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martedì, agosto 21, 2012

Godersi i propri veleni

Poichè giustizia l'è morta, ed è probabilmente impensabile ormai porre rimedio ai danni provocati da decenni di imprenditoria criminale ed avvelenatrice, credo nel valore innovativo di un semplice disegno di legge:

"Chiunque promuova, diriga o gestisca una attività industriale manifestamente inquinante, ha l'obbligo di residenza nel territorio in cui tale attività è operativa."

Credo che se Ferrante e Riva vivessero obbligatoriamente nel quartiere Tamburi di Taranto, così come se lo Stato avesse a suo tempo obbligato Schmidheiny e De Cartier a vivere a Casale Monferrato, ci sarebbero motivazioni assai più forti ad evitare di inquinare: la vita ed i figli propri, si sa, valgono molto più di quelli degli altri.


giovedì, luglio 08, 2010

Vittime e stupidi: chi lotta e paga, e chi mistifica

Da La stampa.it:
"...ieri l’assessore regionale all’Ambiente, Roberto Ravello, ha sottolineato di non «aver timori per il fatto che la nostra regione possa aprirsi al nucleare». Di più ha definito «stupida» e «limitata» la posizione di chi contesta questa scelta perché è «inaccettabile che il Piemonte possa solo subire i rischi delle attività delle centrali francesi e svizzeri e non i benefici derivanti dalla costruzione di impianti di ultima generazione con le più ampie garanzie di tutela per il territorio e la popolazione»."

Da Il Manifesto:
  • RICORDO DI LUISA MINAZZI da Circolo Verdeblu di Legambiente
    Ricordo di Luisa Minazzi, morta, troppo presto, a causa di un terribile mesotelioma e per colpa dell’Eternit (Casale Monferrato, 6 luglio 2010).
    Luisa Minazzi è mancata ai suoi cari e ai tanti amici.
    E’ stata uccisa dal mesotelioma provocato dall’amianto che, come è stato riconosciuto proprio in questi giorni nel processo che si celebra a Torino, l’Eternit ha fatto respirare agli operai e ai cittadini di Casale nonostante la consapevolezza che fosse altamente nocivo.
    E’ stata uccisa come altre centinaia di persone (operai e no) che hanno avuto a che fare con l’aria di questa città negli anni in cui l’Eternit produceva i manufatti in cemento-amianto (tetti, tubi, …) e svendeva gli scarti di produzione (come il “polverino”) con cui i casalesi sistemavano cortili e sottotetti con poca spesa.
    Luisa, l’Eternit l’ha sempre combattuto. E’ stata tra i fondatori del circolo di Legambiente di Casale Monferrato, di cui è stata per un lungo periodo una dei responsabili. La sua sensibilità per le questioni ambientali è sempre stata elevatissima. Il suo impegno, la sua capacità, le sue conoscenze sono state sempre messe al servizio delle battaglie “civili”, per una vera civiltà anche nei rapporti umani, che in questi anni si sono dovute affrontare.
    Ne ricordiamo solo alcune che hanno visto Luisa come protagonista: la lotta contro il nucleare, per il risparmio energetico e per le energie alternative, la lotta contro gli inquinatori dell’acquedotto casalese nel 1986 che ha portato alla costituzione dell’associazione “Casalesi contri gli inquinatori” di cui Luisa fu presidente; la lotta per introdurre la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e per sensibilizzare la popolazione con le campagne di “Puliamo il Mondo” ; la partecipazione ad un’altra campagna nazionale di Legambiente, “Mal’aria”, che permise di avviare una forte battaglia per la sostituzione dei tetti in amianto dei palazzi di Casale e soprattutto dei luoghi pubblici.
    L’impegno di Luisa non poteva essere solo patrimonio di un’associazione come Legambiente. Per questo fu convinta ad accettare l’impegnativo compito di assessore all’ambiente del comune di Casale tra il 1990 e il 1995, ruolo nel quale si fece stimare per la serietà e la decisione sia dai suoi collaboratori che dalla cittadinanza. Va ricordata una pubblicazione, che da assessore, Luisa fece distribuire a tutte le famiglie casalesi: riguardava proprio l’amianto, i rischi e le proposte di soluzione.
    In un congresso di Legambiente svoltosi poco prima che scoprisse di essersi ammalata di mesotelioma (poco più di quattro anni fa) ci ponemmo l’obiettivo di lavorare per una città che pur ancora con le ferite aperte provocate dal dramma dell’Eternit, fosse in grado di riprogettarsi, di ricostruire una visione di sé innovativa, sostenibile, in grado di garantire un futuro migliore alle nuove generazioni.
    A questo progetto Luisa credeva molto, anche per il suo ruolo di insegnante prima e di dirigente scolastico, poi.
    A questo progetto ognuno di noi si deve sentire più che mai legato, anche se Luisa non c’è più.
    Glielo dobbiamo… per ricompensarla almeno in parte di una sorte crudele che proprio sul suo fragile corpo si è accanita. Lei che si è battuta con tutte le sue forze a favore di un ambiente più sano è stata stroncata dalla malattia simbolo della mal'aria casalese.
    Gli amici e le amiche del Circolo Verdeblu di Legambiente - Casale Monferrato


