giovedì, maggio 28, 2009

Macbeth..."forse ci siamo tutti dentro".

Un palco scuro ed opprimente ospita in primo piano, sulla sinistra, l'arredamento di un camerino da attore, di quelli resi familiari dai film americani degli anni '30 - con tanto di specchio con le luci e lavandino vero (in cui i due coniugi complici tenteranno invano, di continuo, di lavare via il sangue versato a fiumi che incrosta le loro mani).

Qui i Macbeth vengono a vestirsi, a cambiarsi, a travestirsi per il successivo passo sulla strada della conquista del potere. A destra, come abbandonato e dimenticato, un cumulo di polverosi oggetti da palcoscenico, gettati alla rinfusa.
La scena è cosparsa di terra, e la polvere movimentata dai personaggi si aggiunge ai fumi delle scene che prevedono la comparsa delle streghe. Il letto dei Macbeth, quando appare, ospita la loro febbricitante, eccitata ansia di potere: ed i tre specchi rilanciano, moltiplicata ed ingrandita, la loro bruciante voglia di essere tutto e sopra tutto, od ospitano le visioni evocate dalle streghe.

La q
uinta più lontana ospita i due eventi più tragici: il corpo del re di Scozia, lacerato dalle coltellate di Macbeth, giace in alto, in cima ad una sorta di immensa pira rossa come il sangue sui coltelli delle guardie (ma era così difficile mettere il povero attore nelle condizioni di non dover rappresentare un cadavere che muove ripetutamente la mano intorpidita?:-))).
E poi, tremendo e impressionante, velato e distante eppure capace di dare i brividi, il suicidio per impiccagione di una Lady Macbeth ormai corrosa dalla follia, nella sua veste bianca ed eterea come la sua mente perduta.

La rappresentazione non rispetta la collocazione temporale della tragedia pensata da Shakespeare: Lavia la riposiziona in una Scozia che si può collocare (desumendolo da ambientazioni, vestiti ed uniformi, e dalla presenza di armi automatiche) tra gli anni '30 del secolo scorso e la seconda guerra mondiale.

Curiosamente Macbeth irrompe dapprima in scena con un mitra, quando è soldato lealista contro la ribellione del conte di Cawdor;
poi uccide il re Duncan, come da copione, con due coltellacci da macellaio: ma, alla fine, viene ammazzato da MacDuff con un colpo di pistola automatica, salvo poi avere la testa tagliata per l'esibizione al nuovo legittimo sovrano, come da versione originale: il che dà un certo senso di straniamento e richiama atmosfere da guerre balcaniche...

Il Macbeth di Lavia, quando diventa re usurpatore, è quasi clownesco, col viso inceronato e gli stivaletti col tacco alto (scomodissimi) alla Elton John, ed un immenso cappottone di fintapelle che gli sta largo come la sua ambizione. Dapprima è pavido, puerile, incerto di fronte alla determinazione della sua diabolica consorte: ma poi inarrestabile, spaventoso nell'ordinare morte e distruzione.
Giovanna di Rauso è una Lady Macbeth ad alto tasso erotico e insieme androgina, dalla corta zazzera bionda: è spietata, a tratti stridula nella sua brama di potere. Poi diventa una nuda bambola meccanica dal meccanismo inceppato, quando la follia se ne impadronisce e rende permanenti e indelebili sulle sue mani le tracce di sangue, versato per giungere al culmine di un potere assoluto quanto desolato.

Sono giovani attrici le tre streghe sensuali e barbute, seducenti e sinuose, che segnano con le loro predizioni l'inizio della ambizione e la sua stessa tragica fine, indicandola nitidamente con le stesse visioni da cui Macbeth si sente erroneamente rassicurato.
Si perdono, in ruoli oscurati dal mattatore e quasi indistinguibili per rilievo, gli altri attori, re, amici, nobili ed eredi, cortigiani...
Lavia occupa inesorabilmente tutto lo spazio scenico, lo pervade e mette in ombra il resto: gigioneggia, si muove e si espande con una maestria ed una agilità invidiabile per i suoi 67 anni. Ma ad un mostro sacro come lui lo si perdona con piacere.


Qui e qui potete trovare una sintesi della tragedia di Shakespeare (ma nella prima recensione c'è un errore storico vistoso: "Macbeth" non è ambientata ai tempi del regno di Giacomo I di Inghilterra, a cavallo del 1600, ma ispirata alla storia di Macbeth di Scozia che regnò tra il 1040 ed il 1057).

Vi segnalo anche questo interessante
post di Lucrezia Lanza che descrive l'atmosfera che si respirava durante le prove aperte dello spettacolo svoltesi a Pisa a gennaio di quest'anno.

PS: la frase del titolo del post è tratta dalla presentazione - peraltro quasi completamente incomprensibile:-) - predisposta da Lavia stesso allo spettacolo.

