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mercoledì, marzo 12, 2014

Entrare nel presente...



Quello a destra è proprio lui: Baxter!


Il testo di un intervento scritto per (e presentato a) un congresso provinciale della CGIL.


Care compagne e cari compagni,
oggi voglio parlarvi un attimo di Baxter e di Watson.
Baxter è un tipo molto pacato, pesa 75 chili e non si stanca mai.
E’ un robot, e oggi costa soltanto 22.000 dollari, più o meno un anno di salario di un operaio. Tu lo programmi, e lui è in grado di lavorare 24 ore su 24 producendo in modo standard e con ritmo costante. Ha soltanto bisogno di una  manutenzione elettrica e ingegneristica, che è l’unico costo di gestione per il suo mantenimento.
Non mangia, non dorme, non ha sentimenti, non va in ferie, non protesta, non fa sciopero e non pianta grane.
Di Baxter, nell’industria dell’auto e dell’elettronica americana, ce ne sono già un milione e mezzo, perfettamente efficienti e funzionanti.
E poi c’è Watson.
Watson è un genio: nel 2011, ha battuto senza pietà tutti i concorrenti del quiz televisivo americano Jeopardy, rispondendo con la sua voce calda e naturale a tutte le domande che gli sono state poste, a voce, dal conduttore del programma.
Watson è un sistema di intelligenza artificiale creato da IBM: capisce il linguaggio naturale quando gli parli, comprende le domande, e poi è capace di consultare 200 milioni di pagine in poche frazioni di secondo per risponderti con una voce umana.
Watson, se gli metti sotto una bella potenza di calcolo che ormai costa sempre meno, può sostituire senza colpo ferire (e operando molto meglio) decine, centinaia di operatori di contact center, anche quelli che operano dalla Albania o dall’India per costare meno.
Se Baxter è un po’ difficile da immaginare, i fratellini minori di Watson ce li abbiamo già tutti pronti sui nostri iphone e sui nostri smartphone: è che ci fa un po’ paura ammetterlo, ma già oggi noi possiamo parlare con questi oggetti con la nostra voce, fare domande e ricevere risposte vocali, o dare ordini come “portami a casa”, per attivare il navigatore, o “metti la sveglia alle 7”.
Perché vi ho parlato di Baxter e di Watson?
Perché rappresentano la realizzazione concreta, immediata, presente di ciò che a sinistra abbiamo perseguito e desiderato da sempre: la liberazione dell’uomo dal lavoro.
La tecnologia sta crescendo in un modo così rapido e così imprevedibile che, se solo fossimo in grado di vederlo, probabilmente dovremo rivedere completamente le nostre priorità di azione sindacale.
Ma non le vediamo in modo molto nitido, le cose che ci capitano intorno.
Un po’ perché siamo travolti dalle conseguenze della crisi, dalle migliaia di persone che perdono il lavoro e chiedono una risposta immediata, qui e subito, ai propri bisogni ed alla propria disperazione. E allora è naturale che cerchiamo di turare le falle, di conservare quel che c’è, di ragionare come abbiamo fatto sempre, conservando dieci posti qui, ed è un successo perché salvi la vita di dieci famiglie, e mettendo la cassa integrazione lì, e ne hai salvati altre dieci, di famiglie, e senti che hai fatto una cosa giusta.
Eppure, ce l’abbiamo chiara questa sensazione che il mondo ci stia sfuggendo di mano, come sabbia tra le dita, e per quanto stringiamo il pugno l’impressione è che il grosso ci sfugga.
Ed è proprio così, compagne e compagne. Sentite qui: due ricercatori di Oxford si sono messi a calcolare la probabilità che i Baxter e i Watson si mettano, nel futuro, a svolgere le occupazioni più routinarie che svolgono gli umani, ed hanno provato ad ipotizzare quante professioni di oggi possono scomparire da qui a vent’anni.
Attenzione: i robot, in USA, negli ultimi quarant’anni ne hanno già fatti perdere 10, di milioni di lavoro. Non stiamo parlando di un futuro lontano, eh, ma di una cosa che capita già, e capiterà anche qui, che a noi piaccia o meno.
Dunque, secondo i due ricercatori, da qui a vent’anni i posti di lavoro in Italia diminuiranno, grazie o per colpa dell’automazione, di altri DODICI MILIONI. Dodici milioni di posti in meno in vent’anni.
Scompariranno ragionieri e autisti, tassisti, librai, programmatori…per fortuna avremo ancora bisogno di maestri e di psicologi,  e di competenze di alto livello tecnologico in grado di guidare la transizione delle attività dall’uomo alle macchine.
Sabbia che sfugge tra le dita, dicevo.
Vertenze e ammortizzatori sociali non risolveranno PIU’ questo problema. Se il sindacato non affronta questo argomento con un approccio ed una immaginazione totalmente nuovi, è condannato a diventare il lobbysta irrilevante di una nicchia di lavoratori che assomiglieranno agli indiani pellerossa oggi chiusi nelle riserve.
