmi

In tempi in cui diventano ingiustamente famosi e potenti pericolosi lestofanti, ed in cui la fama viene riconosciuta ad una discreta quantità di uomini mediocri...in tempi in cui Saviano viene considerato un rompiballe e uno stalliere mafioso viene nuovamente accreditato del titolo di eroe (si, "l'eroe dei due immondi", come lo definì una meravigliosa battuta di Spinoza...)...
beh, per tirarci su il morale (o forse no...) mi vien voglia di raccontarvi la storia di alcuni uomini speciali (che operarono in gruppi speciali composti da altri uomini speciali, di cui purtroppo non è facile recuperare la memoria).
La storia di molti di loro l'ho tratta da questo splendido libro qui, "Codice e Segreti" di Simon Singh, a cui devo l'intero materiale che ho sintetizzato nei paragrafi successivi, ma la trovate anche su Wikipedia.

PROLOGO.
Partiamo dal 1918, perchè è l'anno in cui l'inventore tedesco Arthur Scherbius brevetta una "macchina cifrante a rotori": la macchina ha lo scopo di "crittografare" testi, per nasconderne il contenuto a chiunque non possieda la chiave utilizzata per crittografarli, basandosi sul concetto di cifratura polialfabetica (ogni lettera del testo in chiaro viene sostituita da una lettera che non è mai la stessa, ed utilizzando una chiave di cifratura sufficientemente lunga le combinazioni possibili sono miliardi...tutto questo è spiegato benissimo del libro).
Di fatto la macchina di Scherbius mette insieme il sistema di cifratura inventato da Vigenere nel XVI secolo ed il disco cifrante inventato dall'italiano Leon Battista Alberti nel XV secolo, ovviamente adeguandoli alle possibilità offerte dall'automazione, e crea un sistema crittografico potente, sofisticato ed inizialmente "inviolabile".
La macchina, a vederla, è semplice: una sorta di macchina da scrivere, in cui oltre alla tastiera è associato un visore. Impostata la chiave di cifratura operando sui rotori e sul pannello, si scrive sulla tastiera ogni lettera del messaggio che si vuole crittografare, e la macchina restituirà sul visore la corrispondente lettera crittografata: preso nota del messaggio risultante, esso verrà inviato - senza porsi problemi di intercettazione - al destinatario. Ovviamente costui deve conoscere la chiave con cui il messaggio è stato cifrato, e disporre a sua volta di una macchina identica: riprodotte le impostazioni della cifratura sulla macchina, gli sarà sufficiente digitare alla tastiera ogni lettera del messaggio crittografato per riavere in chiaro sul visore le lettere del messaggio "comprensibile".

L'invenzione, che verrà chiamata "Enigma", è dunque uno dei più temibili sistemi crittografici mai realizzati: tenete presente che nella versione iniziale (con tre rotori, 6 posizioni possibili degli stessi nella macchina, e un pannello a prese multiple), essa permetteva un numero di chiavi di cifratura possibile pari a circa 10 milioni di miliardi.
In pratica, intercettare un messaggio scritto con Enigma senza conoscere la chiave di cifratura utilizzata dal mittente, ANCHE conoscendo nel dettaglio il meccanismo di cifratura utilizzato dalla macchina, significa dover "tentare" di applicare l'algoritmo di decodifica trovando la chiave giusta tra 10 milioni di miliardi di chiavi diverse: cosa de facto impossibile all'epoca in cui la macchina apparve.

All'inizio, la macchina di Scherbius (offerta in due versioni, "civile" e "militare") non ebbe alcuna fortuna commerciale (così come capitò ad altri tre inventori che, in Olanda, Svezia e Stati Uniti, avevano creato negli anni Venti del secolo scorso macchine simili: tutte le iniziative furono disastri commerciali).