Macbeth di William Shakespeare, nella traduzione di Alessandro Serpieri, per la regia di Gabriele Lavia.
Interpreti: Gabriele Lavia (Macbeth), Giovanna Di Rauso (Lady Macbeth), Maurizio Lombardi (Duncan, prima apparizione), Biagio Forestieri (Macduff), Patrizio Cigliano (Malcom), Mario Pietramala (Banquo), Alessandro Parise (Ross), Michele DemariaDaniel Dwerryhouse (Donaldbain, seconda apparizione), Fabrizio Vona (Lennox), Andrea Macaluso (Angus, Dottore), Mauro Celaia (Cawdor), Giorgia Sinicorni (prima Strega, Cameriera, Sicario, Vecchia), Chiara Degani (seconda Strega, Cameriera, Sicario, Vecchia), Giulia Galiani (terza Strega, Cameriera, Sicario, Vecchia).
Le scene sono di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti, le musiche di Giordano Còrapi e le luci di Pietro Sperduti.
Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia Lavia Anagni, sarà replicato al Carignano fino a domenica 31 maggio 2009.

La nostra voce dal cassonetto

Antefatto: Su una mailing list dedicata ai Comitati Genitori attivi nel mondo della scuola, è apparso un post di un genitore disperato alle prese con un docente "inadeguato". Poichè situazioni del genere si presentano in ogni scuola, incluse quelle frequentate dai miei figli, e in genere non esiste soluzione (normalmente il dirigente scolastico, allargando le braccia, dice "fosse per me lo caccerei via, ma sa, questi maledetti sindacati..."), vorrei porgervi alcune mie riflessioni al riguardo.

In un mondo ideale, in uno Stato ideale, esisterebbe una particolare attenzione a questi problemi: e le persone che cadono in uno stato di debolezza e di vulnerabilità , dopo aver offerto magari egregiamente per decenni i propri servigi alla comunità, sarebbero aiutate a mantenere dignità, rispetto e risorse per vivere offrendo loro ruoli adeguati al nuovo stato, al nuovo equilibrio precario in cui si trovano.
Ma qui siamo in uno Stato reale, corroso dal mito spietato (e spesso mendace) della competizione. Ed oltre il ring su cui si combatte non c'è nulla, c'è l'abisso, c'è la notte della miseria e dell'esclusione.
C'è chi - per motivi che possono capitare a tutti - inciampa in problemi di salute, di vita difficile. E c'è chi - perchè accade - ha proprio sbagliato strada, perchè nessuno ha saputo o osato dirgli di guardarsi dentro con sincerità al momento giusto, e anche se continuasse mille anni non sarà mai un bravo studente/docente/ genitore, se nessuno gli da una mano a cambiare percorso. Oppure, semplicemente, c'è chi ha esaurito la propria spinta motivazionale, si è stufato di fare quello che fa, ma non può cambiare perchè è in chiuso in trappola dal bisogno, dalle sbarre fatte di affitto/pranzi e cene/bollette/ mutuo...in questo mondo, chi è in difficoltà rimane quasi subito SOLO.
A chi perde il passo (studente, docente, genitore), non resta dunque che resistere disperatamente, attaccato alle corde, piegato sulle ginocchia, perchè è meglio esistere così (umiliandosi, soffrendo per primi per la propria condizione) che non esistere più, scomparire, esser buttati fuori. Bollato come "inadeguato" , o peggio, "fannullone" , l'unica via che resta è resistere oltre ogni "ragionevolezza" .
La situazione così diventa catastrofica per tutti, soprattutto se hai il compito di creare e sviluppare relazioni con persone che dipendono da te, ma non c'è salvezza.
O meglio, si: c'è quella più semplice, quella che si sta adottando oggi. Spostare i "problemi sociali" fuori dalla porta. Ignorando che dentro i "problemi sociali" ci sono le persone, fatte di carne ed ossa, di bisogni e di sofferenze, di emozioni e di speranze. E se non bastano le porte che ci sono, costruirne di nuove.
E allora lo studente "perduto" capirà da solo che non è più il caso di iscriversi a scuola, dove sempre meno persone avranno sempre meno tempo per occuparsi di capire come ridare un senso al suo percorso, perchè Barbiana è ormai un luogo mitologico che forse non è nemmeno mai esistito per davvero.
Il docente in difficoltà non verrà più chiamato dal "dirigente con ampi poteri" conferitigli a breve dalla visione Aprea: la scuola sceglierà i docenti migliori, che sceglieranno gli studenti migliori. Per la gioia di tutti, incluse le famiglie (ognuna delle quali pensa, ovviamente, di aver diritto al meglio e di entrare senza dubbio nel novero della parte più privilegiata della società).
Le famiglie migliori (quelle che potranno esserlo, sfuggite per caso alla morsa della crisi o a "problemi sociali") applaudiranno. Le altre, semplicemente scompariranno dalla scena (fino a quando non decideranno di riprendersela) , nella stessa oscurità in cui si muoveranno gli studenti ed i docenti (e tutte le altre categorie sociali decadute) "non all'altezza" .