Un atteggiamento di resistenza o luddista contro le nuove tecnologie è impensabile.
La robotica e l’automazione avanzeranno malgrado noi: chi oggi possiede la ricchezza finanzia questo tipo di ricerca, investe, non solo per moltiplicare i suoi profitti, ma perché è in corso quella che l’Economist definisce una nuova rivoluzione industriale. Non si tratta solo di soldi, ma anche di realizzare il futuro dell’umanità con mezzi nuovi.
Google, per dire, ha appena acquisito quattro aziende americane di robotica. L’incrocio tra informazione e automazione è al centro di tutti gli investimenti mondiali.
Oltre agli automi e ai costosissimi robot, il prossimo decennio sarà quello della stampa 3D: delle stampanti che, sulla base di un disegno 3D, creano oggetti reali. Delle dimensioni che volete, perché queste stampanti che già esistono, vanno dai mille al milione di euro, e possono stampare dal bicchiere ad una intera automobile.
Per il film di 007 “Skyfall”, con una stampante 3D che poteva stampare oggetti  di dimensioni fino a otto metri cubi, sono stati realizzati tre modelli in scala 1/3 della Aston Martin di James Bond.
In 3D si può stampare plastica, ABS, titanio, tessuto, ormai qualsiasi cosa. E la cosa più spaventosa è che ormai chiunque di noi può comprarsi una stampante del genere a mille euro, ordinandola oggi sul sito della COOP (non sto scherzando!) e iniziare a prodursi in casa oggetti di qualsiasi dimensione, immediatamente, perché sono immediatamente disponibili a tutti i file, gratis, per produrre qualsiasi tipo di oggetto, intero o nelle sue componenti.
Inclusa una pistola, interamente in plastica, che può sparare fino a sei colpi prima di rompersi: se volete vi do l’indirizzo per scaricare i file.
Immaginate come anche questo cambierà il futuro dell’industria manifatturiera: se avrai bisogno di un oggetto di uso comune, tra due-tre anni partirai con la tua chiavetta e andrai a fartelo stampare in un centro servizi 3D, senza nessun bisogno che ci sia una fabbrica che produca diecimila bicchieri o piatti.
Si potrà – si può già oggi! - stampare qualsiasi oggetto in qualsiasi parte del mondo, replicandolo all’infinito, inviando semplicemente un file.
Tutto quello che conosciamo, sta cambiando in un modo velocissimo.
E ci sta rendendo obsoleti.
E ci sta rendendo testimoni di un mondo peggiore di quello di ieri, dove alla liberazione dal lavoro non corrisponde più felicità, ma maggior schiavizzazione del lavoro (fino a quando potremo competere con i robot?), un impoverimento progressivo e inesorabile di chi non ha mezzi e potere, e una sempre maggiore emarginazione degli esseri umani. Divisi in due: chi è dentro e chi è fuori. Come sempre, ma con la differenza che siamo noi e i nostri figli, per la prima volta, a rischiare di essere fuori.
E allora, per chiudere: che fare?
Quel che è certo è che sarà sempre più difficile ed anacronistico lottare semplicemente per la “difesa del posto di lavoro”, quando il lavoro umano tende a ridursi inesorabilmente. Forse dobbiamo ritornare a sognare, a lottare per redistribuire il tempo che le macchine rendono libero, e trasformare il profitto immenso che queste macchine offrono in reddito per tutti, in felicità, in vite degne di essere vissute, fatte di relazioni umani, di scambi, di libertà dalla alienazione.
Forse dobbiamo lasciar perdere la difesa a tutti i costi del posto che si sta perdendo, e dedicare le nostre energie a capire come rifare la battaglia per il reddito di cittadinanza, che garantisca a ogni persone il diritto ad una vita dignitosa INDIPENDENTEMENTE dal lavoro, che ormai non sarà più il centro della vita per un numero sempre crescente di persone.
L’unica cosa che sappiamo con certezza è che contrastare questo processo sul piano delle lotte tradizionali è inefficace, anche se ci rassicura e ci piace. Quel che abbiamo di fronte è un potere fluido e sfuggente, non più immediatamente riconoscibile. Gli eventi macroscopici, come le grandi rivoluzioni del passato, probabilmente non capiteranno più (e le rivolte auto organizzate con lo smartphone, ad oggi, non sembrano aver ancora raggiunto la forza di resistere nel tempo e darsi un indirizzo di cambiamento generale).
Bisogna avere immaginazione, essere creativi, ripensare il nostro modo di essere e di agire come sindacato, in una società che sta rimettendo radicalmente in discussione il nostro ruolo insieme a tutte le modalità di relazione che conoscevamo.
Rimettersi a studiare e partire dalla conoscenza del presente e del prossimo futuro è sicuramente un buon nuovo inizio, e se lo facciamo insieme magari ci verranno idee nuove ed adeguate.
L’importante è non rimanere chiusi nel recinto, nella nostra riserva indiana, a vederci invecchiare in un tempo che non è più quello della vita reale. 

