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martedì, agosto 18, 2009

Combattere le forze del male????

Rilancio questa serie di articoli pubblicati da l'Unità e ripresi da eddyburg.
Mi sembra, come molte altre cose di questo paese, un evento gravissimo.

Nuove proteste per lo scandalo della mafia protetta dal governo a Fondi
Un nuovo servizio de l'Unità (18 agosto 2009) sullo scandalo della mafia protetta al comune di Fondi, articoli di Claudia Urbinati ed Enrico Fierro

Mafia, l’ira dei prefetti sul caso Fondi:
senza precedenti il no allo scioglimento
di Claudia Fusani

Un caso unico nella storia. La legge sullo scioglimento dei comuni per infiltrazioni è del luglio 1991 e in diciotto anni di vita mai era successo che la Presidenza del Consiglio respingesse la richiesta del ministro dell’Interno di sciogliere l’ente sotto inchiesta. Succede oggi, con il comune di Fondi. Una prima volta che arriva quasi a mettere in mora i responsabili politici e tecnici della sicurezza, dal prefetto di Latina Bruno Frattasi che chiede il commissariamento del comune dal settembre 2008 al ministro dell’Interno Roberto Maroni che ha presentato la stessa richiesta a febbraio scorso. In mezzo ci sono le inchieste della magistratura, arresti e indagini che raccontano un comitato d’affari di camorra, ‘ndrangheta, imprenditori e politici locali.

La battaglia del Pd

Una situazione gravissima, denunciata dal Pd (che in Commissione antimafia ne fa una battaglia da mesi), Idv e dalla stessa maggioranza. «In tanti anni non ho mai visto una situazione del genere» attacca Angela Napoli (Pdl), membro della Commissione Antimafia. L’eurodeputato Luigi De Magistris (Idv) vuole organizzare «una grande mobilitazione proprio davanti al mercato ortofrutticolo di Fondi», la vera calamita degli appetiti dei clan. Si muovono anche i prefetti, categoria per solito molto cauta a prendere posizione pubblicamente. Prima il piccolo Unadir, poi il Sinpref (Associazione sindacale dei funzionari prefettizi), sigla assai rappresentativa a cui non è piaciuto affatto l’intervento del presidente del Consiglio che il giorno di Ferragosto, mettendo in un angolo mesi di lavoro del prefetto e del ministro, ha detto che Fondi non sarà sciolta «perchè non ci sono indagati tra i membri della giunta e del consiglio comunale».

Una clamorosa inesattezza visto che il 6 luglio sono stati arrestati, tra gli altri, un ex assessore, il direttore dei Lavori pubblici, delle Attività produttive e del Bilancio, il comandante dei vigili e il suo vice. «Noi vogliamo prima di tutto ribadire la nostra vicinanza e solidarietà al prefetto Frattasi - spiega al telefono il segretario del Sinpref Giuseppe Forlani - e poi rimarcare stupore e preoccupazione per questo ennesimo rinvio». Molto attenti alla scelta delle parole, i prefetti però denunciano in un comunicato dell’8 agosto che «mai prima d’ora lo scioglimento di un ente locale era stato rinviato per motivi tecnico-giuridici o comunque attinenti al merito della proposta fondata su elementi di fatto già rigorosamente accertati e documentati dal prefetto». Significa che mai prima d’ora era stato messo in dubbio il lavoro di indagine di un prefetto. O di un ministro. Cosa che succede invece per Fondi visto che Frattasi prima e Maroni poi hanno entrambi chiesto, senza ottenerlo, lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa. Attenzione, scrivono ancora i prefetti, si rischia di indebolire la lotta alle mafie: «Altre ragioni - si legge nel comunicato del Sinpref - devono restare estranee alla conclusione di una procedura essenziale nell’azione tenace e continua contro l’infiltrazione mafiosa nelle pubbliche amministrazioni, vero cancro della legalità e della democrazia».

