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giovedì, marzo 18, 2010

Perdendo i pezzi

E dopo Angela, Toni.
In due mesi due pezzi di me che se ne vanno, egualmente preziosi anche se diversi.
Angela è l'amicizia che esplode in una età (che dovrebbe essere) saggia e matura: l'amicizia in cui ritrovi la sintesi di quello che sei diventato, in cui specchi il tuo bisogno di essere solido, definitivo e (al contempo) in continuo divenire.

Toni è un percorso che dura da metà della vita. Da quando non c'erano ancora le famiglie ed i figli, ma le fidanzate sì:-).
Da quando si andava insieme in Olanda per tre giorni, correndo su una utilitaria rossa, all'unico scopo di vedere l'irripetibile mostra per il centenario della morte di Van Gogh.
Da quando si lavorava divertendosi, in un clima rassicurante e al contempo fervido, ed ancora si poteva immaginare che i nostri sogni diventassero un giorno realtà.
Un mondo giusto, che non avrebbe esaltato i suoi orrori per sempre ma avrebbe prima o poi iniziato a vergognarsene, a risolverli, a superarli.

Da allora, tutto è stato in salita. La responsabilità (sociale e familiare) come un fardello sempre più pesante e sempre più doloroso.
I sogni, e le chitarre, appesi progressivamente al chiodo.
Il tempo rubato dal lavoro, e la trappola del "senso del dovere" che continua a chiudersi, inesorabile, fino a lasciarti senza fiato. Irrimediabilmente.

Mi piace immaginarti, adesso, da qualche parte, a riprenderti il tuo tempo e la tua vita – un tempo ed una vita infiniti e liberi, finalmente – e staccare la chitarra dal chiodo per riprendere a suonare, seduto davanti a Franti (*) e ad Ishi (*) che ti stanno ad ascoltare.

(*) Franti , Environs, Ishi sono alcuni degli storici gruppi/progetti torinesi in cui Toni suonò la chitarra negli anni ‘80.

ISHI: Canzone Urgente (con la chitarra di Toni e la voce di Lalli)

Compagno è col tuono delle onde che canto
dentro le notti più nere,
sulle spiagge vendute al cemento
false parole false chiese,
dentro il sonno di lavoro operaio
nelle marce barriere,
io canto la morte nei cessi in stazione
Canto le mille africane sui tram
vestite con un destino
comprato a poco da un signore nascosto
dietro ad un finestrino,
comandando un mercato da solo
porta cristo e il vaiolo,
io canto la pace portata a Bagdad
Compagno canto degli occhi de un nino
seduto in mezzo a due sbirri
Mirafiori Bovisa Rebibbia
San Paolo del Brasile
lo porto via, lo prendo per mano
accendere un fuoco e poi sparire

giovedì, gennaio 14, 2010

Angela esiste.

Dunque, la tua lunga battaglia è finita, amica mia.
Ti immagino serena, finalmente, e pronta a riposare: questo mi rincuora.
Il dolore ti ha lasciata, e questo mi solleva.

Non resta che salutarti, allora: solo per il momento, eh...
Tanto so - sappiamo - dove venire a trovarti, in futuro (PRIMA di lassù): nel giardino di uno dei luoghi più belli e dolci in cui siamo mai stati, ed in cui abbiamo davvero sentito cos'è l'amicizia, l'affetto, la vicinanza, ed anche la bellezza della diversità tra noi; tutto quel che ci ha legato, irreversibilmente, profondamente.

Rintraccio, negli angoli della Rete e della mia posta, i nostri primi contatti: la scoperta dei reciproci blog, non mi ricordo nemmeno più come (perchè forse non ha importanza il momento, ma il fatto che, semplicemente, ci incontrassimo, e che questo evento possa considerarsi in qualche modo predestinato).
E subito, immediata, quella sensazione di condividere una visione del mondo e della vita che andava semplicemente "rivelata", pian piano.

L'idea - la necessità - di vederci nasce nella primavera del 2008.
Incominciamo a ipotizzare un incontro, perchè da subito sono molte le persone che - leggendo e scrivendo le parole che abbiamo umilmente deciso di usare come semi di un dialogo sui nostri dubbi, sulle nostre domande - sembrano "sentire" la vita come la sentiamo noi, e si avvicinano ai nostri - ed altrui - blog come ai tavoli di un'osteria in cui di nuovo e finalmente, con un bicchiere di rosso in mano, si parla della vita.
E pian piano aggiungiamo sedie, e ognuno si ferma.
Ed inizia a dire la sua.

