domenica, novembre 22, 2009

La nostra immagine di Hitler

Gli studi sul "personaggio Hitler", dopo la sua morte nel bunker di Berlino, sono stati innumerevoli.
Trascuriamo le ipotesi, decisamente poco convincenti, che il Furher si sia salvato e sia nascosto in qualche accogliente e inaccessibile landa del Sud America, e che quindi abbia lasciato dietro di sè qualche ulteriore traccia che potrebbe costituire materiale di studio.
O, addirittura, come ipotizza lo scrittore George Steiner nel suo discusso romanzo "Il processo di San Cristobal", che lo si possa addirittura ritrovare vivo ed interrogarlo per venire a capo di una personalità così complessa.

No, Hitler è veramente morto il 30 aprile 1945 nel bunker di Berlino assediato dall'Armata Rossa.
E per studiarlo, dobbiamo riprendere il suo percorso umano, iniziato dal piccolo villaggio austriaco di Dollersheim (scomparso durante la seconda guerra mondiale, fatto distruggere per volontà stessa di Hitler), e ripercorrerlo attraverso gli scritti, le azioni, la storia.

Ron Rosenbaum, nel suo libro "Il mistero Hitler" del 1999, compie una sorta di approfondita investigazione sulle fonti che hanno tentato di capire e spiegare Hitler, dai giornalisti antihitleriani del tempo della sua irresistibile (?) ascesa al potere, agli studiosi della nostra epoca, tra cui il discusso Irving, che a questo mistero hanno tentato di dare una spiegazione.

Quel che ne viene fuori è un poliedro che fornisce non una sola, univoca e certa, immagine di Hitler, ma piuttosto le immagini di molti Hitler diversi, spesso persino in concorrenza tra di loro: istrione, invasato messia, pazzo, o addirittura personaggio esitante ed incerto guidato da una particolare condizione storica?

Impossibile chiarirlo, ad oggi: restano così numerose le questioni insolute.
Ad esempio, discordi sono le voci degli storici sull'origine e sulla natura del suo antisemitismo.
Nasce dai suoi antenati, e dalla paura della contaminazione dal sangue ebraico?
Era "sincero", riguardo al suo odio verso gli ebrei, od era solo un cinico opportunista?
E ancora: esisteva una sua patologia sessuale, e c'era un rapporto tra questa e la patologia politica?
E la sua ascesa al potere fu inevitabile? I suoi crimini furono la conseguenza di irresistibili forze storiche o di una implacabile volontà personale?

Il nostro desiderio di comprendere questo mistero, è evidente, è legato alla possibilità di riconoscere in tempo, ed evitare, che in futuro possa ripetersi quanto accaduto in relazione all'esistenza di un Hitler: l'Olocausto, in primo luogo, e la Seconda Guerra Mondiale.

Hitler era un uomo "quasi comune" portato dalle forze del tempo ad un ruolo che si sarebbe prodotto comunque, od era un individuo eccezionale ed irripetibile che guidò quelle forze verso quel che poi accadde? Hitler fece la storia o fu un prodotto di essa?

Il libro tenta una risposta proponendo le diverse opinioni degli storici al riguardo, ma al lettore resta netta una sensazione: che sia pressochè impossibile capire la storia mentre la si sta vivendo, e a quei pochi che hanno netta la percezione del pericolo - e sanno preconizzare, e vedono il futuro possibile con orrore - è impossibile dare ascolto.
Perchè conserviamo sempre, contro ogni ragionevole certezza, la sensazione di poter dominare la storia, anche quando questa corre ormai su un piano inclinato: ed ammettere di essere stati ciechi, sordi e pavidi è assai più dura, superato un certo limite, che correre verso il disastro, illudendosi di esser dalla parte di chi si salverà.

Il libro è interamente interessante, fin dal racconto delle origini di Hitler, e dei misteri legati ad un nonno incerto e - chissà - addirittura ebreo.

Tra i capitoli più interessanti ci sono quelli che raccontano l'eroica lotta dei giornalisti antihitleriani, tra il 1920 ed il 1933, contro quel fenomeno nato in una birreria di Monaco: un fenomeno violento, sanguinoso, che seminava morte tra gli oppositori e gli avversari interni, in cui probabilmente si annidava la matrice che avrebbe portato alla tragedia successiva.

Il "Munchener Post", quotidiano di Monaco guidato da giornalisti attenti e scrupolosi, combattè ogni giorno della sua esistenza contro il nazismo.Furono i primi a capire cosa stava accadendo, furono i primi a vedere Hitler che diventava HITLER.
Lo portarono anche in tribunale, per confutare le menzogne storiche che considerava base della sua azione; ed ogni giorno pubblicavano analisi lucide, inequivocabili, sulla natura criminale dei metodi nazisti.

E poi Fritz Gerlich, che diresse un giornale antimarxista ed antinazista, "Der Gerade Weg" (La retta via), che flagellava quotidianamente Hitler: arrivò a pubblicare in prima pagina, irridente, l'immagine di Hitler che sposa ad una donna di colore.
Cinque settimane dopo aver preso il potere, nel 1933, i nazisti gli distrussero la tipografia e lo portarono a Dachau, dove fu assassinato un anno dopo.
Sapevano che stava per pubblicare documenti compromettenti per Hitler: un attacco che forse avrebbe portato il presidente Hindenburg a deporre il neocancelliere. Purtroppo quei documenti non sono mai stati ritrovati.
Quando lo uccisero, i nazisti "inviarono alla vedova gli occhiali di Gerlich, tutti macchiati di sangue."

Si affronta anche, con taglio davvero investigativo, la misteriosa storia della morte della nipote di Hitler, Geli Raubal, con cui l'astro nascente della politica tedesca ebbe una relazione fino al suicidio di lei, nel settembre 1931.
Tutti i dubbi sul suicidio vennero messi a tacere da Hitler, nonostante si vociferasse di cause legate ad una sua presunta perversione sessuale - voci mai realmente confermate, ma di cui certo il Furher non gradiva la circolazione.

La maggior parte del libro è dedicata all'analisi delle cause dell'antisemitismo di Hitler ed alle sue responsabilità nell'Olocausto.
L'analisi parte dal riepilogo dettagliato delle tesi sostenute nei saggi su Hitler pubblicati dopo la seconda guerra mondiale, dalla argomentata confutazione ad esse venuta da altri studi, ed è arricchita da alcune interessanti interviste ai maggiori studiosi - ancora viventi all'epoca - del fenomeno.

Impossibile dare qui una sintesi efficace delle oltre 500 pagine del libro: ma la sua lettura costrituisce indiscutibilmente un modo per avvicinarsi a quel mistero terribile, rimettendo in discussione le immagini di Hitler che abbiamo disordinatamente accumulato nel tempo, e permettendoci di comporne una nuova, più oggettiva, anche se non meno sfocata.

venerdì, novembre 20, 2009

Tradimenti, bugie e probabili donne simpatiche


Càpita.
Lo spettacolo con cui ho iniziato da spettatore la stagione teatrale 2009-2010 del Teatro Stabile di Torino è stata una vera schifezza.

"Tradimenti", di Harold Pinter, scritta nel 1978, secondo il volume che descrive gli spettacoli della stagione "è stato celebrato fin dagli esordi come uno dei maggiori testi del premio Nobel inglese, grazie ai dialoghi stringati, alle ambigue emozioni che filtrano attraverso il fair play dei protagonisti, all'ipocrisia dei rapporti personali e professionali".

Direi che, se è vero che è uno dei "maggiori testi", ce n'è abbastanza per cancellare Pinter per sempre dal novero degli autori di cui mi interessa vedere l'opera.

La commedia (commedia? bah...) in questione è un insulso drammucolo che ha per protagonisti alcuni piccolo borghesi anglosassoni.
La trama è di una inconsistenza imbarazzante. Ve la racconto, tanto non vi perdete nulla (se siete fan di Pinter, la conoscerete: se non lo siete, non credo che lo diventerete mai).

Prima, un po' di notizie utili.
Emma e Robert, che girano alla fine della storia attorno ai quaranta e qualcosa, sono sposati. Jerry, il miglior amico di Robert, pure.
Qua e là, nelle due famiglie, sono sparsi dei figli di varie età.
Jerry ha per sette anni una relazione con Emma.
Una cosa noiosissima: i due si vedono per sette anni, tutti i pomeriggi, esclusi il sabato e la domenica, escluse le notti per ovvie ragioni di doveri familiari, in un appartamento in affitto a debita distanza da Londra, dove vivono tutti i protagonisti.
Nei weekend le due famiglie si vedono insieme, pensa te, come capita alle famiglie dei "migliori amici".
Ah, i due uomini fanno entrambi gli agenti editoriali: più conservatore Robert, più ardito Jerry nella scoperta di talenti che al primo, in genere, fanno vomitare (ma poi hanno un successo della madonna: ma Robert, molto inglese, sorride e non fa vedere quanto je rode sto fatto).
Insomma, un mestiere che consente loro di guadagnare un sacco di soldi (si nota, insomma) e cazzeggiare parecchio. (Cioè, se uno riesce ad avere tutti i pomeriggi liberi per sette anni per trombarsi la moglie del suo migliore amico, non ditemi che davvero "lavora"...)
Ah, un'altra cosa: a Robert piace giocare a squash. Ad un certo punto, nel copione, è prevista proprio una piccola elegia di codesto giuoco, e dei suoi riti, che dovrebbero concludersi - dopo la entusiasmante partita - con una colazione tra i due giocatori in cui si parla di squash e di donne, e da cui le donne dovrebbero essere escluse (con loro sommo piacere, direi).
Cito questo particolare dello squash perchè è un altro dei dettagli che mi ha reso da subito antipatico il personaggio di Robert, così a pelle.

