martedì, maggio 10, 2016

Another TED in the city...


E dopo Verona, Torino. Anzi, l'Università di Torino.

L'edizione del TEDx del 7 maggio, nello splendido campus Einaudi, non ha avuto la magnificenza organizzativa di TEDxVerona: ma per essere la prima edizione, è stata una gran bella storia:-)

Il tema era "Internet of People": ovvero come usare i nuovi strumenti allo scopo di creare nuove connessioni tra le persone.
Con alcuni esempi pratici: Boosta dei Subsonica, per l'occasione, ha lanciato nelle settimane precedenti un piccolo appello a musicisti (e non) per farsi inviare pezzi di suono e frasi con i quali ha composto un brano (eseguito "on stage") che può davvero dirsi una produzione collettiva, e simbolica del modo in cui oggi persone che stanno a distanza (e magari nemmeno si conoscono) possono cooperare per creare qualcosa insieme.

Lidia Schillaci (che è simpatica, bella, ma soprattutto ha una splendida voce e una grande capacità interpretativa) ha iniziato ad usare Periscope per far conoscere in modo diretto ed immediato la sua musica, ed organizza normalmente concerti di strada con i suoi musicisti usando semplicemente il suo cellulare per renderli disponibili in tempo reale a chiunque, nel mondo, la voglia ascoltare.

Derrick De Kerckhove, dopo aver esplorato le opportunità, ci ha messo in guardia dai pericoli della Internet of People. Ad esempio, la nostra reputazione ora dipende da fattori spesso incontrollabili. Nell'uso di questa cosa meravigliosa, ci vuole dunque una sempre maggior consapevolezza.

Pietro Schirano ci ha raccontato come non si riesca a raccontare alla propria madre che razza di lavoro sia disegnare le interfacce grafiche di Facebook.:-)

Gli interventi interessanti sono stati ovviamente molti di più, ma per fortuna confido sul fatto che la formula di TEDx obblighi a pubblicarli, visto che sono notoriamente troppo pigro per raccontare tutto:-))






martedì, aprile 26, 2016

Una bella giornata con TEDx, a Verona...


Non so voi, ma io…vado matto per i TED TALKS!

Per chi non lo sapesse: si tratta di conferenze, di una durata massima di 18 minuti, in cui persone che hanno qualcosa di interessante da raccontare provano a comunicarlo al prossimo. Si tratta in genere di persone che eccellono nel loro campo di azione: ma in realtà una qualsiasi idea innovativa o curiosa, che apra nuovi orizzonti di pensiero o nuovi punti di vista, può diventare oggetto di una conferenza.
E’ un format americano che riscuote particolare fortuna, ed è collaudato da vent’anni.
Sul sito ted.com potete trovarne oltre 2000. Molti sono sottotitolati, da bravissimi volontari, in una infinità di lingue del mondo (ed ovviamente anche in italiano). Io ne sono avido! Uso ascoltarli con i sottotitoli in inglese, in modo da utilizzarli anche come strumento di apprendimento/consolidamento della lingua.
Un insieme di conferenze, quando sono tenute nello stesso luogo e nello stesso spazio temporale, diventa un “evento TED”. L’evento padre, quello serio, dura anche una settimana, e parteciparvi costa anche un sacco di soldi (ma, se uno li ha, sono ben spesi).
Gli eventi TED hanno generato delle filiazioni in tutto il mondo, con eventi satelliti che si chiamano TEDx (dove la “x” indica che sono eventi “autorizzati” da TED, che ne rispecchiano la filosofia, ma che sono organizzati da una comunità locale”).
Domenica 24 ho assistito al TEDx organizzato dal Team di Verona; evento che si chiama TEDxVerona, ovviamente, ed ormai si svolge da qualche anno. 


Gli organizzatori sono dei giovani “volontari” che lavorano alacremente, da parecchi mesi prima dell’evento, esibendo una professionalità straordinaria sia nella preparazione che nello svolgimento della giornata.
Deciso il “tema” dell’evento, gli organizzatori contattano i possibili relatori, ovviamente, ma soprattutto si occupano delle decine di aspetti che costituiscono la complessità dell’evento: trovare il luogo adatto, predisporlo (immagine dell’evento, aspetti pratici), organizzare la comunicazione, la logistica, immaginare gli inconvenienti e prevenirli o gestirli, documentare l’evento in modo che sia storicizzato in modalità TED, e – mica da ridere – trovare i soldi (tramite biglietti, sponsor e patrocini) per dare gambe a tutto ciò!!!

venerdì, aprile 08, 2016

I robot arrivano, e noi non abbiamo nessun abito mentale da metterci...