Grazie per la pazienza.

giovedì, ottobre 27, 2011

Se (pillole di curaro)...


Se il mio odio potesse uccidere a distanza, in questi giorni sui quotidiani italiani si parlerebbe a  nove colonne di una strage misteriosa (Cicchitto, Sacconi, Brunetta, Lupi, Reguzzoni...prima ancora dei capibastone...Gasparri no, mi ripugna toccarlo persino con il pensiero).

Se il mio odio potesse uccidere a distanza mediante alcuni automatismi, consiglierei a chiunque di fare attenzione prima di pronunciare le seguenti frasi o gruppi di parole:
"ce lo chiede l'Europa"
"servono misure per la crescita"
"serve più flessibilità"
"vendere il patrimonio pubblico"
"liberalizzare"

Se le borse esprimono soddisfazione quando il governo annuncia che si potrà licenziare con più facilità , significa che è ora di chiudere le borse con le bombe a mano.
Ovviamente facendo uscire prima tutte le persone che ci lavorano: noi non ce l'abbiamo con le persone, ma con i luoghi fisici dove si concentra e si organizza il male.
E nelle Borse, ce n'è ormai quasi quanto se ne percepisce ad Auschwitz: uccidere la gente per fame è un genocidio pianificato che merita il giusto castigo.
A Norimberga, preparate per cortesia una sala per il processo agli uomini della finanza. Quelli che rimarranno vivi dopo la giustizia sommaria.
Perchè Gheddafi sì e quei bastardi no?

Se io fossi il primo ministro danese, dopo aver rivisto le immagini di B. che mi scruta il culo, gli sputerei in un occhio appena lo rivedo. In pubblico, durante un vertice, davanti alle telecamere. Per par condicio.

Se io fossi B. e ricevessi una lettera anonima da un gruppo di merde che ho fatto eleggere in Parlamento, che vogliono che mi dimetta e che non osano rivelare il loro nome, farei di tutto per scoprire chi sono ed incularmeli senza pietà. A meno che non mi sia scritto la lettera da solo.

Se io fossi un miliardario, aprirei un Trony con offerte specialissime: e i quindicimila che accorrono a picchiarsi per prendere un iPhone a prezzo scontato, li chiuderei dentro. E butterei via la chiave.

Se io fossi una persona normale che abita nelle Cinque Terre o in Lunigiana, prima piangerei per tutto quello che è accaduto, per la disperazione di fronte al disastro. Ma poi mi incazzerei con chi non ha impedito lo sfacelo, negli ultimi decenni. E poi con me stesso, che abitando in un paradiso non ho fatto tutto quel che dovevo e potevo per impedire che diventasse un inferno.