Soluzioni? No, non ne ho. Ma ho paura di un mondo in cui non è sufficiente essere persone per avere il diritto ad "esistere". Un mondo in cui, se non rispondi più agli standard, ti guardano allargando le braccia e ti prenotano per la rottamazione, indicandoti semplicemente la porta. Dove un diritto "forte" (il legittimo diritto di avere insegnanti capaci, bravi, appassionati per i propri figli), incrociando un altro diritto "forte" (la resistenza sindacale che inchioda la persona inadatta al posto ormai sbagliato, perchè è l'unico modo di farla sopravvivere) , schiaccia senza speranza i diritti deboli (il diritto dei ragazzi di avere una educazione adeguata, il diritto di ogni persona di svolgere un lavoro adeguato alle proprie capacità ed alle proprie condizioni).

Così l'unica cosa che si può fare (e che si fa normalmente) è spostare a rotazione il "fardello umano" costituito dal docente "inadeguato" (o dall'impiegato "incapace"), scontentando tutti, aumentando il livello di ostilità ed insoddisfazione reciproca. Ed alimentando le pulsioni peggiori, quelle che vedono le persone come merci che vanno gettate via non appena scadono, o quando non servono, o quando fanno paura, o quando ci rendono complicata la vita perchè ne alterano l'equilibrio. Il docente inadeguato e lo studente svogliato considerati come i clandestini, insomma: da respingere, da portare fuori dalla nostra vista.

Dovremo dunque, tutti insieme, ingegnarci per trovare una soluzione diversa dal semplice "escludere": e per farlo occorre iniziare a ragionare in modo più complesso, ad abbracciare non solo l'orizzonte del nostro presente, ma considerare che esiste anche quello degli altri. Capire che se l'altro - chi entra in relazione con noi - ha un problema, forse è meglio ragionare con lui su quale sia la possibile soluzione: avvicinarsi all'altro, interessarsi dell'altro, non allontanarsene lasciandolo solo con il "suo" problema. Così forse troveremo una soluzione umana, equa, giusta, ragionevole per tutti: o almeno potremo dire di averci provato.

La qualità (della vita, dell'educazione, delle merci, dei servizi) è una aspirazione
occidentale interiorizzata e di cui siamo orgogliosi, ma dobbiamo chiarirci bene sul prezzo umano che siamo disposti a pagare per averla.
Perchè se siamo disposti a "rottamare gli inadeguati e gli inutili", dobbiamo avere ben chiaro che un giorno potrà toccare a noi, diventare vecchi, deboli, poveri, rincoglioniti e non efficienti: e se avremo accettato l'idea - quand'eravamo potenti e forti - che chi non funziona viene buttato via, scopriremo con terrore che nessuno, quando verrà il nostro turno, avrà più voglia di ascoltare la nostra fiebile voce che esce dal cassonetto.

martedì, maggio 26, 2009

Non lasciarsi trarre in inganno dalla...realtà

Me lo dico con una frequenza ossessiva, ma poi ricado sempre nell'errore.
L'errore è quello di credere che "essere informati" significhi avere una rappresentazione il più completa possibile, anche se sgradevole, della realtà.
E indicando quindi come "necessario" stare dentro la realtà, dedico tempo ed energie ad ingurgitare quella immondizia che oggi viene spacciata per informazione.
E poi, ancora, dedico tempo ed energie a giustificare e comprendere il divario tra la realtà che viene rappresentata dall'informazione, e quella che percepisco come mia personale rappresentazione della realtà.
Si, è vero, ci sono fonti di ogni tipo disponibili, in rete o fuori, per "farsi un'idea".
Si, è vero, è sempre possibile recuperare le prove della natura arrogante e bugiarda di qualsiasi potere, dimostrare che ci stanno ingannando.
E' sempre possibile trovare una rappresentazione minoritaria della realtà, dosando opportunamente le fonti, che risponda in fondo alle "aspettative" riguardo al proprio modo di vederla, la realtà.
Ma anche questa, in fondo, è intossicazione.
Un'intossicazione che ci estenua, e ci impedisce infine di crearla, la realtà.
Inseguire le rappresentazioni che ci vengono proposte al fine di trovare quella più "corretta" è, in fondo, uno sforzo insensato. Titanico ed insensato.
Così, per l'ennesima volta, mi dico che sono stanco. Stanco di leggere "notizie", di informarmi, di "conoscere" cazzate, di apprendere l'ultima menzogna del neoduce, di angustiarmi con le ultime previsioni sulla crisi, di indignarmi per la ennesima campagna xenofoba e razzista, di leggere dell'ennesimo morto ammazzato sul lavoro, dell'ennesimo corrotto, dell'ennesima ipocrisia clericale.
Tutto questo non mi serve, non ci serve a nulla: perchè a nulla serve, oggi, disporre della rappresentazione di una realtà su cui non è possibile incidere, ma che ci è fornita solo per costringerci all'interno di essa, per impedirci di uscirne.