(Di chi gioca a squash, personalmente, io penso quel che mirabilmente pensava Gaber (ed io condivido) di chi gioca a tennis, e mi auguro che faccia la stessa fine che Gaber augurava a costoro (1).)

Sia Robert che Jerry che Emma, oltre ad essere straricchi ed annoiati ed a non fare un cazzo dalla mattina alla sera (escluso il pomeriggio, che Robert non si sa che cosa faccia mentre Jerry ed Emma sono nel loro appartamento affittato a far zum-zum), sono anche, come vedrete, degli inguaribili contaballe, che nemmeno si preoccupano di venire scoperti o di far stare in fila le balle rendendole almeno un po' credibili (un po' come quelli del PDL che governano, tanto per dare l'idea...anzi, gli somigliano parecchio, a dirla tutta).

Ah...tra l'altro questa storia è autobiografica, Jerry sarebbe Pinter ed Emma una giornalista televisiva con cui il nostro ebbe una relazione di sette anni (maddai, uguale uguale...).
Sentite come la racconta Michael Billington, il biografo di Pinter, e poi dopo leggetevi come l'ho vista io:

"Questo è anche un testo che parla del potere della memoria e delle diverse aspettative di uomini e donne. Ogni incontro nel testo è oscurato dal passato: c’è un pranzo amaramente divertente tra i due uomini quando il ricordo di Jerry della sensualità di Emma è sovrastato dalla dolorosa scoperta di Robert del tradimento della moglie. Ma ciò che fa di questo testo più di un gioco ironico è la consapevolezza di Pinter della differenza tra i due sessi: non avevo capito quanto Emma consideri l’appartamento di Kilburn come un nido d’amore, mentre per Jerry si tratta di un semplice pied-à-terre per il sesso. C’è un momento mozzafiato nella scena a Venezia quando Emma fissa immobile la pagina di un romanzo, consapevole che Robert ha scoperto il suo segreto. E quando la commedia torna indietro nel tempo, lei emana colpevolezza e si torce come un serpente quando muta la pelle."

Detto dei personaggini, passiamo alla scenografia, adesso: due megaschermi collocati uno di fianco all'altro, leggermente inclinati verso l'interno a formare un ampio angolo ottuso, su cui vengono proiettate immagini decisamente "seventiees" di interni (appartamenti, alberghi); due sedie similIkea; a volte un tavolo, quando se deve magnà (e bere: i protagonisti bevono un casino di vino, emmenomale che siamo nella perfida Albione).

Ok,abbiamo inquadrato l'essenziale: si può partire.

Il sipario si apre sul "dopo" (1977): Emma e Jerry hanno terminato la loro relazione due anni prima e non si vedono da allora, ma un giorno lei chiama lui per parlargli: la notte prima lei e Robert hanno deciso di separarsi.
Jerry, lievemente indifferente alla tragedia della sua ex-amante e del suo amico, si preoccupa prima di tutto dei cazzi suoi: "ma non gli avrai mica detto di noi?"
E lei: "si, ho dovuto, gli ho raccontato tutto ieri notte!".

Jerry, imbarazzatissimo, il giorno dopo convoca Robert.
Che non si capacita dell'imbarazzo dell'amico, e gli dice: "Tu ed Emma? Ma dai, non me ne frega niente, l'ho scoperto quattro anni fa".
"E lei sapeva che tu sapevi?" chiede il Jerry attonito.
"Certo. Tu non sapevi che io sapevo?"
(Dio, a questo punto lo spettatore è già aggredito da una noia mortale. In sala, un raro amante di simile humor "british" ride in modo incontenibile per l'irresistibile comicità della situazione...yawn...)

E, qui, con un geniale colpo di scena, Pinter inizia con il primo flash back.
(Scopriremo proseguendo che la storia è montata al contrario, e procede all'indietro nel tempo dall'incontro dei due ex-amanti risalendo pian piano - mortalmente piano - fino al primo bacio che diede l'avvio alla storia).

Dapprima si torna al 1975, al termine della storia tra i due amanti.
Dopo sette anni di evidentissima noia, di pomeriggi sempre uguali passati con lei che cucina, loro che mangiano, loro che scopano, loro che parlano dell'ultimo libro dell'ultimo autore scoperto da lui, i due si ritrovano per l'ultima volta nell'appartamento che ormai frequentano di rado.
Si vedono poco, perchè lui - sempre più quotato come talent scout letterario - va sempre più spesso in America, e lei - udite udite- adesso lavora: ha aperto una galleria d'arte! (e te pareva, volevi mica che si trovasse un posto di commessa da Harrods...) e quindi - sventurata - non ha più TUTTI I POMERIGGI FERIALI LIBERI.
E' di certo un buon motivo per cessare di amarsi: così, come girando un interruttore, più o meno nello stesso lasso di tempo che lei ci mette a far districare da lui la chiave dell'appartamento incastrata nel portachiavi e dirgli, andandosene: "abbiamo preso la decisione migliore" (yawn...)

Son due persone perbenino, e quindi girato l'interruttore...fine, si riconsegnano alle famiglie e non si vedono per due anni.Pinter non ci illumina su eventuali tormenti, ripensamenti, maceramenti seguiti alla decisione.
Macchè: con un nuovo colpo di scena (dio che noia) ci riporta indietro di altri due anni.

1973. Robert ed Emma sono in vacanza a Venezia. Per l'indomani è prevista una gita a Torcello, dove erano stati dieci anni prima e a lei era piaciuto da matti (yawn...)
Lei, in albergo, sta leggendo un libro - ovviamente di un autore brillantissimo scoperto da Jerry! E il libro le piace, ossissì, moltissimo: è più o meno a metà, ma quando Robert le si avvicina dicendo "non credo mi piacerebbe, parla di tradimenti", lei dice "nooooo...", e quando lui chiede - giustamente - "di cosa parla, allora?", lei, l'intellettuale della famiglia, risponde "quando ho finito di leggerlo te lo dico" (!!!!!).

Ma il dramma è in agguato (yawn...).
Lei continua a leggere, e lui la prende alla lontana..."sai, ieri sono andato alla reception, e questi faciloni di italiani volevano darmi una lettera per te, solo perchè abbiamo lo stesso cognome!"
(Ohhhh those italians...!)
"Pensa, potevo essere uno qualunque, prendere la lettera indirizzata a te e gettarla nel canale! tsk tsk tsk..." (yawn...) "Sei andata poi a prenderla, quella lettera, ieri sera?"
"Si, amore", cinguetta lei sempre leggendo il favoloso libro, ma iniziando leggermente a turbarsi.

(ah, tra l'altro questo sarebbe il famoso "momento mozzafiato" di cui parla Billington, non so se mi spiego...)

"Ho riconosciuto la calligrafia..." dice lui.
"Era di Jeeeeerryyy" anticipa lei squittendo, come se nulla fosse.
"E...sua moglie sta bene?"
"Cerrrrto!"
(com'è che dicevano? "uno dei maggiori testi del premio Nobel inglese"...'sticazzi, di fronte a sta roba fan bella figura pure i fratelli Vanzina...ma procediamo, coraggio.)
"E i bambini, dice come stanno?"
"Nooo, non ne parla..."

(Occhio, siamo quasi al climax, sentite che la tensione cresce?)

Lui cazzeggia ancora un po' con domande assolutamente cretine, al punto che persino lei si stufa - come noi del pubblico - e gliela butta là senza giri di parole:
"Siamo amanti!"
Lui, che non se l'aspettava (ah ah ah ah), in assoluta coerenza con quelle precedenti pone la domanda cretina che gli uomini fanno in questo caso: "E da quando?"
"Quattro anni", butta lì lei con nonchalance, mentre ancora finge di cercare di capire di cosa mai parlerà il favoloso libro che tiene tra le mani.
Lui sbianca, e getta lì la successiva domanda cretina: "Mahhhhh...e nostro figlio???"
(il pargolo ha un anno, il dubbio è lecito)
"Noooo, tranquillo, è tuo, è successo quando Jerry è stato in America due mesi..."

Alla scena successiva, i due sono tornati a Londra.
Emma e Jerry si trovano nel solito pomeriggio nel solito appartamento per il solito dinner cucinato da lei, dopo le settimane di lontananza di lei che, davvero, devono essere state terribili (yawn...)
Lei gli racconta le vacanze a Venezia, che bello che bello, ho comprato anche questa tovaglia per noi (yawn...), e dice che dovevano andare anche a Torcello ma c'era lo sciopero dei traghetti e quindi nisba, non se n'è fatto nulla.
Sono così eccitati da questo racconto che subito dopo corrono a completare il solito pomeriggio con la solita scopata (yawnnn...)

Qualche giorno dopo, Jerry va a pranzo con Robert.
Che sbevazza parecchio - solo bottiglie di Corvo Bianco che gli arrivano misteriosamente aperte e già svuotate per un quarto (io sospetto del cameriere!)- , e racconta, di fronte ad un Jerry assai perplesso, di quel meraviglioso giorno che ha trascorso a Torcello da solo leggendo Yeats sulla spiaggia ("Ed Emma?" "Ah, non so, penso sia rimasta a dormire". !!!!)

Mentre la noia (e le balle raccontate da sti 'deficenti) hanno ormai completamente ottenebrato il cervello dello spettatore, Pinter tenta di svegliarlo con un altro spettacolare balzo all'indietro (yawn...)
(E' possibile che mi sia perso qualche pezzo, lo confesso...ma sono certo che questo non abbia minimamente influito sulla comprensibilità della vicenda).

Di nuovo nel solito appartamento, nel solito pomeriggio, dopo il solito dinner e (mi pare) prima della solita scopata, Emma comunica a Jerry che è incinta, ma che stia tranquillo che il figlio è di Robert e quindi non ci sono problemi (yawn...)
Jerry, non si capisce se deluso o immensamente sollevato, si lancia con un ardito "sono felice quando tu sei felice!" (non ricordo se abbia detto altro, è possibile che mi sia addormentato all'istante).

