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giovedì, febbraio 24, 2011

Quando il potere dà il numero dei morti provocati da un altro potere, andiamoci cauti

Leggo, ascolto, vedo.
Sento parlare di diecimila morti.
Guardo un video in cui, si annuncia, "su una spiaggia vengono scavate fosse comuni". E scorrono le immagini non di fosse comuni, ma dello scavo di buche singole, in alcuni casi ben rifinite con cemento e pietre: che razza di fosse comuni sono mai?
Mi aspetto almeno, nei pressi, cumuli orrendi di cadaveri. Nulla. Nemmeno un morto (e se ci fossero, lì, non li avrebbero inquadrati con dovizia di particolari?)
Mi aspetto (nell'era in cui le foto di Google Maps ti fanno vedere la tua auto parcheggiata sotto casa) foto dal satellite delle principali piazze delle città libiche: nulla.
Mi aspetto immagini dettagliate, dall'alto, delle piazze bombardate, degli edifici distrutti. Nulla.
Solo incerti, traballanti video fatti con il cellulare.
Piero Del Re di "Repubblica", da Bengasi, racconta di buche profonde un metro e mezzo nelle aiuole della piazza centrale di Bengasi: nelle aiuole??? E di 300 morti, in quella piazza, domenica scorsa. Ma nella sua cronaca non c'è, di nuovo, un solo cadavere visto con i suoi occhi. Un professore gli racconta che all'ospedale, nell'ultima settimana, sono stati realizzate "più di 200 operazioni per riparare ossa spezzate da pallottole o schegge di granata". 200 feriti in una settimana a fronte di 300 morti in un giorno solo? Vi quadra? A me, il dato dei morti, no.

E ancora. Sul TG di La7, ieri sera, Mentana fornisce questa notizia: "Gheddafi ha dato ordine all'aviazione di bombardare i pozzi petroliferi. Un pilota si è di sicuro rifiutato di farlo disertando, ma non sappiamo come si sono comportati gli altri piloti".
NON SAPPIAMO? Cioè, non riusciamo a sapere SE qualcuno in Libia ha bombardato un pozzo petrolifero? Non esiste nessun modo di vedere, filmare, fotografare quel tipico e denso fumo nero visibile a centinaia di km di distanza, come capitava in Irak? Siamo improvvisamente tornati al 1850?

Leggo, ascolto, vedo.
Ed improvvisamente mi ritorna in mente questa storia.
Ricordate? Romania, dicembre 1989. Il giorno 24 "La Stampa" (e non solo lei) pubblica un articolo di questo tenore.
Dodicimila morti nella rivolta della sola città di Timisoara.
Le fonti sono più certe di quelle di oggi che riguardano la Libia, perchè la dichiarazione arriva dall'allora agenzia di informazione jugoslava Tanjug.
Ricordate? Allora, per l'intera rivolta che portò alla fine di Ceasescu, si parlò di 60-70.000 morti.Sessanta-Settantamila.

Ceasescu cadde, e poi fu la libertà, e la democrazia ritrovata, evviva evviva.
Però...portate pazienza e leggete qui (tratto da Peacereporter):