Governo sotto pressione

Una protesta con molti fronti, a cui si aggiungono associazioni come Libera e Legaambiente, E che mette sotto pressione Palazzo Chigi in serata costretto a promettere: «Il caso Fondi sarà presto in consiglio dei ministri, il tempo di adeguare il dossier alle nuove procedure».

Gli ultimi dati disponibili del ministero dell’Interno, aggiornati al 2008, dicono che dal 1991 sono stati 185 i decreti di scioglimento tra cui due Asl e un’azienda provinciale sanitaria. Con i decreti di quest’anno si fa in fretta ad arrivare a 200 scioglimenti. Curiosità: il 24 luglio il Consiglio dei ministri ha sciolto i comuni di Fabrizia e Vallelunga. Le regole sono uguali per tutti. Tranne che per Fondi.

La Fondi-connection: Asl, voti e ’ndrine all’ombra del Pdl
di Enrico Fierro

Nell’inchiesta scoperchiato il sistema: coinvolti il sindaco e altri funzionari. Nulla si muove che non voglia il senatore Fazzone, vero «re» della zona con una dote di 50mila schede elettorali. E il Comune «si salva»

Il Comune non si scioglie. Qui la mafia comanda, prende appalti, fa i soldi a palate, ha buoni amici dentro l’amministrazione comunale, ma il Comune non si scioglie. Carabinieri, questori e prefetti, vadano a farsi benedire con le loro inchieste e le loro scartoffie. Non si scioglie. Perché comanda la politica, l’ultima parola spetta a chi tiene i voti. E Claudio Fazzone i voti li produce a palate. 50mila per la precisione, percentuali bulgare a Latina, Fondi e dintorni. Tutti per Silvio Berlusconi, tantissimi da mettere la mordacchia anche al ministro Maroni. Ne ha fatta di strada l’ex appuntato della Ps. Sveglio da sempre, da quando indossava la divisa e entrò nelle grazie di Nicola Mancino quando l’attuale numero due del Csm era ministro dell’Interno. Autista, guardaspalle, uomo di fiducia, ma soprattutto intelligente galoppino elettorale della Dc. Ambizioni stratosferiche. Uomo dal fiuto politico sopraffino, l’ex appuntato capisce che la Dc è al tramonto e salta sul band wagon di Berlusconi. Anni di gavetta, poi l’elezione a consigliere regionale con la giunta Storace. Un mare di voti e la conquista dello scranno di presidente dell’assemblea. Fazzone costruisce una poderosa macchina clientelare. «Caro Benito ti segnalo... ». Era questo l’incipit che apriva tutte le lettere destinate al direttore della Asl di Latina. Decine di assunti, famiglie sistemate. Voti. L’elezione a senatore è scontata, il potere pure. Quando Berlusconi afferma che Fondi non si scioglie perché alcuni ministri gli hanno detto che nessun membro della giunta o del consiglio è stato raggiunto da avvisi di garanzia, non fa nomi. Ma a Fondi e Latina tutti sanno chi protegge Fazzone. Giorgia Meloni, Renato Brunetta, Maurizio Sacconi. Tutti in qualche modo legati al Sud Pontino. E tutti in buoni rapporti col padrone dei voti e dei seggi in questa parte del Lazio.