E, occhio al colpo di scena!, ecco che Pinter conclude il suo geniale percorso del gambero riportandoci al momento in cui questa irresistibile vicenda ebbe inizio.
Una festa di famiglia a casa di Robert ed Emma: ci sono tutti, inclusi Jerry con la moglie ed i bambini (che non vedremo mai, fantasmagoriche presenze: forse per fortuna, oserei dire).
Lui, il miglior amico del marito di lei, si imbosca - ubriaco fradicio - in una camera della casa dove, chissà come mai, lei dopo un po' arriva davvero! (geniale, l'autore!).
Qui Jerry, dopo averci elargito una delle più belle battute del copione ("Sapevo che saresti venuta qui a pettinarti!"), inizia a sciorinare frasi avvolgenti quasi come le sue mani, che si abbarbicano piovrescamente attorno al corpo di lei, che però ancora resiste (ma si vede bene che cederà, eccome se si vede!).
In un attimo in cui i due sono fortunosamente non avvinghiati, appare sull'uscio, con uno sguardo ebete, il buon Robert (che già dall'inizio, è evidente, dimostra di non avere nemmeno una briciola di intuito).
Jerry se lo liscia dicendo "hai una moglie meravigliosa e bellissima, sono contento per te, sono felice di essere stato il tuo testimone di nozze, sono felice di essere il tuo migliore amico..." (yawn...decisamente stronzo, il tipo...)
Robert, completamente rintronato da questa serie di cazzate, e senza essere nemmeno minimamente sfiorato da una sensazione di pericolo che qualunque cretino avrebbe percepito, gongola, si ebetizza ancora di più e - errore gravissimo! - esce dalla stanza lasciando soli i due.
Che immediatamente si toccano un braccio a vicenda e si guardano in modo inequivocabile: in quello sguardo ci sono già, scritti a chiare lettere, centinaia di pomeriggi, di dinner e di scopate.

Sipario. Si accendono le luci in sala.

Il pubblico tace, immobile per qualche secondo, e tutti sembrano pensare: "beh, adesso andiamo a prenderci un caffè, poi nel secondo tempo finalmente succederà qualcosa di interessante, in questa cazzo di commedia...".

E invece il sipario si riapre, le luci si accendono in scena ed accorrono gli attori per i saluti.
A questo punto il pubblico capisce, e parte un applauso che è inequivocabilmente liberatorio ... ("E' finita! E' finita per davvero! Wow! che culo! sono solo le dieci, per fortuna è durata poco, magari riusciamo ancora a raddrizzarla questa serata di merda...")

Il pubblico torinese è giustamente falso e cortese, ed allora applaudiamo e sorridiamo, evviva evviva, che bravi che siete, soprattutto grazie per averla piantata lì...

E poi si esce tutti, si sciama fuori in piazza Carignano nella tiepida sera novembrina, tutti lieti, chi di potersi fare ancora qualcosa al bar, chi di tornare a casa presto per dormire un po'...

...

Come dite?

...

Ah, già. Dimentico qualcosa, è vero.
Gli attori.

Volete proprio che ne parli, eh?
Si?

...

Vabbè, non c'è nessun problema da parte mia a far questo. Davvero. Nessun problema.
Anche perchè Tony Laudadio, che faceva Robert, ed Enrico Iannello, che interpretava Jerry, sono davvero bravissimi, recitano molto bene.
E' stato un vero piacere assistere alla loro performance, e pensate che avevano un copione così scalcinato ed insostenibile...penso che in una commedia vera rendano benissimo, molto meglio di quanto potessero dare in questo coso di Pinter.

E poi...
Ah, si...anche Nicola Marchitiello, che faceva il cameriere, è bravo. Una parte piccola, ma brillante, se l'è cavata bene. Potrebbe essere interessante rivederlo.

Ecco, mi sembra di aver detto tutto.
No?

...

Dimenticato ancora qualcosa?

...

Eh?

...

Emma?
Emma cosa?

Ah,capisco. Capisco cosa intendete dire. Emma...Si, cioè... volete sapere dell'attrice che faceva Emma.
Ecco, sapete, io ero in prima fila: non è che l'ho vista molto bene.

No, eh? Non posso cavarmela così?

...

E vabbè, parliamone. Se proprio volete, se proprio lo ritenete necessario, parliamone.

Emma era interpretata dalla Braschi.
Si, Nicoletta Braschi.
Si, lei, cosa...la moglie di Benigni.

Ecco...io prima di ora l'avevo sempre vista solo al cinema. Si, nei film di Benigni.
E devo dire...si, devo confessare che mi son sempre detto..."madonna mia, questa proprio non sa recitare. Ma è negata proprio!".

Però, a mia discolpa, mi sono anche sempre detto: "Dai, se Benigni racconta che si è innamorato di lei vedendola recitare, si vede che è solo al cinema che non rende. Si vede che invece, a teatro, è tutta un'altra cosa".

Ecco, adesso a teatro l'ho vista.
E...dio mio...è esattamente la stessa cosa che al cinema.
Negata. Completamente negata.

Anzitutto il modo di recitare. Di porgere la battuta.
Al cinema sembra sempre monocorde e monotona, neh?

Beh, anche a teatro è uguale. Anzi, no: è peggio.
Possiede un modo di recitare così artefatto e forzato che è...letteralmente insopportabile.

Avete presente la tipica fluidità dei mostri sacri del teatro, la loro flessibilità e versatilità nel cambio di registro, di tono?
Ecco, con la Braschi scordatevela proprio. L'aria, evidentemente, gli esce dai polmoni come quando si rompe il tubo del compressore con cui gonfiate le gomme dell'auto, per cui la voce è sempre sparata a forza in un tono solo, sia che dica "siamo amanti" sia che dica "passami il sale" o "abbiam fatto la scelta migliore" o "sono incinta" o "a Venezia ho comprato questa tovaglia" (yawn...)

Ecco, la recitazione sua è così.

Cioè, ero in prima fila, non era un problema di audio. Giuro, ce l'avevo lì.

Ecco.

...

Ah.
Volete sapere cosa?

...

Ah.
Come è fisicamente.

Beh, come detto, ce l'avevo lì davanti, a pochi metri. Ero in prima fila.
Siiii, bella donna, lo ammetto.
Un bel corpo. Belle gambe, certo. Il viso un po' così, ma...va a gusti.
Comunque, si, nel complesso una bella donna.
Però, come dire...un po' statuaria, ecco. Avete presente le statue del Museo Egizio che son proprio lì a due passi dal Carignano? Ecco, non proprio così, ma quasi.
Solo "quasi", perchè lei non è che sia marmorea: più che altro è legnosa, ecco.
E il risultato finale è una sensualità...ecco, la stessa che troveresti in un manichino dell'UPIM, più o meno (con la sola differenza che se ti porti via quello, il manichino intendo, Benigni non si incazza, ecco).

Però...piace al Robertone nazionale, lui è uno simpatico, e quindi può anche darsi - è probabile - che sia simpatica anche lei.

Poi, perchè mai una che è "probabilmente simpatica" debba anche mettersi in testa di essere un'attrice...beh, questo è tutto un altro paio di maniche, e poi non è neanche l'oggetto di questo post.

Lo spettacolo c'è ancora per un paio di giorni al Carignano, ma non affrettatevi, perchè correreste il rischio di trovare ancora un sacco di biglietti, e poi se li comprate vi tocca davvero andarlo a vedere.

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(1) Il tennis

di Gaber - Luporini

1976 © Edizioni Curci Srl - Milano
...tof... tof... il paese è in una fase delicata... tof... tof... sì, in un periodo di transizione... tof...

"Oggi al Parlamento".
Una mozione... L'avversario si alza, mette lì la sua... Una differenza leggerissima e... (azione di pugilato corpo a corpo) Dopodiché: tutti al tennis... tof... tof... Sì, giocano tutti al tennis!
E qui mi incazzo.
Perché gli piacciono a tutti le stesse cose, mica per altro. E i gusti sono tutto. C'è chi gioca al tennis, e c'è chi gioca al calcio. Certo, la vera cortina di ferro è lì, nei gusti. Le questioni ideologiche? Roba da ridere fra gusti uguali.
I gusti... sono la vera sostanza politica!
E loro hanno scelto il tennis: tof... tof...
No! Panatta non può fare il comunismo! Qualsiasi economista lo sa. Invece loro: belli, puliti, tutti bianchi, impostati, il rovescio, bello, la volè... Ma giocate al calcio, deficienti! Ci cago, io, sulla vostra terra battuta! È la rivincita estetica del giocatore di calcio
Tutte le notti me la sogno. Chiudo gli occhi... un film: Valverde, meraviglioso, campi da tennis, sole... tof... tof... vvvvff... Un film. Buñuel regista... si alza in volo un branco di mucche, lui può! Vvvvff... e su quei bellissimi ragazzi abbronzati, con le mandibole giuste e i denti bianchi... vvvvff... su quella scelta di donne assolutamente belle, così assolutamente da non arrappare nessuno... vvvvff... su quei signori eleganti e raffinati, su quelle signore dai piccoli cagnolini, sulle bibite ghiacciate, sulle Adidas, sulle magliette bianche col coccodrillino, sugli arbitri con la erre francese: quaranta a trenta... tof... tof... parità.
E le mucche: pllaaff... Un lago di merda.
Parità.
Niente, un sogno, tutto pulito. I miracoli non li fa neanche Buñuel.
E Il tennis avanza, e i coccodrillini dilagano, perché è giusto espandere le cose. E beccati un coccodrillino anche te, così si corre con la stessa maglietta.
E il tennis avanza, e non gli resiste nessuno. E ora tutte le fabbriche ci hanno i loro campi da tennis, e si capisce chiaramente che è la base che ha imposto i suoi gusti. Praticamente la proletarizzazione: "Op, bella palla!... Grazie, grazie... Scusa..." Siamo anche educati... "Scusa..."
Ma giocate al calcio, deficienti!
Macché!... "Op, scusa... op... Bellissima la volè vincente di Brambilla!... Op, scusa... op, scusa..."
Scusa un cazzo!
Intendiamoci, non ce l'ho mica con Guido Oddo, io. Ma perché i figli di Rizzoli non giocano al calcio??? Perché non abbiamo imposto i nostri gusti??? Ecco, Agnelli centravanti del Torino e Andreotti al Giro d'Italia. Questa è la proletarizzazione!
Devo aver detto una cazzata!
Sì, sì, lo so che sui gusti non c'è più lo scontro frontale. Ma allora dov'è?
Bisognerà pur decidere.
O avere dei nemici... o, giocare a tennis!
...tof... tof...

giovedì, novembre 19, 2009

Non riescono neanche a rendere coerenti le balle che raccontano!

