lunedì, marzo 31, 2008

mercoledì, marzo 26, 2008

Nessun aggiornamento...

...a tempo indeterminato.
Ogni tanto le parole van via, o perdono senso, che volete farci...

martedì, marzo 25, 2008

Disintossicazione

Cinque giorni sulle rive del Reno e della Mosella.
Le colline che accompagnano il corso sinuoso dei due fiumi verso Koblenz, ricoperte da vigneti dolcemente degradanti verso le acque.
Villaggi fortificati, castelli inquietanti sulle alture o in mezzo ai boschi.
Boschi di conifere, accesi dal verde fosforescente del muschio e dal candore della neve appena caduta.
Case a graticcio, instabili, storte, gioiosamente irregolari ed asimmetriche, che sfidano le leggi della gravità.
Piste ciclabili in mezzo ai prati verdi e curati, lungo i fiumi, lisce e perfette.
Nessun quotidiano italiano disponibile.
Le visite guidate ai castelli, solo in tedesco: ascolto quel suono duro ed un po' inquietante, tento di decodificare qualcosa ma è inutile, le poche cose che capisco sono fari in mezzo ad una nebbia che avvolge ogni cosa.
Cinque giorni senza Italia. Dio, come si sta bene senza saperne nulla.
Poi, dannazione, usciti dal tunnel del Gran San Bernardo, la radio ritrasmette parole comprensibili, e sono le stesse di sempre, il linguaggio abbruttito che serve a parlar di psiconani e pastori tedeschi...

mercoledì, marzo 19, 2008

Ci si rilegge...

... dopo Pasqua.
Divertitevi, rilassatevi, fate i bravi (no, non come la intendeva Don Rodrigo...)

lunedì, marzo 17, 2008

L'orrore di Bolzaneto

Pubblico integralmente questo articolo di Giuseppe D'Avanzo da Repubblica.it di oggi.
Senza aggiungere una parola.

Qui il riferimento ad altri articoli e materiali sull'argomento:
da "Carmilla";
da "Supporto legale";
ancora da "Repubblica"...

Il materiale disponibile per indignarsi è vastissimo, ma il silenzio sull'argomento, nel dibattito politico, è assordante.

Le violenze impunite
del lager Bolzaneto


di GIUSEPPE D'AVANZO
C'ERA anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva". Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.

Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.

Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.

Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).

Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.

Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947, all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà"

La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna", modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".

Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.

Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo).

A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".

Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.

È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola". Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in punta di piedi.

Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.

D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi.

Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.

Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.

In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P.

B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.

Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta. L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".

Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e spinto".

Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.

A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde: "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.

Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".

Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un'osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.

Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia alla coerenza"?

(17 marzo 2008)

giovedì, marzo 13, 2008

Se mi deste il potere...

...un po' di idee radicali ce le avrei, da attuare nell'immediato.
Anzitutto, una riforma del Parlamento che imponga la rappresentatività reale del paese per categorie e fasce di reddito.
Leggo di queste polemiche sulle candidature "mediatiche" dei due operai Thyssen, ma nessuno dice che è una vergogna che in parlamento ci siano oltre 100 avvocati (in proporzione è come se in Italia ci fossero sei milioni di avvocati).
Se il 30% delle famiglie italiane vive ormai al limite della povertà, che in Parlamento ci siano il 30% di poveri.
Poi, senza dubbio alcuno, spegnerei per decreto tutte le televisioni per un anno.

Tutta l'informazione drogata ed intossicante che giunge dalle televisioni fa solo male alla gente.
Anche i documentari sulle giraffe sono nocivi, se uno per starli a guardare non si schioda più dalla poltrona e rinuncia a conoscere il mondo intorno a sè, e non vede mai una coccinella.
E' assolutamente inutile e deleterio conoscere cosa accade nel mondo se non si conosce cosa accade nel chilometro quadrato di territorio che sta intorno a noi.

