Sabato 12 ottobre, in occasione della manifestazione nazionale contro l'immigrazione convocata a Torino dalla Lega Nord, ho sentito il bisogno di essere in piazza per manifestare pubblicamente e fisicamente la mia avversione.
Sapevo che c'era un presidio promosso da un certo numero di associazioni e movimenti, e così mi sono recato in centro, nel luogo di cui avevo letto al mattino sulla "busiarda" (1) - più o meno a metà del percorso previsto dal corteo della Lega Nord, il che mi sembrava un po' strano.
Infatti, quando sono giunto lì, non ho trovato nessuno, a parte una dimostrante solitaria con un cartello che ricordava come anche gli italiani fossero un popolo di migranti, e pochi altri cercatori del presidio.
Quando poi ho scoperto che, per ragioni di ordine pubblico, la posizione dei presidii era stata spostata fuori dal raggio di azione del corteo, era ormai troppo tardi: la città era blindata e tra i due mondi si ergeva ormai una barriera impenetrabile di poliziotti. Aggirarla sarebbe stato complicato, quindi mi sono rassegnato a starmene lì.
Prima sono però andato un attimo a vedere da vicino i Padani. Mezz'ora prima dell'inizio previsto del corteo erano ancora poche decine.
Una signorina bionda mi ha porto un volantino della Lega, dicendo "è per la difesa dei valori antichi, dei valori cristiani". Quando le ho chiesto cosa c'entrassero questi valori con le campagne di odio contro gli immigrati, mi ha invitato a rivolgermi al numero di telefono indicato sul volantino, "le spiegheranno tutto".
Ho fatto un giro da Feltrinelli, dove ho trovato una copia superscontata di
questo bellissimo libro di Bruno Munari, e mi son messo lì, seduto sul bordo di una delle due fontane di piazza CLN, a leggere.
(La dove ha inizio il film "Profondo Rosso", per dire...)
Finalmente, verso le 17, il corteo si è mosso.
Intorno a me, intanto, nella piazza, il numero di persone con sentimenti antileghisti era aumentato a una ventina.
Quando il corteo si è avvicinato a piazza CLN, una coppia matura ha sfoderato uno striscione del Movimento Nonviolento e ha cercato di mettersi sul percorso del corteo, ma i funzionari di polizia l'hanno considerata una provocazione e li hanno costretti a ripiegare e a ripiegarlo.
Purtroppo, quando il corteo è passato lì davanti, i pacifisti non hanno saputo resistire alle proprie pulsioni ed hanno iniziato ad insultare, abbastanza pesantemente, i leghisti che passavano.
I quali, ovviamente, ci sono andati a nozze ed hanno iniziato a rispondere per le rime.
I due gruppi si sono pericolosamente avvicinati, le voci e le mani hanno iniziato ad alzarsi ed i due branchi - a dir la verità - in quel momento sembravano abbastanza indistinguibili.
I poliziotti, messisi immediatamente in mezzo e abbastanza innervositi dal fatto di non aver saputo prevedere la minaccia imprevista, hanno calato i caschi e impugnato i tonfa ed hanno iniziato ad avanzare minacciosi verso i pacifisti, seguiti da orde di giornalisti con le telecamere e le macchine fotografiche - assetati di sangue, a loro volta seguiti da masse di leghisti pronti a menar le mani.
Visto che non ci tenevo ad esibire il mio cranio insanguinato all'edizione serale del TG3 Piemonte, in uno scontro "militare" così asimmetrico ed impari da essere completamente idiota, sono sgusciato via in mezzo ai fazzolettati verdi verso piazza San Carlo, dove sarebbe terminata la manifestazione.
Ho visto dunque sfilare i manifestanti.
Molti pittoreschi, bardati di verde da capo a piedi, o con i soliti confusi richiami a icone celtiche o vichinghe; ma la maggior parte avevano un aspetto normale, erano quella "gggente" che incontri ogni giorno per strada senza mai saper bene se aspettarti un sorriso o una coltellata.
I giovani non erano molti, ma erano l'unico tratto iconicamente aggiornato di un corteo zeppo di immagini uscite dal passato (molte bandiere di San Marco e altre che sembrano uscite paro paro dall'epoca dei Comuni).
Alla fine i partecipanti erano più o meno tremila, di cui - sono cifre fornite dalla organizzazione di quel partito - circa 500 autoctoni.
(Un autentico flop, direi, trattandosi di una manifestazione nazionale: gli antagonisti indigeni, avversi alla manifestazione, erano stimati in almeno il doppio.)
Poi, dal palco, hanno iniziato a parlare i big del partito.
Calderoli, dal vero, mi ha confermato l'impressione di un essere volgare e villano che già avevo di lui.
Inconsistente Giorgetti.
Tosi l'ho trovato deludente: un eloquio povero e tutt'altro che seducente, tanto da chiedersi se davvero abbia qualche chance come candidato del centro destra.
Salvini si presenta meglio (pensa te!): la claque dei Giovani Padani della piazza era tutta per lui (con lo slogan "Più Salvini, meno clandestini" (sic!); è un tipo che sa parlare bene, sa modulare i toni e sa accendere la piazza.
Poi ha parlato Roberto Cota. Personalmente lo trovo già insopportabile ed arrogante quando parla come Presidente (con quel c***o di fazzoletto verde nel taschino che saprei bene dove mettergli, quando dovrebbe rappresentare tutti i piemontesi).
In versione militante, si trasforma di fatto in un botolo ringhiante, rancoroso e traboccante di malvagità.
Con lui, come si dice qui, "ne ho avuto a basta", e non ho avuto cuore di fermarmi a sentire anche l'intero comizio di Maroni e l'eventuale abbaiare triste di Bossi.
La cifra comune dei discorsi dei dirigenti della Lega però è identificabile.
Un po' di immondizia culturale, un po' di paure ignoranti e un po' di rancori da bar.
(Mi ha fatto molto ridere, detto da Cota, il bisogno di "difendere la nostra cultura".
Mi son guardato intorno, a guardare i militanti che applaudivano, e mi son chiesto - senza ironia - che significato avesse per loro questa espressione.)
Il tutto mixato con un linguaggio da trivio, per marcare la distanza dai "salotti radical chic", come li chiama Cota.
Direi che la loro ricetta è sdoganare il peggio dei nostri sentimenti; mentre una volta - complice anche una educazione cattolica che qualche merito ce l'aveva - ci si vergognava di certi pensieri, con la Lega essi si possono ululare insieme sghignazzando e mangiando porchetta.
Si possono insultare i ministri (meglio se donna, ovviamente) sentendosi superiori ad essi, si può ironizzare pesantemente sulla diversità sentendosi compresi.
Liberi, finalmente, di essere se stessi (e di non essere costretti a migliorare mai).
(1) "la Stampa", così come la chiamavano un tempo gli operai della Fiat.