Ricordando la strage di Timisoara, un impressionante esempio di falso giornalistico
(di Simona Tratzi)
“Il massacro di Timisoara” raccontato dai media di tutto il mondo è stato uno dei casi di disinformazione più eclatanti degli ultimi vent’anni.A pochi giorni dal Natale del 1989 gli spettatori del mondo intero si commossero di fronte al “vero” volto dell’oppressione comunista del regime di Ceausescu vedendo i corpi dei ribelli torturati e poi uccisi dalla polizia del dittatore.
Ancora oggi, nonostante la certezza che si trattò di una messa in scena, è difficile dimenticare l’impatto emotivo di quelle immagini toccanti che diventarono parte della nostra memoria storica.
La folla per le strade di Timisoara
La rivolta. Sono passati quasi vent’anni dalla svolta anticomunista dei Paesi che aderirono al Patto di Varsavia. Nel 1989 l’Europa dell’Est attraversò diverse rivoluzioni che portarono alla caduta dei regimi. In Ungheria, Bulgaria, Repubblica Democratica Tedesca e Cecoslovacchia si raggiunsero nuove forme di governo senza spargimenti di sangue. Il caso della Romania fu invece emblematico a causa del “conducator” Nicolae Ceausescu, fortemente odiato dalla popolazione. La rivoluzione che lo cacciò dal potere fu tutt’altro che pacifica. La prima città a ribellarsi fu Timisoara, capoluogo del distretto di Timis, al confine con l’Ungheria. Dal 17 al 22 dicembre 1989 si scatenò la reazione dell’esercito contro la popolazione in rivolta. La Securitate, la polizia segreta del regime, si impose con la forza contro la popolazione, attaccando i manifestanti con carri armati e lacrimogeni. Ceausescu ordinò di chiudere tutte le frontiere, soprattutto ai giornalisti che vennero tenuti lontani dalla città durante gli scontri. In particolare il 17 dicembre una folla immensa manifestò contro il regime, occupando il quartiere generale del partito Comunista e bruciando le immagini del dittatore.
Cadaveri disseppellitiIl ruolo delle agenzie di stampa. In seguito a questi scontri l’agenzia di stampa ungherese Mti raccolse la voce di un anonimo cittadino cecoslovacco che raccontava “di colpi di arma da fuoco sparati a Timisoara”. Un paio di giorni più tardi le fonti delle notizie per i giornalisti di tutto il mondo diventarono i cittadini che riuscirono a varcare la frontiera. L’agenzia Adn dell’ex Germania comunista fornì per prima la notizia della “tragedia”. “Ci sono 4.660 morti, 1860 feriti, 13.000 arresti, 7.000 condanne a morte”. Il giorno dopo la Tv di Stato ungherese diffuse la notizia del ritrovamento della prima fossa comune. Da tutte le televisioni del mondo occidentale cominciarono a provenire immagini di corpi mutilati, appena disseppelliti. Le notizie sulla strage causata dalla rivoluzione contro il regime di Ceausescu rimbalzarono di agenzia in agenzia, raggiungendo le case di milioni di persone. I racconti furono dettagliati e precisi: 4.362 morti e 13.214 i condannati a morte. Entrato nel circuito informativo nel periodo natalizio, il massacro di Timisoara fu mostrato in continuazione dalle televisioni e raccontato attraverso reportage dai toni appassionati da tutti i maggiori giornali (Corriere della Sera, Figaro, New York Times, Le Monde, Washington Post), commuovendo l’opinione pubblica occidentale.
I corpi, appena esumati, erano in parte ricoperti di terra: quasi tutti con una lunga ferita, dall’alto in basso sul torace, grossolanamente ricucita. In particolare l’immagine che commosse gli spettatori fu quella del corpo di una donna che giaceva supino e, sopra di lei, il minuscolo cadavere di una bimba, apparentemente appena nata, che la stampa si affrettò a identificare come madre e figlia.
Fossa comune
La verità. Solo a partire dal 24 gennaio 1990 cominciarono a circolare le prime smentite rispetto alla rivolta di Timisoara. Una rete televisiva tedesca trasmise alcune testimonianze oculari dalla cittadina, secondo cui le immagini di orrore e la scoperta delle fosse comuni erano una messa in scena. Anche l’agenzia di stampa France Presse scrisse che le immagini dei cadaveri mutilati mostrati dalle televisioni non erano altro che una messa in scena. Raccolse la testimonianza di tre medici di Timisoara che affermarono che i corpi di persone decedute di morte naturale furono prelevati dall’istituto medico legale della città ed esposte alle telecamere della televisione come vittime della Securitate. Quando si ebbe la certezza che la “strage di Timisoara” non aveva niente a che fare con la realtà e che si trattava di un falso giornalistico costruito attraverso la televisione, furono pochissimi gli organi di stampa a riferirlo ai lettori. Da indagini più approfondite emerse che quei corpi provenivano da un cimitero dei poveri: le ferite sul torace non erano i segni della tortura, ma dell’autopsia. Si rivelò, inoltre, che le salme riesumate erano in tutto 13: corpi di sventurati barboni sepolti nei mesi precedenti. Risultò che madre e figlia assassinati erano rispettivamente Zamfira Baintan, un’anziana alcolizzata morta a casa sua di cirrosi epatica l'8 novembre del 1989, e la bimba Christina Steleac, morta per una congestione, a casa sua, a due mesi e mezzo di età, il 9 dicembre 1989.
Nel caso di Timisoara i mass media non si preoccuparono mai di accertare i fatti e le fonti, che rimasero sempre anonime, anche quando i giornalisti riuscirono ad oltrepassare la frontiera e ad arrivare in Romania. I creatori di questa eccezionale manipolazione giornalistica non sono mai stati identificati con certezza, ma rimane l’illusione della storia in diretta, creata dalle immagini delle fosse comuni. L’evento mediatico riuscì a soppiantare la realtà e rimane ancora oggi vivo nella memoria storica della "civiltà occidentale". In verità nei disordini di piazza del dicembre 1989 a Timisoara ci furono 72 morti e 253 feriti distribuiti tra i manifestanti e gli agenti della Securitate."