Secondo le prime stime del Ministro della Giustizia Angelino Alfano, il decreto legge sul processo breve influirà su circa l'1 per cento dei processi.
"Senza pretese di definitività, si può stimare cha nella forma ad oggi presentata al Senato, il ddl provocherà la prescrizione di circa l'1 per cento del totale dei processi pendenti oggi in Italia, senza calcolare naturalmente l'incidenza delle assoluzioni", ha affermato il ministro nel corso del "question time" alla Camera.

L'UN PER CENTO...il che vuol dire che, secondo Alfano, il 99% dei processi oggi finisce nei sei anni.
E' una balla, perchè sappiamo che i processi in Italia durano in media oltre sette anni e mezzo.

Ma se fosse vero, caro Angelino, spiegaci allora CHE FRETTA C'E' e a CHE CAZZO SERVE.
Fino alla prossima balla.
Quella di domani.

O già stasera?

mercoledì, novembre 18, 2009

"Fumone di persecuzione"

Dichiarazioni di Nicola Cosentino, Sottosegretario all'Economia, possibile candidato del PDL alla presidenza della Campania. Per lui è stata chiesta l'autorizzazione all'arresto per concorso esterno in associazione di stampo camorristico.

"Io rimango al mio posto. L'unico che può decidere sul mio destino e su quello della regione Campania è Berlusconi".

"Quello che dice il gip - sbotta Cosentino - non è il vangelo. Il provvedimento verrà certamente cassato nei diversi gradi di valutazione: c'è il tribunale del Riesame e c'è la Cassazione. E poi c'è ancora da decidere sulla candidature alle regionali".

"Contro di me - sostiene - c'è un fumone di persecuzione. I magistrati non mi hanno mai voluto ascoltare".

FUMONE DI PERSECUZIONE.
Probabile traduzione "in Cosentinese" della locuzione latina "fumus persecutionis".
Che vuol dire "indizio, parvenza di persecuzione".

Questi magistrati rossi stanno proprio esagerando.
Tutto possiamo ammettere, ma i fumoni no.
Urge un disegno di legge sul processo limpido.
Ghedini, prenda nota.

martedì, novembre 17, 2009

"Un miliardo di persone muore di fame." "Mmm...vuoi un caffè?"


Mi ha davvero impressionato la velocità con cui la notizia che un abitante del mondo su sei muore letteralmente di fame è scomparsa dall'orizzonte informativo: oltre un miliardo di persone, cento milioni in più che nel 2008. E che ogni sei secondi muore un bambino per ragioni connesse alla denutrizione.

Transitate velocemente nel cervello come mere statistiche, queste informazioni sono subito state espulse dal rumore di altre cazzate assolutamente futili, che trattano di premier spiritosi e di leader beduini che pontificano a centinaia di ragazze e fanno impazzire il traffico della capitale.

Proviamo a riprenderle, a ragionarci su.
Se uno legge i documenti della FAO (questo, ad esempio) può notare come la notizia venga considerata un accidente, una disgrazia che "allarma" i capi di stato.

Non c'è alcuna assunzione di responsabilità. Non è colpa di chi governa, non è colpa del modo in cui si governa. E poi c'è stata la crisi economica, eh: anche noi abbiamo dovuto rinunciare ad un sacco di cose, tipo la macchina nuova, e quindi è naturale che cento-milioni-di-persone-in-più-in-un-solo-anno soffrano la fame.

Nelle discussioni tra persone normali, invece, penso che questo dato sia così enorme ed impossibile da accettare che l'unica cosa da fare sia non affrontarlo.
Perchè di fronte ad un'ingiustizia del genere, così spaventosa, bisognerebbe mollare immediatamente tutto quello che stiamo facendo, e correre tutti insieme davanti alle sedi dei nostri governi e chiedere: "ma come è possibile che accada questo? e cosa state facendo per porvi rimedio?"

E invece no, non ce la facciamo. Sorseggiando il caffè, abbandoniamo appena possibile lo sgradevole argomento, e torniamo a parlare - chessò - del processo breve. Mostruoso, ma ancora collocabile in un ambito che possiamo comprendere.
E dentro di noi, ci diciamo "Che culo essere nati qui. Che culo esser nati dalla parte di quelli che affamano il mondo, invece che dalla parte del mondo affamato".
Qualcuno, più vicino alle logiche che governano il mondo, la pensa in termini di darwinismo sociale: "Non è culo: è che loro sono inferiori, incapaci di evolvere verso sistemi in grado di sfamarli, o almeno di difendersi dalla politica di rapina del mondo evoluto...è giusto che periscano loro, è giusto che noi si viva, accumulando cose inutili e superflue mentre c'è chi non ha il necessario per vivere."

Poi, comunque la pensiamo, qualunque sia il nostro pensiero ed il nostro livello di turbamento sull'argomento, torniamo alle nostre cose. Inevitabilmente complici della morte dell'uomo.

giovedì, novembre 12, 2009

Riaffilare i forconi!/3 - il comunicato dell'ANM (comunistiiiiii!)

La lettura del disegno di legge sul cd. “processo breve”, presentato al Senato, conferma e aggrava le forti perplessità già espresse ieri dall’Anm nell’incontro con la Consulta per la giustizia del Pdl, pur in assenza di testi e di particolari. Oggi sentiamo il dovere di dire che questa riforma avrebbe effetti devastanti sul funzionamento della giustizia penale in Italia.

Gli unici processi che potranno essere portati a termine saranno quelli nei confronti dei recidivi e quelli relativi ai fatti indicati in un elenco di eccezioni (articolo 2, comma 5 del disegno di legge) che pone forti dubbi di costituzionalità. È impensabile, infatti, che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti dell’imputato incensurato si estingua, mentre debba proseguire il processo per una truffa da pochi euro, commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato.

Saranno invece destinati a inevitabile prescrizione tutti i processi per reati gravi, quali

  • abuso d’ufficio,
  • corruzione semplice e in atti giudiziari,
  • rivelazione di segreti d’ufficio,
  • truffa semplice o aggravata,
  • frodi comunitarie,
  • frodi fiscali,
  • falsi in bilancio,
  • bancarotta preferenziale,
  • intercettazioni illecite,
  • reati informatici,
  • ricettazione,
  • vendita di prodotti con marchi contraffatti;
  • traffico di rifiuti,
  • vendita di prodotti in violazione del diritto d’autore, sfruttamento della prostituzione,
  • violenza privata,
  • falsificazione di documenti pubblici,
  • calunnia e falsa testimonianza,
  • lesioni personali,
  • omicidio colposo per colpa medica,
  • maltrattamenti in famiglia,
  • incendio,
  • aborto clandestino.

Per tutti questi reati sarà impossibile arrivare a una sentenza di primo grado entro due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, quindi sarà sempre impossibile accertare i fatti.
Più che di una amnistia, si tratta di una sostanziale depenalizzazione di fatti di rilevante e oggettiva gravità.
Truffatori di professione, evasori fiscali, ricettatori, corrotti e pubblici amministratori infedeli, che non abbiano già riportato una condanna, avranno la certezza dell’impunità.
Infine la norma transitoria, che estende ai processi in corso l’applicazione delle nuove disposizioni, è destinata a determinare l’immediata estinzione di decine di migliaia di processi, anche per fatti gravi.
Per limitarci a qualche esempio, la legge provocherà l’immediata estinzione di gran parte dei reati nei processi per i crac Cirio e Parmalat, per le scalate alle banche Antonveneta e Bnl, per corruzione nel processo Eni-Power.


Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati
Giuseppe Cascini, segretario generale

Riaffilare i forconi!/2 - il testo del DDL-vergogna

Il testo del disegno di legge d'iniziativa dei sen.
GASPARRI, QUAGLIARIELLO, BRICOLO, TOFANI, CASOLI, BIANCONI, IZZO, CENTARO, LONGO, ALLEGRINI, BALBONI, BENEDETTI, VALENTINI, DELOGU, GALLONE, MAZZATORTA, MUGNAI, VALENTINO

(Vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna, vergogna ad ognuno di voi ed a chi lo voterà.)

Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.

(ma pensa...per la questione crocefisso la Convenzione Europea è merda, per salvare il capo dalla giustizia diventa un faro...)

Schema di disegno di legge contenente misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

(Bugiardi, ipocriti, mendaci fino al midollo: perchè non la chiamate "per la tutela del nostro padrone contro la durata necessaria dei processi"?)