E, ogni anno, obbligatorio per tutti, un esame di realtà: devi dirmi come si chiamano i tuoi vicini, saper raccontare tre cose belle e tre cose brutte di ogni componente delle famiglie che incontri ogni giorno uscendo da casa, devi sapere come si chiama quel torrente che passa lì, da dove arriva e dove finisce, e chi produce il pane che mangi, e da dove arrivano la carne ed il latte, e chi era il tizio che ha dato il nome alla via in cui abiti, e com'era la tua zona nel Millesettecento, e perchè il tuo paese ha quel nome, e perchè ci sono questi alberi, queste industrie e queste coltivazioni.

Se non sai queste cose, sarai obbligato a non muoverti dal tuo chilometro quadrato finchè non le impari.
E poi sarai obbligato a sapere quanto costano le cose, non solo in termini di soldi ma di consumo delle risorse di tutti.

Ho moltissime altre idee innovative, ma so che bastano queste per essere linciato:-)

lunedì, marzo 10, 2008

Il coraggio paga

Zapatero vince ed amplia la sua maggioranza, dopo quattro anni di politica chiara e non incline al compromesso (soprattutto nella difesa della laicità dello Stato dagli attacchi scomposti di un clero sempre più reazionario).
Noi qui si festeggia, perchè quando uno viene chiamato "Bambi" per dileggiarne la dolcezza e poi riesce ad avere la fiducia delle gente, e a resistere con intransigenza alle forze che vogliono riportare la Spagna nelle condizioni dell'Italia:-(((, significa che per l'Europa e per noi che crediamo ancora nella democrazia e nell'intelligenza è un gran bel giorno.

venerdì, marzo 07, 2008

Io quest'uomo lo amo :-) (e spero che Veltroni decida di somigliargli il più possibile)

Alla vigilia delle elezioni politiche di domenica intervista a tutto campo al premier spagnolo che lancia la sfida: "Sugli immigrati no a sanatorie" (da Repubblica.it, 7 marzo 2008)

Zapatero: "Stop ai vescovi
devono rispettare le nostre leggi"

"In questi anni sono diminuiti i contratti precari e sono aumentati quelli fissi"
"Vi sembrerà un paradosso per un presidente ma non ho mai parlato con Fidel Castro"


Il premier spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero

di JAVIER MORENO
Ci sono molti spagnoli convinti che i nazionalismi (Paesi Baschi, Catalogna) abbiano lanciato una sfida su grande scala allo Stato, con l'obiettivo finale a medio termine di un'indipendenza o una semi indipendenza di fatto. È cosciente di questo? La preoccupa?
"Sono nazionalismi, per definizione. E pertanto hanno un progetto che si propone di andare più in là dell'autogoverno. Fa parte della loro strategia politica. Ma non avremo nessun momento, nei prossimi anni, in cui non saremo in grado di armonizzare, di tenere in equilibrio la coesione".

Che ne è stato delle sue ambiziose proposte di riforma, del regolamento del Congresso, del Senato, della Costituzione...?
"Tutte le riforme che dipendevano solo da una maggioranza parlamentare le abbiamo portate avanti. Tutte. Dalle leggi sociali alla Radio Televisión Española [la televisione pubblica]. Non siamo riusciti a portare avanti quelle che esigono la partecipazione del Partito popolare (Pp), come i quattro punti della riforma costituzionale, o il regolamento del Congresso, che logicamente ha bisogno di una maggioranza e di un accordo ampio".

Sa con chi governerà?
"Con l'appoggio del mio partito".

E basta?
"Questo è il mio obiettivo".

Però secondo i sondaggi non avrà la maggioranza assoluta. Non crede che i cittadini abbiano diritto di sapere, prima di andare alle urne, con chi si alleerà?
"Il governo ha collaborato e ha avuto l'appoggio in pratica di tutti i gruppi parlamentari, salvo il Pp, e pertanto qualsiasi accenno a uno scenario di dialogo è prematuro".
È consapevole che i cittadini con redditi medi e medio-bassi sono in competizione con gli immigrati per accedere a servizi la cui qualità si deteriora a vista d'occhio, come ospedali, scuole...?
"La sanità è garantita a tutti gli spagnoli. Abbiamo uno dei migliori sistemi sanitari del mondo, per qualità e per funzionamento. Ha pensioni...".