La fortuna di Scherbius nacque da una rivelazione di Churchill, che nel 1923 raccontò come - dai tempi della prima guerra mondiale - i crittoanalisti britannici leggessero regolarmente e senza problemi i dispacci riservati della Germania (istruttiva al riguardo la vicenda del telegramma di Zimmerman, Ministro degli Esteri dell'Impero Tedesco: il messaggio cifrato, inviato nel 1917 alle ambasciate tedesche di Washington e Città del Messico per spingere il Messico ad entrare in guerra con gli Stati Uniti, ed impedire che gli stessi intervenissero nella Prima Guerra Mondiale, fu intercettato e decrittografato dagli inglesi; reso pubblico, portò all'entrata in guerra degli Stati Uniti nell'aprile 1917. La sconfitta della Germania segnò anche la fine dell'Impero e la proclamazione della Repubblica).

Dopo queste rivelazioni, i vertici militari tedeschi decisero di correre ai ripari, e stabilirono che Enigma era la soluzione migliore al "disastro crittografico" in cui si trovavano. Così, dal 1925, Scherbius inizio la produzione in grande scala di "Enigma versione militare": nei due decenni successivi, le forze armate del Reich ne acquistarono 30.000.

Scherbius non potè assistere all'incredibile ruolo che la sua macchina assunse nel corso del secondo conflitto mondiale: morì nel 1929, in un incidente con il calesse.

FAR BRECCIA IN ENIGMA.

