lunedì, febbraio 28, 2011

Libia-Italia: altre cose che è bene sapere

Un articolo di Maurizio Simoncelli, Vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, pubblicato il 22 febbraio sulla rivista scientifica online "Galileo".

Mentre continuano a pervenire dalla Libia drammatiche notizie sulla violenta repressione ad opera del regime, appare utile ricordare che Tripoli è un partner commerciale importante per l’Italia anche nel settore militare. Infatti in questo paese è diretto circa il 2% delle esportazioni totali dell’Italia, ponendosi come l’undicesimo paese importatore delle armi italiane.
Tra l’altro, dopo un leggero calo tra il 2005 e il 2007, nel 2008 il valore delle spese militari libiche ha ricominciato a crescere, raggiungendo la cifra di 1,1 miliardi di dollari nel 2008, aprendo quindi prospettive interessanti alle esportazioni di armi.
In base ai Rapporti del Presidente del Consiglio dei Ministri sui lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, il valore delle esportazioni di armi italiane alla Libia è in costante crescita a partire dal 2006, anno in cui riprendono i flussi commerciali tra i due Stati. Le autorizzazioni alle esportazioni italiane in Libia per il 2009 sono state pari a circa 111,8 milioni di euro, in aumento rispetto ai 93 milioni circa del 2008 (in particolare bombe, siluri, razzi, aeromobili e apparecchiature elettroniche).

E’ utile ricordare che negli ultimi dieci anni diversi sono stati gli accordi stipulati con il regime di Gheddafi:

• La Agusta Westlands, una società del Gruppo Finmeccanica, ha venduto 10 elicotteri AW109E Power tra il 2006 e il 2009, per un valore di circa 80 milioni di euro. L’azienda, inoltre, afferma di avere venduto quasi 20 elicotteri negli ultimi anni, tra cui l’aereo monorotore AW119K per le missioni mediche di emergenza e il bimotore medio AW139 per le attività di sicurezza generale.

• Joint-venture: la Libyan Italian Advanced Technology Company (LIATEC), posseduta al 50% dalla Libyan Company for Aviation Industry, al 25% da Finmeccanica e al 25% da Agusta Westlands. LIATEC offre servizi di manutenzione e addestramento degli equipaggi dei velivoli AW119K, AW109 e AW139, tra cui servizio di assistenza tecnica, revisioni e fornitura di pezzi diricambio.

• Nel gennaio 2008 Alenia Aeronautica, un’altra società del Gruppo, ha firmato un accordo con la Libia per la fornitura di un ATR-42MP Surveyor, un velivolo adibito al pattugliamento marittimo. Inoltre, nel contratto, del valore di 31 milioni di euro, sono compresi l’addestramento dei piloti, degli operatori di sistema, supporto logistico e parti di ricambio.

Itas srl, una società di La Spezia (secondo il Servizio Studi - Dipartimento affari esteri della Camera, doc.140-21/05/2010) cura il controllo tecnico e la manutenzione dei missili Otomat, acquistati a partire degli anni Settanta dal governo di Tripoli. L’Otomat è un missile a lunga gittata antinave.

• A seguito degli accordi contenuti nel Trattato di Bengasi, nel maggio 2009, la Guardia di Finanza ha proceduto alla consegna delle prime tre motovedette alla Marina libica per il pattugliamento nel Mar Mediterraneo, seguite nel febbraio 2010 da altre tre imbarcazioni (da una di queste sono state sparate raffiche di mitragliatrice contro un peschereccio italiano nel 2010).

La Finmeccanica ha stipulato accordi con società libiche:
• Nel 2009 ha firmato un Memorandum of Understanding per la promozione di attività di cooperazione strategica con la LIA (Libyan Investment Authority) e con la LAP (la Libya Africa Investment Portfolio).

• SELEX Sistemi Integrati, società del Gruppo Finmeccanica, ha firmato nell’ottobre 2009 un accordo del valore di 300 milioni di euro per la realizzazione di un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini.

Solo ora, di fronte alla rivolta popolare che si sta diffondendo nei paesi nordafricani, si scopre che questi regimi sono illiberali, mentre i governi occidentali li hanno appoggiati a lungo, fornendo armamenti in cambio di materie prime e opportunamente “distraendosi” sui temi fondamentali del rispetto dei diritti umani e delle elementari libertà civili conculcate in questi paesi, come nel caso libico.

giovedì, febbraio 24, 2011

Quando il potere dà il numero dei morti provocati da un altro potere, andiamoci cauti