72 morti, divisi tra manifestanti e poliziotti. Invece di 12.000.

Un'altra fonte francese:
"Timisoara, 350 000 habitants. Ville martyre. Le 23 décembre 1989, on chiffrait à plus de 10 000 morts le nombre des victimes de la Securitate, la police du régime. Selon l’envoyé spécial d’El Pais, " A Timisoara, l’armée a découvert des chambres de torture où, systématiquement, on défigurait à l’acide les visages des dissidents et des leaders ouvriers pour éviter que leurs cadavres ne soient identifiés. " On découvrit un charnier gigantesque. D’ailleurs, à titre d’exemple, mais seulement à titre d’exemple, on exposa devant les caméras dix-neuf corps, côte à côte, plus ou moins décomposés. Dont celui d’un bébé posé sur le cadavre d’une femme, qu’on imaginait être sa maman. Tous extraits d’une fosse commune. Le 22 décembre, les agences hongroise, est-allemande et yougoslave, qui seront reprises par l’AFP à 18h 54, parlaient de 4 632 cadavres de victimes des émeutes des 17 et 19 décembre, " soit par balles soit par baïonnette " (Tanjung), de 7 614 manifestants fusillés par la Securitate. Un chapeau du Monde annonçait 4 000 à 5000 morts.
...
Le bilan officiel des victimes pour toute la Roumanie est de 689 morts, pas 70 000. A Timisoara, il y aurait eu entre 90 et 147 victimes, pas 12 000. "

In questo caso, il disvelamento della menzogna mediatica fu inconfutabile, ma di sicuro non ebbe lo stesso rilievo dato alle cifre (emotivamente sconvolgenti) fornite nel Natale 1989. Di sicuro, chi ricorda quegli eventi sarà portato a dare più retta, nella propria memoria, all'idea della carneficina, del genocidio e del massacro, quando alla fine il bilancio fu certo drammatico ma ben lontano da quanto (volutamente) raccontato in modo falso.

Anche sulla (tristemente) famosa strage di Srebrenica, perpetrata dai serbi ai danni dei bosniaci musulmani nel 1995, i dubbi sull'effettiva consistenza delle vittime (tra 5000 e 8000 dichiarate) sono stati sollevati da più parti, ma forse la vicenda è ancora troppo vicina nel tempo per potervi fare pienamente luce.