Ci vuole un po' di tempo e pazienza, ed intanto le relazioni si approfondiscono, i "riconoscimenti" reciproci sono sempre più forti.
La fase preparatoria inizia a settembre, ed a dicembre ciò che è naturale - finalmente - accade.

I nostri corpi, le nostre voci, i nostri volti escono finalmente dalla virtualità e diventano carne e sangue, sorrisi, abbracci, occhi che parlano, orecchie e cuori che ascoltano.

Partiamo da Torino in tre: non ci siamo mai visti prima, ma dopo un'ora siamo amici da sempre.

E quando arriviamo a Collevecchio, il viso tuo e quello di J. si collocano esattamente nei posti bianchi già riservati nei nostri cuori: collimano perfettamente, come se fossero immagini che avevamo già dentro da un tempo lontano.

Il resto è delizia.
Sentirsi in armonia assoluta con il mondo, quando il mondo è rappresentato da persone con cui non devi proteggerti nè nascondere quello che sei: anzi, ti vien voglia di dare il meglio, di rassettare il tuo animo, di fare le pulizie di primavera, di dare aria alle stanze ed imbiancare lo spirito.
Perchè senti, con persone così, di dover spontaneamente offrire i doni che hai raccolto lungo la vita ed il percorso fatto fino a qui: perchè senti che stai ricevendo un flusso caldo e dolce che si chiama "umanità", e che ha un valore inestimabile.
Perchè ti senti pieno di gioia e di gratitudine, e sai bene che è la cosa più bella che ti può capitare nella vita: non la puoi comprare, non la puoi cercare con una mappa - puoi solo sperare di incontrarla.

A noi è capitato. Siamo persone fortunate, immensamente fortunate.
Quella "rete", quella "altra Italia possibile" che si è saldata davanti al camino di un antico convento, ed a cui abbiamo dato il nome antico di Compagnia di Collevecchio, nell'anno successivo ha lentamente catturato altre persone straordinarie, altre esperienze, altre storie, ed oggi è la eredità più ricca che potremmo ricevere da te, e che non esiteremo a reinvestire, per sempre: con te nel cuore.

Conto i momenti di gioia che abbiamo trascorso con te: li ricordo tutti, ma elencarli è impossibile: mi basteranno per la vita, e si è trattato per me di un solo anno...
Collevecchio, Torino, Milano, la Val d'Orcia. Il sole, la nebbia, la neve (perchè tu eri con noi anche quando non eri con noi:-)), attraversando insieme tutte le stagioni di questo anno straordinario.
E la condivisione antica del pane (e del vino, e - diciamolo - di ogni ben di dio, a dare ancora più gusto a questa amicizia), e la emozione di essere insieme in alcuni degli angoli più entusiasmanti di questo nostro paese martoriato dal male, eppure così bello...
Le canzoni, le poesie. Le scemate, meravigliose e serie anch'esse, come il pellegrinaggio della sezione NordOvest a Pian della Mussa per prenderti un'acqua speciale...

Ehi, Angela, te lo prometto: non smetteremo. Non smetteremo mai di volerci bene, perchè così tu sarai sempre qui e ci mancherai di meno.

Ci vediamo, presto. E ci vedremo anche in futuro, no?

Ti diremo ancora le parole che ascoltavi con amore ed attenzione, certi che in qualche modo ci ci ascolterai e ci dirai la tua.
Davanti a quel melograno, ad esempio..

Si, ci sarai sempre, Angela cara.
Questo è solo un passaggio: ora che tu sei più leggera, ognuno di noi ti porta con sè, dentro di sè, e si sente ancora illuminato dal tuo splendido sorriso.

P.S. Ho qui accanto a me "L'era della debolezza": credo che rileggerlo questa notte sarà il modo migliore per sentirti vicina.