Leggo, ascolto, vedo.
Sento parlare di diecimila morti.
Guardo un video in cui, si annuncia, "su una spiaggia vengono scavate fosse comuni". E scorrono le immagini non di fosse comuni, ma dello scavo di buche singole, in alcuni casi ben rifinite con cemento e pietre: che razza di fosse comuni sono mai?
Mi aspetto almeno, nei pressi, cumuli orrendi di cadaveri. Nulla. Nemmeno un morto (e se ci fossero, lì, non li avrebbero inquadrati con dovizia di particolari?)
Mi aspetto (nell'era in cui le foto di Google Maps ti fanno vedere la tua auto parcheggiata sotto casa) foto dal satellite delle principali piazze delle città libiche: nulla.
Mi aspetto immagini dettagliate, dall'alto, delle piazze bombardate, degli edifici distrutti. Nulla.
Solo incerti, traballanti video fatti con il cellulare.
Piero Del Re di "Repubblica", da Bengasi, racconta di buche profonde un metro e mezzo nelle aiuole della piazza centrale di Bengasi: nelle aiuole??? E di 300 morti, in quella piazza, domenica scorsa. Ma nella sua cronaca non c'è, di nuovo, un solo cadavere visto con i suoi occhi. Un professore gli racconta che all'ospedale, nell'ultima settimana, sono stati realizzate "più di 200 operazioni per riparare ossa spezzate da pallottole o schegge di granata". 200 feriti in una settimana a fronte di 300 morti in un giorno solo? Vi quadra? A me, il dato dei morti, no.

E ancora. Sul TG di La7, ieri sera, Mentana fornisce questa notizia: "Gheddafi ha dato ordine all'aviazione di bombardare i pozzi petroliferi. Un pilota si è di sicuro rifiutato di farlo disertando, ma non sappiamo come si sono comportati gli altri piloti".
NON SAPPIAMO? Cioè, non riusciamo a sapere SE qualcuno in Libia ha bombardato un pozzo petrolifero? Non esiste nessun modo di vedere, filmare, fotografare quel tipico e denso fumo nero visibile a centinaia di km di distanza, come capitava in Irak? Siamo improvvisamente tornati al 1850?

Leggo, ascolto, vedo.
Ed improvvisamente mi ritorna in mente questa storia.
Ricordate? Romania, dicembre 1989. Il giorno 24 "La Stampa" (e non solo lei) pubblica un articolo di questo tenore.
Dodicimila morti nella rivolta della sola città di Timisoara.
Le fonti sono più certe di quelle di oggi che riguardano la Libia, perchè la dichiarazione arriva dall'allora agenzia di informazione jugoslava Tanjug.
Ricordate? Allora, per l'intera rivolta che portò alla fine di Ceasescu, si parlò di 60-70.000 morti.Sessanta-Settantamila.

Ceasescu cadde, e poi fu la libertà, e la democrazia ritrovata, evviva evviva.
Però...portate pazienza e leggete qui (tratto da Peacereporter):