Articolo 1
(Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)
1. All’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole “Chi ha subito” sono sostituite dalle seguenti: “In attuazione dell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, la parte che ha subito”;
b) al comma 3, la lettera b) è abrogata;
c) dopo il comma 3, sono aggiunti i seguenti:
«3-bis. Ai fini del computo del periodo di cui al comma 3, il processo si considera iniziato, in ciascun grado, alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione, ovvero alla data del deposito dell’istanza di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, ove applicabile, e termina con la pubblicazione della decisione che definisce lo stesso grado. Il processo penale si considera iniziato alla data di assunzione della qualità di imputato. Non rilevano, agli stessi fini, i periodi conseguenti ai rinvii del procedimento richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di 90 giorni ciascuno.
3-ter. Non sono considerati irragionevoli, nel computo di cui al comma 3, i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma 2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma.
3-quater. Nella liquidazione dell’indennizzo, il giudice tiene conto del valore della domanda proposta o accolta nel procedimento nel quale si assume verificata la
violazione di cui al comma 1. L’indennizzo è ridotto ad un quarto quando il procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l’infondatezza.
3-quinquies. In ordine alla domanda di equa riparazione di cui all’articolo 3, si considera priva di interesse, ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura civile, la parte che, nel giudizio in cui si assume essersi verificata la violazione di cui al comma 1, non ha presentato, nell’ultimo semestre anteriore alla scadenza dei termini di cui al primo periodo del comma 3-ter, una espressa richiesta al giudice procedente di sollecita definizione del giudizio entro i predetti termini, o comunque quanto prima, ai sensi e per gli effetti della presente legge. Se la richiesta è formulata dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3-bis, l’interesse ad agire si considera sussistente limitatamente al periodo successivo alla sua presentazione. Nel processo davanti alle giurisdizioni amministrativa e contabile è sufficiente il deposito di nuova istanza di fissazione dell'udienza, con espressa dichiarazione che essa è formulata ai sensi della presente legge. Negli altri casi, la richiesta è formulata con apposita istanza, depositata nella cancelleria o segreteria del giudice procedente.
3-sexies. Il giudice procedente e il capo dell’ufficio giudiziario sono avvisati senza ritardo del deposito dell’istanza di cui al comma 3-quinquies. A decorrere dalla data del deposito, il processo civile è trattato prioritariamente ai sensi degli articoli 81, secondo comma, e 83 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, con esclusione della deroga prevista dall’articolo 81, secondo comma, e di quella di cui all’articolo 115, secondo comma, delle medesime disposizioni di attuazione; nei processi penali si applica la disciplina dei procedimenti relativi agli imputati in stato di custodia cautelare; nei processi amministrativi e contabile l’udienza di discussione è fissata entro novanta giorni. Salvo che nei processi penali, la motivazione della sentenza che definisce il giudizio è limitata ad una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda. Il capo dell’ufficio giudiziario vigila sull’effettivo rispetto di tutti i termini acceleratori fissati dalla legge»;
d) In sede di prima applicazione, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 3-ter, della legge n. 89 del 2001, l’istanza di cui al comma 3-quinquies dello stesso articolo 2 è depositata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.».
Articolo 2
(Estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole)
«1. Nel codice di procedura penale, dopo l’articolo 346 è inserito il seguente: Art. 346-bis - (Non doversi procedere per estinzione del processo). 1. Il giudice nei processi per i quali la pena edittale determinata ai sensi dell’art. 157 del codice penale è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione dichiara non doversi procedere per estinzione del processo quando:
a) dal provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale formulando l’imputazione ai sensi dell’articolo 405 sono decorsi più di due anni senza che sia stata
emessa la sentenza che definisce il giudizio di primo grado;
b) dalla sentenza di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata la sentenza che definisce il giudizio di appello;
c) dalla sentenza di cui alla lettera b) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione;
d) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso è decorso più di un anno senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
2. Il corso dei termini indicati nel comma 1 è sospeso:
a) nei casi di autorizzazione a procedere, di deferimento della questione ad altro giudizio e in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge;
b) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore,
ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova;
c) per il tempo necessario a conseguire la presenza dell’imputato estradando.
3. Nelle ipotesi di cui agli articoli 516, 517 e 518 in nessun caso i termini di cui al comma 1 possono essere aumentati complessivamente per più di tre mesi.
4. Alla sentenza irrevocabile di non doversi procedere per estinzione del processo si applica l’articolo 649.
5. Le disposizioni dei commi 1, 2, 3 e 4 non si applicano nei processi in cui l’imputato ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è
intervenuta la riabilitazione, o è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale, e nei processi relativi a uno dei seguenti delitti, consumati o tentati:
a) delitto di associazione per delinquere previsto dall’articolo 416 del codice penale;
b) delitto di incendio previsto dall’articolo 423 del codice penale;
c) delitti di pornografia minorile previsti dall’articolo 600-ter del codice penale;
d) delitto di sequestro di persona previsto dall’articolo 605 del codice penale;
e) delitto di atti persecutori previsto dall’articolo 612-bis del codice penale
f) delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall’art.4 della legge 8 agosto 1977, n.533, o taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo
625 del codice penale;
g) delitti di furto previsti dall’articolo 624-bis del codice penale;
h) delitto di circonvenzione di persone incapaci, previsto dall’articolo 643 del codice penale;
i) delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
l) delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;
m) delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale;
n) reati previsti nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286;
o) delitti di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti previsti dall’art. 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152.
6. In caso di dichiarazione di estinzione del processo, ai sensi del comma 1, non si applica l’articolo 75 comma 3. Quando la parte civile trasferisce l’azione in sede civile, i termini a comparire di cui all’art. 163 bis del codice di procedura civile sono ridotti della metà, e il giudice fissa l’ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all’azione trasferita.
7. Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando l’imputato dichiara di non volersi avvalere della estinzione del processo. La dichiarazione deve essere formulata
personalmente in udienza ovvero è presentata dall’interessato personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In quest’ultimo caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3.».
Articolo 3
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
2. Le disposizioni dell’articolo 2 si applicano ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ad eccezione di quelli che sono pendenti avanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione.».

"RELAZIONE
Il provvedimento intende attuare il principio della ragionevole durata dei processi, sancito sia nella convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.6), che nella Costituzione (art.111). L’articolo 1 contiene misure per razionalizzare le procedure di equo indennizzo previste nella legge 24 marzo 2001 n.89 (cd. legge Pinto), che trovano applicazione allorquando sia stato violato il diritto alla ragionevole durata del processo civile, penale o amministrativo.
L’obiettivo è quello di rendere più certi i presupposti, la procedura e la quantificazione dell’equo indennizzo, nel quadro di un generale contenimento degli effetti, anche economici, derivanti dalla durata non ragionevole dei processi.

(non vi crediamo, non vi crediamo, non vi crediamo,non vi crediamo,non vi crediamo,non vi crediamo,non vi crediamo,non vi crediamo,non vi crediamo...)

Lo Stato italiano è, infatti, quello che subisce il maggior numero di condanne da parte della Corte europea sui diritti dell’uomo per l’eccessiva durata dei processi. A fronte di tali condanne, sono stati corrisposti indennizzi pari a 14,7 milioni di euro, nel 2007, a 25 milioni di euro, nel 2008, e a 13,6 milioni di euro nel primo semestre del 2009.

(Ah, estinguendo i processi si risparmia pure...)

Questi dati sono ancor più preoccupanti se si considera che, per lo stesso titolo, erano stati pagati, nel 2002, indennizzi per 1,26 milioni di euro, e che essi si riferiscono a
somme erogate direttamente dal Ministero della Giustizia, cui devono aggiungersi i pignoramenti che le parti operano presso le singole Tesorerie Provinciali (ad esempio, nel biennio 2007-2008 sono stati pignorati presso la tesoreria di Roma 7,2 milioni di euro). Altrettanto preoccupante è l’incremento del numero dei procedimenti di equa riparazione, pari al 42% all’anno: erano 5051 nel 2003; 28.383 nel 2008; 17.259 nel primo semestre del 2009 (con una proiezione finale di oltre 34.000 procedimenti, per il corrente anno).
Ai danni finanziari, si aggiunge il rilevante danno di immagine che l’Italia subisce per le ripetute condanne dinanzi alla Corte di Strasburgo.

(Pazzesco!!!!!! questo ddl è mille volte più devastante, per l'immagine del paese, di qualsiasi lungo processo!!!!)

Si tratta di una vera e propria emergenza, come riconosciuto anche dal Presidente della Corte di Cassazione nel corso della inaugurazione dell’anno giudiziario 2009.
Tanto premesso, l’articolo 1 del disegno di legge modifica e integra l’articolo 2 della legge 89/2001. In primo luogo, è previsto che la domanda di equa riparazione sia subordinata a una specifica istanza di sollecitazione, che la parte deve presentare nel processo (civile, penale o amministrativo) entro sei mesi dalla scadenza dei termini di non irragionevole durata, previsti dal nuovo comma 3-ter dell’articolo 2 l.n.89-2001. In questo modo, il meccanismo potrà assumere una funzione non solo risarcitoria, ma anche acceleratoria e, dunque, virtuosa. Presentata l’istanza di sollecitazione, i processi godranno, infatti, di una corsia preferenziale, sotto la vigilanza del capo dell’ufficio interessato, e la sentenza che definisce il giudizio potrà essere sinteticamente motivata (ad eccezione delle sentenze penali).
In secondo luogo, il comma 3-ter dell’articolo 2 della legge 89-2001, introdotto dall’art.1, comma 1, lettera c), del disegno di legge, stabilisce una presunzione legale di non irragionevole durata dei processi nei quali ciascun grado di giudizio si sia protratto per un periodo non superiore a due anni (un anno per il giudizio di rinvio). Non si tratta si una presunzione assoluta, in quanto il giudice che decide sulla domanda di equa riparazione – vale a dire, la corte d’appello competente ex articolo 3 l.n.89-2001, non modificato dal d.d.l. – potrà aumentare il termine fino alla metà nei casi di complessità del caso e valutato pure il comportamento delle parti private e del giudice.