Dove imperano i fratelli Tripodo, Venanzio e Carmelo, uomini della ’ndrangheta calabrese. I loro legami con la politica sono riassunti in un dossier che fa tremare Fazzone e il suo sistema. 500 pagine e 9 faldoni. C’è tutto. Il tenente dei carabinieri Mario Giacona ha dettagliato i rapporti tra i Tripodo, la famiglia Trani e Peppe Franco. Il quale, secondo alcuni pentiti sentiti nel processo «Anni 90», mise a disposizione di Venanzio Tripodo i suoi mezzi di trasporto per consegnare armi al clan camorristico dei casalesi. «Peppe Franco – nota l’ufficiale dei carabinieri – è cugino di primo grado del sindaco di Fondi Luigi Parisella, suo fratello Luigi è socio in affari sia con il sindaco che con il senatore Fazzone nella gestione della Silo srl, società titolare di un capannone sito in località Pantanelle». Un struttura destinata alla lavorazione di frutta e ortaggi, che ha incassato contributi pubblici per oltre 2 miliardi di vecchie lirette. «Tuttavia – scrive sconsolato l’ufficiale dei Cc – questa attività non è mai iniziata, mentre l’area su cui sorge il capannone inutilizzato è stata interessata ad una variante al Piano regolatore generale approvata tra il 2002 e il 2004 che ha determinato un forte incremento delle infrastrutture viarie». Ma non è finita qui. Perché «l’ex autista di Carmelo Tripodo, Pasqualino Rega, è consigliere comunale a Fondi». I due sono stati indagati per reati contro il patrimonio, «attualmente il procedimento pende in fase dibattimentale». Rega ha ottenuto una palestra in affitto dal Comune. «La cosa singolare – mettono a verbale i Cc – è che lui se ne infischia di pagare il canone. È moroso da anni e il Comune non lo sfratta, anzi ha elargito sovvenzioni per alcune decine di migliaia di euro all’associazione Olimpica 92 dello stesso Rega». Un altro consigliere comunale di Fondi, Antonio Ciccarelli, eletto in Forza Italia e poi dimessosi, per i carabinieri «è sicuramente collegato alla criminalità calabrese, posto che lo stesso è stato arrestato unitamente a Salvatore Larosa, esponente del clan Bellocco-Pesce di Rosarno, insediato da anni anche lui a Fondi».

C’è un clima da Giorno della civetta a Fondi, il comune che non si deve sciogliere. Le note del tenente Mario Giacona sono tristi come quelle del capitano Bellodi di Sciascia. «Tutto questo intrecciarsi di rapporti familiari, economici e criminali, ha sicuramente condizionato l’attività amministrativa del Comune. L’amministrazione, dopo aver stabilito in modo francamente irrazionale di destinare l’area denominata Pantanelle (un pantano, appunto) ad area industriale – con la conseguenza che per costruire insediamenti produttivi sono necessarie spese di palificazione e bonifica sicuramente più rilevanti che in aree asciutte – ha poi previsto la costruzione di una grossa strada che sostanzialmente è al servizio della Silo srl». La società del senatore Fazzone, del sindaco e di suo cugino, fratello di uno che aveva legami strettissimi con i Tripodo. La mafia e gli imprenditori amici degli amici hanno sempre spadroneggiato a Fondi. Una sola società di Carmelo Tripodo, la «Lazio Net Service», ha ottenuto dal Comune 105mila euro dal 2003 al 2007. Grandi affari a Fondi, il Comune del senatore Claudio Fazzone, l’amico dei ministri. Quelli che...a Fondi la mafia non esiste.

