lunedì, febbraio 26, 2007

Dimmi di più: per una informazione completa

Riprendo dal blog di Andrea Rendi (e da quello di Sabina) la segnalazione di questa interessante iniziativa di Medici senza Frontiere: richiedere ai direttori delle principali testate giornalistiche e radiotelevisive italiane una informazione completa su quello che accade in quel "Resto del Mondo" che non finisce in vetrina.
Aderite, aderite, aderite!

venerdì, febbraio 23, 2007

L'immenso stadio chiamato Italia

In un paese normale, quando cade il governo la gente normale dovrebbe essere preoccupata. Significa che si interrompe, si ridiscute in modo imprevisto, al di fuori delle normali fasi di verifica democratica, il complicato lavoro di amministrazione di uno Stato.
Che le cose si fermano.
In un paese normale.
Non qui. Qui c'è mezzo paese che esulta, garrisce, sbeffeggia, fa il saluto romano, peta, rutta, balla la samba. La "malattia" rappresentata da Berlusconi, che ha portato a considerare la politica come un campionato di calcio, sembra difficilmente guaribile.
Ci vorrebbe tempo, tanto tempo, per disintossicare il paese dal mito della irresponsabilità collettiva. Ci vorrebbe calma, fatica, rispetto, riflessione.
Ci vorrebbe conoscenza e competenza.
Invece il berlusconismo ha dato dignità e voce a tutti coloro - sia a destra che a sinistra, si badi bene! - che pensavano che vivere consistesse principalmente nel farsi i cazzi propri. A quelli che prima si vergognavano - giustamente - di aprire bocca.
E ora questi sono orgogliosi della loro ignoranza. A forza di slogan, affrontano ogni argomento - la politica estera, i diritti civili, l'economia - convinti di saperne più dei "politici", dei ministri, dei deputati e dei senatori. Urlano, semplificano, esigono. Antepongono a qualsiasi cosa il proprio interesse particolare, ed il resto non li interessa. Il resto è "invadenza dello stato". Limiti alla libertà di fare quel cazzo che si vuole in tutti i campi. A questo popolo bue, si sovrappone una Chiesa arcaica e medievale, anch'essa incurante del dolore, anch'essa ignorante (almeno spero), sorda ed arrogante.
Irresponsabilità, ignoranza ed arroganza: per guarire un popolo così ci vuole un governo forte, e molto più responsabile di coloro che sono governati. Ma non c'è, evidentemente, e la malattia peggiora. Di giorno in giorno.
La cura che si intravede in lontananza, ahimè, ha un sapore forte di totalitarismo.

lunedì, febbraio 19, 2007

Il più bello slogan che ho visto a Vicenza

"Basi si, ma co a lingua!"

Un giorno di inverno, finalmente

St-Barthelemy (Valle d'Aosta), domenica 18 febbraio, mattino.
La pista "Gran Fondo" è ricoperta da un sottile strato di neve fresca, grazie ad una modesta precipitazione che è iniziata la sera prima e non è ancora terminata, ed è percorribile per tutti i 27 km del suo sviluppo.
Ci inoltriamo nei boschi, e dopo una decina di chilometri ci ritroviamo da soli in un paesaggio finalmente nordico e invernale.
Il nevischio sferza il viso e cancella a poco a poco le tracce tra le conifere. Silenzio, freddo (siamo a tre sotto zero), un biancore candido e accecante.
L'inverno, quello che non c'era più, si manifesta qui, d'improvviso, in uno spazio ed in un tempo che sono estremamente limitati ma reali, veri.
E' piacevole, paradossalmente, anche la sensazione di congelamento alle mani che ci coglie quando, incautamente, ci fermiamo sotto la tettoia di una baita a mangiare un panino e bere del tè caldo, mentre intorno infuria la tormenta.
Il dolore, acuto, provocato dal sangue che rifluisce nelle estremità gelate è un segno di vita, di ritorno alla vita in una condizione avversa.
Il freddo, la fatica, la solitudine sono qualcosa a cui non siamo più abituati, che ci spaventano.
Che dovremo ritrovare spesso, però, per capire quanto sono intrinsecamente connessi con la vita.

mercoledì, febbraio 14, 2007

Berdymukhammedov (no, non sono impazzito)


Da Internazionale on line:

Il Turkmenistan ha un nuovo presidente.