Faccio alcuni esempi.
Il referendum sulla legge elettorale "porcata". Ci si è fatti il mazzo per mesi per individuare i quesiti, raccogliere le firme, fare in modo che si potesse far esprimere ai cittadini il proprio giudizio su una delle leggi più vergognose mai viste in occidente.
Ed ora, è bastato che il neoduce dicesse "a me conviene che vinca il sì" per far si che in pochi giorni tutto quel lavoro sia stato mandato al macero, che le tesi pro referendum siano state giudicate insensate da molti dei promotori, che ora il massimo dell'opposizione possibile sia far fallire il referendum perchè - probabilmente - "è più bello mettersela nel culo da soli che dare la soddisfazione a lui" (scusate il francesismo). E già che ci siamo, vogliamo farci mancare l'usuale sberleffo a quei coglioni del PD, rei di "non cambiare opinione" dopo averne discusso e votato?

La distruzione della scuola pubblica. Nonostante le impressionanti mobilitazioni di ottobre, e i lodevoli tentativi di resistenza da parte di onde, comitati e sindacati di base, il processo di devastazione sta andando avanti senza fare un plisset, toccando domani le medie, le superiori e le università, dopo aver già iniziato lo smantellamento della miglior primaria pubblica d'Europa. La rassegnazione e lo sconforto si irradiano ogni giorno di più tra chi tenta di mobilitare coscienze assenti e distratte, o realmente preoccupate in prevalenza da problemi di carattere quotidiano (dal peso dello zaino al "chi mi piglia il bambino il giovedì").
Sappiamo tutto e benissimo, su questo argomento: cosa sta accadendo, cosa accadrà. Quello che si perderà per sempre, in modo irreversibile. Eppure la nostra capacità di incidere, nonostante la rappresentazione di questa porzione della realtà sia perfetta, è diventata nulla. Dove per "nostra" intendo riferirmi ad una minoranza informata ed attenta alle cose che accadono nel paese - e ovviamente contraria a buona parte di esse per ragioni di cultura e sensibilità.

Questo Governo ha deciso che hanno legittimità solo le istanze rappresentate da se stesso e dalla propria visione della realtà: il resto non conta e non va ascoltato. In questo contesto, risulta chiara l'insofferenza non solo verso l'opposizione, ma verso il concetto stesso di "equilibrio dei poteri", e quindi l'attivo depotenziamento (e sputtanamento) dei poteri legislativo e giudiziario, che l'esecutivo vorrebbe riassumere in sè.
Questo cambio di paradigma - che è di fatto il passaggio da un sistema democratico ad uno che non lo è più - ha mandato in crisi il sistema di rappresentanza a cui eravamo abituati da tempo.
Bene o male, prima, qualcuna delle istanze poste dalle "minoranze" non allineate alle idee dominanti prima o poi veniva recepita. Ora no, è finita. Non contiamo più nulla, perchè chi ha in mano il gioco ha cambiato e sta cambiando le regole, e di certo non è venuto a chiederci se siamo d'accordo.
Possiamo anche prendercela (se ci solleva) con la sinistra che non ha capito, con il PD "che è il principale responsabile di tutto questo", con chi ci pare, ma il risultato finale non cambia. Non abbiamo più strumenti, a livello nazionale, per opporci al cambiamento delle regole, ed il cambiamento delle regole ci mette fuori gioco.

Ed anche invocare le maximobilitazioni, di fronte a questo scenario, serve a poco. Qualcuno ricorda ancora i due milioni e passa di persone scese in piazza con la CGIL il 4 aprile? Se anche non fosse giunto il terremoto a cancellare tutto dal panorama mediatico, io credo che egualmente, oggi, di quella manifestazione, di quella asserzione, di quello sforzo organizzativo non rimarrebbe nulla, così come nulla resta delle manifestazioni dell'autunno contro il progetto Gelmini/Tremonti.

Dunque, che fare?
Proprio per evitare che lo scoramento e la depressione ci tolgano le ultime energie, io credo che sia sempre più importante recuperare un ambito di azione in cui esista un minimo di relazione tra le energie profuse ed i risultati raggiunti.
Credo sia importante impegnarsi in progetti di cui possiamo essere artefici e protagonisti, di cui possiamo misurare gli effetti reali. Occuparsi di cose, fare cose che nascano e crescano dalla relazione con le persone che ci stanno vicine (e non intendo necessariamente in senso geografico).
Riappropriarsi insomma di una realtà in cui davvero esistiamo e contiamo, in cui possiamo incidere come protagonisti, ed in cui non siamo costretti ad essere solo spettatori passivi.
Se non possiamo impedire la deriva verso il totalitarismo a livello nazionale, possiamo sviluppare reti di resistenza locale che vadano in senso opposto a quello che vediamo intorno a noi.
Possiamo far politica nei piccoli centri, proporci per amministrare comunità, costruire progetti di solidarietà, immaginare e realizzare progetti reali di risparmio energetico, di un uso diverso della terra e dei suoi frutti.Immaginare e realizzare servizi alle persone innovativi, equi, solidali.
Son cose che si possono fare e che molti già fanno:e che ridanno fiducia nei propri mezzi, nella capacità di immaginare e realizzare un mondo possibile assai diverso da quello che leggiamo sui giornali, e che abbia al centro le persone con i loro bisogni reali.
Se riusciamo a mettere in pratica, almeno in parte, il mondo che sogniamo, almeno nei rapporti con le persone che ci sono più prossime, ci sono buone possibilità che quel mondo inizi ad esistere. Ed a diffondersi come un esempio.
Questo non ci salverà dal disastro collettivo di questo paese, ma ci consentirà di sapere da dove cavolo ripartire quando sarà il momento.