lunedì, febbraio 01, 2010

Storia di una lotta (lungi dal terminare)




Tremila morti. Non è l'effetto di una catastrofe naturale, ma della lavorazione dell'amianto - o meglio, della produzione di quella miscela di cemento e amianto nota sotto il nome commerciale di "Eternit" - eseguita tra gli anni '60 e la fine degli anni '80 tra le province di Alessandria, Torino, Reggio Emilia e Napoli.

Di questa strage moderna si è parlato in una intensa serata, venerdì scorso a Cavagnolo (un piccolo paese di 2300 abitanti in provincia di Torino: qui la presenza di uno stabilimento Eternit, chiuso nel 1982, ha prodotto la morte accertata di 108 persone e la malattia di 46, come risulta dal documento di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Torino).

Ma è stata la città di Casale Monferrato (AL) a pagare all'amianto il tributo più pesante, come racconta il documentario "Seicentomila fibre in un respiro", di Michele Ruggiero, proiettato durante la serata.
Il locale stabilimento dell'Eternit, chiuso definitivamente nel 1986 e abbattuto di recente, impiegò nei momenti più floridi della produzione quasi mille persone, che si erano ridotte a circa trecento alla fine della storia della fabbrica.
L'Eternit per Casale rappresentava il posto sicuro, la certezza del reddito, il futuro dei figli, la possibilità di costruire casa: ed a questo si pagava il prezzo della salute, del rapido invecchiamento, della morte "da giovani".
Nel documentario, il sindacalista della CGIL Nicola Pondrano (che con Bruno Pesce sarà il coordinatore ed il motore della Vertenza Amianto, sin dagli anni '80) racconta del suo stupore quando, entrato all'Eternit nel 1974, vedeva rinnovarsi con eccessiva frequenza sui muri dello stabilimento gli annunci mortuari dei suoi colleghi, ben pochi dei quali superavano i sessant'anni.
E racconta di come lo colpì la visione di un magazziniere, di nome Marengo, che durante una pausa, seduto su un sacco di polverino d'amianto, lo apostrofò in piemontese dicendo: "Ma che sei venuto a fare, qui? A morire anche tu?"
(I magazzinieri furono ovviamente tra le categorie più colpite, a causa della vicinanza continua con l'amianto: i sopravvissuti furono pochissimi).
La pericolosa polvere dominava ogni parte dello stabilimento: senza alcuna protezione, senza alcun sistema di aspirazione, gli operai giunsero - come ricorda il titolo del documentario - ad aspirare seicentomila fibre di amianto con ogni respiro.
Un prete operaio, che lavorava a Casale ed aveva libero accesso ai vari reparti dello stabilimento, iniziò a creare una "mappa della malattia", che passò a Pondrano quando fu - ovviamente - allontanato dall'Eternit.
Da quel momento, il sindacato (con Pondrano e Pesce) intraprese una vertenza, lunga e complessa, che servì a far entrare nella fabbrica medici e ricercatori, e pian piano iniziò a delinearsi il quadro (tragico) della situazione.
Si scoprì, ad esempio, che le vittime non erano limitate all'ambito dei lavoratori dell'Eternit: perchè questi portavano a casa sui loro abiti e sulla loro pelle la temibile polvere d'amianto, che peraltro si diffondeva anche nel cielo e sul suolo di Casale.
Negli anni '80 fu costituita la Associazione Familiari della Vittime dell'Amianto, che proseguì insieme al sindacato la lotta per il riconoscimento della pericolosità di quella lavorazione - e della responsabilità di chi, conoscendo il rischio a cui erano sottoposti lavoratori e popolazione, non aveva fatto nulla per eliminarlo.
Non fu facile, per il sindacato, unire la lotta per la salute, e la tutela dei singoli operai che pagavano il prezzo della situazione, con la necessità di salvare comunque il reddito, il salario della gente - non meno indispensabile della salute.
Non fu facile andare contro l'opinione pubblica, convinta che il solo sollevare il problema avrebbe provocato la perdita di posti di lavoro, la crisi economica del territorio.