Con tutto il rispetto, signor presidente, basta farsi un giro in alcuni grandi ospedali per verificare la congestione...
" ... dipende da quali comunità autonome, perché una delle cose che ho fatto in questa tappa è stato trasferire cinque miliardi di euro alle comunità autonome per la sanità..."

Quanti immigrati clandestini ci sono in Spagna?
"Circa 250.000".

Come lo sa? Con questa precisione, intendo...
"Ci sono i mezzi per saperlo. È una stima. E la stima è intorno ai 250.000".

Che cosa pensa di fare con queste persone?
"Nella misura del possibile, rimpatriarle. Non appena abbiamo un immigrante clandestino, lo rimpatriamo..."

Non farà una sanatoria...?
"No, no. Voglio precisare due cose. Quando abbiamo fatto la sanatoria è stata una sanatoria caso per caso. Con contratto di lavoro, con il consenso di imprenditori e sindacati e chiedendo i precedenti penali".

Economia. Il dato sulla disoccupazione registrato a febbraio è pessimo.
"Lo contesto. Anzi, oggi ho qui paio di dati positivi sull'economia spagnola che mi hanno dato stamattina. C'è stato un numero molto alto di contratti a tempo indeterminato. Non mi sembra che se avessimo un clima economico allarmante gli imprenditori continuerebbero a fare contratti, e tanto meno contratti a tempo indeterminato".

Quattro anni fa lei promise una legge sui termini di tempo entro cui poter praticare l'aborto. È una promessa che non ha mantenuto.
"Una sfumatura. Non l'ho mai promesso. Non è mai uscito dalla mia bocca".

È nel suo programma. Pagina 100 del Programma elettorale del 2004: "Riformeremo la legge sul diritto all'interruzione volontaria di gravidanza per adottare un sistema di termini di tempo".
"... non ho ritenuto conveniente modificare la legge".

Centinaia di migliaia, forse milioni di donne saranno deluse.
"Non lo so, non lo so. Io non parlo a nome delle donne. Non parlo a nome loro".

Avrebbe potuto farlo. Disponeva di una maggioranza sufficiente alla Camera.
"Sì, ma non ho ritenuto conveniente farlo e non l'ho fatto. Ritengo conveniente dialogare con il Pp".

Parliamo dei settori integralisti. I vescovi hanno appena eletto presidente il cardinale Rouco Varela, uno degli istigatori di tutte le manifestazioni di piazza contro il suo governo. È un cattivo presagio per i prossimi quattro anni?
"Non facciamo previsioni su quello che succederà. Probabilmente, il fatto che sia stato rieletto presidente della Conferenza episcopale... Per il momento, ha fatto una dichiarazione corretta, il primo giorno, e bisogna dare tempo al tempo".

Questa mattina hanno eletto anche García-Gasco come guardiano dell'ortodossia, che è stato il cardinale che ha detto che lei, con le sue leggi, stava dissolvendo la democrazia.
"È una dichiarazione inaccettabile. Inaccettabile".

Secondo lei è il clima adatto per andare a cena col nunzio apostolico?
"Io sono sempre a favore del dialogo. Sempre".

Tuttavia, ha dichiarato che nella prossima legislatura, se vincerà, metterà i puntini sulle "i" ai vescovi.
"A certi che hanno fatto dichiarazioni, sì".

Che cosa dirà loro?

"Una ragione molto evidente: che devono rispettare le leggi approvate dal Parlamento. Possono non essere d'accordo, ma non possono fare affermazioni come quelle sul fatto che sono una ferita per la democrazia, o che rappresentano un passo indietro per i diritti umani".

Crede che il problema del Kosovo si sia avviato verso la soluzione con l'indipendenza?
"Soluzione no, andrà ad aumentare le tensioni e le difficoltà. La mia posizione sul Kosovo è nota: risponde a esigenze di coerenza, il governo non sosterrà nessuna dichiarazione che non abbia l'appoggio delle Nazioni Unite".

Appoggerebbe l'ingresso del Kosovo nell'Unione Europea?
"No".