La notizia è che Google ha deciso di vendere Boston Dynamics, la società di robotica che aveva comprato lo scorso anno (quando peraltro aveva deciso di cambiare il proprio nome in "Alphabet", anche se poi non ha promosso il nuovo brand e noi tutti continuiamo a chiamarla Google).

Boston Dynamics, che ora potrebbe essere acquistata da Toyota o Amazon per aumentare l'automazione nei propri processi produttivi, è una società che crea robot "pazzeschi" come questi:

La notizia nella notizia, però, è il motivo per il quale Google ha deciso di disfarsi di questa tecnologia verso cui aveva appena manifestato un forte interesse.
Secondo una sorta di Googleleaks, ripresi da un rapporto di Bloomberg, tra i dipendenti di Google serpeggia una sorta di inquietudine profonda, ai limiti dell'avversione, verso questo tipo di macchine che - anche nell'aspetto - sono così smaccatamente progettate per sostituirci.

Ora guardate questo video:

Se anche voi, come me (e non solo), mentre lo guardate, iniziate a pensare:
"ehi, tu...smettila di maltrattare quel robot!!!"...

Se cioè iniziate, come me (e come i dipendenti di Google) a provare compassione per un insieme di hardware e software, solo perchè ha un aspetto vagamente antropomorfico...

Ecco, potete capire perchè in futuro avremo grossi problemi psicologici con i robot (ma non solo per questo: per un'altra colossale quantità di ragioni su cui cercherò di ragionare con altri post).

martedì, aprile 05, 2016

Amleto a Gerusalemme

Questi ragazzi, italiani e palestinesi, sono molto espressivi e hanno voci bellissime.
Marco Paolini rinuncia al ruolo di mattatore. Fa uno, due, tre passi indietro e diventa mentore e maestro.

Ci si emoziona, si viene colpiti a fondo.

Gerusalemme. Una città rifatta mille volte. Dove giapponesi, senegalesi e veronesi recitano la Via Crucis, ognuno a modo suo.
Con il miglior caffè, il miglior ristorante del mondo. E quella vecchina che vendeva i dolci per strada.
Così diceva tua madre, che obbligò la famiglia a tornare a Gerusalemme dagli USA, per paura che l'Occidente corrompesse i suoi figli e suo marito e li portasse alla rovina.
Ma tu non le trovi e non le vedi, queste cose: nemmeno con la droga migliore, comprata alla Porta di Damasco. Niente vecchine, solo megere israeliane che ti urlano addosso.

L'amore dei nostri vecchi è ingannevole.

La dolcezza, il furore. La magia.
Gli 800 km di muro che, per arrivare a vedere il mare, ti costringono a passare per le fogne (pagando).

Il muro, il bianco muro, l'insormontabile muro.

Loro - i ragazzi palestinesi - hanno partecipato a un seminario di teatro a Gerusalemme, con Paolini e Vacis,
Recitando l'Amleto in arabo, e scoprendo che si potrebbe tranquillamente ambientare nella Gerusalemme di oggi. Dove ognuno pensa di avere una verità propria e assoluta, ed altrettanti chiedono soltanto di essere lasciati andare, verso una vita colma di noiosissima normalità.

Loro sono venuti fino a qui, per raccontarci quella storia. Vale la pena di ascoltarli.


sabato, aprile 02, 2016

Maria Giuana: storia di una canzone popolare.

Questo post torna finalmente a casa sua, dopo essere stato migrante, in una nuova versione aggiornata (aprile 2016).