Dunque, a partire dal 1926, i servizi britannici iniziarono ad intercettare messaggi tedeschi di cui (dopo un decennio) non riuscivano a venire a capo: Enigma aveva iniziato ad operare.
Dopo qualche mese, in cui ci provarono anche americani e francesi, si rassegnarono a considerare il sistema crittografico tedesco come inviolabile: i tedeschi, peraltro, non facevano paura a quell'epoca alle grandi nazioni europee, in quanto nazione ancora depressa dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale.
Ma un paese europeo molto preoccupato, a quei tempi, era la Polonia: minacciata sia da Est (la Russia comunista) e da Ovest (con la Germania intenzionata a riprendersi i territori perduti nel conflitto).
La Polonia si affrettò dunque a creare un "Ufficio Cifre". Esso disponeva di una versione civile della macchina Enigma, ma ovviamente si rivelò insufficiente per comprendere il funzionamento della versione militare.
Come capita spesso, la prima breccia nel muro di Enigma fu provocata da un cittadino tedesco. Deluso nelle sue aspettative di riconoscimento militare, frustrato dagli insuccessi come imprenditore e ridotto all'indigenza, Hans-Thilo Schmidt fu assunto nell'ufficio amministrativo preposto alle comunicazioni crittate, guidato dal ben più importante fratello.
La miscela di frustrazione e preoccupazione per la famiglia (da cui lavorava lontano) portò Schmidt, alla fine del 1931, a vendere ai servizi segreti francesi, per 10.000 marchi (circa 30.000 euro di oggi) i manuali di istruzioni per l'uso della cifratrice Enigma militare, da cui si poteva dedurre il funzionamento delle singole componenti.
Come abbiamo detto sopra, la conoscenza del meccanismo di Enigma serviva a ben poco, senza la conoscenza della chiave specifica usata per la cifratura di un messaggio.
Se gli agenti segreti francesi fecero bene il proprio lavoro, lo stesso non si può dire dei crittografi.
Convinti che la decifrazione delle chiavi fosse impossibile, i francesi rinunciarono persino a costruire una versione della macchina, nonostante Schmidt avesse venduto anche i documenti relativi alla STRUTTURA dei cifrari utilizzati per la codifica.
C'è da dire che, per maggior sicurezza, i tedeschi utilizzavano non solo chiavi di cifratura che venivano cambiate ogni giorno e con serie diverse per ogni dipartimento (Marina, Aviazione, Esercito), ma l'assetto di Enigma corrispondente alla chiave giornaliera era usato per trasmettere non messaggi interi, ma una seconda chiave, diversa per ciascun messaggio.
A prima vista, dunque, una procedura simile sembrava inespugnabile.
Così, i servizi segreti francesi cedettero il materiale a quelli polacchi.
Se i francesi si arresero subito, i polacchi si dimostrarono ben più tenaci.
Organizzarono un corso di crittografia invitando venti matematici dell'Università di Poznan, che si impegnarono a mantenere il segreto: tre di loro entrarono nell'Ufficio Cifre.
Uno di essi era...
MARIAN REJEWSKI.
Ventitrè anni, timido, occhialuto: era un buon studente di matematica, ma dopo il primo approccio all'argomento tutti scoprirono che la crittografia era la sua vocazione. Gli permisero quindi di affrontare Enigma, e lui lo fece praticamente da solo.
Basandosi sul concetto che la ripetizione, in crittografia, è nemica della sicurezza, Rejewski si concentrò sul fatto che gli operatori tedeschi, al momento dell'invio della chiave giornaliera crittografata, ripetevano due volte la chiave all'inizio del messaggio per evitare incomprensioni o interferenze: la ripetizione non era ovviamente visibile nel messaggio crittografato, ma Rejewski riuscì ad intuirla analizzando i pacchi di messaggi intercettati tutti i giorni.
Da questa minuscola, labile intuizione, Rejewski - confrontando migliaia e migliaia di messaggi - riuscì a ricavare delle relazioni che indicavano chiaramente la doppia cifratura di ogni messaggio (sulla base della chiave giornaliera e su quella del singolo messaggio).
Ma era ancora ben lontano dalla strada che conduceva anche solo ad ipotizzare un percorso per giungere alla chiave giornaliera utilizzata, tra i dieci milioni di miliardi di combinazioni possibili.
Decise allora, conoscendo la struttura interna della macchina Enigma, di affrontare in modo separato gli effetti dei rotori/scambiatori da quelli del pannello a prese multiple.
Individuò nel tempo un aspetto delle concatenazioni che dipendeva esclusivamente dall'assetto degli scambiatori, e ridusse in questo modo il campo della ricerca delle chiavi da decine di milioni di miliardi a SOLTANTO 105.456 :-): oggettivamente, un immenso passo avanti.
Usando le repliche di Enigma militari costruite secondo gli schemi forniti da Hans-Thilo Schmidt, Rejewski ed i suoi collaboratori si misero a controllare uno per uno i 105.456 assetti possibili: ci volle un anno, e fu creato un repertorio delle lunghezze delle concatenazioni e dei relativi assetti degli scambiatori.
Nel frattempo, ogni giorno Rejewski ed i suoi continuavano a controllare i messaggi intercettati: lungi dall'identificare immediatamente la chiave giornaliera, essi sapevano però che in qualche modo essa aveva generato uno schema preciso, caratterizzato da 13 concatenazioni ciascuna di una certa lunghezza.
Consultando il repertorio pazientemente creato, riuscivano dunque a riferirsi al set di assetti possibili della macchina che generavano quel tipo di concatenazioni.
Provandoli uno per uno, ed usando l'intuito, molti messaggi iniziavano parzialmente a diventare comprensibili.
Questo consentiva, partendo dai messaggi intercettati, di risalire alla chiave giornaliera nel giro di qualche ora.
"Improvvisamente", dunque, le comunicazioni tedesche diventarono di nuovo trasparenti.
(Quella che vi ho raccontato è la sintesi della sintesi raccontata nel libro di Singh, e non rende il giusto onore all'impresa di Rejewski, che fu complessa e straordinaria: le fatiche, gli insuccessi, le difficoltà da superare furono immense.)
Il passo avanti successivo, dovuto ad alcune piccole modifiche introdotte dai tedeschi che resero inutilizzabile il repertorio originario, fu quello di automatizzare la creazione del repertorio.
Rejewski realizzò un congegno in grado di cercare automaticamente i giusti assetti degli scambiatori sulla base delle concatenazioni contenute nei messaggi.
Si trattava di un adattamento della macchina Enigma, in grado di dedurre i 17.576 possibili posizionamenti dei rotori sulla base dei messaggi intercettati. Poichè c'erano sei possibili modi di posizionare i rotori in Enigma, furono necessarie sei macchine di Rejewski.
Insieme costituivano un'apparecchiatura alta quasi un metro, in grado di trovare la chiave giornaliera in un paio d'ore: divennero note, a causa del ticchettio dei meccanismi, come "bombe di Rejewski".
Per tutti gli anni Trenta, dunque, la vita di Rejewski e dei suoi collaboratori fu interamente dedicata alla scoperta delle chiavi di Enigma: rimediare agli inceppi delle macchine e sforzarsi di adattarle alle novità introdotte nella cifratura li assorbì completamente.

