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giovedì, marzo 06, 2014

"La politica è corrotta perchè la società è corrotta"




Il Console Bernick, deus-ex-machina della città portuale norvegese in cui vive,  è un personaggio modernissimo, nonostante l’opera di Ibsen "I pilastri della società" sia datata al 1877, ed i temi che pone (con la sua vita ed il suo comportamento) sono estremamente attuali.
Perché sono quelli – perennemente irrisolti – che derivano dal rapporto tra l’uomo ed il potere.
Bernick è rispettato e onorato, ed è considerato il caposaldo morale di una città fortemente puritana e moralista, che si oppone strenuamente alle innovazioni ed al progresso (come, ad esempio, la ferrovia).
Nel suo passato c’è un vulnus scandaloso, che potrebbe distruggerlo, ma è stato sapientemente occultato a suo tempo.
Ma, come spesso capita,  d’improvviso il passato si riaffaccia sulla vita di Bernick e minaccia di travolgere tutto quello che ha costruito con fatica nei decenni: reputazione, futuro, successo economico.
Bernick non può permetterlo, tanto  più nel momento in cui ha cambiato idea sulla  ferrovia: poichè non passerà più sulla costa, danneggiando gli interessi dei traghetti che gli appartengono, ma all’interno, e sui terreni che sapientemente ha comprato a poco prezzo attraverso una società straniera, ora può presentarla come fattore di sviluppo e benessere per la collettività.
Il ragionamento di Bernick è il seguente: è vero, ho mentito, sono stato indegno, ho fatto pagare ad un innocente lo scandalo che ho provocato io; ma su quella menzogna si è costruito non solo il mio successo, ma il benessere e il rigore morale di questa comunità. Quindi dire la verità ora non costituirebbe solo la mia rovina, ma la rovina di tutta la città.
Peraltro, ragiona Bernick, sono ormai così potente e ricco che posso anche permettermi di rivendicare di aver avuto, nel passato, il diritto di mentire.
E così farà, nella grande serata di festa che la città dedica alla costruzione della nuova ferrovia.
Confessa e rivendica quel che ha fatto, perché il successo e la ricchezza mòndano a posteriori tutti i peccati.
E i cittadini applaudono, condividono, ammirano il suo coraggio.
(Nel testo originale dell’opera, Bernick nella sua orazione finale ai cittadini fa anche opera di pentimento ed espiazione: nello spettacolo, resta invece fortissimo il senso dell’impunità dei potenti).
Grandissimo Lavia e bravissima la compagnia, in una rappresentazione scenograficamente ricca e magniloquente.


I pilastri della società


Teatro Carignano di Torino,  dal 18/2 al 2/3/14

di Henrik Ibsen
traduzione Franco Perrelli
con Gabriele Lavia,Giorgia Salari, Ludovica Apollonj Ghetti, Viola Graziosi, Graziano Piazza, Federica Di Martino, Mario Pietramala, Andrea Macaluso, Mauro Mandolini, Alessandro Baldinotti, Massimiliano Aceti, Camilla Semino Favro, Michele De Maria, Carlo Sciaccaluga, Clelia Piscitello, Giovanna Guida, Giulia Gallone, Rosy Bonfiglio
regia Gabriele Lavia
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Giordano Corapi
Teatro di Roma / Fondazione del Teatro Stabile di Torino / Fondazione Teatro della Pergola

giovedì, maggio 28, 2009

Macbeth..."forse ci siamo tutti dentro".

Un palco scuro ed opprimente ospita in primo piano, sulla sinistra, l'arredamento di un camerino da attore, di quelli resi familiari dai film americani degli anni '30 - con tanto di specchio con le luci e lavandino vero (in cui i due coniugi complici tenteranno invano, di continuo, di lavare via il sangue versato a fiumi che incrosta le loro mani).

Qui i Macbeth vengono a vestirsi, a cambiarsi, a travestirsi per il successivo passo sulla strada della conquista del potere. A destra, come abbandonato e dimenticato, un cumulo di polverosi oggetti da palcoscenico, gettati alla rinfusa.
La scena è cosparsa di terra, e la polvere movimentata dai personaggi si aggiunge ai fumi delle scene che prevedono la comparsa delle streghe. Il letto dei Macbeth, quando appare, ospita la loro febbricitante, eccitata ansia di potere: ed i tre specchi rilanciano, moltiplicata ed ingrandita, la loro bruciante voglia di essere tutto e sopra tutto, od ospitano le visioni evocate dalle streghe.