Maria Giuana è una canzone popolare molto cantata nelle osterie e nelle “piole”, ancora oggi (in quelle poche osterie e piole che restano), dai piemontesi di ogni età.
Come tutte le canzoni, ha avuto delle ave e delle nipoti, ha conosciuto contaminazioni e versioni diverse, ha avuto l’onore di essere interpretata, oltre che da orde di piemontesi alticci, anche da grandi interpreti.
Questo testo vuole ripercorrerne la storia, per narrarla in modo più o meno organico e tentare di lasciarne una memoria storica (per quando ce ne sarà bisogno).
Verrà quindi aggiornato ogni volta che verranno raccolte nuove informazioni.
Ultimo aggiornamento: aprile 2016.
AVVISO E RINGRAZIAMENTI
Questo testo nasce da un post (“Maria Giuana”) pubblicato originariamente sul mio vecchio blog nel 2009. Nel 2012 il post viene riaggiornato (“Maria Giuana, il ritorno”) con pubblicazione in piemontese sul sito di Gianni Davico, che ringrazio per la traduzione.
Il post è stato aggiornato nel 2013 e nel 2014 con successive integrazioni, prima di essere completamente rivisto per la pubblicazione su Medium. 
Ad aprile 2016, in coincidenza con la scomparsa di Gianmaria Testa (uno dei migliori interpreti di questa canzone), il post ritorna a casa, sul suo blog di origine.
Per le preziosissime informazioni fornite e per il tempo impiegato nelle ricerche, si ringraziano sentitatamente Walter Pistarini, curatore del blog “Via del campo — Omaggio a Fabrizio De Andrè”, e Dino Tron, fisarmonicista dei Lou Dalfin.
Per la versione veneto/trentina, ringrazio per la segnalazione ed il video Jimi Trotter.
Poichè il testo è di discreta lunghezza, probabilmente è utile disporre di un…
INDICE
LA CANZONE (E I SUOI INTERPRETI ILLUSTRI).
COSTANTINO NIGRA E “ZIA GIOVANNA”.
LE VERSIONI DEL XIX SECOLO.
LE VERSIONI “MODERNE”.
LE VERSIONI DEI LOU DALFIN.
MARIA GIUANA DA ESPORTAZIONE.
MARIA GIUANA E’ ARRIVATA DALLA PERSIA?

giovedì, febbraio 11, 2016

Cracovia

A metà gennaio abbiamo trascorso qualche giorno a Cracovia, con una bella compagnia di amici.
Per me era la terza volta (la prima nel 2005, la seconda nel 2009), ed ha coinciso con la terza volta che ho visitato Auschwitz I e la seconda in cui ho visto (molto velocemente, ahimè) Auschwitz II- Birkenau (i due campi si trovano ad una sessantina di km da Cracovia).
La sinistra silhouette di Birkenau al tramonto
Cracovia, che fu la prima capitale storica del regno polacco, è una città bella ed elegante.
Ha una zona elevata, affacciata sul fiume Vistola,  su cui sorge il cosiddetto "castello":

poi, una zona storica a livello del fiume il cui centro è la splendida, ampia Piazza del Mercato.
Infine, cinto da un'ansa della Vistola,  Kazimierz, l'antico villaggio poi inglobato nella città, che divenne noto come "quartiere ebraico".

All'inizio della seconda guerra mondiale, il quartiere ospitava 68.000 ebrei; scesero a 5000 (per motivi tragicamente noti) dopo la fine della guerra: oggi, la comunità ebraica di Cracovia è di sole 150 persone.
Quando i nazisti presero la città, decisero di sradicare la comunità ebraica, e crearono un Ghetto al di là del fiume per controllarlo meglio.
In quello che divenne il ghetto, prima vivevano meno di 4000 polacchi, che presero possesso delle case degli ebrei a Kazimierz, mentre nel quartiere vennero stipati, in condizioni immaginabili, più di 15,000 ebrei (gli altri furono costretti ad andarsene dalla città).
Il quartiere fu cinto da un "muro" costruito con lastre simili alle pietre tombali di un cimitero ebraico. Il messaggio era tragico ed esplicito: siete tutti morti. Infatti, nel 1943 giunse la "liquidazione" del ghetto, ed i suoi abitanti furono divisi tra un campo di lavoro ed il campo di sterminio di Birkenau.

I muri dell'ex Ghetto di Cracovia con la lapide commemorativa.
La piazza centrale dell'ex Ghetto è oggi dedicata agli eroi del ghetto, ed ospita una installazione artistica che, con 68 sedie, ricorda i 68.000 ebrei di Cracovia ed un episodio accaduto il giorno della liquidazione del ghetto.
In un angolo della piazza sorgeva la Farmacia dell'Aquila, dove il farmacista polacco Tadeusz Pankiewicz rimase, con i suoi collaboratori, ad aiutare gli ebrei, guadagnandosi il titolo di "Giusto delle Nazioni" come il concittadino Oskar Schindler. (Ora, sia la farmacia di Pankiewicz che la fabbrica di Schindler, non molto distante dal Ghetto, sono musei. A Kazimierz, inoltre. è possibile vedere l'edificio in cui Spielberg girò le scene della liquidazione del ghetto).