Chissà come avrebbero reagito se avessero saputo che, fino a quel momento, gran parte dei loro sforzi era superfluo: perchè il capo dell'Ufficio Cifre riceveva in modo continuative le chiavi giornaliere, e le teneva chiuse nel cassetto.
Hans-Tilho Schmidt, infatti, per sette anni (dal 1931 al 1938) continuò a fornire ai servizi segreti francesi chiavi giornaliere relative ad un periodo complessivo di circa 38 mesi, che i francesi passavano ai polacchi: ma il capo di Rejewski decise che tenerlo all'oscuro di questo fatto lo avrebbe spronato a raggiungere l'obiettivo, senza doversi affidare ad un flusso di informazioni che la guerra incombente avrebbe potuto interrompere da un momento all'altro...

Nel dicembre 1938, però, anche Rejewski dovette gettare la spugna: la sicurezza di Enigma fu improvvisamente aumentata dai tedeschi, che portarono i rotori/scambiatori da tre a cinque, il che voleva dire portare il numero di combinazioni possibili da sei a 60: il numero di chiavi giornaliere possibili era salito da dieci milioni di miliardi a 159 miliardi di miliardi.

Costruire altre 54 "bombe di Rejewski" avrebbe voluto dire superare di quindici volte il budget annuale a disposizione dell'Ufficio Cifre: i polacchi, all'inizio del 1939, dovettero rassegnarsi a non comprendere più i messaggi, nonostante l'immenso sforzo del decennio precedente; contemporaneamente, proprio ora che ne avrebbero avuto bisogno, si era come previsto interrotto il flusso di chiavi giornaliere fornito dalla spia Schmidt.

Fu un duro colpo per i polacchi, considerato che l'inviolabilità di Enigma era alla base della "Blitzkrieg" hitleriana, proprio nel momento in cui la sovranità del paese sembrava più a rischio (nell'aprile 1939, Hitler recede unilateralmente dal trattato di non aggressione con la Polonia).

Preoccupati dall'idea che il lavoro di Rejewski andasse irrimediabilmente perduto, i polacchi a luglio invitarono francesi ed inglesi, e mostrando loro le "bombe" raccontarono la straordinaria opera eseguita dall'Ufficio: ad essa aggiunsero, tra lo stupore degli ospiti, due riproduzioni di Enigma militare e il progetto dettagliato delle macchine create da Rejewski.
Il sedici agosto, tutto il materiale necessario arrivò a Londra nascosto negli insospettabili bagagli di un commediografo inglese e di sua moglie attrice.
Soltanto due settimane dopo, il 1° settembre, Hitler invase la Polonia.