Se io fossi il padrone del mondo, farei una legge che impedisce che tra il più ricco ed il più povero di qualsiasi organizzazione produttiva ci sia una differenza di reddito superiore a 50 volte.
Cinquanta volte, in termini di differenza di tenore di vita e di possibilità, è già una cosa assurda, folle.
Eppure, oggi, Marchionne guadagna 435 volte quello che guadagna un suo operaio.
QUATTROCENTOTRENTACINQUE VOLTE.
E nonostante questo rompe il cazzo, "si vergogna di essere italiano".
Ecco, la mia legge non impedirebbe a Marchionne di guadagnare una cifra astronomica e sostanzialmente assurda: alla sola condizione che i suoi operai vengano pagati NOVE VOLTE tanto quello che vengono pagati oggi.
Nessuno si lamenterebbe più, e probabilmente si estinguerebbe anche la FIOM:-) (e ciò renderebbe assai più felici anche gli industriali, no?:-)))

mercoledì, settembre 07, 2011

Rispetto, Bonanni! La comprendi ancora questa parola?

Eravamo parecchi, ieri a Torino, a sfilare insieme nel corteo della CGIL (25.000 per la questura, 70.000 secondo il sindacato...secondo una mia personalissima valutazione basata sull'esperienza, e sul fatto che la coda del corteo ha iniziato a percorrere l'ultimo tratto circa due ore l'avvio del corteo, direi che in cinquantamila c'eravamo tutti...niente male!).
Tenuto conto che lo sciopero ci è costato una giornata di salario, e che tutti abbiamo ben chiaro che si tratta solo di un aperitivo rispetto alle lotte che saranno necessarie per tentare di correggere una manovra iniqua e permeata da un forte "odio di classe", è stato un risultato che rivela la volontà di moltissime persone di non stare semplicemente fermi ad aspettare che lo scempio si compia: anche se le speranze di evitarlo sono ridotte, viste le forze in campo, è giusto esserci, provarci, esibire FISICAMENTE la propria indignazione.
Proprio perchè questo sciopero è costato ad ognuno dei partecipanti soldi e fatica, proprio perchè in queste occasioni chi manifesta le proprie opinioni PAGA DI PERSONA (e ognuno può capire benissimo che peso abbia una giornata di salario perduta suuno stipendio da metalmeccanico, da statale o da contratto commercio), il minimo che si possa pretendere è IL RISPETTO, anche da parte dei nemici.
Sapete come la penso, sulla situazione attuale, ma riassumo in estrema sintesi: lo Stato è oggetto di un attacco da parte di forze ostili (gli speculatori) che mirano o pensano di ricavare benefici dalla sua caduta: invece di difendersi e difendere i propri cittadini, il Governo di questo Stato ha dichiarato loro formalmente guerra.
(Se si riconoscesse che questo attacco esterno al nostro Stato ha le stesse finalità - e le stesse conseguenze possibili - di una guerra, e se si applicasse un codice militare, i nostri governanti dovrebbero essere passati per le armi per Alto Tradimento.)
Per queste ragioni, risulta INTOLLERABILE il disprezzo manifestato dai nemici della CGIL (gli avversari sono un'altra cosa: non mirano alla distruzione dell'oggetto del loro odio) e delle persone che essa - nel bene e nel male, con errori ed orrori - si è assunta l'onere di rappresentare.
E se da un certo punto di vista è persino banale l'atteggiamento del ministro Sacconi, la cui pochezza umana ed il cui livore rancoroso da ex sono così noti da risultare ormai stucchevoli, preoccupante è l'atteggiamento del segretario generale del secondo sindacato italiano.
Che ha tutti i diritti di dissentire dal percorso della CGIL, ma NON HA ALCUN DIRITTO di offendere e disprezzare la CGIL ed i suoi cinque milioni di iscritti definendo "demenziale" la mobilitazione di centinaia di migliaia di persone.
Se Bonanni ha deciso di stare con Sacconi e con il governo, va bene: ne prendiamo atto.(Non si capisce perchè tre milioni e mezzo di lavoratori decidano di farsi rappresentare da un'organizzazione che non dissente mai dal governo, ma pazienza).
Ma se usa il disprezzo, sappia che con il disprezzo verrà ripagato.
A Bonanni, Sacconi ed al governo non interessa un accidente, lo so, nè di noi - persone normali - nè del nostro disprezzo. 
Così come la mobilitazione della CGIL non ha conquistato le aperture dei giornali: preferiscono  "i mercati" alle persone; essi contano oggi assai di più delle nostre vite e delle nostre storie.
Ma da questa consapevolezza verranno nuova rabbia e determinazione, indispensabili per non rassegnarsi mai, mai, mai al fatto che questo mondo di merda sia l'unico possibile.