La «guerra santa» del collega Ciarrapico contro il nuovo ras
di Claudia Fusani
Il senatore scatenato per contrastare l’ascesa del rivale in quello che è sempre stato il «suo» regno: interrogazioni parlamentari e giornali sguinzagliati a denunciare il metodo-Fazzone.
Una volta era il feudo del ras delle acque minerali, uomo d’affari della Dc andreottiana e nostalgico del Duce. Oggi è il territorio di un giovane senatore ex poliziotto, ciuffo sbarazzino, fedelissimo di Nicola Mancino e con un passato «nei ruoli della Presidenza del Consiglio». Giuseppe Ciarrapico e Claudio Fazzone: in realtà dietro il caso di Fondi, comune dell’agropontino infiltrato dalla mafia che il governo non vuole sciogliere, c’è uno scontro all’arma bianca tra anime diverse del Pdl. Uno scontro senza esclusione di colpi e in cui il gioco dei ruoli consegna proprio al Ciarra il compito di essere il più determinato accusatore di una presunta «malapolitica» di Fazzone. Sul piatto interessi economici e il controllo di un bacino di decine di migliaia di voti.
L’intramontabile e proteiforme Ciarrapico, da qualche anno anche prolifico editore, diventa senatore nel 2008 tra mille polemiche, rinnegando Fini, ma non la fede fascista, protetto da Silvio Berlusconi in persona. Dal 2006, però, l’anima destrorsa dell’agro pontino ha già un suo legale rappresentante: Claudio Fazzone, 48 anni, «cavallo di razza» - dicono - e astro nascente di Forza Italia. Un fenomeno, questo Fazzone: dal nulla, era un poliziotto seppur dalle ottime conoscenze, nel 2000 si candida alle regionali e tira su 27 mila voti. È il più votato d’Italia, dopo Berlusconi. Record bissato nel 2005 con 38 mila preferenze. Accade così dal 2008 i due, il Ciarra e l’ex sbirro, ingaggiano una battaglia che quasi quotidianamente attraversa l’aula del Senato e quelle dei tribunali. Se Fazzone ha presentato qualcosa come quaranta querele per diffamazione contro Ciarrapico, quest’ultimo ha scatenato i suoi giornali (una dozzina di testate tra la Ciociaria e Latina) per raccontare le malefatte vere o presunte di Fazzone & c, dal sindaco di Fondi Luigi Parisella al presidente della Provincia Armando Cusani, appalti truccati, tangenti, abusi edilizi, raccomandazioni, e chi più ne ha più ne metta. Latina oggi e Fondi News sono stati i più solerti e puntuali nello spiegare i passaggi delle inchieste giudiziarie che hanno portato l’amministrazione Fondi, tutti uomini di Fazzone, a un passo dallo scioglimento.
Non se ne sono risparmiata mezza, in questi anni. Il 17 giugno, per dirne una, mentre palazzo Chigi ha già da mesi sul tavolo la richiesta di scioglimento, Ciarrapico interroga il governo «sull’ennesima dimostrazione di cosa accade nell’allegro consiglio comunale di Fondi dove vengono assunti 5 giocatori di calcio arruolati nel “Football club Fondi”».
Appena mette piede in Senato (luglio 2008) il Ciarra presenta un’interpellanza contro il procuratore di Latina Giuseppe Mancini per la vicenda, tre le altre, del campeggio Holiday village «sequestrato per lottizzazzione abusiva e dissequestrato dopo l’inopportuno intervento di Fazzone presso l’ufficio dl giudice». Sempre Fazzone, secondo Latina oggi, salì al Viminale nell’autunno scorso appena arrivò la richiesta di scioglimento di Fondi da parte del prefetto Frattasi. In un modo o nell’altro, quella relazione fu congelata dal ministro Maroni che ne ordinò un approfondimento (giunto poi alle stesse conclusioni). Un dito nell’occhio, il Ciarra. E difatti Fazzone, un mese fa, ne ha chiesto «l’espulsione dal partito».
Vedi anche l'Unità del 5 agosto 2009