BLETCHEY PARK.
Scoperto, tredici anni dopo averne maturato la convinzione, che Enigma NON era inattaccabile, gli inglesi decisero di riorganizzare la propria struttura di crittologia (la "Stanza 40") avviando un reclutamento massiccio di nuove intelligenze, cercando ad Oxford e Cambridge risorse interessate alla crittografia professionale.
Nel Buckinghamshare, a Bletchey Park, crebbe dunque la sede della Government Code & Cypher School (GC&CS), in uno splendido istituto vittoriano destinato ad ospitare le duecento persone impiegate nella nuova struttura (che divennero settemila operatori, con i necessari ampliamenti, alla fine della seconda guerra mondiale).
Nell'autunno del 1939 scienziati e matematici iniziarono ad approcciare Enigma, impadronendosi del metodo di analisi elaborato dai polacchi: avendo maggiori risorse dei polacchi, poterono risolvere il problema del numero di macchine necessarie a dedurre le chiavi dalle sessanta posizioni possibili degli scambiatori.
Già dall'aprile 1940, la GC&CS era in grado di passare all'MI6, che li trasmetteva ai ministeri opportuni, decifrazioni fondamentali sulle operazioni belliche tedesche in Danimarca, o informazioni aggiornatissime sulla consistenza e dislocazione della flotta aerea della Luftwaffe.
Intanto, venivano elaborate nuove strategie per individuare in tempi più brevi le chiavi giornaliere: in questo un aiuto venne da alcune sequenze abbastanza prevedibili utilizzate dagli operatori tedeschi come chiavi di messaggio (tre lettere consecutive sulla tastiera), soprannominate cillies. Inoltre, paradossalmente, alcune strategie di sicurezza adottate dai tedeschi (evitare ad esempio ripetizioni nella posizione degli scambiatori) si rivelarono "riconoscibili", e permisero di ridurre alla metà il set di assetti probabili degli scambiatori attesi per i giorni successivi.
Una delle ragioni del successo della GC&CS fu l'incredibile miscuglio di matematici, scienziati, linguisti, maestri di scacchi e di bridge, appassionati di cruciverba: ogni problema veniva affrontato e visto sotto molteplici punti di vista, fino a trovare la giusta chiave per risolverlo.
Tra i più grandi crittoanalisti che passarono da quell'ente, quello che di certo occupa un posto a parte è...

ALAN TURING.
Nato a Londra nel 1912, il primo aneddoto che lo riguarda racconta che nel 1926, per non perdere il primo giorno di scuola superiore a causa di uno sciopero generale dei trasporti, percorse in completa solitudine cento chilometri in bicicletta per giungere all'istituto nel Dorset.
A scuola non andava benissimo, visto che era interessato solo alle materie scientifiche.
La relazione affettiva e intellettuale con il suo amico Christoper Morcom, ai tempi della scuola, forgiò gli interessi di Alan; quando il suo amico morì di tubercolosi, nel 1930, Turing si concentrò sugli studi scientifici per superare la perdita.
Al King's College di Londra, nel 1931, partecipò all'effervescente dibattito matematico con un'opera sulle "questioni indecidibili" e sulla incompletezza delle teorie matematiche, poste da Kurt Gödel .
In questa opera, descriveva una macchina immaginaria destinata a svolgere operazioni matematiche o algoritmi, utilizzando come ingresso per i dati dei rotoli perforati (si trattava, insomma, della primaria idea di un calcolatore elettronico a schede perforate: la cui intuizione originaria risale all'idea di "Macchina delle differenze n.2", o macchina analitica, ipotizzata decenni prima da Charles Babbage): fu la prima volta in cui venne fornita una solida base concettuale al calcolo automatizzato.
Naturalmente, nessun collega prese in considerazione il saggio, caratterizzato dall'assenza di realizzabilità pratica immediata.
Ma per Turing fu un periodo felice: faceva parte dell'elite matematica internazionale, ricoprendo il ruolo di professore a Cambridge, dove la sua omosessualità non costituiva assolutamente un problema.
La GC&CS lo invitò, saggiamente, a ricoprire il ruolo di crittoanalista, che iniziò a ricoprire dal settembre 1939.