venerdì, aprile 04, 2008

Gli amici e le amiche

Senza di loro, in questi momenti sarei perduto.
Disponibili ad ascoltare per ore, con immensa pazienza, i miei ragionamenti condotti sul filo della follia, a leggere milioni di parole per cercare di decodificare come sto, e di cosa diavolo avrei bisogno adesso.
Disponibili a tollerare i miei sbalzi d'umore, i passaggi dall'equilibrio al furore alla depressione.
Non esitano a darmi staffilate, quando pensano che io stia iniziando a volermi meno bene di quanto me ne vogliono loro, e di quanto sarebbe giusto.
Sono spietati/e, sinceri/e, duri/e e ruvidi/e come la vita.
Non cercano illusioni, da me, non sono disposti/e ad incensarmi, a concedermi ruoli salvifici, a elevarmi ed abbattermi nel tempo.
Sono sempre uguali, coerenti e riconoscibili, con il passare del tempo e delle stagioni: crescono con me, camminano con me, conoscono i miei difetti e non me li perdonano.
Mi vogliono bene, e lo capisco benissimo adesso che - tutti/e quanti/e - mi stanno prendendo a sonori schiaffoni.
Eppure so che, testardo come sono, e duro e fottutamente orgoglioso come sono diventato, continuerò a fare di testa mia: ma malgrado questo so che continueranno a rispettarmi, a volermi bene, ad esserci sempre.

Grazie! Mi siete indispensabili, ora e sempre.

venerdì, novembre 24, 2006

Back to the mother (cronache da una caccia scout)


Capita che una delle cose belle della vita sia avere entrambi i figli nei boy scout.
E' molto facile lasciarsi andare a commenti ironici sul tema, usando lo stesso sarcasmo con cui George Bernard Shaw seppellì l'iniziativa di Baden Powell.
Possono far ridere le divise che scimmiottano sgradevolmente quelle militari, le patacchine cucite sulle maniche e gli ossi appesi al fazzoletto, la "promessa" densa di retorica, la divisione in branchi e mute per la curiosa intersezione tra lo scoutismo e "il libro della giungla" di Kipling (che condivise con Baden Powell una lunga amicizia), le tende piantate lungo i fiumi, i bivacchi notturni attorno ai fuochi.
Però, appena si è finito di ridere, è doveroso entrarci dentro, lo scoutismo.
Magari partendo dalle opportunità di aggregazione fornite oggi agli adolescenti.
Se non consideriamo l'autismo passivo da playstation o da tv (che può essere anche praticato per ore da composite moltitudini di ragazzini che stanno vicini senza neppure guardarsi), al giorno d'oggi ci sono le famose "attività extrascolastiche": lo sport (individuale o collettivo), la musica (idem).
Tutte ottime cose, anche utili per condividere emozioni con altri coetanei: si può suonare insieme, si può condividere lo spirito di squadra, Ci si diverte, si fatica, si raggiungono risultati, si condividono gioie e dolori.
Ma con un piccolo difetto: al centro di quelle attività c'è l'obiettivo delle stesse, non la persona che le compie. Se non sai giocare a calcio prima o poi smetterai, se sei negato per la musica prima o poi appenderai la chitarra al chiodo.
Non sono luoghi in cui vai bene per quel che sei, ma solo in funzione del livello di "adesione" allo scopo stesso dell'attività.
L'oratorio continua ad essere ancora oggi, in fondo, l'unico posto dove uno può andare ed inventarsi la giornata. O perderla. Decidere di annoiarsi, di giocare a calcio o a calcetto, parlare con qualcuno, seguire le pensose elucubrazioni di un prete.
Io sono ateo, ed ho abbandonato l'oratorio molto presto (anche con qualche spinta dall'interno, diciamo la verità, a causa della mia "non adesione" ad un modello che non condividevo): ma devo sottolineare l'importanza di quel luogo, finchè l'ho frequentato, nella mia giovinezza.
Nelle case del popolo o nei circoli Arci ho ritrovato poi qualcosa di simile, ma non completamente. Eravamo già persone che avevano scelto, persone tutte uguali: mentre l'oratorio comunque conteneva tutto il mondo del quartiere, e ne sintetizzava la complessità.
E poi ci sono gli scout. Cattolici o laici (i secondi in nettissima minoranza: il gruppo dove vanno i miei figli è uno di questi), sono sostanzialmente gruppi di volenterosi che tentano di formare "buoni cittadini" tra gli 8 e i 19 anni "plasmandone le coscienze".
I capi sono ragazzi tra i 18 e i 20 anni, e sono ragazzi assai strani per le logiche di oggi.
Gente che passa buona parte del proprio tempo ad applicare un progetto educativo nei confronti dei tuoi figli (mediandoli con quelli applicati in famiglia ed a scuola) solo perchè ci crede. Ci crede a fondo, anche se in modo estremamente laico ed aperto.
Oddio, si, la parola giusta c'è, pronunciamola senza pudore: VALORI.
Li dentro si insegnano dei valori. Che sono quelli "buoni e tradizionali": il rispetto dell'altro "chiunque esso sia", la solidarietà tra le persone. Ma non in teoria, che sarebbe stupido, un po' noioso ed abbastanza impalpabile.
No, in pratica.
Ti ficcano in una situazione critica qualsiasi. Può essere un gioco, ma anche una notte nel bosco, con due corde ed un telo.
Si è in un piccolo gruppo, in cui ognuno deve mettersi in gioco: tirar fuori quello che ha, intelligenza, intuizione, creatività, abilità manuale, capacità di persuasione. Per cavarsela.
Senza risorse tecnologiche, che diventano inutili e superflue, ma solo con le risorse che offre il luogo, il territorio in cui si sta passando. Il legno, l'acqua, la terra, la pietra e l'intelligenza del gruppo sono gli elementi con cui cavarsela.
Accendersi il fuoco da soli? Immagino che le risate di molti si facciano grasse: chi se ne frega, è una stupidaggine, a che serve mai, quando hai tutto il mondo a disposizione racchiuso in un supermarket.
Appunto. Avendo tutto, a poco a poco non sai più chi sei, cosa sei, cosa sei in grado di fare. Diventi solo uno strumento per acquistare merci, che in parte usi ma - nella maggior parte dei casi) usano te. Sei un tizio o una tizia che non usa più il cervello se non per fare quel poco che ti chiedono al lavoro e nello studio: tutto il resto è prefabbricato, già pronto, già usabile per soddisfare le esigenze che hai e quelle che ti faranno venire. Non pensare più, non ce n'è bisogno; tutto quel che devi fare è desiderare, e comprare.

