domenica, gennaio 31, 2016

Il mio Iran/2

Si, del traffico di Teheran avevamo letto, ed anche dei suoi tassisti.
Ne parla, in modo spassosissimo, l’inglese Elliot nel suo resoconto relativo a diversi viaggi in Iran, condensato nell’interessante “Specchi dell’invisibile”.

Possiamo confermarlo: il pericolo più grosso che corre uno straniero in Iran è nell’attraversare la strada a Teheran. I semafori ci sono, ma non tutelano. Ci sono persino le strisce pedonali, ma dubitiamo che a Teheran qualcuno le abbia mai viste e tantomeno prese in considerazione. Le immense strade a quattro corsie sono percorse dal doppio dei flussi veicolari, che tendono a riempire ogni spazio disponibile.

L’unico modo per attraversare (possibilmente affiancati ad un indigeno che protegga dal rischio immediato di morte) è superare un flusso per volta, senza guardare i conducenti negli occhi per non dare a vedere che li si prende in considerazione (nel qual caso, è ovvio che la vittoria sia del più forte), e muoversi a zig zag con rapidi avanzamenti e spostamenti laterali, per individuare e infilarsi nei varchi, come in un videogame.

Non va meglio se gironzolate nei quartieri residenziali distanti dal centro: visto che si usano dei canali di scolo per pulire le strade, ad ogni incrocio si aprono pericolosi seracchi in grado di inghiottirvi (e fratturarvi gli arti inferiori) alla minima disattenzione.

Le altre grandi città sono assai meno pericolose (hanno grandi viali e spazi a sufficienza per i pedoni), ma Teheran è davvero rischiosa. Alcune guide consigliano, per provare una maggiore ebbrezza, di farsi portare a tutta birra al bazar (da qualunque punto della città vi troviate) con un mototaxi, ma fatelo soltanto se siete alla fine della vacanza.
*
Chiunque sia stato in un paese arabo, e sia incappato in un bazar come Khan-el-kalili al Cairo, o in quello di Marrakesh, ricorda l’esperienza con sofferenza e dolore. Migliaia di persone sorridenti e soffocanti, che nella maggior parte dei casi ti vedono come un bancomat deambulante, ti appellano/invitano/seguono per offrirti un tè che diventa il prologo di una contrattazione assai estenuante, vista la nostra scarsa attitudine al riguardo, anche per l’oggetto più semplice e banale.

Camminare nei bazar iraniani è invece meraviglioso. Nessuno ti tormenta per vendere, a meno che non incroci il tuo sguardo curioso o interrogativo. Puoi gironzolare sereno per ore, e riceverai soltanto sorrisi e saluti, o l’eventuale affiancarsi di qualcuno che si proporrà come guida — ma in modo molto cortese e per nulla insistente.
Comprare sarà un piacere, e la contrattazione sarà ragionevole, sia come punto di partenza che di arrivo, limitando al massimo la parte scenografica (che, se proprio vi manca, siete certi di poter ritrovare in luoghi molto più vicini dell’Iran).

Nessuno urla, infatti, e il bazar è un luogo rilassante e piacevole — in cui non è neppure così semplice perdersi, visto che la struttura è in genere molto geometrica e regolare.
Alla fine, dopo ore passate a zuzzurellare nei bazar iraniani, scoprirete di aver comprato poche cose: esattamente quelle che volevate, soltanto quelle, ed al prezzo che vi aspettavate. Ed avrete una gran voglia di tornarci:-)

(2 — continua)

martedì, gennaio 26, 2016

Il mio Iran/1

L’Iran che racconterò in queste pagine è ovviamente parziale e soggettivo. E’ quel che ho visto e capito in 10 giorni di viaggio (6–15 ottobre 2015), e quindi — inevitabilmente — coglie soltanto frammenti della complessità di quel paese. Un luogo dove la separazione tra la vita pubblica (soggetta alle aspre regole di un potere islamico invadente e intollerante) e quella privata (dove ognuno cerca di essere quel che realmente desidera) è talmente ampia da rasentare la schizofrenia.
Per dire, l’obbligo per le donne di indossare il velo (reintrodotto da Khomeini nel 1980, dopo che era stato abolito con un atto contrario negli anni ’30 del secolo scorso), ed il conseguente tentativo di nascondere le donne e le loro parti “impudiche” alla vista degli uomini, provoca per reazione il fatto che la gran parte delle donne e delle ragazze siano molto più seducenti di quanto accadrebbe se questo obbligo decadesse.
I veli sono diventati colorati, leggeri, fluidi, e scivolano sempre più indietro, fino a raggiungere il limite estremo prima della caduta.
Caduta che avviene spesso, e provoca l’atto di raccogliere i capelli e risistemare il velo, anch’esso seducente.
Dal velo, fuoriescono capelli lunghi e spesso biondi, orecchie ben forgiate, trucchi curatissimi, sopracciglia disegnate ad arte sopra meravigliosi occhi scuri e fondi.
Anche i vestiti sono colorati, fascianti, gioiosi. E così, quel che l’ayatollah vorrebbe evitare (il pericolo della seduzione) diventa gioco e scommessa, e forte e perentoria affermazione di sé, spinta al limite estremo del possibile.