Gurbanguly Berdymukhammedov, presidente a interim e favorito alle elezioni presidenziali che si sono svolte l'11 febbraio in Turkmenistan, è stato eletto a capo del paese con l'89,23 per cento dei voti. Succede, con un mandato di cinque anni, a Saparmurat Niazov, morto il 21 dicembre. Il voto di domenica è stato il primo in Turkmenistan cui abbiano partecipato vari candidati, altri cinque oltre a Berdymukhammedov, tutti figure minori e membri dell'unico partito legale, il Partito democratico. L'opposizione, in esilio, non era stata autorizzata a partecipare.


Morto un satrapo, se ne fa un altro. Il Turkmenistan è qui a due passi, e la sua situazione la potete leggere dettagliatamente qui.
Il paese è terzo nel mondo per riserve naturali di gas: una specie di Irak dove non c'è bisogno di "portare la democrazia", perchè ci ha già pensato la Russia a modo suo.
Che bel tipo di personaggino fosse Niazov lo potete leggere con raccapriccio qui.
Speriamo che Berdymukhammedov sia meglio, ma di sicuro con quel nome difficile, impronunciabile e molto poco fashion mi sa che dal Turkmenistan arriveranno ancora meno notizie di oggi. Eccolo qui, il trucco: Putin, Niazov, Kim Il Sung più o meno uno se li ricorda.
Berdymukhammedov no. Figurati i Turkmeni.

UPDATE: qui sotto c'era un Post Scriptum inutilmente polemico. Visto che trattavasi di uno sfogo scemo ed inutile, consideratelo cancellato.

P.S. Da qualche giorno i blog più fighi della blogosfera sono alle prese con problemi fondamentali per l'esistenza del mondo come "è giusto o no passare il sabato nei centri commerciali?" oppure "mi si nota di più se apro i commenti o li tengo chiusi?".
Il che va benissimo per cazzeggiare un attimo, ma quando queste "onde" provocano migliaia di post e di discussioni che hanno come orizzonte massimo il proprio ombelico, forse vien da dire che il dono del pensiero, il dono della parola e la LIBERTA' di esprimere gli stessi son cose di cui non si intuisce il valore, visto che vengono usati "a muzzo".
Qui, dove si è assai poco fighi, quando si notano queste dinamiche autistiche per reazione si va a vedere cosa succede fuori dal pianerottolo della blogosfera. Il primo che dice "...seeee, cazzo ce ne frega del Turkmenistan!" gli pigli una sincope, e gli venga l'orticaria, e gli si sputtanino tutte le lettere accentate dei post scritti negli ultimi sette anni.

martedì, febbraio 13, 2007

Chiesa Cattolica: sempre indietro di almeno cinquant'anni!

Il sito di grafica SDZ è riuscito a scovare chissà dove questo manifesto del '56: di fronte ad un matrimonio civile (probabilmente il primo, coraggioso atto di laicismo di una coppia della zona) , la Curia di Prato mise pubblicamente in campo un tale concentrato di livore, accidia, veleno, manco 'sti due poveri Mauro e Lauriana fossero ufficiali delle SS, che assomiglia moltissimo alle reazioni di oggi sul disegno di legge sulla convivenza...:-)

lunedì, febbraio 12, 2007

Be romantic


Sei lì, con lei, affacciato dai Monte dei Cappuccini su una Torino sempre più bella, ancora segnata dagli shangai giallo evidenziatore delle Universiadi; e avresti voglia di baciarla, di rapirla e di fuggire con lei a scambiarsi dolcezze in un infernotto (1).