Qui, analizzando il lavoro già svolto ed i nuovi messaggi, in un ambiente fecondo e favorevole allo sviluppo delle intuizioni, Turing intuì che si poteva dedurre qualcosa di nuovo prestando attenzione a dati come la provenienza e l'ora dei messaggi. Ad esempio, i tedeschi avevano l'abitudine di inviare tutti i giorni, dopo le sei del mattino, messaggi cifrati relativi alle condizioni meteo: ognuno di questi messaggi conteneva di certo la parola "wetter" (tempo metereologico), e con l'esperienza si poteva anche intuire in che posizione si trovasse (con una frequenza consistente) la parola: questa tipologia di riconoscibilità nel testo decrittato fu definita "crib".
Riutilizzando ed adattando il metodo seguito da Rejewski, Turing riuscì a "scomporre" l'analisi per ridurre il numero di combinazioni possibili, focalizzandosi sulla presenza di possibili "cribs", e lavorando sempre sulle concatenazioni focalizzate da Rejewski.
Turing portò da una a tre il numero di macchine per la verifica dell'assetto dei rotori per ognuna delle 60 posizioni possibili.
Anch'egli dovette decidere di ignorare alcune particolarità complicatorie di Enigma per ridurre sensibilmente il numero di 159 miliardi di miliardi di assetti possibili da analizzare, e riuscì a ridurli a 17.576.
A quel punto, Turing aveva maturato l'idea che per risolvere gli algoritmi necessari fosse necessaria una macchina nuova, diversa come concezione dalle bombe di Rejewski. Trovate le 100.000 sterline necessarie, ecco dunque nascere le "bombe di Turing": due metri lineari di apparecchiatura, alta altrettanto e profonda un metro, progettata all'inizio del 1940 e realizzata nel giro di due mesi.
Messe in funzione nel marzo 1940, le bombe inizialmente non diedero i risultati sperati: il congegno ci mise una settimana per individuare una sola chiave!
Il 10 maggio i tedeschi cambiarono di nuovo la procedura di comunicazione delle chiavi, e ci fu un blackout nelle decrittazioni che durò fino all'8 agosto, quando giunse la nuova "bomba", questa volta perfettamente rispondente alle aspettative di Turing.
In otto mesi, le bombe operative diventarono 15: ogni bomba poteva trovare la chiave in circa un'ora, consentendo di decifrare la quasi totalità dei messaggi del giorno.

Churchill fece visita alla GC&CS nel settembre 1941, ironizzando sulla eterogeneità dei personaggi che vi operavano .- della cui genialità e necessità era però assolutamente convinto, tanto da suggerire a Turing e colleghi di rivolgersi direttamente a lui in caso di bisogno: tant'è che quando Turing e i suoi, scavalcando il loro responsabile, scrissero a Churchill il mese dopo manifestando la necessità di nuovo personale, egli ordinò che le loro esigenze venissero soddisfatte subito.

Alla fine del 1942 le bombe erano 49, ed il reclutamento per la GC&CS si riaprì utilizzando persino un...cruciverba complesso pubblicato sul Daily Telegraph: i sei solutori nei tempi richiesti, tra i venticinque che vi si cimentarono, furono arruolati senza indugi.

Le comunicazioni tra le forze armate del Reich non erano però tutte uguali. La Marina utilizzava macchine Enigma a otto scambiatori anzichè cinque, e questo continuò a lungo a garantire la segretezza delle comunicazioni di quel comparto, nonchè il sopravvento della marina tedesca nella Battaglia dell'Atlantico: gli U-boot risultavano quindi imprendibili e letali per le forze alleate.

In questo caso, laddove l'intuito dei geni di GC&CS non riusciva a raggiungere l'obiettivo, si ricorse a sistemi più...normali: il furto delle chiavi direttamente su navi e U-boot tedeschi; al riguardo, fu definito un piano (poi non adottato) definito da Ian Fleming - lo scrittore padre di James Bond - allora agente del servizio segreto britannico.