martedì, maggio 19, 2009

ESCLUSIVO - Il testo del discorso con cui Berlusconi riferirà in Parlamento sul caso Mills

"Riferirò in Parlamento", ha detto il Presidente del Consiglio alla notizia della pubblicazione delle motivazioni della sentenza Mills.

Possiamo fornirvi in esclusiva - grazie ad un suo anziano collaboratore in preda ad una crisi di coscienza - il testo del discorso che pronuncerà.

Signori!
Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere, a rigor di termini, classificato come un discorso parlamentare. Un discorso di questo genere può condurre, ma può anche non condurre ad un voto politico. Si sappia ad ogni modo che io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi.

Sono io, o signori, che levo in quest'aula l'accusa contro me stesso.

Veniamo da una campagna giornalistica, immonda e miserabile, che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! C'era veramente un accesso di necrofilia! Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma si mentiva.
E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna.
Tuttavia io continuo nel mio sforzo di normalizzazione e di normalità. Reprimo l' illegalismo.

A tutto questo, come si risponde? Si risponde con una accentuazione della campagna. Si dice: il governo è un'orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento di banditi e di predoni!

Si inscena la questione morale, e noi conosciamo la triste storia delle questioni morali in Italia.
Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.
Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda!

Se il governo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!

Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.

In questi ultimi giorni molti cittadini si domandavano: c'è un Governo? Ci sono degli uomini o ci sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignità come uomini? E ne hanno una anche come Governo?

Io ho voluto deliberatamente che le cose giungessero a quel determinato punto estremo, e, ricco della mia esperienza di vita, in questi sei mesi ho saggiato il Partito; e, come per sentire la tempra di certi metalli bisogna battere con un martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini, ho visto che cosa valgono e per quali motivi a un certo momento, quando il vento è infido, scantonano per la tangente.

Ho saggiato me stesso, e guardate che io non avrei fatto ricorso a quelle misure se non fossero andati in gioco gli interessi della nazione.

Ma un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere! Il popolo vuole specchiata la sua dignità nella dignità del Governo, e il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura è colma!


Voi vedete da questa situazione che la sedizione dell'opposizione ha avuto profonde ripercussioni in tutto il paese. Allora viene il momento in cui si dice basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza.


Non c'è stata mai altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai. Ora io oso dire che il problema sarà risolto. Il Governo ed il Partito, sono in piena efficienza.

L'Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa.


Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l'amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario.


Voi state certi che nelle quarantott'ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l'area.

Tutti sappiamo che ciò che ho in animo non è capriccio di persona, non è libidine di Governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria.

"Piuttosto che dimettermi vi racconto un altro quintale di panzane..."

"Mentì per salvare Berlusconi"
Le motivazioni della condanna di Mills

MILANO - L'avvocato inglese David Mills è stato condannato a Milano a 4 anni e 6 mesi per corruzione in atti giudiziari perchè agì "da falso testimone" - si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna -"per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità dalle accuse, o almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati".

(19 maggio 2009)

I semi del passato

La quantità di cattiveria e di malignità che questo governo ha liberato dalle viscere degli italiani - per altro ben predisposte a donare il peggio - e messo in circolo nelle vene del Paese è tale che ormai qualsiasi tentativo di discussione, su qualsiasi argomento, diventa mera occasione per scatenare l’ennesima aggressione condita di improperi e suoni gutturali.
Il ritorno all’età della pietra è ormai quasi concluso: ridotto ai minimi termini il linguaggio, il passo successivo è il bastone, e le ronde sono l’anello di congiunzione tra il mondo civile che pensavamo di essere e la barbarie che, come popolo, abbiamo rivelato stracciando ogni velo di copertura.

Ogni giorno ci indicano nuovi nemici, e il popolino scemo, a comando, volge il ghigno osceno verso le nuove vittime, ululando e agitando i pugni.

Il popolo più “bastardo” e contaminato d’Europa, figlio di un gran numero di madri al seguito di un immenso esercito di invasori di ogni origine giunto qui nei secoli, ed il popolo che ha disperso i propri figli nel mondo in misura eguale a quelli che son rimasti qui, d’improvviso scopre voglia di “purezza etnica”, fa lo schizzinoso, si impaurisce, nega di esser simile per storia a quelli che ora vorrebbe respingere con chiassoso disprezzo. E nemmanco si vergogna di sé.