Un posto splendido, a Cracovia, è la Università Jagellonica, la più antica del paese (fondata nel 1364 dal re Casimiro il Grande, il cui nome riecheggia in quello del quartiere di Kazimierz).
La sua splendida sede ricorda una piccola Hogwarts:-): splendide le sale, i refettori, i luoghi dove si riunivano e si riuniscono rettori e professori - con le lunghe file di ritratti alle pareti.
E ' tradizione, per i polacchi illustri che hanno frequentato l'Università (che annovera tra i suoi studenti e docenti Copernico, Wisława Szymborska, Wojtila e Zanussi), o che semplicemente ne riconoscono l'importanza, lasciare qualche "memorabilia" di grande valore.
E' il caso, ad esempio, di Andrzej Wajda, che pur non avendo studiato qui ha lasciato all'Università i prestigiosi premi vinti nella sua fulgida carriera (l'Oscar, un Leone d'Oro, una Palma d'Oro ed un Orso d'Oro), o di Wisława Szymborska che ha donato la medaglia d'oro consegnatale in occasione del ricevimento del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996.
I premi vinti dal regista Andrzej Wajda
Cracovia offre dunque molti motivi di visita (tra cui le vicine miniere di sale), di riflessione e di piacere.
Ci si cammina con piacere, si mangia bene, si beve dell'ottima birra.
E si raggiunge da Orio al Serio, con RyanAir, in un'ora e mezza circa, spendendo solo 50 euro andata e ritorno. (gennaio 2016).
Pensateci, se avete qualche giorno libero e volete passarlo in modo interessante.



mercoledì, febbraio 03, 2016

Un nord est che sembra un far west...

Il sindaco di un paesino della bassa veneta, rozzo e volgare, con una specie di Lady Macbeth come moglie, elimina tutti gli avversari che si pongono sulla sua strada verso la carica di "Assessore agli Sghei" e poi Unico della Regione Serenissima, e al culmine del suo delirio di onnipotenza invaderà la regione vicina. Processato da una giudice assai ricattabile, rimarrà clamorosamente impunito.
La trama di questa commedia è assai leggera, al limite della inconsistenza. Il personaggio di Toni Sartana è ringhioso e irascibile (spesso al limite della stucchevolezza), e molte volte sembra un Cetto Laqualunque in salsa rovigotta.



Sinceramente, nel primo tempo non ho riso granché.

La parodia di questo Veneto infetto e senza valori, molto simile a quello raccontato da Massimo Carlotto (ma anche alla realtà: non dimentichiamo, ai suoi esordi, le cattive compagnie di ultrà neonazisti a cui si accompagnava Flavio Tosi), risulta un po' troppo facilona e semplicistica.

Nel secondo tempo le cose migliorano: rassegnato al fatto che lo spettacolo è quello che è, uno inizia a godersi le battute e la bravura di tutta la compagnia, lasciando da parte le aspettative.

E paradossalmente, la parte più divertente arriva a sipario chiuso, quando Balasso torna sul palco a presentare i singoli attori e a dare utili indicazioni su come rivederli in giro da queste parti.
Opera meritoria, perchè - come dice Balasso - il fatto che quelli che fanno televisione vanno a far teatro, non deve far dimenticare che nel teatro ci sono già gli altri, quelli che lo fanno normalmente:-)
Qui Balasso, liberato dalla costrizione della narrazione e della regia, si rivela il mostro di bravura e di improvvisazione che è, impazza e strapazza, e le risate diventano ovazioni.

Tutti gli attori che lo accompagnano (la moglie, Francesca Botti, l'ultrà nazi del Rovigo, Andrea Pennacchi, la improbabile PR Marta Dalla Via, nonchè Silvia Piovani e Stefano Scandaletti) meritano senza dubbio un applauso convinto.