Ora, Gheddafi è tutto quello che è.
Non mi unisco però al coro che è passato dal baciamano, ed all'apprezzamento per gli investimenti nelle nostre imprese, al dileggio ed all'esecrazione, o all'orrore: quel signore crudele e buffo ed i nostri clown locali, siano presidenti del consigli o esimi banchieri o nobili famiglie sabaude, si assomigliano molto più di quanto possa apparire ad uno sguardo disattento.
Chi ha il potere tende sempre ad essere bastardo, chi ha il potere desidera averne sempre di più, e chi ha il potere assoluto diventa (e si comporta da) tiranno, inesorabilmente. Il signor B, se potesse riscrivere la nostra Costituzione come pare a lui, probabilmente si limiterebbe ad un articolo solo: "La Repubblica Italiana è basata sui cazzi miei".

Di sicuro, in Libia, sta accadendo qualcosa di drammatico e orribile, di cui però non stiamo effettivamente capendo granchè.
Ma attenzione, attenzione, attenzione.
I numeri che vengono dati in questi giorni, gli orrori che vengono raccontati, prendiamoli con estrema, diffidente cautela, e non basiamo i nostri giudizi sull'emotività che deriva da qualcosa che ci raccontano, ma che NON SAPPIAMO.
Sembra quasi che, in situazioni come queste, il solco profondo tra chi ha il potere e chi non ce l'ha scompaia, e ci si ricompatti su basi "etniche": l'Occidente, "noi", la "democrazia".

Eh, no, signori miei potenti, andate pure a cagare, come prima, senza di noi.
Voi per me continuate ad essere i miei personalissimi Gheddafi, ed i miei fratelli continuano ad essere quelli che contro il potere e l'oppressione lottano, ovunque essi si trovino. Anche, temporaneamente, su un barcone affollato diretto verso la speranza.

mercoledì, luglio 28, 2010

E se il rigore facesse bene alla blogosfera?

Oggi, manifestazione dei "blogger" contro il "bavaglio alla rete".
Leggo questa intervista su Repubblica, che riporto qui di seguito, ed alla fine...mica mi convince!

Ma leggiamola insieme, poi ne parliamo.

ROMA - In piazza per 24 ore. Una protesta non stop contro il Bavaglio alla Rete. Si parte mercoledì. Appuntamento a mezzanotte in Piazza Montecitorio, a Roma. Una "veglia" animata dal "Comitato per la libertà e il diritto all'informazione e alla conoscenza", il 'cartello' che riunisce le forze protagoniste della manifestazione del primo luglio contro il ddl intercettazioni. Obiettivo: arrivare alla modifica del comma 29 del decreto Alfano, la disposizione che prevede per i blog l'obbligo di rettifica entro 48 ore.
Tra le proposte per correggere la norma c'è quella della "rettifica fai da te", un modo per consentire agli utenti di un blog di intervenire su ciò che viene pubblicato. E per fornire ai blogger la possibilità di eludere l'obbligo di rettifica entro 48 ore previsto dal Ddl. Ne parliamo con Fabio Chiusi, blogger, doppia laurea in Italia e master alla London School of Economics, tra i primi firmatari dell'appello contro il bavaglio alla Rete.

E' una "normativa sbagliata - dice - che non tiene conto delle differenze tra giornalismo professionale e produzione amatoriale delle notizie. E che non garantisce allo stesso modo i blogger e i giornalisti".

Chiusi, non ritiene giusto chiedere ai blogger di garantire un'informazione corretta?
"Credo che da un lato sia impossibile fornire una 'garanzia di correttezza' in Rete e dall'altro che quella garanzia non serva a nulla. In Rete vale il motto 'content is king': chi scrive cose vere viene premiato dai lettori. Chi diffonde notizie false o diffamatorie è punito in termini di visibilità. E se necessario, dalla legge".

Cosa comporta per un blogger far fronte all'obbligo di rettifica?
"Il punto è che il codice deontologico di un blog sono i suoi lettori. Saranno loro a mettere in evidenza un eventuale errore. E a chiedere, tramite i commenti, una rettifica. Succede di sbagliare, ma con un po' di onestà intellettuale tutto si aggiusta. Quando questa viene a mancare, non c'è legge che tenga".