Ricordando la strage di Timisoara, un impressionante esempio di falso giornalistico
(di Simona Tratzi)
“Il massacro di Timisoara” raccontato dai media di tutto il mondo è stato uno dei casi di disinformazione più eclatanti degli ultimi vent’anni.A pochi giorni dal Natale del 1989 gli spettatori del mondo intero si commossero di fronte al “vero” volto dell’oppressione comunista del regime di Ceausescu vedendo i corpi dei ribelli torturati e poi uccisi dalla polizia del dittatore.
Ancora oggi, nonostante la certezza che si trattò di una messa in scena, è difficile dimenticare l’impatto emotivo di quelle immagini toccanti che diventarono parte della nostra memoria storica.
La folla per le strade di Timisoara
La rivolta. Sono passati quasi vent’anni dalla svolta anticomunista dei Paesi che aderirono al Patto di Varsavia. Nel 1989 l’Europa dell’Est attraversò diverse rivoluzioni che portarono alla caduta dei regimi. In Ungheria, Bulgaria, Repubblica Democratica Tedesca e Cecoslovacchia si raggiunsero nuove forme di governo senza spargimenti di sangue. Il caso della Romania fu invece emblematico a causa del “conducator” Nicolae Ceausescu, fortemente odiato dalla popolazione. La rivoluzione che lo cacciò dal potere fu tutt’altro che pacifica. La prima città a ribellarsi fu Timisoara, capoluogo del distretto di Timis, al confine con l’Ungheria. Dal 17 al 22 dicembre 1989 si scatenò la reazione dell’esercito contro la popolazione in rivolta. La Securitate, la polizia segreta del regime, si impose con la forza contro la popolazione, attaccando i manifestanti con carri armati e lacrimogeni. Ceausescu ordinò di chiudere tutte le frontiere, soprattutto ai giornalisti che vennero tenuti lontani dalla città durante gli scontri. In particolare il 17 dicembre una folla immensa manifestò contro il regime, occupando il quartiere generale del partito Comunista e bruciando le immagini del dittatore.
Cadaveri disseppellitiIl ruolo delle agenzie di stampa. In seguito a questi scontri l’agenzia di stampa ungherese Mti raccolse la voce di un anonimo cittadino cecoslovacco che raccontava “di colpi di arma da fuoco sparati a Timisoara”. Un paio di giorni più tardi le fonti delle notizie per i giornalisti di tutto il mondo diventarono i cittadini che riuscirono a varcare la frontiera. L’agenzia Adn dell’ex Germania comunista fornì per prima la notizia della “tragedia”. “Ci sono 4.660 morti, 1860 feriti, 13.000 arresti, 7.000 condanne a morte”. Il giorno dopo la Tv di Stato ungherese diffuse la notizia del ritrovamento della prima fossa comune. Da tutte le televisioni del mondo occidentale cominciarono a provenire immagini di corpi mutilati, appena disseppelliti. Le notizie sulla strage causata dalla rivoluzione contro il regime di Ceausescu rimbalzarono di agenzia in agenzia, raggiungendo le case di milioni di persone. I racconti furono dettagliati e precisi: 4.362 morti e 13.214 i condannati a morte. Entrato nel circuito informativo nel periodo natalizio, il massacro di Timisoara fu mostrato in continuazione dalle televisioni e raccontato attraverso reportage dai toni appassionati da tutti i maggiori giornali (Corriere della Sera, Figaro, New York Times, Le Monde, Washington Post), commuovendo l’opinione pubblica occidentale.
I corpi, appena esumati, erano in parte ricoperti di terra: quasi tutti con una lunga ferita, dall’alto in basso sul torace, grossolanamente ricucita. In particolare l’immagine che commosse gli spettatori fu quella del corpo di una donna che giaceva supino e, sopra di lei, il minuscolo cadavere di una bimba, apparentemente appena nata, che la stampa si affrettò a identificare come madre e figlia.
Fossa comune
La verità. Solo a partire dal 24 gennaio 1990 cominciarono a circolare le prime smentite rispetto alla rivolta di Timisoara. Una rete televisiva tedesca trasmise alcune testimonianze oculari dalla cittadina, secondo cui le immagini di orrore e la scoperta delle fosse comuni erano una messa in scena. Anche l’agenzia di stampa France Presse scrisse che le immagini dei cadaveri mutilati mostrati dalle televisioni non erano altro che una messa in scena. Raccolse la testimonianza di tre medici di Timisoara che affermarono che i corpi di persone decedute di morte naturale furono prelevati dall’istituto medico legale della città ed esposte alle telecamere della televisione come vittime della Securitate. Quando si ebbe la certezza che la “strage di Timisoara” non aveva niente a che fare con la realtà e che si trattava di un falso giornalistico costruito attraverso la televisione, furono pochissimi gli organi di stampa a riferirlo ai lettori. Da indagini più approfondite emerse che quei corpi provenivano da un cimitero dei poveri: le ferite sul torace non erano i segni della tortura, ma dell’autopsia. Si rivelò, inoltre, che le salme riesumate erano in tutto 13: corpi di sventurati barboni sepolti nei mesi precedenti. Risultò che madre e figlia assassinati erano rispettivamente Zamfira Baintan, un’anziana alcolizzata morta a casa sua di cirrosi epatica l'8 novembre del 1989, e la bimba Christina Steleac, morta per una congestione, a casa sua, a due mesi e mezzo di età, il 9 dicembre 1989.
Nel caso di Timisoara i mass media non si preoccuparono mai di accertare i fatti e le fonti, che rimasero sempre anonime, anche quando i giornalisti riuscirono ad oltrepassare la frontiera e ad arrivare in Romania. I creatori di questa eccezionale manipolazione giornalistica non sono mai stati identificati con certezza, ma rimane l’illusione della storia in diretta, creata dalle immagini delle fosse comuni. L’evento mediatico riuscì a soppiantare la realtà e rimane ancora oggi vivo nella memoria storica della "civiltà occidentale". In verità nei disordini di piazza del dicembre 1989 a Timisoara ci furono 72 morti e 253 feriti distribuiti tra i manifestanti e gli agenti della Securitate."

72 morti, divisi tra manifestanti e poliziotti. Invece di 12.000.