"La cativissima" è alle Fonderie Limone di Moncalieri (TO) fino al 7 febbraio.

http://www.teatrostabiletorino.it/portfolio-items/la-cattivissima-balasso/



lunedì, febbraio 01, 2016

Il mio Iran/3

Yazd è una città antica, ed il suo centro storico interamente fatto di Adobe (paglia e argilla) ricorda il colore del deserto che la accerchia. Le due cose più belle da fare a Yazd sono perdersi nei vicoli e salire sui tetti per vedere la città vecchia dall’alto. Entrambe le cose vanno fatte al tramonto, quando l’argilla dei muri e delle case si tinge di rosso, e i minareti delle due moschee principali si accendono di verde e di azzurro.

I vicoli sono autentici labirinti. Spesso si incontrano vertiginose scalinate che sembrano scendere agli inferi, e conducono ai condotti di irrigazione, i qanat, che portavano l’acqua per decine di chilometri sotto il deserto e sotto le città. I costruttori di qanat di Yazd erano considerati i migliori in tutto l’Iran: questa capacità è documentata nel museo dell’acqua della città, ma anche in alcuni luoghi dove si può scendere a vedere dal vivo i canali che passano sotto la città.
Dai tetti, invece, il panorama è dominato da una serie infinita di torri del vento, con le quali si garantiva la climatizzazione in modo naturale ed a costo energetico zero in una città dal clima torrido in estate.

Se gironzolate un po’, la sera, troverete di certo un locale che vi permetterà di mangiare e bere qualcosa (di analcolico, eh!) con tavolini sui tetti. Non perdete l’occasione. Noi abbiamo trovato una galleria d’arte, gestita da alcuni ragazzi, che univa l’esposizione delle opere alla preparazione di cibo iraniano fatto in casa, inclusi i deliziosi biscotti di Yazd. Eravamo soli su questo tetto, a godere il panorama e a mangiare piccole cose deliziose, con il clima mite di questo ottobre iraniano: ed è stato uno dei molti momenti memorabili di questa vacanza.
Ottobre è il tempo dell’ashura, la festa in cui si ricorda il martirio dell’imam Husseini durante la battaglia di Kerbala, che segnò la definitiva frattura, nell’Islam, tra sunniti — cioè seguaci della tradizione — e sciiti — cioè “frazionisti”. Sono passati circa 1200 anni, da allora, e nessuno probabilmente è nemmeno più in grado di raccontare per quale diavolo di motivo reale le due fazioni si siano divise. Comunque da allora si detestano (è nota la forte inimicizia storica tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, che episodi come la recente strage di pellegrini alla Mecca non ha fatto che acuire), anche se le differenze vengono volutamente sottolineate rispetto ai punti di contatto tra le due interpretazioni.
L’ashura, dunque, è una festa sciita che dura diverse settimane: le moschee vengono addobbate, nelle città appositi botteghini vendono materiale di colore verde e nero da usare nelle manifestazioni e nei cortei che percorrono le strade, con cavalli e cammelli. Molti, per ricordare il sacrificio dell’Imam, simulano la flagellazione — quella reale è stata proibita per le troppe ferite che provocava.


domenica, gennaio 31, 2016

Il mio Iran/2

Si, del traffico di Teheran avevamo letto, ed anche dei suoi tassisti.
Ne parla, in modo spassosissimo, l’inglese Elliot nel suo resoconto relativo a diversi viaggi in Iran, condensato nell’interessante “Specchi dell’invisibile”.

Possiamo confermarlo: il pericolo più grosso che corre uno straniero in Iran è nell’attraversare la strada a Teheran. I semafori ci sono, ma non tutelano. Ci sono persino le strisce pedonali, ma dubitiamo che a Teheran qualcuno le abbia mai viste e tantomeno prese in considerazione. Le immense strade a quattro corsie sono percorse dal doppio dei flussi veicolari, che tendono a riempire ogni spazio disponibile.

L’unico modo per attraversare (possibilmente affiancati ad un indigeno che protegga dal rischio immediato di morte) è superare un flusso per volta, senza guardare i conducenti negli occhi per non dare a vedere che li si prende in considerazione (nel qual caso, è ovvio che la vittoria sia del più forte), e muoversi a zig zag con rapidi avanzamenti e spostamenti laterali, per individuare e infilarsi nei varchi, come in un videogame.

Non va meglio se gironzolate nei quartieri residenziali distanti dal centro: visto che si usano dei canali di scolo per pulire le strade, ad ogni incrocio si aprono pericolosi seracchi in grado di inghiottirvi (e fratturarvi gli arti inferiori) alla minima disattenzione.