Ipotizziamo: la legge bavaglio passa. I blogger eluderanno la normativa?
"Si pensa a un 'widget', un'applicazione che permetta agli utenti stessi di comporre la rettifica e pubblicarla sul blog. Ne ha parlato l'avvocato Guido Scorza, uno dei maggiori esperti, in Italia, di diritto sulla Rete. Poi si potrebbe pensare a server localizzati all'estero. Ma su questo il dibattito è aperto, e non tutti sono disposti a giurare che basti per evitare di ricadere sotto l'ombrello del decreto Alfano".

Il 29 luglio sarete a Montecitorio. Cosa chiedete alla maggioranza e cosa vi aspettate dall'opposizione?
"La libertà di espressione sul web non va ridotta a una campagna dell'opposizione. Detto questo, la direzione del governo è sbagliata. L'accesso alla Rete è un diritto fondamentale. E assicurarlo dovrebbe essere preoccupazione del legislatore. Del resto sono le posizioni di Fini: non capisco perché la sua maggioranza faccia di tutto per smentirle".

Mumble mumble.
Parliamo solo di questo comma specifico, il 28.
Io, alla fine, non vedo cosa ci sia di male, nell'applicare alla informazione su rete le stesse regole che si applicano fuori.
Ovvero: perchè mai uno che dice cose in pubblico dovrebbe essere autorizzato ad essere "meno responsabile di quello che dice" se lo fa sul web piuttosto che sulla carta stampata?
Ovvero: perchè il web dovrebbe essere uno spazio "più aperto" o "meno regolato" del resto dell'universo della comunicazione? In base a quale concetto?
Chiusi dice: "E' una normativa sbagliata che non tiene conto delle differenze tra giornalismo professionale e produzione amatoriale delle notizie. E che non garantisce allo stesso modo i blogger e i giornalisti".
Dunque, ammette e delinea una netta differenza tra "giornalismo professionale" e "produzione amatoriale delle notizie " (bleah...).
E la domanda è: cosa ce ne facciamo, realmente, della seconda?
Davvero abbiamo bisogno di una "produzione amatoriale delle notizie"?
La maggior parte dei blogger (incluso me) esprime opinioni su notizie rese note altrove: non crea notizie, semplicemente le usa.
Quindi, non dovrebbe essere minimamente toccato da questa norma. A meno che le sue opinioni non diventino rilevanti da un punto di vista penale: beh, in questo caso mi sembra sacrosanto che uno, prima di scrivere, PENSI a quello che sta scrivendo. E se ne assuma le responsabilità.
Se BloggerA scrive un post in cui afferma che "Tizio è un ladro" e poi se ne va in ferie per una settimana, non mettendosi nelle condizioni di rettificare se Tizio reclama la difesa della propria onorabilità, permettete che questo sia un problema di BloggerA e non di Tizio?
E che sia giusto che BloggerA paghi per la stupidaggine che ha scritto, se la cosa non è vera?

Ci sono blog (ne gestisco uno anch'io) che in qualche modo, in effetti, generano una "produzione amatoriale delle notizie". Blog di liste civiche, di associazioni, che possono "recepire" sul territorio notizie che non sono state pubblicate sui giornali. E, in completa autonomia (lo faccio anch'io, a volte), possono decidere di pubblicare autonomamente queste "notizie" sulla rete.
Beh, permettete che anche in questo caso chi lo fa corra almeno gli stessi rischi che corre un giornalista quando pubblica su carta?
Se il blogger in questione non è un giornalista, questo non lo autorizza a pubblicare "parole in libertà": può segnalare il fatto ad un giornalista vero, che si preoccuperà di verificare le fonti, di accertare l'accertabile, ed infine pubblicare - sotto la sua personale responsabilità e con la sua firma esplicita - quanto sia pubblicabile.
Se il blogger decide di fare il giornalista, beh, se ne assuma anche gli oneri ed i rischi.
Troppo comodo, per un "luposelvatico" qualsiasi, mettersi a pubblicare "notizie amatoriali inedite", neppure firmate con nome e cognome, e poi invocare la "zona franca" del web per non pagare il dazio in caso di violazione delle leggi.
Ancora Chiusi: "Il punto è che il codice deontologico di un blog sono i suoi lettori. Saranno loro a mettere in evidenza un eventuale errore. E a chiedere, tramite i commenti, una rettifica. Succede di sbagliare, ma con un po' di onestà intellettuale tutto si aggiusta. Quando questa viene a mancare, non c'è legge che tenga".
Mamma mia, ma vi rendete conto di quel che dice? Un autentico trionfo dell'irresponsabilità: non si può affrontare un argomento cosi' serio come l'informazione con una simile approssimazione ed un simile pressapochismo.
"Tutto s'aggiusta". Ma siamo matti?
La verità dei fatti, in questa dichiarazione, sembra una variabile dipendente dal "successo" della notizia presso i lettori. Ovvero, la stessa cosa che rende insopportabile il TG1 di Minzolini.