Quando ha parlato l'ultima volta con Fidel Castro?
"Non ho mai parlato in vita mia con Fidel Castro".

Non ha mai parlato con lui?
"No. Questi sono i paradossi con cui bisogna convivere, no"?
(L'intervista è stata realizzata dal Direttore de El Pais) (Copyright El Pais-la Repubblica/ Traduzione Fabio Galimberti)

(7 marzo 2008)

martedì, marzo 04, 2008

Come un tram sul naso

"quante interurbane
per dire 'come stai?'
raccontare dei successi
e dei fischi non parlarne mai"

(Ron, "Una città per cantare", 1980)

Già, gli insuccessi...ogni tanto tocca raccontarne qualcuno.
Uno glissa, fa finta di nulla, li mette da parte, li dimentica, ma tanto son lì, dentro di te, bruciano e fanno male.
E allora tanto vale raccontarli, per ricordarsi che la vita è fatta soprattutto di questi, e che va ancora bene se si tratta di cose rimediabili, lievi, senza conseguenze fisiche o materiali.
Uno pensa che finita la scuola non dovrà mai più affrontare l'angoscia della mattina in cui ti interrogano su quell'argomento di cui non hai capito una mazza, o la cocente delusione di un pessimo risultato quando pensavi di essere preparato almeno a sufficienza per non sfigurare. Ed in effetti è abbastanza vero: da lì in poi è difficile finire sotto esame, a meno che uno non ci si butti volontariamente.

Ma veniamo al dunque, non giriamoci troppo intorno.
Chi legge questo blog sa bene (fino alla noia) quanto io nutra entusiasmo per l'esperienza del PD: è inutile che mi ripeta, l'ho già scritto un sacco di volte e non è questo il senso centrale del post, ma solo il punto di partenza.
Ecco, come consigliere comunale del mio comunello di ex-residenza ho quindi partecipato sin da settembre alle prime riunioni costitutive del circolo del nostro territorio, insieme ad altri amministratori della zona.
Il percorso ha funzionato, e siamo arrivati finalmente, lo scorso sabato sera, alla assemblea costituente del circolo: una serata entusiasmante, affollata e partecipata, piena zeppa di giovani come non se ne vedevano da un pezzo. Nel corso della serata si presentavano i trenta candidati al Coordinamento territoriale, ed ognuno di noi ha fatto un breve intervento di presentazione.
Poi, le elezioni, che sono durate anche la domenica mattina.
E, domenica, i risultati. Una doccia fredda. Tra i 24 eletti, non c'ero. Su 229 votanti che potevano dare due preferenze a testa, non ho preso nemmeno tre voti (non so se ne ho presi due, uno o zero, ma nemmeno lo voglio sapere, sarebbe spargere sale sulle ferite). Dei cinque candidati del mio comune, ne sono stati eletti tre, ed io no.
Oh, è inutile negarlo: ci son rimasto proprio male.
Come se mi fosse arrivato un tram sul grugno, completo di trolley.
Poi, si, certo, mi son fatto tutto un pacchetto di ragionamenti giustificazionisti per alleviare la botta, ma per l'appunto resta il dato di fatto: nel mio territorio, e nel mio partito, non mi ha cagato nessuno.
Dopo un giorno, ovviamente vedo l'aspetto assai salutare di questa tramvata sul naso: ho un impegno in meno da aggiungere alla mia agenda sovraffollata e frenetica, e poi nel Coordinamento c'è un materiale umano di alta qualità in abbondanza ed io posso dunque tranquillamente considerarmi in pensione dalla politica, probabilmente, dopo una trentina d'anni vissuti alternando passione e scoramento, ma sempre senza mai evolvere dal piccolo cabotaggio, senza mai sfidare qualcosa di più grande delle cose che mi venivano facili, senza mai faticare troppo.
Il tram sul naso mi ricorda anche chi sono davvero; un tizio pigrissimo ed egocentrico, brillante ma pieno di limiti, e con una considerazione di sè che è sano e giusto provvedere a ridimensionare di tanto in tanto:-).