E il sole, che sembra saperlo, ti regala un miracolo: tramonta due volte di fila!
La prima, dietro una spessa coltre di polveri sottili; la seconda, definitiva, dietro l'orizzonte.
Bellissimo! Peccato che non arriveremo mai a raccontarlo ai nostri nipotini...:-(

(1) Infernotti: Locali scavati sotto i palazzi settecenteschi di Torino e destinati originariamente alla conservazione del vino, divennero nel tempo luoghi di malaffare, covi di ladri ed assassini.

L'immagine è tratta da qui.

venerdì, febbraio 09, 2007

Buone, piccole cose per iniziare il 2007/2

Oh, ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che tutela i diritti dei conviventi.
E' una gran bella notizia, anche se è solo un primo passo e da qui all'approvazione il rischio di una reazione liberticida è assai concreto.
Io sono molto contento che lo Stato laico si interessi degli affetti, e li consideri come un valore da riconoscere e da tutelare.
Sono molto contento che la ministra Rosy Bindi abbia collaborato alla stesura di un testo così civile, e si sia dimostrata molto più laica di (ad esempio) un Rutelli, del cui passato radicale e libertario comincio ormai seriamente a dubitare (ricordo che lo fosse, ma forse è un inganno della memoria).
Certo, ci sono cose migliorabili. Ma è un passo importante, e poi bisogna tener conto della potenza di fuoco di quel bubbone retrogrado che ospitiamo sulle rive del Tevere, e della arretratezza culturale della Casa della Libertà-de-farmi-li-cazzi-miei, che su queste cose è dannatamente fascista/buttiglionista.
Buttiglione...stamattina, in una breve intervista radiofonica, lo sentivo accusare il governo di ipocrisia, perchè avrebbe introdotto con un gioco di parole un matrimonio di serie B. Che faccia di tolla!!! Avesse mai mosso un dito, quando era al governo con i suoi amici di parrocchietta, per aiutare chi vive in quelle situazioni, 'sto cattolico da operetta!

La seconda buona notizia di oggi è che, in Palestina, dopo settimane di guerra intestina e fratricida che mi hanno portato a credere che il futuro del popolo palestinese fosse ormai perduto per sempre anche senza l'aiuto di Israele, Hamas e Al Fatah hanno firmato un patto di unità nazionale. Forse i fucili palestinesi smetterannno di sparare contro i palestinesi. Forse.

giovedì, febbraio 08, 2007

Ruanda 1994, il genocidio


Ho letto ieri il tragico “A colpi di machete”, in cui un giornalista francese intervista un gruppo di ruandesi hutu che, nell’aprile 1994, parteciparono al genocidio dei tutsi che provocò la morte di 800.000 persone in poco più di 100 giorni (e, considerando che non è stato uno sterminio “tecnologico”, ma un duro lavoro individuale di machete e bastoni, il sistema si è rivelato persino più efficiente, in termini pratici, di quello adottato dai nazisti).

I ruandesi di etnia hutu e quelli di etnia tutsi sono praticamente indistinguibili: stesso aspetto, lingua identica, stessa religione (la cattolica romana…). Gli hutu considerano i tutsi un po’ più belli e slanciati, e questi ultimi sono stati accusati, tra le altre cose, di voler approfittare di queste caratteristiche per assumere ruoli dominanti…

Comunque, succede che le due etnie vivono da sempre mescolate. Gli europei (i belgi, in primo luogo, che in quanto a criminalità coloniale non erano secondi a nessuno), però, nel corso del ventesimo secolo trovano giusto e conveniente iniziare a mettere l’una contro l’altra le due etnie: dividere per “imperare” meglio, as usually.

E allora scelgono i tutsi come delfini, e li mettono in prima fila nel sottobosco del potere. Poi se ne vanno, alla fine degli anni ‘50, e arriva l’ora degli hutu. Che, simpaticamente, dall’indipendenza del ’59 in poi, oltre a occupare con la violenza i posti da cui scacciano i tutsi, iniziano a parlare – ma così, senza malizia - di quanto sia bello sterminarli.