I ministri ormai sbraitano ed offendono chiunque senza ritegno, comportandosi peggio del peggior ubriacone da bar: tanto che si rende quasi necessario, ogni tanto, un passaggio nelle bettole degli angiporti per rinfrancar le orecchie. La Russa, Maroni, Bondi, Sacconi interpretano quotidianamente il potere come una sorta di gara di rutto libero.

La menzogna è a tal punto pratica quotidiana che non ci sono nemmeno più le energie per denunciarla, e perché ogni denuncia provoca un’altra marea di menzogne.

Ogni richiamo a “valori etici” produce sprezzanti pernacchie, sberleffi e gesti dell’ombrello, ad ogni livello: dalla bancarella del mercato alle sedi istituzionali.

Eppure, salvo gli amici con cui condivido questa angoscia, vedo intorno a me che la normalità dell’esistenza consiste nell’ignorare la distruzione di tutto ciò che era “noi”, accontentandosi di piccoli recinti individuali purchè vi sia lo spazio per i feticci che ancora ci concedono: pillole di benessere materiale che non si è disposti a perdere per nulla al mondo. Lavori idioti, automobili, televisori, le discussioni guidate dai media sono quel che ci resta di quel che eravamo e – forse – non siamo mai stati davvero, se lo sfarinamento della nostra anima è stato in fondo così rapido.

Io non riesco a capire da quale passato si sia generato questo orribile presente, ma credo che questo orribile presente stia bruciando ogni possibile idea di futuro di questo paese.

Ho adempiuto fin qui al mio compito di cittadino e genitore, e ne sono orgoglioso: ma a questa mia figlia che entra nei suoi 18 anni come una persona educata, rispettosa, consapevole, entusiasta non posso che augurare la fuga, prima che le esalazioni mefitiche i questo paese “incolto, depresso e corrotto, che questo governo rappresenta e alimenta”, come dice Adriano Prosperi su Repubblica di oggi, cancellino la sua legittima speranza di “essere”.

Fuggi, figlia mia, e poi fuggi anche tu, giovane figlio mio, mossi i tuoi prossimi passi in una scuola superiore che presto sgretoleranno come stanno facendo con le altre: perché sicuramente altrove esiste un posto dove poter coltivare la speranza. Un posto dove il male stia confinato nei suoi recinti fisiologici, guardato a vista dal bene, e non sia ancora lasciato libero di dilagare, e addirittura nutrito, coccolato, vezzeggiato.

Noi rimarremo qui, a pagare il prezzo di non aver visto né capito per tempo cosa diavolo ci stava accadendo. Dobbiamo pagare, perché abbiamo pensato che bastassero, a difenderci, il rispetto reciproco e i pochi baluardi che pensavamo solidi: la Costituzione, la Scuola Pubblica, i diritti conquistati negli anni Settanta.

Abbiamo visto trasformare in macerie quel che i padri avevano costruito. Abbiamo visto i moderni fascisti rialzare la testa, e riprendere in mano il paese con metodi nuovi e molto più efficaci.

Ma abbiamo dentro di noi i semi di un passato che sembrava civile.

Come i resistenti di “Fahrenheit 451” imparavano a memoria i libri che il governo bruciava, - per conservare e trasmettere la cultura che sarebbe altrimenti andata perduta- abbiamo il dovere di conservarli per un futuro che non siamo più capaci di immaginare.

Qualunque cosa accada.

martedì, maggio 12, 2009

Balle, balle, balle, sempre e fortissimamente balle.

Da MaledettoBugiardo.SenzaPudore.it:
"Non c'è quasi nessuno sui barconi che ha diritti d'asilo".

Da Repubblica.it:
"Secondo i dati dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, nel 2008 oltre il 75% di coloro giunti in Italia via mare ha fatto richiesta di asilo e al 50% di questi è stata concessa una forma di protezione internazionale. Più del 70 % delle circa 31mila domande d'asilo nel 2008 in Italia provenivano da persone sbarcate sulle coste meridionali del Paese."

Sarà una risata che lo seppellirà...


...ma non sarebbe male aggiungerci anche un fracco di legnate!:-)

Caracalla e Silvio

Caracalla decise, con la "Constitutio Antoniniana de civitate" nel 212, di concedere la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi inclusi nei confini dell'impero. Probabilmente non si trattò di un autentico afflato egualitario, ma di uno stratagemma per allargare la base imponibile per le tasse.

Il Nostro dice invece che "la nostra idea dell'Italia non è multietnica", e nel contempo incoraggia chi le tasse non le vuol pagare.

Chi diavolo l'ha detto che la Storia procede solo in una direzione?

venerdì, maggio 08, 2009

La strada è ancora lunga e difficile, Presidente Obama...

...e, purtroppo, lastricata di troppi orrori...

E ora?