(Si, la “polizia morale” che aggredisce le donne contestando la lunghezza dello jihab o la foggia del vestito esiste ancora, ne abbiamo testimonianza. Così come esistono ancora le aggressioni alle donne con l’acido da parte di alcuni fanatici, sempre per punirle della loro presunta “immoralità”. Ma camminando per le strade delle città, si ha la sensazione che ci vorrebbero ormai migliaia di pasdaran per tentare di arginare il fenomeno. O si nascondono molto bene tra la folla, rinunciando ad intervenire, o sono davvero pochi e possono soltanto mettere in atto eventi simbolici, tentando di “colpirne una per educarne mille”).



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La tomba di Hafez a Shiraz è un luogo importante, per gli iraniani.
Della biografia di Hafez (il cui nome significa “colui che conosce a memoria [il Corano]”) si sa molto poco.
Nato nel 1300 circa, poeta di corte, scrisse circa 500 poemi (“gazhal”) dedicandoli all’amore, alla bellezza ed al vino. E’ aperto da sempre il dibattito sul livello di simbolicità della sua poesia: si riferisce a pulsioni reali, fisiche, o racconta di un universo esclusivamente simbolico? Non è dato sapere con certezza: e probabilmente, non ha alcuna importanza risolvere il dilemma.
Quel che è certo è che Hafez (e quel che narra) è radicato nel cuore di ogni iraniano, di qualsiasi età.
Ne ho avuto la prova portandomi in Iran una edizione Einaudi con “Ottanta canzoni” di Hafez, con il testo persiano a fronte. Facendo leggere alle persone, in lingua persiana, i gazhal che più mi piacevano nella traduzione italiana, ho sentito non solo come il testo persiano fosse musicale e in rima, ma ho visto la commozione e la gioia negli occhi dell’interlocutore.
Gli iraniani vanno sulla tomba di Hafez come se andassero a trovare un vecchio amico. Si siedono sulla tomba di alabastro chiaro, vi appoggiano fiori, libri (spesso il Divan, la raccolta completa delle sue opere) e carezze, e tocchi affettuosi.
O passeggiano per il bel giardino circostante, godendone la freschezza e il verde, delizia per gli occhi ed il cuore, e l’atmosfera che agevola le relazioni umane, l’empatia, il sorriso, il gesto affettuoso.
Ci siamo seduti anche noi sui gradini, ed in un attimo siamo stati accerchiati da un nugolo di curiose e simpatiche insegnanti in pensione, venute in pellegrinaggio sulla tomba del Poeta, e come tutti gli iraniani curiose di sapere (in inglese, of course) chi fossero questi stranieri, da dove venissero e cosa pensassero dell’Iran e del suo popolo.

Ha quindi avuto inizio una bellissima conferenza/confronto sulle nostre sensazioni ed emozioni, ormai consolidate dopo più di una settimana di viaggio (siamo arrivati a Shiraz alla fine del viaggio), con grande foto di gruppo finale (in cui si sono imbucati, bene accetti, anche due turisti parigini:-)).
Alla fine della quale è stato bello, aspettando degli amici iraniani conosciuti a Teheran, continuare a star seduti sui gradini ad osservare le persone, i loro atteggiamenti, il modo in cui interagivano ed il modo in cui erano vestiti — soprattutto le donne e le ragazze.
Poi, in un bagliore, è scoppiato l’immenso sorriso di Pegah, bellissima e fragrante di gioventù nei suoi vent’anni di studentessa, ed è iniziato un altro pezzetto della nostra storia iraniana. Che forse racconteremo dopo, o forse no.
(1 — continua)

2016: si torna a casa.

Non ho pubblicato nulla, qui, nel 2015.
Non avevo molto da dire, evidentemente.

Poi, negli ultimi mesi ho fatto un po' di prove di pubblicazione su Medium (che è un luogo bellissimo, per leggere cose interessanti).  
Medium ti consente anche di tracciare non solo quanta gente "vede" quello che scrivi, ma anche quanta gente realmente "legge". E...il risultato è stato che le cose che ho scritto con maggior impegno, non sono state filate da quasi nessuno. 
Mentre minuscoli, stupidi, irrilevanti commenti di poche parole hanno avuto un "grande successo di pubblico".

Insomma, si è di nuovo dimostrata la mia incompatibilità con i meccanismi e gli algoritmi della "visibilità" sui social.

Me ne faccio tranquillamente una ragione. E allora, con calma,  riporto qui le mie cose, tra i miei pochi lettori antichi, scusandomi per averli indotti a disperdersi per leggere le mie (non così utili) parole.

I post più interessanti ritroveranno posto qui, lasciando su Medium e a Twitter (non su Facebook, che non è luogo per me) soltanto i link.

Se avrete ancora voglia di leggermi, grazie. Da parte mia, tenterò di condividere solo parole selezionate e che ritengo originali, personali e interessanti.