Inoltre, per valorizzare la speditezza, ma anche la lealtà processuale, dal termine di ragionevole durata del processo sono esclusi i periodi relativi ai rinvii richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di 90 giorni ciascuno. In terzo luogo, è previsto che, nella liquidazione dell’indennizzo il giudice deve tener conto del valore della domanda proposta, o accolta, nel procedimento nel quale si è verificata la violazione del termine di ragionevole durata. Anche questa previsione è in linea con la giurisprudenza della Corte europea, che ha fissato dei criteri generali per la liquidazione riconoscendo ai giudici nazionali la possibilità di uno “scostamento ragionevole” da essi. Nella stessa ottica si spiega la riduzione di un quarto dell’indennizzo quando il procedimento, cui si riferisce la domanda di equa riparazione, è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l’infondatezza.
In quarto luogo, con una disposizione transitoria, si prevede che nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge in cui siano già decorsi i termini di ragionevole durata, l’istanza di sollecitazione deve essere depositata entro sessanta giorni. L’articolo 2 prevede l’estinzione dell’azione penale e, quindi, del processo, per violazione dei termini di ragionevole durata. La norma intende adeguare il sistema processuale alla convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.6) e alla Costituzione (art.111, comma 2) e contenere entro limiti fisiologici il contenzioso derivante dalle procedure di equa riparazione (cd. legge Pinto).
Da molti anni, gli analisti registrano come in Italia il principio della ragionevole durata dei processi è sistematicamente violato, al punto che il nostro Paese è quello che subisce il maggior numero di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, con conseguenze molto severe, sia in termini finanziari che di immagine.
Peraltro, il processo penale, oltre ad essere irragionevolmente lungo, è anche in molti casi privo di reale sostanza, come dimostra il numero sempre maggiore di reati dichiarati estinti per prescrizione.

(MA PROVARE VERGOGNA MAI???)

Ciò significa che l’organizzazione giudiziaria occupa una parte delle proprie risorse per celebrare processi privi di reale utilità, generando sfiducia nella certezza della pena e indebolendo la capacità della norma penale di operare come un deterrente.

(CERTO, SONO INUTILI TUTTI I PROCESSI CHE VI RIGUARDANO, NEVVERO?)

In tale contesto, si colloca il meccanismo di estinzione del processo, espressione di una moderna sensibilità giuridica e destinato ad attuare il principio della «durata ragionevole» nel processo penale.

(Capito? non punire i colpevoli è "espressione di una moderna sensibilità giuridica". E noi che pensavamo fosse una cosa spregevole...)

In alcuni casi, il diritto dell’imputato a non restare sotto la soggezione del processo per un periodo di tempo troppo lungo può esser pienamente soddisfatto prevedendo ex lege termini massimi di durata dei diversi gradi di giudizio, il cui superamento obbliga il giudice della fase a pronunciare una sentenza di non doversi procedere.

(Certo, il giudice deve essere obbligato a indagare meno, a non fare le rogatorie, ad emettere sentenze meno approfondite e -dunque- più attaccabili...)

In questo modo, il processo sarà definito prima che si verifichi la violazione del diritto alla ragionevole durata, sul presupposto dell’inattuabilità, o sopravvenuta carenza, dell’interesse all’esercizio dell’azione penale e, attraverso di essa, alla pretesa punitiva dello Stato.

Questo meccanismo soddisfa, da un lato, l’aspettativa dell’imputato a che il processo si concluda entro una certa misura di tempo; dall’altro, l’aspettativa dell’apparato giudiziario a concludere i processi senza subire altri effetti che non siano la propria scarsa sollecitudine.

(Eh, si, soprattutto l'aspettativa di UN PARTICOLARE imputato...)

Quando, però, il processo riguarda reati gravi o di allarme sociale, la sua durata massima non può essere determinata ex lege. Pertanto, il disegno di legge prevede che l’estinzione processuale opera solo nei processi relativi a reati puniti con pene inferiori nel massimo ai dieci anni di reclusione e sempreché non si proceda nei confronti di imputati recidivi o delinquenti o contravventori abituali o professionali (articolo 2, commi 1 e 5). Al di fuori di questi casi, l’estinzione processuale non può operare in quanto prevale l’interesse all’accertamento delle responsabilità e all’applicazione della sanzione. Il rimedio al protrarsi del processo potrà, quindi, consistere soltanto nell’equo indennizzo. Il meccanismo dell’estinzione processuale si basa sulla previsione di termini di durata di ciascun grado del giudizio e di cause di sospensione, che fermano l’«orologio», premiando i «tempi attivi» del processo e neutralizzando quelli passivi o «di attraversamento» dovuti a rinvii forzati, imputabili a scelte delle parti, o a cause esterne, come quando sia necessario acquisire una condizione di procedibilità (ad
esempio, l’autorizzazione a procedere). Il comma 1 dell’articolo 2 stabilisce che, a partire dall’assunzione della qualità di imputato, ciascun grado del processo deve esser definito entro un termine massimo di due anni (un anno per il giudizio di rinvio), scaduto il quale il giudice della fase deve dichiararne l’estinzione. La previsione di un termine di eguale durata per i diversi gradi di giudizio è giustificata dalla diversa distribuzione degli organici e dei carichi di lavoro presso tribunali, corti d’appello e corte di cassazione, che non consente di prevedere tempi più brevi per i processi che pendono in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione.
Nel comma 2, si indicano i casi in cui il corso dei termini è sospeso, tra cui i periodi di sospensione del processo previsti dalla legge e il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore. La scelta delle cause di sospensione si fonda sull’articolo 159 del codice penale. I termini di fase restano, quindi, sospesi in ogni caso in cui la sospensione del procedimento é imposta da una particolare disposizione di legge (ad es., articoli 3, 47, 71, 477, 479, 509 del codice di procedura penale; articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; articolo 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274; articolo 343 del codice di procedura penale, in tema di autorizzazione a procedere; articolo 16 della legge 22 maggio 1975, n. 152). Il termine è, altresì, sospeso in conseguenza di un impedimento dell’imputato o del suo difensore o quando il rinvio è stato disposto su loro richiesta.
A queste ipotesi, è doveroso aggiungere quelle in cui il blocco del procedimento si verifica per una causa esterna, non imputabile agli organi giudiziari, come quando sia in
atto l’estradizione dell’imputato. Il comma 3 prevede che, quando in dibattimento vengono effettuate nuove contestazioni dal pubblico ministero, il termine di fase non può essere aumentato complessivamente per più di tre mesi. Nel comma 4, si specifica che la sentenza di non doversi procedere, per estinzione del processo, una volta definitiva, produce l’effetto preclusivo previsto dall’articolo 649 del codice di procedura penale. Pertanto, rispetto ai fatti oggetto del processo dichiarato estinto opera il principio del ne bis in idem.
Il comma 5 prevede un ampio numero di eccezioni. L’estinzione processuale non opera nei processi a carico di imputati recidivi, delinquenti abituali o professionali, in quelli relativi ai reati di mafia, terrorismo e agli altri delitti ad essi assimilati (articolo 51, commi 3-bis e 3-quater) e in quelli ritenuti di allarme sociale. In questi casi, sull’interesse dell’imputato alla ragionevole durata del processo prevale l’interesse della collettività all’accertamento della responsabilità penale e all’applicazione della pena. Questo “doppio binario” è in linea con le scelte già compiute dal legislatore e già più volte sottoposte al vaglio della Corte costituzionale, che ne ha riconosciuto la ragionevolezza e legittimità. Il comma 6 prevede che la parte civile costituitasi nel processo colpito dalla estinzione, quando trasferisce l’azione in sede civile, ha diritto sia alla riduzione della metà dei termini a comparire di cui all’art. 163 bis del codice di procedura civile, sia alla trattazione prioritaria del processo relativo all’azione trasferita. Infine, il comma 7 sancisce la facoltà per l’imputato di rinunciare alla estinzione del processo, secondo un principio affermato dalla Corte costituzionale con sentenza 23
maggio 1990, n. 275. L’articolo 3 del disegno di legge contiene disposizioni relative all’entrata in vigore della legge e all’applicazione delle norme sull’estinzione processuale.
In particolare, nel comma 2 è specificato che le nuove norme si applicheranno nei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge, ad eccezione dei processi che pendono avanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione."

mercoledì, novembre 11, 2009

Riaffilare i forconi?

Nel processo di disfacimento del vivere civile di questo paese, ieri si è raggiunta una nuova, importante tappa.
Pur di rendersi improcessabile ed ingiudicabile, B. costringerà a imporre una durata massima dei processi che il suo stuolo di avvocati saprà bene - per ogni evenienza - come far superare.
L'idea innovativa che, superato un certo limite di tempo, il processo penale semplicemente finisca nel nulla, e mandi tutti a casa come se il reato non fosse accaduto, è grottesca prima ancora che oscena: e, a mio avviso, autorizza la vittima a farsi giustizia da sè, per evitare, oltre al danno subìto, la beffa che tutto finisca nel nulla.
Sei anni, indipendentemente dalla complessità e dal lavoro necessario.
Indipendentemente dalle condizioni in cui la magistratura deve operare: indipendentemente da tutto, perchè tanto quel che importa è che "lui, in quanto eletto dal popolo, non deve essere sottoposto ad alcun giudizio": e chi se ne fotte della giustizia in sè, dei cittadini, della vostra sorte rispetto a chi vi ha offeso.
Non serve aver ragione ed esser parte lesa: anzi, è più vantaggioso aver torto ed essere dalla parte della colpa, se avete un buon avvocato.
Ah, la notizia buona è che, per adesso, l'impunità - perchè di questo si tratta - riguarda solo i reati "minori", quelli per cui è prevista una condanna entro i dieci anni.
Tra questi abbiamo delle sciocchezze come il peculato, la corruzione, la falsa testimonianza, l’associazione a delinquere (anche quella di stampo mafioso), l’omicidio colposo, il furto, la rapina e l’estorsione.
E I QUATTRO QUINTI dei processi, oggi, non riescono a concludersi entro i sei anni.:-(

Per gli omicidi volontari e la violenza contro la persona, evidentemente, l'impunità non è ancora necessaria. Per ora. Fino a quando qualcuno che se ne fotte delle regole, di tutte e soprattutto di quelle che tendono a limitare il suo potere, non deciderà che possa essere utile per mantenerlo, il potere.