In qualche modo la trafugazione riuscì, e presto anche "Enigma navale" non fu più inviolabile.

Ovviamente le informazioni ottenute vennero sempre usate in modo tale che i tedeschi non sospettassero l'avvenuta violazione del codice: degli U-boot e delle navi nemiche localizzate, si preferì distruggere solo parte facendo credere ad una casualità nell'individuazione.

Il comando germanico non ebbe mai dubbi al proposito.

Oltre ad Enigma, alla GC&CS si decifrarono anche i codici italiani e giapponesi, e all'insieme delle informazioni di intelligence ricavato dalle tre fonti fu assegnato il nome di "Ultra".
Questi dossier consentirono agli Alleati una superiorità strategica su tutti i fronti: in Africa settentrionale, in Grecia (da cui i britannici si ritirarono prima dell'invasione tedesca), nel Mediterraneo. Si ebbero in questo modo informazioni dettagliate e necessarie per la preparazione dello sbarco in Normandia: è opinione di alcuni esperti che, senza queste informazioni, lo sbarco sarebbe stato rinviato all'anno successivo, e la guerra sul fronte europeo sarebbe potuta finire nel 1948 anzichè nel 1945.

Insomma, è difficile capire quante vite umane, nel secondo conflitto mondiale, siano state salvate da questa strana arma, la crittoanalisi, e dalle strambe truppe di Bletchey Park.:-)

Dopo la fine del conflitto, la Gran Bretagna continuò a non condividere con gli Alleati il grande segreto sulle capacità acquisite (la capacità di decodificare Enigma): anzi, distribuì alle ex-colonie migliaia di macchine Enigma, vantandone l'inviolabilità, e continuando a decifrare per anni il contenuto delle comunicazioni riservate di quelle nazioni (che usavano ovviamente strategie di sicurezza nella codifica infinitamente inferiori a quelle adottate dai nazisti...)

La GC&CS venne chiusa: i suoi eroi vennero dispersi. Le "bombe" furono smantellate, qualunque documento relativo alle intercettazioni dei tempi di guerra fu distrutto o secretato. Le attività di decrittazione furono trasferite al nuovo Quartier Generale Operativo delle Comunicazioni (GCHQ).
Tutti i crittoanalisti furono vincolati al segreto. Nessuno potè pubblicizzare il proprio apporto alla guerra, nè difendersi dalle accuse di "essersi defilati" pavidamente dalla difesa del proprio paese.
Solo trent'anni dopo, nel 1975, si superarono i termini del segreto militare, e finalmente si potè raccontare la verità su quel che era successo a Bletchey Park.
Solo in quel momento, il buon Rejewski - che dopo il 1939, fuggito in Inghilterra, era stato destinato ad un lavoro oscuro e banale di intelligence di infimo livello - seppe quale era stata l'immensa importanza del suo lavoro su Enigma prima del conflitto: solo allora seppe quel che gli inglesi avevano fatto partendo dal suo lavoro. Morì nel 1980.
Ancora peggio andò ad Alan Turing.
Tornato all'insegnamento, fu vittima nel 1952 della campagna omofobica che si sviluppò in Gran Bretagna. Rivelando ingenuamente alla polizia, in occasione di un furto, di aver ospitato in casa sua un compagno occasionale, fu arrestato, processato e condannato per comportamenti contrari alla pubblica decenza.
Umiliato, privato dell'accesso alle informazioni riservate da parte del governo britannico, escluso dalle ricerche sui calcolatori elettronici, fu costretto ad accettare l'imposizione di una terapia ormonale che lo rese impotente ed obeso.
Cadde in depressione, ed il 7 giugno 1954 si suicidò, a soli quarantadue anni, mordendo una mela che aveva intinto in una soluzione di cianuro - esplicito richiamo alla sua ossessione per il film "Biancaneve e i sette nani": si dice che la Apple abbia adottato il proprio logo, la mela morsicata, proprio in omaggio a Turing.