Per tre decenni, anche i tutsi sorridono sentendono alla radio le canzoncine – spiritose, ironiche, divertenti – in cui si invita l’etnia hutu a massacrare i propri indistinguibili nemici.

I tutsi non è che stanno tutti lì con le mani in mano a canticchiare le canzoncine hutu: organizzano anche un bell’esercito per prepararsi, vista l’aria che tira.

E quindi l’odio diventa un simpatico ingrediente della vita quotidiana, per cui tu, hutu, porti le vacche a pascolare o lavori l’orto fianco a fianco con il tuo vicino di villaggio tutsi, gli sorridi, condividi con lui il lavoro, e dopo vai a berti una birra Premium con gli amici ridacchiando su quanto sarebbe bello tagliargli la gola con lo stesso machete con cui poti le piante.

Quando il 6 aprile del 1994 il presidente hutu della Repubblica Ruandese (si, va beh, era arrivato al potere con un colpo di stato militare alla fine degli anni ’70, ma poi si era fatto eleggere, eh!) precipita con il suo aereo abbattuto da un razzo, tutto diventa molto molto semplice.

Tutte le autorità del paese dicono quel che si cantava da decenni o si diceva nei bar: i tutsi son cattivi, e adesso bisogna sterminarli.

Loro capiscono che tira una brutta aria, e mentre un esercito tutsi tenta di puntare sulla capitale Kigali, i tutsi dei villaggi lasciano le loro case e si raggruppano nelle paludi e nelle foreste, ma anche nelle chiese.

Qualche giorno dopo, le autorità mandano emissari in tutti i villaggi per dire alla etnia hutu due cose molto semplici: affilate i machete, e ammazzateli tutti.

E’ una cosa giusta, non ci sarà punizione, fate in fretta.

E così, dall’11 aprile, circa due milioni di hutu lasciano le attività rurali e si dedicano al nuovo lavoro.

Incominciano dalle chiese. In un solo villaggio del sud del paese, in due giorni le chiese si riempiono di dieci-quindicimila cadaveri tutsi.

Poi iniziano a perlustrare paludi e foreste, facendo a pezzi tutti quelli che trovano. Beh, ovviamente le ragazze e le donne vengono fatte a pezzi due volte, la prima con una violenza infinita e prolungata e la seconda con le lame.

Gli hutu che fanno questo sono...persone normali.

Si, salutano le mogli al mattino, vanno al raduno preparatorio nella piazza del villaggio, si dedicano per tutto il giorno alla carneficina, allo stupro ed al saccheggio, e la sera tornano al villaggio a fare festa, con carne e birra a volontà.

Le mogli sono contente, perché il tenore di vita di quella straordinaria primavera del 1994 è irripetibile: tutti sono ricchi, sazi, senza dover prendere la zappa in mano. E poi quelle donne tutsi erano davvero antipatiche, col fisico slanciato e la loro pelle liscia, ed i loro bambini “scarafaggi” (questo il simpatico nomignolo affibbiato da decenni ai tutsi).

Bambini che non vengono risparmiati, salvati, nascosti: no, in questa storia non ci sono i Giusti, gli Schlinder, o almeno sono così pochi che quanto raccontato in Hotel Rwanda è davvero un’eccezione.

Ci sono solo i Normali. La Gente Comune. Come i Bravi Padani di Erba.

Dopo i 100 giorni di massacri, l’esercito tutsi è pronto alla vendetta.

Allora due milioni di hutu lasciano le loro case, il loro paese e varcano la frontiera con il Congo, dove rimarranno profughi per anni, in compagnia dei loro fantasmi.