"Succede di sbagliare". Embè, succede anche di pagare. Passi col rosso, e paghi la multa: dici una minchiata che arriva a decine, centinaia di persone, e paghi la multa. Where is the problem? La prossima volta ci stai più attento, come con il semaforo.

"Ofelè, fa 'l tò meste", si dice a Milano.
"Siamo giornalisti o blogger?" direbbe Totò.

La libertà di accesso alla rete, la libertà di espressione non devono significare libertà di minchiata.
Le minchiate non arricchiscono la democrazia, la inquinano, le rendono torbida, nascondono le cose importanti dietro la nebbia delle cose inutili.

Chi ha i numeri per fare il giornalista lo faccia, e dia "notizie".
Noialtri blogger, continuiamo tranquillamente ad esprimere "opinioni" senza adombrare il martirio: nessuno ci perseguiterà per una attività così inutile ed innocua.

venerdì, ottobre 24, 2008

Intossicazioni informative...?

Update: dopo aver pubblicato questo post, seguendo il consiglio di Angela, ho provato a scrivere direttamente a Cossiga per dissipare i miei dubbi, ma senza successo:
Il messaggio
Oggetto: Intervista al Quotidiano Nazionale del 23 ottobre 2008
non è stato inviato a:
cossiga_f@posta.senato.it
poiché:
Errore durante la consegna a cossiga_f; Router: Database disk quota exceeded )

Mmmmm...oggi molti blog riprendono una intervista a Cossiga rilasciata al giornalista Andrea Cangini delle testate gemelle Il Giorno/La Nazione/Il Resto del Carlino, il cui testo e la cui immagine PDF sono pubblicati sul sito della rassegna stampa del Governo Italiano, esattamente qui e qui (intanto me ne faccio una copia in locale e la riporto anche qua sotto - fateci sopra un click per vederla meglio- : ho letto benissimo Orwell e sentito troppo spesso Berlusconi per non aspettarmi ormai di tutto...)

Comunque, il Presidente emerito e Senatore a vita Francesco Cossiga in questa intervista si lascia andare a interessanti consigli al premier su come gestire la questione "scuole occupate".
Le cose che dice sono così pazzesche e allucinanti che - se fossero vere - ci si augura che un'ambulanza con tanti omini vestiti di bianco sia già partita verso la sua residenza a sirene spiegate.
Però...
Però...
C'è qualcosa di strano.
Qualcosa che puzza.
Nessun giornale ha ripreso per il momento questa intervista, che ho trovato solo su rassegna.governo.it.
Non ce n'è traccia sui siti online delle tre testate dei giornali che dovrebbero aver pubblicato l'intervista.
Non c'è nessuna traccia di questa intervista nemmeno sul blog dello stesso giornalista, Andrea Cangini.
L'unico blog "autorevole" che riprende la notizia è Macchianera - da un altro blog, peraltro - ma anch'esso con tono prudente.

'nzomma: c'è qualcuno che 'sta intervista ributtante l'ha vista "davvero", su carta?
Cioè, 'st'immagine che riporto sopra esiste davvero stampata in migliaia di copie o esiste solo nella rassegna stampa del governo, e c'è il rischio che si tratti una "strategia informativa della tensione" di origine governativa?