giovedì, dicembre 11, 2008

Un altro 12 dicembre


Domani, ovviamente per chi mi legge, sarò in piazza con la CGIL e andrò alla manifestazione di Torino. Il settore produttivo (produttivo?:-)) al quale appartengo farà otto ore di sciopero, e la mazzata sul portafoglio si farà sentire: ma non ho il benchè minimo dubbio sulle ragioni dello sciopero e sulle proposte che stanno alla base dello stesso (è, per così dire, il "minimo sindacale" che un'organizzazione dei lavoratori possa fare in una situazione come questa).

Quel che mi sembra sballato è lo slogan della manifestazione: "contro la crisi", come se la Crisi fosse un soggetto proprio, una variabile indipendente, o addirittura un accidente, qualcosa di simile ad un evento atmosferico.
Come se la Crisi non fosse il frutto ovvio e consequenziale di un sistema basato sulla rapina, sullo sfruttamento e sul profitto.
Come se la Crisi non fosse, invece che una disgrazia caduta dal cielo, una opportunità storicamente irripetibile in tempi brevi per ragionare su come diavolo stiamo vivendo: un salutare stop collettivo a miti scaduti e scadenti.
Una occasione per uscire dal percorso obbligato "sviluppo=aumento dei consumi", dal mito del PIL e del progresso infinito.
So che non posso pretendere un simile sforzo dal sindacato: per la sua ragion d'essere, per il suo statuto, per la sua storia, non ha necessariamente il compito di definire un progetto per un mondo nuovo.
Non si può chiedere alla CGIL di supplire all'assenza di un progetto politico alternativo alla deriva etica ed umana di questo paese: dovrebbero farlo altri soggetti, ma sono troppo impegnati a osservarsi l'ombelico per poter alzare lo sguardo e immaginare un futuro diverso.

Il 12 dicembre...sono quasi quarant'anni da Piazza Fontana: una strage senza colpevoli, dopo sette processi, con i parenti delle vittime obbligati a pagare le spese processuali.
Quando frequentavo le superiori, e costituivo il 50% della cellula anarchica del mio ITIS :-), in quel giorno mi ritrovavo sempre in piazza con i compagni, dietro le bandiere nere con la A cerchiata, a sfilare per ricordare quel che non andrebbe mai dimenticato.
Il problema è che, con il passare del tempo, abbiamo così tante cose nuove da ricordare che rischia di non rimanerci più il tempo per sognare.



mercoledì, settembre 24, 2008

Esserci. In carne ed ossa. A muso duro./2

Update: eravamo in 20.000, sabato a Torino. Colorati, festosi, (qui le foto della manifestazione ) ma sommamente preoccupati. Difficilmente vinceremo questa battaglia adesso: arriviamo da oltre un decennio di rimbambimento collettivo via TV, siamo solo quattro gatti consapevoli del baratro che si è aperto di fronte a questo paese.
Ma ci siamo, esistiamo, e sappiamo che solo INSIEME avremo la possibilità di segnare l'idea di un mondo diverso e possibile. Non saremo più noi a costruirlo per tutti, probabilmente, e non avremo neppure la forza di tentarci.
Ma abbiamo il dovere di crederci, per lasciare in eredità ai nostri figli almeno la speranza che un mondo migliore sia possibile, perchè RESISTE da qualche parte nei cuori e nei cervelli.