lunedì, marzo 02, 2009

Una storia italiana

Venerdì sera sono finalmente andato a Cascina Caccia.
C'erano Elena Ciccarello e Stefania Bizzarri, giornaliste di Narcomafie, a raccontare la storia di questo luogo e fare il punto sulla presenza della attività mafiose nel Nord Italia (dal racconto di Elena ho tratto alcuni dei dettagli contenuti in questo post).
La storia di Cascina Caccia penso di averla già raccontata qua e là, ma la riepilogo di nuovo (il più possibile) brevemente.
Questa bellissima cascina, che sta in cima ad una collina del torinese a due passi dai primi rilievi del Monferrato, era la sede operativa della famiglia Belfiore, una delle più potenti emanazioni al Nord della 'ndrangheta calabrese.
Negli anni '70-'80, il controllo della criminalità organizzata nel Torinese era appannaggio condiviso del clan dei catanesi e, appunto, della 'ndrangheta.
Nel 1980, al vertice della Procura di Torino arriva Bruno Caccia. Un magistrato integerrimo, incorruttibile, uno con cui "non ci si poteva parlare", come dirà in seguito Domenico Belfiore.
Un magistrato talmente convinto della necessità di rispettare le leggi da arrivare al punto di denunciare il proprio notaio per aver autenticato la sua firma senza la sua presenza...
Caccia applica senza compromessi, nel proprio lavoro, il proprio rigore: dalle inchieste sulle violenze nelle manifestazioni sindacali dell'epoca, alle indagini sul terrorismo e sulla 'ndrangheta, Caccia non fa sconti a nessuno, non concede mediazioni.
Una parte dei magistrati chiede il trasferimento ad altre procure pur di non lavorare con un uomo così difficile, ma altri magistrati chiedono invece di poter lavorare con lui, per lo stesso motivo.
Questo rigore, ovviamente, segna la sua condanna a morte.
Mi immagino, in queste stesse stanze, il boss Belfiore che in una sera di primavera, nel 1983, convoca i suoi attendenti.
Sorseggia un liquore, osserva il dolce panorama fuori dalla finestra; e, con brevi parole, o forse solo con un cenno del capo, ordina l'esecuzione.
Bruno Caccia viene ucciso il 26 giugno dello stesso anno.
Le indagini, orientate in un primo tempo verso la pista terroristica, giungono ad una svolta grazie all'aiuto di un boss pentito del clan dei catanesi, che in carcere raccoglie le confidenze dei calabresi grazie ad un registratore piazzato negli slip.
Nel 1993, Domenico Belfiore viene condannato all'ergastolo come mandante dell'omicidio Caccia: ma i killer - forse un "gruppo di fuoco" giunto appositamente dalla Calabria - sono ancora oggi sconosciuti.
Nel 1998, la cascina viene confiscata ai Belfiore sulla base della legge La Torre-Rognoni del 1982, che prevede (art.14) "il sequestro dei beni dei quali ... si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego"; "il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza".
Successivamente viene assegnata a Libera, l'associazione contro le mafie fondata da Don Ciotti, sulla base della legge 109/96 (che prevede, per quanto riguarda i beni immobili confiscati, il loro trasferimento "al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato (...), a cooperative sociali (...), o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti (...)".)
La legge fu voluta fortemente da Libera, per salvare - e destinare ad un uso sociale e in nome della legalità - il notevole patrimonio immobiliare sequestrato alle mafie, che in gran parte stava andando in rovina a causa dell'inefficienza dell'amministrazione pubblica: il che, anche simbolicamente, avrebbe segnato una nuova sconfitta dello Stato di fronte ai cittadini ("ecco, lo Stato lascia andare in rovina quel che la mafia curava benissimo!").
(Purtroppo, siamo ancora lontani dall'obiettivo; i dati al 31 luglio 2008, che danno la situazione degli immobili confiscati ed assegnati dal 1997, dicono che l'assegnazione ha riguardato solo il 19% degli immobili sottoposti a sequestro definitivo...ciò vuol dire che 4 immobili su 5 vengono consegnati all'abbandono ed al degrado).
Bisognerà attendere fino al 2007 prima che la famiglia Belfiore lasci la cascina: in mezzo c'è un difficile lavoro di mediazione, di sensibilizzazione, di informazione non solo nei confronti della famiglia, ma anche della comunità locale, in cui la paura "della diversità" supera di molto quella provata nei confronti della presenza mafiosa.
Le ipotesi di destinazione della cascina debbono essere cambiate per ridurre al minimo l'opposizione della comunità: l'ipotesi iniziale è una comunità di recupero per tossicodipendenti, poi l'assegnazione ad una comunità-famiglia; ma questo non quieta gli animi nè seda le paure , come si può leggere in questa dichiarazione del capogruppo dell'opposizione in consiglio comunale di un paio d'anni fa (le frasi in grassetto si commentano da sole):
"Questa non è altro che l'ennesima dimostrazione di come l'amministrazione comunale venda ciò che gli è più comodo a seconda di chi urla di più. Noi l'avevamo avvertita del rischio che si sarebbe corso ad affidare una struttura in mano ad organizzazioni che fanno ciò che vogliono, sia Don Ciotti e i suoi affiliati. Ora non potremo più tornare indietro. Prima si parlava di droga, poi di donne con problemi, poi di disagi alimentari e a seguire di disagi di comunicazione: hanno cambiato ancora una volta versione? Ciò vuol dire che tra un anno, se non prima, potremo avere nuove sorprese, Oggi siamo davanti alla realtà di aver ceduto una struttura invidiabile in mano a delle persone che la vogliono trasformare in una comune dietro il paravento della parola famiglia."
(Dio santo, una comune!!! davvero molto meglio l'ndrangheta, non trovate?:-()