E poi, anni dopo, ritornano. Finiscono in prigione, increduli, sconcertati dal fatto che l’impunità promessa in quella splendida estate sia stata revocata, dal fatto che qualcuno voglia ricordare, punire, condannare. E poi escono, dopo pochi anni, grazie ad un clima di "riappacificazione nazionale", e ritornano negli stessi villaggi di un tempo, a vivere a fianco dei sopravvissuti, dei familiari delle vittime.

Come se nulla fosse accaduto, o come se ciò che è accaduto fosse riconducibile ad una follia temporanea, ad una notte di bagordi, ad una scappatella.

La foto che correda questo post è presa da questo articolo della Stampa on line, che costituisce anche un raccapricciante update della vicenda.


martedì, febbraio 06, 2007

Hello Bert!

Ieri sera sono andato al cinema a vedere una commediola americana ("Una notte al museo", con Ben Stiller): divertente!.
Nei titoli di testa, tra gli attori principali era citato Dick Van Dyke.
Appena ho letto questo nome, il mio vecchio e asfittico motore di ricerca interiore ha iniziato a frullare, ed ha tirato fuori dagli armadi della memoria qualche link nebuloso: "Mary Poppins", Bert, gli spazzacamini.
Non è possibile, mi son detto, non può essere lui; ormai sarà morto da un bel pezzo.
Ed invece eccolo lì: proprio lui, il vecchio Bert (ora ha ottantadue anni), con una nuvola di vaporosi capelli bianchi e due occhi azzurri che la tecnologia di un tempo non faceva risaltare.
Ed allora, via al flusso di ricordi.
Io "Mary Poppins" l'avrò visto almeno venti volte, grazie ai figli che lo adoravano, e credo di conoscerlo letteralmente a memoria come pochi altri film (tra questi "Blues Brothers" e "Frankenstein junior").
E lo trovo un film straordinario.
Bert e Mary Poppins sono due straordinari esempi di disadattati felici.
Bert è il classico figlio che nessuna madre vorrebbe avere: vive di espedienti e svolge i lavori meno apprezzati dalla morale inglese dell'epoca (l'one man band, il pittore da strada, lo spazzacamino), a continuo rischio di persecuzione da parte dell'autorità...eppure è felice, dannatamente felice, e la sua libertà risulta molto più affascinante della solida, noiosa ricchezza del padre banchiere.
Non parliamo di Mary Poppins: strega, ribelle ed insubordinata all'autorità, si accompagna abitualmente con personaggi come Bert, conducendo anche i piccoli a lei affidati sulla "cattiva strada", ed ignora il potere costituito.
"Mary Poppins", a ben guardare, è un concentrato di sovversione: invita a lasciarsi andare, a credere alle cose incredibili, a osare, a non preoccuparsi del giudizio degli altri, a dare più importanza alle persone che alle istituzioni, a donare invece che pensare al profitto...
Certo, alla fine i due sovversivi scompaiono, e lasciano il posto all'idea che "la buona borghesia può essere più felice, se solo ogni tanto si lascia un po' andare...", ma questo non toglie nulla al valore del film, ed al suo guardare con simpatia a chi non si adegua al conformismo imperante.
(L'immagine del film Mary Poppins è tratta da Wikipedia)

venerdì, febbraio 02, 2007

Ciao, Luzzati!


Se n'è andato qualche giorno fa, in punta di piedi, un grande e gioioso bambino di ottantacinque anni, Emanuele Luzzati.
Era un illustratore straordinario, ed ognuno di noi ha sicuramente presenti le sue opere. (SdZ ne offre qui una piccola, significativa galleria).
Genova ha un museo a lui dedicato, e noi torinesi non possiamo certo dimenticare il grande, delicato presepe che ci ha tenuto compagnia negli ultimi anni.
Ciao, Luzzati: ci mancheranno la tua poesia, i tuoi occhi da bambino, i tuoi colori vivi, la tua fantasia.

(L'immagine di Emanuele Luzzati è tratta dal sito del Museo Luzzati di Genova)