C'è qualcosa che fa ancora più schifo e paura, di un governo cinico che rispedisce i disperati dritti in bocca all'orrore da cui fuggono, disinteressandosi del loro destino di persone.
C'è qualcosa che fa ancora più vomitare, di quel minus habens razzista che propone di applicare l'apartheid sulla metropolitana di Milano.
E' l'idea che tanti, molti, troppi cittadini di questo paese, quando sentono queste cose, riescano a dirsi "è giusto"! era ora, perbacco!"

Ieri sera, nell'ambito della campagna elettorale per le amministrative di giugno, ho partecipato ad una serata sulla scuola. Ho introdotto l'intervento dell'Assessore Regionale all'Istruzione riepilogando le forme dell'attacco finale alla scuola pubblica sferrato da questo governo: la finanziaria 2008, con 7,8 miliardi e 142.000 dipendenti tagliati. La legge 169/08, ex Decreto Gelmini. La proposta di legge Aprea, il colpo finale, che distruggerà l'idea stessa di scuola pubblica e statale aprendo gli organi di governo della scuola ai finanziatori privati, trasformando l'educazione pubblica nazionale da diritto a semplice merce, punendo i docenti e lasciandoli alla mercè del mercato, cancellando quasi totalmente ogni forma di partecipazione di genitori e studenti.
L'Assessore ha raccontato brutalmente la realtà: per quest'anno le Regioni sono riuscite a salvare molte scuole ottenendo deroghe, i dirigenti scolastici stanno facendo alchimie numeriche per mantenere il servizio scolastico in termini almeno di orario. La qualità no, quella è già perduta, e la nostra scuola elementare (una delle poche cose di cui potevamo vantarci in Europa) verrà umiliata, ridimensionata. I prossimi anni sarà difficile salvare ancora le scuole piccole, gli esperimenti, le specificità: tutto tritato nel calderone ideologico di un "risparmio" che colpisce uno dei beni più importanti di un paese, il SAPERE.

Alla fine della serata, dal pubblico, è intervenuto un signore francese che vive da poco nel nostro paese (che scelta coraggiosa...)
Si è (e ci ha) chiesto semplicemente: "ma se poi alla fine tutto questo colpisce i vostri bambini ed i vostri ragazzi, che avranno una scuola peggiore, perchè gli italiani lo accettano senza protestare?".
Gli abbiamo risposto che ad ottobre ci sono state imponenti manifestazioni contro la trasformazione in legge del Decreto Gelmini, e che buona parte dei docenti e dei genitori è contraria a quanto sta accadendo.
"A ottobre? sei mesi fa? ed ora? io guardando la tv italiana non ho mai sentito nè capito nulla di quello che avete spiegato stasera".
Ed ora? Ed ora nulla. Abbiamo allargato le braccia, provando un po' di vergogna. Troppo difficile spiegare ad un europeo come si vive in un paese che ha deciso di impiccarsi da solo, e chiede al proprio governo di insaponargli la corda.

giovedì, maggio 07, 2009

La Romania che non conoscevamo

Se innumerevoli sono le testimonianze letterarie disponibili su come si viveva nel totalitarismo sovietico ( e più che alla penna di Solgenitsin penso allo sguardo dissacrante di Viktor Pelevin, di cui è doveroso leggere lo splendido "Omon Ra"), ben più difficile è avere testimonianze su come si viveva negli stati satelliti di quell'impero, ed in particolare in quello dominato dal delirante Ceasescu (nel quale, ripensandoci oggi, dobbiamo riconoscere innumerevoli e inquietanti tratti preberlusconiani: dal culto della personalità alla volontà di controllo totale del pensiero e della vita dei governati, dal mito delle "new town" - con conseguente deportazione forzata dalle campagne - all'insofferenza per qualsiasi tipo di critica).
Vi consiglio la lettura, a questo proposito, di
"Il Re Bianco", di Gyorgy Dragoman: è il suo primo romanzo pubblicato in Italia (da Einaudi). Nato nel 1973 in Romania, esponente della minoranza ungherese perseguitata dal regime, Dragoman vive in Ungheria dal 1988.