Incrociate questo disegno di legge con l'intenzione di separare le carriere tra PM e giudici, e con le conseguenze pratiche della riforma letale della giustizia come la intendono costoro: come spiega bene l'ex magistrato Bruno Tinti nel suo blog in questo post ed in questo,

"Il problema allora è che, se il cliente del PM è il Governo, i processi finiscono con il diventare politici. Il PM avvocato (il PM che sostiene l’accusa) viene incaricato di fare questo e quell’altro processo; e soprattutto, di non fare questo o quell’altro."

Quindi, nel futuro possiamo essere SICURI che per qualsiasi uomo di potere che si macchi di reati come il peculato, la corruzione, la falsa testimonianza, l’associazione a delinquere (anche quella di stampo mafioso), l’omicidio colposo, il furto, la rapina e l’estorsione, non solo il processo NON terminerà in tempo, ma saremo anche SICURI che - combinando le due iniziative - NON INIZIERA' NEMMENO, perchè non sarà più la Magistratura ad agire di propria iniziativa, ma sarà obbligata a fare SOLO i processi indicati dal potere stesso.

Dunque, vista dalla nostra parte di cittadini, che già oggi soffrono per una giustizia che non funziona, lo scellerato patto di ieri tra Mimì & Cocò non fa che seppellire per sempre l'idea che esista LA giustizia.

Io credo che, a chi subisce un'offesa violenta (pensiamo al nonno in bicicletta ucciso dal solito automobilista ubriaco, che con un avvocato infame e scaltro ha l'80% di possibilità di rimanere impunito), ormai non resti che affilare i coltelli ed i forconi, e contare sulla vendetta anzichè su una giustizia che appartiene al ricordo di un tempo che fu.

Avanti, avanti, signori miei: pur di mantenere un gruppo di pazzi al potere, si dia via libera alla barbarie.

Qui non è più, ormai questione di maggioranza ed opposizione.

Qui è questione di capire quanti ancora credono nella possibilità di un sistema di convivenza civile, e quanti invece pensino che sia arrivato il momento di lasciar liberi i peggiori istinti animali del "popolo", per meglio guidarli verso i propri fini.

Come fece in fondo un artista fallito di origine austriaca, un'ottantina d'anni fa, con la complicità di una società profondamente malata e disponibile all'odio, senza che nessuno lo prendesse abbastanza sul serio da decidere di fermare - sino a quando fu troppo tardi - la sua pericolosità sociale.

venerdì, novembre 06, 2009

Crocefisso e sentenza della Corte Europea: un altro capolavoro di ipocrisia italica.

La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla causa intentata dalla signora Soile Lautsi contro la Repubblica Italiana è una miniera di informazioni interessanti: prima di tutto sul tema "storico" della esposizione obbligatoria del crocefisso nelle aule scolastiche italiane, ma - ed è la cosa più interessante - anche su quanto il nostro Governo sia ipocrita.
(Qui, cercando in "List of recent judgments" la sentenza CASE OF LAUTSI v. ITALY del 3/11/2009, troverete il testo integrale della sentenza, in francese).

La linea di difesa adottata dal Governo nella causa, infatti, si basa su una minimizzazione e su una mistificazione: si afferma che il crocefisso non è più un simbolo religioso, ma un simbolo portatore di valori umanistici condivisi da tutti.
Ma non solo: è un simbolo che si può tranquillamente ignorare.
"Il crocefisso, in effetti, è esposto nelle aule scolastiche, ma non è richiesto agli insegnanti nè di elevare ad esso il minimo segno di saluto, di riverenza o di semplice riconoscimento, ed ancora meno di recitare preghiere in classe.
Nei fatti, non è loro richiesto di prestare una qualsiasi attenzione al crocefisso."

Insomma, il Governo dice alla Corte: è vero, la nostra è una Repubblica Laica e la religione cattolica non è religione di stato, ma non dovete pensare che quel crocefisso sia una scelta di campo: è un simbolo laico, ormai.
E se proprio a qualcuno dà fastidio, può considerarlo alla stregua di un oggetto di arredamento, non farci caso: si può ignorare, come se non ci fosse.

La solita ipocrisia italica. Perchè di queste argomentazioni, nei lai alzati dagli uomini e dalle donne di governo dopo che la sentenza è diventata pubblica, non c'è traccia: lo stesso Governo che , negli atti di difesa, propone rispetto alla questione posta una tipica via d'uscita all'italiana, in pubblico alza la voce e grida al sacrilegio da parte di un'Europa portatrice di una "ideologia laicista".
Si badi bene: mai una volta, nella sua difesa davanti alla corte, il Governo mette in discussione il principio di laicità dello Stato, che è un valore comune europeo.
Sa di essere in colpa, e si "giustifica" rispetto a questa disarmonia tra laicità ed esposizione di un simbolo che si riferisce ad una specifica confessione.
Ma si guarda bene dal dirlo in pubblico, poi, quando la questione diventa pubblica.

Ma andiamo per ordine, ed entriamo nel dettaglio di questa storia leggendo passo passo la sentenza, che include anche una interessante dissertazione storica sull'argomento.

L'obbligo di esporre il crocifisso nelle scuole risale addirittura a prima della Unità d'Italia, perchè si trova per la prima volta in un decreto reale del 1860 del Regno di Piemonte-Sardegna.
Quando nel 1861 nasce il nuovo Regno d'Italia, esso assume di fatto come Statuto il vecchio testo albertino del 1848 e tutte le leggi sabaude, incluso tale obbligo.

Una circolare del Ministero dell'Istruzione datata 1922 lamenta il fatto che, nel tempo, dalle aule scolastiche delle scuole primarie stiano scomparendo l'immagine di Cristo ed il ritratto del Re, ed intima alle amministrazioni comunali di provvedere a ripristinarle entrambe.

Un decreto reale del 1924, confermato da uno del 1928, definisce il crocefisso come elemento fondamentale dell'arredamento delle aule scolastiche.

I Patti Lateranensi, siglati l'11 febbraio 1929, segnano la "conciliazione" definitiva tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, dopo la crisi seguita all'annessione armata di Roma al Regno d'Italia avvenuta nel 1871.
Il Cattolicesimo viene confermato religione ufficiale dello Stato Italiano.
Il primo articolo del trattato afferma: "L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato dall'articolo 1 dello Statuto Albertino del Regno del 4 marzo 1848, secondo il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato".

Nel 1948, lo Stato Italiano adotta la sua Costituzione Repubblicana.

L'articolo 7 riconosce esplicitamente che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel suo ambito, indipendenti e sovrani. I rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi e le modifiche degli stessi accettate dalle due parti non richiedono una procedura di revisione costituzionale.

L'articolo 8 enuncia che le confessioni religiose diverse da quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purchè non siano in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano.

Il nuovo accordo tra Stato e Chiesa del 18 febbraio 1984, firmato dal Cardinale Casaroli e dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi, modifica in parte i Patti Lateranensi e stabilisce esplicitamente (nel Protocollo Aggiuntivo che interpreta gli effetti degli articoli) che "si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano. "

Ne discende, come conseguenza, che la Corte Costituzionale, in una sentenza del 1989 rispetto al carattere non obbligatorio dell'insegnamento della religione cattolica, afferma che la Costituzione contiene in diversi articoli ( 2, 3, 7, 8, 9, 19 e 20) il principio di laicità dello Stato, e che il carattere confessionale dello Stato è stato esplicitamente abbandonato nel 1985, in virtù del Protocollo Aggiuntivo ai nuovi accordi con la Santa Sede.

Nel 2001, la signora Lautsi (che ai tempi ha due figli di 11 e 13 annni che frequentano un istituto comprensivo di Abano Terme) ritiene che la presenza dei crocefissi in aula sia contraria al principio di laicità dello Stato, al quale intende ispirare l'educazione dei propri figli, e chiede alla scuola di rimuoverli, anche in virtù del fatto una sentenza della Corte di Cassazione, nel 2000, ha giudicato contrario al principio di laicità dello Stato la presenza di un crocefisso nei locali dei seggi elettorali preparati per le elezioni politiche.

La scuola decide di mantenere i crocefissi al loro posto, e la signora Lautsi ricorre allora al TAR del Veneto.

Il 3 ottobre 2002, il Ministero della Pubblica Istruzione (guidato da Letizia Moratti) entra nella questione con questa direttiva:

Prot. n. 2666

Il competente Dipartimento del Ministero dell’Istruzione dell'Università e della ricerca provvederà ad impartire le occorrenti disposizioni perché:

  1. sia assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche;
  2. ogni istituzione scolastica, nell’ambito della propria autonomia e su delibera dei competenti organi collegiali, renda disponibile un apposito ambiente da riservare, fuori dagli obblighi ed orari di servizio, a momenti di raccoglimento e di meditazione dei componenti della comunità scolastica che lo desiderino.
La direttiva non è una legge, ovviamente, ed inoltre su questa direttiva aleggia un certo mistero, come potete leggere qui: la direttiva risulta emessa, ma mai firmata dal ministro e (forse) mai giunta alle scuole.

Nel 2004, il TAR del Lazio giudica ammissibile la questione di costituzionalità posta dalla ricorrente e la pone alla Corte Costituzionale.
Il Governo sostiene che la presenza del crocefisso dentro le aule scolastiche sia un "fatto naturale", poichè non è solo un simbolo religioso ma anche la "bandiera della Chiesa Cattolica", che è stata la sola Chiesa nominata nella Costituzione (articolo 7).