Un'altra fonte francese:
"Timisoara, 350 000 habitants. Ville martyre. Le 23 décembre 1989, on chiffrait à plus de 10 000 morts le nombre des victimes de la Securitate, la police du régime. Selon l’envoyé spécial d’El Pais, " A Timisoara, l’armée a découvert des chambres de torture où, systématiquement, on défigurait à l’acide les visages des dissidents et des leaders ouvriers pour éviter que leurs cadavres ne soient identifiés. " On découvrit un charnier gigantesque. D’ailleurs, à titre d’exemple, mais seulement à titre d’exemple, on exposa devant les caméras dix-neuf corps, côte à côte, plus ou moins décomposés. Dont celui d’un bébé posé sur le cadavre d’une femme, qu’on imaginait être sa maman. Tous extraits d’une fosse commune. Le 22 décembre, les agences hongroise, est-allemande et yougoslave, qui seront reprises par l’AFP à 18h 54, parlaient de 4 632 cadavres de victimes des émeutes des 17 et 19 décembre, " soit par balles soit par baïonnette " (Tanjung), de 7 614 manifestants fusillés par la Securitate. Un chapeau du Monde annonçait 4 000 à 5000 morts.
...
Le bilan officiel des victimes pour toute la Roumanie est de 689 morts, pas 70 000. A Timisoara, il y aurait eu entre 90 et 147 victimes, pas 12 000. "

In questo caso, il disvelamento della menzogna mediatica fu inconfutabile, ma di sicuro non ebbe lo stesso rilievo dato alle cifre (emotivamente sconvolgenti) fornite nel Natale 1989. Di sicuro, chi ricorda quegli eventi sarà portato a dare più retta, nella propria memoria, all'idea della carneficina, del genocidio e del massacro, quando alla fine il bilancio fu certo drammatico ma ben lontano da quanto (volutamente) raccontato in modo falso.

Anche sulla (tristemente) famosa strage di Srebrenica, perpetrata dai serbi ai danni dei bosniaci musulmani nel 1995, i dubbi sull'effettiva consistenza delle vittime (tra 5000 e 8000 dichiarate) sono stati sollevati da più parti, ma forse la vicenda è ancora troppo vicina nel tempo per potervi fare pienamente luce.

Ora, Gheddafi è tutto quello che è.
Non mi unisco però al coro che è passato dal baciamano, ed all'apprezzamento per gli investimenti nelle nostre imprese, al dileggio ed all'esecrazione, o all'orrore: quel signore crudele e buffo ed i nostri clown locali, siano presidenti del consigli o esimi banchieri o nobili famiglie sabaude, si assomigliano molto più di quanto possa apparire ad uno sguardo disattento.
Chi ha il potere tende sempre ad essere bastardo, chi ha il potere desidera averne sempre di più, e chi ha il potere assoluto diventa (e si comporta da) tiranno, inesorabilmente. Il signor B, se potesse riscrivere la nostra Costituzione come pare a lui, probabilmente si limiterebbe ad un articolo solo: "La Repubblica Italiana è basata sui cazzi miei".

Di sicuro, in Libia, sta accadendo qualcosa di drammatico e orribile, di cui però non stiamo effettivamente capendo granchè.
Ma attenzione, attenzione, attenzione.
I numeri che vengono dati in questi giorni, gli orrori che vengono raccontati, prendiamoli con estrema, diffidente cautela, e non basiamo i nostri giudizi sull'emotività che deriva da qualcosa che ci raccontano, ma che NON SAPPIAMO.
Sembra quasi che, in situazioni come queste, il solco profondo tra chi ha il potere e chi non ce l'ha scompaia, e ci si ricompatti su basi "etniche": l'Occidente, "noi", la "democrazia".

Eh, no, signori miei potenti, andate pure a cagare, come prima, senza di noi.
Voi per me continuate ad essere i miei personalissimi Gheddafi, ed i miei fratelli continuano ad essere quelli che contro il potere e l'oppressione lottano, ovunque essi si trovino. Anche, temporaneamente, su un barcone affollato diretto verso la speranza.

giovedì, febbraio 03, 2011

"Laddove de' miei simili io non debba arrossire!"

La misantropia è una scelta o una condanna?

L'Alceste (o, secondo le versioni, Arcando) de "Il Misantropo" di Moliere è uomo di nobili principi, indisponibile ad adattarsi a qualsiasi cosa di meno della verità, anche se sgradevole; indisponibile a percorrere la palude del conformismo e della forma.
Atteggiamento eroico, senza dubbio. Che Alceste paga a caro prezzo, non solo nei rapporti con il prossimo o con il potere costituito, ma anche in amore.

La solitudine è l'inevitabile destinazione finale del Misantropo.
Così come lo è, in fondo, anche per chi decide di rimanere nel consesso umano, nella chiassosa frenesia di una socialità in cui poche volte si riesce ad essere veramente se stessi.

Al Teatro Carignano di Torino (piazza Carignano 6), dal 25 gennaio al 6 febbraio 2011
IL MISANTROPO
di
Molière
con la regia di Massimo Castri.
Con Massimo Popolizio (Alceste), Graziano Piazza
(Filinto), Sergio Leone (Oronte), Federica Castellini (Célimène), Davide Lorenzo Palla(Basco), Ilaria Genatiempo (Eliante), Andrea Gambuzza (Clitandro), Tommaso Cardarelli (Acaste), Laura Pasetti (Arsinoè), Miro Landoni (Guardia, Du Bois).