Le altre grandi città sono assai meno pericolose (hanno grandi viali e spazi a sufficienza per i pedoni), ma Teheran è davvero rischiosa. Alcune guide consigliano, per provare una maggiore ebbrezza, di farsi portare a tutta birra al bazar (da qualunque punto della città vi troviate) con un mototaxi, ma fatelo soltanto se siete alla fine della vacanza.
*
Chiunque sia stato in un paese arabo, e sia incappato in un bazar come Khan-el-kalili al Cairo, o in quello di Marrakesh, ricorda l’esperienza con sofferenza e dolore. Migliaia di persone sorridenti e soffocanti, che nella maggior parte dei casi ti vedono come un bancomat deambulante, ti appellano/invitano/seguono per offrirti un tè che diventa il prologo di una contrattazione assai estenuante, vista la nostra scarsa attitudine al riguardo, anche per l’oggetto più semplice e banale.

Camminare nei bazar iraniani è invece meraviglioso. Nessuno ti tormenta per vendere, a meno che non incroci il tuo sguardo curioso o interrogativo. Puoi gironzolare sereno per ore, e riceverai soltanto sorrisi e saluti, o l’eventuale affiancarsi di qualcuno che si proporrà come guida — ma in modo molto cortese e per nulla insistente.
Comprare sarà un piacere, e la contrattazione sarà ragionevole, sia come punto di partenza che di arrivo, limitando al massimo la parte scenografica (che, se proprio vi manca, siete certi di poter ritrovare in luoghi molto più vicini dell’Iran).

Nessuno urla, infatti, e il bazar è un luogo rilassante e piacevole — in cui non è neppure così semplice perdersi, visto che la struttura è in genere molto geometrica e regolare.
Alla fine, dopo ore passate a zuzzurellare nei bazar iraniani, scoprirete di aver comprato poche cose: esattamente quelle che volevate, soltanto quelle, ed al prezzo che vi aspettavate. Ed avrete una gran voglia di tornarci:-)

(2 — continua)

martedì, gennaio 26, 2016

Il mio Iran/1

L’Iran che racconterò in queste pagine è ovviamente parziale e soggettivo. E’ quel che ho visto e capito in 10 giorni di viaggio (6–15 ottobre 2015), e quindi — inevitabilmente — coglie soltanto frammenti della complessità di quel paese. Un luogo dove la separazione tra la vita pubblica (soggetta alle aspre regole di un potere islamico invadente e intollerante) e quella privata (dove ognuno cerca di essere quel che realmente desidera) è talmente ampia da rasentare la schizofrenia.
Per dire, l’obbligo per le donne di indossare il velo (reintrodotto da Khomeini nel 1980, dopo che era stato abolito con un atto contrario negli anni ’30 del secolo scorso), ed il conseguente tentativo di nascondere le donne e le loro parti “impudiche” alla vista degli uomini, provoca per reazione il fatto che la gran parte delle donne e delle ragazze siano molto più seducenti di quanto accadrebbe se questo obbligo decadesse.
I veli sono diventati colorati, leggeri, fluidi, e scivolano sempre più indietro, fino a raggiungere il limite estremo prima della caduta.
Caduta che avviene spesso, e provoca l’atto di raccogliere i capelli e risistemare il velo, anch’esso seducente.
Dal velo, fuoriescono capelli lunghi e spesso biondi, orecchie ben forgiate, trucchi curatissimi, sopracciglia disegnate ad arte sopra meravigliosi occhi scuri e fondi.
Anche i vestiti sono colorati, fascianti, gioiosi. E così, quel che l’ayatollah vorrebbe evitare (il pericolo della seduzione) diventa gioco e scommessa, e forte e perentoria affermazione di sé, spinta al limite estremo del possibile.

(Si, la “polizia morale” che aggredisce le donne contestando la lunghezza dello jihab o la foggia del vestito esiste ancora, ne abbiamo testimonianza. Così come esistono ancora le aggressioni alle donne con l’acido da parte di alcuni fanatici, sempre per punirle della loro presunta “immoralità”. Ma camminando per le strade delle città, si ha la sensazione che ci vorrebbero ormai migliaia di pasdaran per tentare di arginare il fenomeno. O si nascondono molto bene tra la folla, rinunciando ad intervenire, o sono davvero pochi e possono soltanto mettere in atto eventi simbolici, tentando di “colpirne una per educarne mille”).