Nello stesso anno, la Corte Costituzionale si dichiara incompetente a decidere sulla questione di costituzionalità perchè il motivo del contendere non è previsto in leggi ma in regolamenti, che non hanno valore di leggi.

Continua intanto la procedura davanti al TAR, che nel marzo 2005 respinge il ricorso, affermando che il crocefisso è un simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell'identità italiana, ed il simbolo dei principi di legalità, di libertà e di tolleranza oltre che della laicità dello Stato.

La ricorrente avanza ricorso al Consiglio di Stato, che il 13 febbraio 2006 rigetta il ricorso, motivandolo con il fatto che la croce è diventata uno dei valori laici della Costituzione Italiana e rappresenta i valori della vita civile.
A questo punto, il ricorso viene presentato a livello europeo, ipotizzando una possibile violazione della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (uno dei documenti fondanti dell'Unione Europea), e porta alla sentenza UNANIME della corte emessa il 3 novembre.

Il ragionamento della signora Lautsi è il seguente.

Il crocefisso viene esposto nelle aule in relazione a disposizioni che sono datate 1924 e 1928 e che sono considerate tuttora in vigore, nonostante siano anteriori all'entrata in vigore della Costituzione (1948) e soprattutto agli ultimi accordi tra Stato e Chiesa del 1984, in seguito ai quali la religione cattolica non è più religione di stato.
Tali disposizioni sono il frutto di una concezione confessionale dello Stato superata, appunto, dal 1984: non si capisce dunque per quale motivo lo Stato riconosca alla religione cattolica, con l'esposizione del crocefisso nelle aule, una posizione di privilegio che si traduce in una ingerenza nel diritto di libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Inoltre, il crocefisso è un simbolo inequivocabilmente religioso, malgrado si tenti di accreditarlo in modo diverso usando chiavi di lettura storiche e culturali.
Uno Stato laico non dovrebbe mai dare la sensazione di privilegiare una confessione religiosa rispetto ad un'altra, e soprattutto di fronte alle persone che sono più vulnerabili a causa della loro giovane età.

Come risponde il Governo italiano, di fronte alla Corte, a queste argomentazioni?
Afferma che si tratta di un questione più filosofica che giuridica. Che il simbolo in questione è ormai, più che specificatamente religioso, portatore di un messaggio umanistico e relativo a valori condivisi.
La croce rinnova un messaggio che è perfettamente compatibile con la laicità ed accessibile anche ai non cristiani ed ai non credenti.
In conclusione, il simbolo della croce può essere percepito come deprivato di significato religioso, e la sua esposizione in un luogo pubblico non costituisce in sè un attentato ai diritti ed alle libertà garantite dalla Convenzione.

Nello specifico, non è negata o meno la libertà di aderire o meno ad una religione: in Italia questa libertà è pienamente garantita. Il crocefisso, in effetti, è esposto nelle aule scolastiche, ma non è richiesto agli insegnanti nè di elevare ad esso il minimo segno di saluto, di riverenza o di semplice riconoscimento, ed ancora meno di recitare preghiere in classe. Nei fatti, non è loro richiesto di prestare una qualsiasi attenzione al crocefisso.

Secondo il Governo, l'esposizione della croce non mette in discussione la laicità dello Stato, principio che è inscritto dentro la Costituzione e negli accordi con la Santa Sede. Essa (l'esposizione) non viene considerata il simbolo di preferenza verso una religione, perchè si riferisce ad una tradizione culturale e di valori umanisti sostenuti anche da persone diverse dai cristiani. In conclusione, l'esposizione della croce non disconosce il dovere di imparzialità e di neutralità dello Stato.

Inoltre, il Governo chiede alla Corte di essere prudente e di astenersi dal dare un contenuto preciso al principio di "laicità dello Stato", ad esempio interdicendo la semplice esposizione di simboli.
Questo darebbe un "contenuto materiale predeterminato" al principio di laicità, il che sarebbe in contrapposizione alla legittima diversità degli approcci nazionali e condurrebbe a conseguenze imprevedibili.

Il Governo non sostiene che sia necessario, opportuno o desiderabile mantenere il crocefisso nelle aule scolastiche, ma la scelta di mantenerlo o no risponde a criteri di opportunità, non di legalità.
La Repubblica Italiana, benchè laica, ha deciso liberamente di lasciare il crocefisso nelle aule scolastiche per diversi motivi, tra cui la necessità di trovare un compromesso con i partiti di ispirazione cristiana che rappresentano una parte essenziale della popolazione e del suo sentimento religioso.

Quanto a sapere se un insegnante è libero di esporre altri simboli religiosi dentro un'aula, nessuna disposizione lo proibisce.

La Corte, sulla vicenda in questione, ha sentito un parere "terzo" e indipendente: il Greek Helsinki Monitor (GHM) (1).

Secondo il GHM, la tesi che il crocefisso non debba essere inteso come simbolo religioso, ma come simbolo "altro" (portatore di valori umanisti), non è accettabile, ed anzi potrebbe essere considerata offensiva per la Chiesa. Il Governo italiano non è probabilmente in grado di indicare un solo non-cristiano che sia d'accordo con questa tesi.
Se il crocefisso non deve essere nè salutato, nè degnato di attenzione, ci si chiede perchè allora venga affisso.
Il GHM osserva che, secondo i "Principi di Toledo per l'insegnamento relativo alle religioni e convinziioni nelle scuole pubbliche" pubblicati dall'OCSE (qui il testo scaricabile in inglese e spagnolo) , la presenza di un tale simbolo dentro una scuola pubblica può costituire una forma di insegnamento implicito di una religione, ad esempio dando l'impressione che questa religione particolare sia favorita in rapporto alle altre.

Alla fine, la Corte, all'unanimità, svolge le seguenti riflessioni:
"La Corte non è riuscita a a comprendere come l'esposizione, nelle aule di scuole dello Stato, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato al Cattolicesimo (la religione maggioritaria in Italia) possa essere funzionale al pluralismo educativo che è considerato essenziale per la preservazione di una "società democratica" così come concepita dalla Convenzione, un pluralismo che è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale Italiana. L'esibizione forzosa del simbolo di una confessione specifica in premessa usata dalle pubbliche autorità, e specialmente nelle aule, di conseguenza ha limitato il diritto dei genitori di educare i loro figli nel rispetto delle loro convinzioni, ed il diritto dei bambini di credere o non credere.
La Corte ha concluso, ALL'UNANIMITA' , che si è rilevata una violazione dell'Articolo 2 del protocollo n.1 unitamente all'articolo 9 della Convenzione (2)" .

Dunque, una sentenza tutt'altro che VIOLENTA, come si spinge ad affermare il Ministro Gelmini.
Anzi: su un argomento del genere, il Governo ha saputo pacatamente porre le proprie argomentazioni a difesa. Riconfermando la laicità dello Stato, come abbiamo visto, e traslando la portata del simbolo, chiedendo di non considerarlo più "simbolo religioso" ma "simbolo umanista".
Asserendo addirittura che non esiste alcuna direttiva che impedisca agli insegnanti di apporre in aula simboli di altre confessioni religiose in aula.

Ma appena la sentenza viene resa nota, ecco che il Governo cambia volto ed abbandona la sua posizione "ragionevole e laica". Lamenta l'aggressione laicista e secolarista, rinnega la sua stessa posizione "laicista ma tollerante verso il simbolo", e ridiventa un megafono ipocrita del Vaticano.

Al punto che la Lega Nord, la formazione più pagana ed antievangelica che si sia in tempi recenti aggirata sul territorio nazionale, arriva al paradosso blasfemo di usare la questione crocefisso per un'ennesima crociata: ovviamente non in difesa della religione cattolica, ma in "offesa" di tutti coloro nei cui confronti questo simbolo può essere usato come elemento di divisione e discriminazione religiosa o razziale.
Il "moderato" Cota, capogruppo alla Camera e candidato leghista alla Presidenza della Regione Piemonte, ha affermato: "Noi vogliamo il crocefisso nelle aule PERCHE' non vogliamo diventare musulmani", violentando contemporaneamente la ragione e la logica.

Ovviamente, la sentenza (che tutti possono leggere con una conoscenza elementare del francese) è lì a disposizione di chiunque voglia capire la materia del contendere: ed il modo migliore per non farlo è, come sempre, accontentarsi della informazione di regime strombazzata dai TG.

UPDATE: leggo ora (17,30) dal sito di Repubblica le seguenti dichiarazioni del Cardinale Bagnasco.

Crocifisso. Di fronte alla ''surreale'' sentenza emessa dalla Corte europea di Strasburgo a proposito della presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane, ''bene ha fatto il Governo ad annunciare ricorso''. Dice Bagnasco che parla di una sentenza ''sorprendente'' e ''alquanto surreale''. "Un'impostura" di minoranze esigue che rischiano di far allontanare l'Europa dalla gente.

Credo che ognuno possa valutare da solo chi, in questa storia, si collochi tra gli impostori della peggior specie.




(1) Il GHM è un'organizzazione per la tutela dei diritti umani che realizza principalmente attività di monitoraggio sui media dell'area balcanica, redige Rapporti e Pubblicazioni sulla situazione delle minoranze etniche, linguistiche e religiose in Grecia.

(2) Articolo 9 della Convenzione: Libertà di pensiero, di coscienza e di religione 1 Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. 2 La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui. Articolo 2 del Protocollo 1: Diritto all'istruzione Il diritto all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.

martedì, novembre 03, 2009

Maria Giuana

AVVISO!

Questo post è stato completamente riscritto e rieditato in una versione aggiornata ad aprile 2016, che trovate qui.

C'è una vecchia canzone piemontese, "Maria Giuana", che ha una storia lunghissima...