La q
uinta più lontana ospita i due eventi più tragici: il corpo del re di Scozia, lacerato dalle coltellate di Macbeth, giace in alto, in cima ad una sorta di immensa pira rossa come il sangue sui coltelli delle guardie (ma era così difficile mettere il povero attore nelle condizioni di non dover rappresentare un cadavere che muove ripetutamente la mano intorpidita?:-))).
E poi, tremendo e impressionante, velato e distante eppure capace di dare i brividi, il suicidio per impiccagione di una Lady Macbeth ormai corrosa dalla follia, nella sua veste bianca ed eterea come la sua mente perduta.

La rappresentazione non rispetta la collocazione temporale della tragedia pensata da Shakespeare: Lavia la riposiziona in una Scozia che si può collocare (desumendolo da ambientazioni, vestiti ed uniformi, e dalla presenza di armi automatiche) tra gli anni '30 del secolo scorso e la seconda guerra mondiale.

Curiosamente Macbeth irrompe dapprima in scena con un mitra, quando è soldato lealista contro la ribellione del conte di Cawdor;
poi uccide il re Duncan, come da copione, con due coltellacci da macellaio: ma, alla fine, viene ammazzato da MacDuff con un colpo di pistola automatica, salvo poi avere la testa tagliata per l'esibizione al nuovo legittimo sovrano, come da versione originale: il che dà un certo senso di straniamento e richiama atmosfere da guerre balcaniche...

Il Macbeth di Lavia, quando diventa re usurpatore, è quasi clownesco, col viso inceronato e gli stivaletti col tacco alto (scomodissimi) alla Elton John, ed un immenso cappottone di fintapelle che gli sta largo come la sua ambizione. Dapprima è pavido, puerile, incerto di fronte alla determinazione della sua diabolica consorte: ma poi inarrestabile, spaventoso nell'ordinare morte e distruzione.
Giovanna di Rauso è una Lady Macbeth ad alto tasso erotico e insieme androgina, dalla corta zazzera bionda: è spietata, a tratti stridula nella sua brama di potere. Poi diventa una nuda bambola meccanica dal meccanismo inceppato, quando la follia se ne impadronisce e rende permanenti e indelebili sulle sue mani le tracce di sangue, versato per giungere al culmine di un potere assoluto quanto desolato.

Sono giovani attrici le tre streghe sensuali e barbute, seducenti e sinuose, che segnano con le loro predizioni l'inizio della ambizione e la sua stessa tragica fine, indicandola nitidamente con le stesse visioni da cui Macbeth si sente erroneamente rassicurato.
Si perdono, in ruoli oscurati dal mattatore e quasi indistinguibili per rilievo, gli altri attori, re, amici, nobili ed eredi, cortigiani...
Lavia occupa inesorabilmente tutto lo spazio scenico, lo pervade e mette in ombra il resto: gigioneggia, si muove e si espande con una maestria ed una agilità invidiabile per i suoi 67 anni. Ma ad un mostro sacro come lui lo si perdona con piacere.


Qui e qui potete trovare una sintesi della tragedia di Shakespeare (ma nella prima recensione c'è un errore storico vistoso: "Macbeth" non è ambientata ai tempi del regno di Giacomo I di Inghilterra, a cavallo del 1600, ma ispirata alla storia di Macbeth di Scozia che regnò tra il 1040 ed il 1057).

Vi segnalo anche questo interessante
post di Lucrezia Lanza che descrive l'atmosfera che si respirava durante le prove aperte dello spettacolo svoltesi a Pisa a gennaio di quest'anno.

PS: la frase del titolo del post è tratta dalla presentazione - peraltro quasi completamente incomprensibile:-) - predisposta da Lavia stesso allo spettacolo.

Macbeth di William Shakespeare, nella traduzione di Alessandro Serpieri, per la regia di Gabriele Lavia.
Interpreti: Gabriele Lavia (Macbeth), Giovanna Di Rauso (Lady Macbeth), Maurizio Lombardi (Duncan, prima apparizione), Biagio Forestieri (Macduff), Patrizio Cigliano (Malcom), Mario Pietramala (Banquo), Alessandro Parise (Ross), Michele DemariaDaniel Dwerryhouse (Donaldbain, seconda apparizione), Fabrizio Vona (Lennox), Andrea Macaluso (Angus, Dottore), Mauro Celaia (Cawdor), Giorgia Sinicorni (prima Strega, Cameriera, Sicario, Vecchia), Chiara Degani (seconda Strega, Cameriera, Sicario, Vecchia), Giulia Galiani (terza Strega, Cameriera, Sicario, Vecchia).
Le scene sono di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti, le musiche di Giordano Còrapi e le luci di Pietro Sperduti.
Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia Lavia Anagni, sarà replicato al Carignano fino a domenica 31 maggio 2009.