*
La tomba di Hafez a Shiraz è un luogo importante, per gli iraniani.
Della biografia di Hafez (il cui nome significa “colui che conosce a memoria [il Corano]”) si sa molto poco.
Nato nel 1300 circa, poeta di corte, scrisse circa 500 poemi (“gazhal”) dedicandoli all’amore, alla bellezza ed al vino. E’ aperto da sempre il dibattito sul livello di simbolicità della sua poesia: si riferisce a pulsioni reali, fisiche, o racconta di un universo esclusivamente simbolico? Non è dato sapere con certezza: e probabilmente, non ha alcuna importanza risolvere il dilemma.
Quel che è certo è che Hafez (e quel che narra) è radicato nel cuore di ogni iraniano, di qualsiasi età.
Ne ho avuto la prova portandomi in Iran una edizione Einaudi con “Ottanta canzoni” di Hafez, con il testo persiano a fronte. Facendo leggere alle persone, in lingua persiana, i gazhal che più mi piacevano nella traduzione italiana, ho sentito non solo come il testo persiano fosse musicale e in rima, ma ho visto la commozione e la gioia negli occhi dell’interlocutore.
Gli iraniani vanno sulla tomba di Hafez come se andassero a trovare un vecchio amico. Si siedono sulla tomba di alabastro chiaro, vi appoggiano fiori, libri (spesso il Divan, la raccolta completa delle sue opere) e carezze, e tocchi affettuosi.
O passeggiano per il bel giardino circostante, godendone la freschezza e il verde, delizia per gli occhi ed il cuore, e l’atmosfera che agevola le relazioni umane, l’empatia, il sorriso, il gesto affettuoso.
Ci siamo seduti anche noi sui gradini, ed in un attimo siamo stati accerchiati da un nugolo di curiose e simpatiche insegnanti in pensione, venute in pellegrinaggio sulla tomba del Poeta, e come tutti gli iraniani curiose di sapere (in inglese, of course) chi fossero questi stranieri, da dove venissero e cosa pensassero dell’Iran e del suo popolo.

Ha quindi avuto inizio una bellissima conferenza/confronto sulle nostre sensazioni ed emozioni, ormai consolidate dopo più di una settimana di viaggio (siamo arrivati a Shiraz alla fine del viaggio), con grande foto di gruppo finale (in cui si sono imbucati, bene accetti, anche due turisti parigini:-)).
Alla fine della quale è stato bello, aspettando degli amici iraniani conosciuti a Teheran, continuare a star seduti sui gradini ad osservare le persone, i loro atteggiamenti, il modo in cui interagivano ed il modo in cui erano vestiti — soprattutto le donne e le ragazze.
Poi, in un bagliore, è scoppiato l’immenso sorriso di Pegah, bellissima e fragrante di gioventù nei suoi vent’anni di studentessa, ed è iniziato un altro pezzetto della nostra storia iraniana. Che forse racconteremo dopo, o forse no.
(1 — continua)

2016: si torna a casa.

Non ho pubblicato nulla, qui, nel 2015.
Non avevo molto da dire, evidentemente.

Poi, negli ultimi mesi ho fatto un po' di prove di pubblicazione su Medium (che è un luogo bellissimo, per leggere cose interessanti).  
Medium ti consente anche di tracciare non solo quanta gente "vede" quello che scrivi, ma anche quanta gente realmente "legge". E...il risultato è stato che le cose che ho scritto con maggior impegno, non sono state filate da quasi nessuno. 
Mentre minuscoli, stupidi, irrilevanti commenti di poche parole hanno avuto un "grande successo di pubblico".

Insomma, si è di nuovo dimostrata la mia incompatibilità con i meccanismi e gli algoritmi della "visibilità" sui social.

Me ne faccio tranquillamente una ragione. E allora, con calma,  riporto qui le mie cose, tra i miei pochi lettori antichi, scusandomi per averli indotti a disperdersi per leggere le mie (non così utili) parole.

I post più interessanti ritroveranno posto qui, lasciando su Medium e a Twitter (non su Facebook, che non è luogo per me) soltanto i link.

Se avrete ancora voglia di leggermi, grazie. Da parte mia, tenterò di condividere solo parole selezionate e che ritengo originali, personali e interessanti.