Tra gli innumerevoli difetti che ho, sono pure iscritto alla CGIL da oltre vent'anni.
E - orrore orrore:-) - ho fatto anche il delegato per una decina d'anni, ai tempi in cui esistevano ancora cose misteriose e sovversive che si chiamavano "Consigli di Fabbrica", e sono stato quadro sindacale in una organizzazione piccola ma combattiva - quella dei lavoratori dell'energia - che con decenni di anticipo affrontò temi come la previdenza integrativa ed la sincronia dei tempi di lavoro con quella della vita.

Insomma, è un'appartenenza che - lungi dall'essere acritica - ho sempre rivendicato con orgoglio, anche se - ovviamente - su diverse cose sono stato in disaccordo con le scelte (sul caso Alitalia: il non voler firmare l'accordo con Air France prima delle elezioni, ad esempio: mentre sono d'accordo con le questioni di rappresentatività e di correttezza di rapporti che hanno portato Epifani a dire no all'accordo con CAI).
Non ho mai sentito mio, nè condiviso mai, il mito dello sviluppo, anche se capisco che è figlio legittimo di chi conosce bene un mestiere e ne è orgoglioso: il lavoro come strumento di emancipazione una classe sociale, come era quella operaia, per chi possiede solo la propria testa e le proprie mani capaci, è un concetto antico di cui posso comprendere bene il significato, anche se ho la fortuna di non sentirlo come vincolo.
Ma il sindacato per me è stato, soprattutto, uno dei luoghi dove praticare realmente la democrazia ed il pragmatismo.
Trattare, nel rispetto delle regole, con una controparte che difende interessi contrastanti dai tuoi, e saper giungere ad un punto di equilibrio e di accordo che tenga conto dei valori e delle forze in campo, e le rispetti, è stato per me una scuola di vita.
Convincere gli iscritti ed i colleghi che hai fatto il meglio possibile per tutelare gli interessi collettivi, e spenderci la tua faccia e la tua credibilità, tutti i santi giorni, è un esercizio sano; devi rispondere e rappresentare bisogni collettivi in un contesto in cui contrastano con gli interessi aziendali e privati, devi confrontarti con la realtà e saperla spiegare.
Decidere dopo aver discusso a lungo, scontrandosi e confrontandosi, e poi giungere ad una sintesi, e votarla, e rispettare il volere della maggioranza, pur non rinunciando a riproporre in modi e tempi diversi le proprie diversità.
E poi confrontarsi ancora con le altre organizzazioni, fino allo sfinimento, per trovare faticosamente quel punto di sintesi che - scontentando un po' tutti - rappresenta l'unico punto di incontro possibile tra i desideri e la realtà.

Sono ancora perfettamente convinto della necessità del sindacato, e della necessità di rappresentanza di interessi collettivi: tanto più oggi, in cui "collettivo" è una parolaccia, in cui cercano di renderci soli, isolati, isolabili, vulnerabili.

Non è un caso che la CGIL, che ha cinque milioni e mezzo di iscritti (non so quanti ne abbia il PdL, per dire, e quanti di questi siano veri), sia al centro di un attacco virulento e concentrico - e non nuovo: vi ricordate la sfida sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, durante il precedente governo Berlusconi? - da parte di governo e Confindustria.
Che disegnano la CGIL come un branco di rompicoglioni contrari agli interessi del paese (la CGIL racchiude in sè sindacalisti, quindi fannulloni, e comunisti: il peggio del peggio!).
Che propongono che non si possa scioperare per sei mesi prima e un mese dopo il rinnovo dei contratti, costringendo al pagamento di una penale persino in caso di scioperi spontanei:-(-
Con CISL e UIL che guardano altrove fischiettando, un po' come facevano negli anni '50, quando alla Fiat il prode Valletta si occupava di eliminare la Fiom licenziando dalle sue fabbriche ben 2000 quadri del sindacato metalmeccanico della CGIL (cfr. "Gli anni duri alla Fiat", di Emilio Pugno e Sergio Garavini, Einuadi 1974: credo che il libro sia difficilissimo da trovare, ormai, ma la sua lettura è estremamente consigliata).

Insomma, son tempi duri.
E allora, quando la CGIL organizza per questo sabato manifestazioni in tutte le città, per la difesa dei diritti e contro la politica del governo, per questi e per tutti i motivi che ho detto sopra, IO CI SONO.