Ecco, torniamo al fuoco da accendersi da soli. Negli scout lo devi fare, se vuoi mangiare (le scatolette lasciale a casa, vanno bene per il tuo gatto, please): la carne e le verdure ci sono, perbacco, son solo da cuocere.
Anche se quel che ti è richiesto è assolutamente alla tua portata, scopri presto che non puoi essere passivo: devi ragionare e scegliere. Devi farti anche gli spiedini, le padelle, i supporti, e tutto quello che hai è un coltellino ed un bosco davanti a te. Facile. Inizi a tagliare un po' di rami, li metti da parte, non è che ci voglia tutta 'sta scienza, no?.
Già, dopo il primo uso scoprirai che per lo spiedino ci vuole un ramo abbastanza lungo, verde e che non tutte le piante vanno bene.
Lo scoprirai quando il salsicciotto sarà caduto nella brace, perchè dopo che ti sei scottato le dita perchè era troppo corto, il tuo spiedino di sambuco prenderà inesorabilmente fuoco.
Mangerai il salsicciotto annerito, ma sarà appetitoso lo stesso ed avrai imparato una piccola lezione, che non è scritta in cartellini sugli scaffali dei supermercati.
Anzi: più d'una. Tra cui quella che la fame batte sempre la schizzinosità per almeno due a zero.
E tutto quel che a casa allontanavi con un gesto annoiato della mano durante il pranzo, spesso sulla base di considerazioni meramente estetiche, assume d'improvviso un nuovo, appassionante sapore.
Una delle cose che più impressionano i genitori degli scout è questa improvvisa capacità di mangiare quel che c'è, dimenticando in un solo weekend fobie secolari.
Poi impari a fare cose stupendamente inutili nella vita normale, ma straordinariamente belle nella loro capacità di rivelare che cosa hai dentro, quali talenti nascosti tu possa - al bisogno - mettere al servizio di questo mondo.
Puoi costruire ponti tibetani per attraversare gole e torrenti di montagna.
Puoi disegnare il simbolo della pattuglia o comporre una nuova canzone.
Puoi far ridere con una battuta, puoi inventare una scenetta, puoi stupire intagliando il legno, puoi riscaldare accendendo il fuoco, puoi riparare dalla pioggia costruendo un rifugio con un telo e due rami.
Puoi parlare o stare zitto, puoi usare le mani o lo sguardo e dare una mano: puoi fare quello che vuoi, purchè serva.
E tutto questo non lo fai per te solo, per emergere, per vincere, ma per contribuire al gruppo, per rinsaldare l'amicizia, per appianare gli attriti, per rinforzare l'equilibrio di cui si ha bisogno per andare avanti, cavarsela, superare le avversità.
Non si è più soli, quando si vivono esperienze così.
Non ditemi che non è bellissimo, non ditemi che non ne abbiamo bisogno.