La vicenda si svolge in una città imprecisata della Romania, e la presenza di un episodio in cui si parla dell'incidente di Chernobyl la colloca temporalmente nella seconda metà degli anni Ottanta.
Dzsata ha undici anni, quando gli agenti della Securitate, sotto le vesti di compagni di lavoro, portano via da casa suo padre.
Il ritorno del padre, previsto entro una settimana, subisce ritardi sempre più ingiustificabili, fino a quando diventa chiaro che non si trattava di "lavoro", ma di "lavori forzati": per aver firmato un manifesto contro il regime, è stato mandato a scavare il Canale tra il Danubio ed il Mar Nero, soprannominato il "Canale dei Morti" a causa del sacrificio di migliaia di prigionieri politici morti a causa delle massacranti condizioni di lavoro.
La madre di Dzsata è ebrea, ed è odiata dal suocero che - a causa della "sovversione" del figlio, che considerano istigata da lei - perde repentinamente la condizione di potente elemento della nomenklatura cittadina del Partito: la vita di tutti si fa difficile, ma Dzsata tenta di proteggere la madre, di non darle altri pensieri oltre a quelli -devastanti - legati alla scomparsa del marito.
Anche lo stesso Dzsata, in quanto figlio di un elemento politicamente inaffidabile, vive la sua esclusione ufficiale dalle strutture giovanili previste dal Partito, salvo esservi ammesso clandestinamente quando le sue qualità sportive diventano utili.
Dzsata vive la sua vita di ragazzino in una società dominata dalla crudeltà e dalla violenza, figlie dell'oppressione e di una società che ha perso il proprio senso morale. I suoi amici ed i suoi coetanei usano il coltello con disinvoltura: picchiano duro, rubano e terrorizzano.Eppure Dzsata conserva la sua innocenza di bambino: sogna, gioca, spera, si indigna, resiste. Gode di quel che riesce a strappare ad un mondo cupo, con il cuore limpido ed uno sguardo solare che attraversa il fango ed il degrado senza contaminarsi, nonostante i ruoli terrificanti rappresentati dagli adulti: i professori che mentono e spaccano le ossa, gli allenatori sadici, il nonno ormai prossimo alla follia causata dall'esclusione sociale.
Scopre la bellezza e l'umanità negli esclusi (l'operaio col volto devastato dal vaiolo), la riconosce, se ne nutre per sfuggire al disastro.
Memorabile il lungo capitolo finale dedicato al funerale del nonno, che il Partito celebra nel segno della menzogna: denso di colpi di scena, di emozioni, di momenti comici e grotteschi.

Libro utile per comprendere cos'era uno stato totalitario in cui le persone avevano abdicato al pensiero ed all'umanità: per capire, anche, cosa stiamo rischiando di diventare. E, al contempo, per mantenere la speranza in chi è puro.

lunedì, maggio 04, 2009

Un "tragico incidente"...

...che sfugge via, subito, scivolando sulla cattiva coscienza della nazione e lungo le home page dei quotidiani.
Non sappiamo come si chiamasse, la ragazza di 14 anni uccisa ad Herat, in Afghanistan, dai nostri soldati. Non c'è un nome, non ci sono foto di lei (salvo quella dell'auto con il lunotto sfondato): non ci sarà neppure cordoglio, salvo quello finto del Ministro Frattini che dà la colpa ai terroristi (sono stati loro a premere il grilletto?).
E' una delle decine di vittime delle guerre dimenticate. E va dimenticata, anche lei.
Ci sono cose ben più importanti di cui parlare, a partire dal priapismo del Presidente del Consiglio. Scompaiono così dalla memoria e dalle coscienze la tragedia del Pinar e la giovane donna incinta, abbandonata su una scialuppa in attesa del risveglio delle coscienze dei governanti italiani e maltesi.
E le duecentotrentasette persone (senza nome nè passato, di cui è rimasto solo questo numero assurdamente preciso) che hanno perso la vita poco più di un mese fa, nel Mediterraneo.

Questo è solo quel che conosciamo. Quel che, di tanto in tanto, sfugge al clamore inutile, o viene servito per qualche giorno (o qualche ora, come la notizia in apertura) per variare il menù delle emozioni a comando.

Tra veline e fettine, masticate distrattamente davanti al televisore, muore l'UOMO, inesorabilmente, da entrambe le parti dello schermo.

Abuso di armi di distrazioni di massa

Ecco, solo poche settimane dopo lo sgomento pieno di parole che fece del terremoto in Abruzzo un pretesto per stringersi in un falso e velenoso "volemose bene", confondendo vittime e indiretti carnefici; e solo alcuni giorni dopo aver appreso che saremmo morti in tanti, tantissimi per la pandemia, siamo ora sconvolti dall'uragano Lario, che scopre con parole allarmate che razza di uomo si è tenuta al fianco per anni (ma fino ad ora, ha vissuto con un sosia? con una controfigura?), peraltro con un livello di condivisione di spazi e tempi infinitamente inferiore a quello di una famiglia normale (il che ha probabilmente diluito il dolore).
E così bocche e cervelli si affollano di nuovo di tutto il possibile pur di non lasciare spazio alle cose importanti: l'interrogarsi sulla vita e sul senso di essa, l'interrogarsi su se stessi e sulla propria strada.
Anche l'occasione della crisi (che coloro che furono incapaci di prevederla dichiarano ormai conclusa e superata senza conseguenze) rischia di essere perduta: i meno consapevoli ne usciranno più poveri e più ignoranti, meno liberi e meno riconosciuti.
Mentre scivoliamo nel gruppo dei paesi "non più pienamente liberi" rispetto alla libertà di stampa, quel che la maggioranza silenziosa chiede non è più verità, più attenzione: ma un maggior livello di erogazione della droga mediatica, per dimenticare tutto, per sempre, ed evitare la fatica di esistere.