Quando senti parlare - con semplicità e autorevolezza - un sindacalista come Bruno Pesce o Nicola Pondrano, hai la piacevole sensazione di sentir parlare la parte più bella e vera (e con un orgoglio da rivendicare) della esperienza sindacale italiana: quella lontana dagli intrighi di palazzo e dalla burocrazia scaldasedie, e vicina alle persone, al lavoro, al territorio, alla realtà. E capisci quanto di buono e di importante ci sia ancora oggi in un'esperienza di impegno, di vicinanza, di lotta a favore del prossimo, che nella base del sindacato è viva e opera ogni santo giorno in condizioni di estrema difficoltà per salvare i posti di lavoro, e la dignità di quel posto.

Ma torniamo alla serata.
Per dire che la tragedia dell'Eternit, in questo territorio, non è una questione del passato: solo lo scorso anno, nel casalese, si sono registrati una cinquantina di decessi per mesotelioma pleurico o asbestosi, che sono le classiche conseguenze dell'esposizione alle fibre d'amianto; e che il picco dei decessi non è stato probabilmente nemmeno raggiunto, visto che il tempo di latenza di questo genere di tumore arriva a 40 anni.

E che il tema "bonifica" è soltanto all'inizio, nonostante le determinate azioni delle amministrazioni locali che si sono succedute a Casale e Cavagnolo negli anni, e nonostante la Regione abbia fornito, con la legge 30 del 2008, un valido strumento per affrontare il problema.
L'Assessore all'Ambiente della Regione, durante la serata, ha stimato che in giro per il territorio ci siano ancora 40 milioni di metri quadri di amianto, figli del favoloso successo commerciale dell'Eternit tra gli anni '60 ed '80: ed il costo di una bonifica totale si aggirerebbe sul miliardo di euro.

Compresa la dimensione del problema, si capisce perchè ci siano voluti vent'anni di lotte, indagini e una caparbietà notevole per giungere al processo aperto a Torino nel dicembre 2009: un primo processo negli anni novanta a carico dell'Eternit si risolse con un nulla di fatto.
Come ha detto la Presidente dell'Associazione Familiari delle Vittime, Romana Blusotti Pavesi, "la giustizia va conquistata con la lotta", ed era una dichiarazione commossa e grata rivolta a tutti da parte di coloro che la lotta l'hanno condottta, con i mezzi (più o meno semplici) di cui disponevano: tra essi, i familiari delle vittime ed i malati presenti in sala.

Tra chi ha partecipato a questa azione di lotta, assume ovviamente un ruolo importante il Procuratore Raffele Guariniello.
Che ha condotto le indagini, con i suoi collaboratori, in modo capillare, seguendo fatti e verificando intuizioni, tessendo negli anni una tela complessa, intricata, che solo alla fine ha rivelato la sua trama: ha fatto il suo mestiere, ma lo ha fatto così bene e con tale competenza che non possiamo non essergli grati per questo modo di interpretare la giustizia.
Non è finita, ci avverte Guariniello all'esordio di questo processo che avrà rilevanza mondiale (è il primo in assoluto in tema di amianto): siamo solo all'inizio, anzi; il processo sarà lungo e difficile.
Ma essere arrivati qui è già un grande risultato collettivo.
Questa esperienza servirà non solo al nostro paese, ma anche al resto del mondo laddove (in Brasile, in Canada) la lavorazione dell'amianto continua, e continua a mietere vittime.

Le vittime, i familiari, il sindacato, la Sanità e le Amministrazioni Locali, la Regione, la Procura hanno fatto e stanno facendo la loro parte in questo complesso percorso verso la giustizia: è giusto supportarli, come cittadini, con la nostra attenzione e partecipazione.