Nel 2009, in Gran Bretagna, una petizione popolare richiese al Governo la riabilitazione ed il riconoscimento della figura di Turing.
Nel settembre 2009 Gordon Brown, a nome del Governo Britannico, ha pubblicamente presentato le scuse per l'orribile trattamento omofobico a cui fu sottoposto Turing.

E con questo, si chiude la storia di questi "eroi" sconosciuti.
Ma mi piace presentarvene ancora uno, dei nostri giorni.

GRIGORIJ JAKOVLEVIC PEREL'MAN.
Matematico russo contemporaneo, è autore (2002) della dimostrazione della Congettura di Poincarè, un quesito di topologia che risultava irrisolto dal 1904.
In seguito a questa dimostrazione, il matematico ha vinto sia la prestigiosa Medaglia Fields, nel 2006, sia un premio da un milione di dollari.
Si è rifiutato di ritirare entrambe le cose.

Dall'articolo de "La Stampa":
«Per me – disse - è del tutto irrilevante. Se la soluzione è quella giusta, non c'è bisogno di alcun altro riconoscimento». Da allora vive con la madre alla periferia Sud di San Pietroburgo. Stanno in un miserabile monolocale all’interno di una khrusciovka, uno di quei palazzoni popolari costruiti ai tempi di Nikita Kruscev. La leggenda vuole che si nutra solo di rape e di cavolo nero. Senza un lavoro fisso, senza amici, ignora le email ed evita accuratamente giornalisti e fotografi. Per lui i soldi non contano: "Non voglio essere uno scienziato da vetrina – ha spiegato - e troppi soldi in Russia generano solo violenza". Gira conciato come un barbone. Capelli e barba incolti, scarpe da ginnastica sformate. Le immagini più recenti di lui, con il suo look trascurato, sono state rubate da un blogger che l’ha scovato in metropolitana e l’ha immortalato con il cellulare mettendo poi le foto su internet. Ora che ha rifiutato il milione di dollari e ha parlato con il presidente dell’Istituto Clay e i giornalisti tornerà a seppellirsi nel silenzio della khrusciovka. Ma dicono che nella sua città, che fu la capitale degli zar, non sia difficile trovare t-shirt con il suo volto. E la scritta: "Non tutto si compra".

CONCLUDENDO...
Ecco, qualsiasi cittadino medio - ma anche qualsiasi esponente della nostra "classe dirigente" - reputerebbe Rejewski, Turing e Perel'man dei deficienti, incapaci di "capitalizzare" la loro intelligenza e trasformarla nella solita triade a cui l'umanità intera, secondo la vulgata corrente, aspira (PSF: Potere & Soldi & Figa).

Io penso invece che la storia di questi tre uomini, indifferenti al potere, innamorati della conoscenza, liberi e "non comprabili" (distruggibili si, ma acquistabili mai), e quindi di valore umano infinitamente superiore a qualsiasi satrapo o cortigiano che attraversi la nostra storia quotidiana, sia qualcosa che ci fa sperare ancora nell'umanità, e vedere che se esistono uomini così, può esistere anche un futuro migliore della schifezza di questo presente.

Sia il simbolo della rivolta possibile dell'intelligenza contro la mediocrità ed il conformismo, che generano come figli deformi l'indifferenza, l'ignoranza e l'accettazione acritica della realtà.
Sia la speranza della ribellione necessaria, che prima o poi dovrà esplicarsi in qualche modo: a livello individuale, se non riusciremo a farlo a livello collettivo.

Se non sarà la politica, sarà la matematica, o comunque la scienza a darci il "la" per un gesto anarchico e liberatorio che inizi finalmente a mandare affanculo questo potere indecente?

Per il momento, lasciatemi idealmente scrivere sul muro della storia qualcosa di nuovo:
"W REJEWSKI, W TURING, W PEREL'MAN!!!"