Quando i Belfiore se ne vanno, spaccano tutto, per vendetta: distruggono palchetti e serramenti, devastano l'impianto idraulico ed il riscaldamento, mettono fuori uso quello elettrico, erigono muretti tra le stanze.
Ci vuole ancora tempo, e ancora fatica, per rendere praticabile la struttura (ancora oggi non c'è il riscaldamento).
A dare una mano a Libera e ad Acmos, oltre all'Amministrazione Comunale, ci pensano la Regione Piemonte (che con la legge regionale 14/2007 destina specificamente fondi da utilizzare per il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie), l'Associazione Nazionale Magistrati (che "adotta" simbolicamente una stanza della casa), ed un sacco di amici e compagni di strada.
L'inaugurazione della nuova vita di questa cascina, che dovrà cancellare il suo passato cupo e violento, avviene, finalmente, nel luglio 2008.

Alla fine, a prendere realmente possesso di Cascina Caccia sono quattro ragazzi della associazione Acmos (Anastasia, Sara, Roberto e Davide), che hanno passato l'inverno lavorandoci dentro e iniziando a costruire i legami con l'esterno, con il territorio.
Iniziative, corsi, incontri, cene, sede di uscite scout...la Cascina si candida ad essere una casa aperta a tutti, una "nuova Barbiana", come auspica Ciotti.
La strada è lunga: Sara mi racconta, davanti ad un tiramisù, come in zona ancora questa esperienza sia considerata con ostilità e con ignoranza "cosa da drogati".
E' lunga, ma è iniziata.
Mi piace chiudere questo post con le parole di Davide Mattiello (presidente di Acmos):
"... aprire "case" come Cascina Caccia è quanto di più vicino alla "Liberazione" siamo in grado di fare in questo momento.
Cascina Caccia sta a dimostrare che qualcosa di reale riusciamo a produrlo anche noi, che non sono solo parole e auspici e pacche sulle spalle.
Cascina Caccia, così come Casa ACMOS, I Tessitori, Isotta, Filo Continuo, Il Filo d’erba, sono per me polizze assicurative sulla speranza.
Sono palestre senza trucchi in cui ci alleniamo a fare sul serio, ad ottenere risultati, esiti e non solo ad generare processi.
Se fin qui è stata faticosa, lo sarà molto più da domani: quando si entrerà nella routine, quando mancheranno i soldi, quando i dubbi e le tensioni faranno pagare pegno, quando gli impegni (anche istituzionali) saranno disattesi. E così però che passo dopo passo forgeremo la nostra capacità di non mollare, di stare uniti, di non perdere di vista l’obiettivo."

Polizze assicurative sulla speranza...sottoscriviamone insieme, il più possibile!



mercoledì, febbraio 25, 2009

Saldare la terra con il cielo

Ecco, ci voleva proprio, una cosa bella come l'intervento di Don Ciotti (uno dei miei personalissimi miti laici) alla trasmissione "Parla con me".
Ci voleva la sua passione, il suo entusiasmo, la sua foga.
Racconta della cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, di Trapani, liberata dalla proprietà della mafia e restituità alla dignità del lavoro libero, e dell'impegno coraggioso dei servitori dello Stato (il Prefetto ed il Capo della Squadra Mobile di Trapani) che hanno permesso la confisca ai sensi della legge La Torre.
Dice, che di fronte a quel che accade, non ci si può più accontentare dell'indignazione, ma occorre arrivare fino al disgusto per poi finalmente reagire: con i progetti, le proposte, la presenza.
Si accalora, Don Ciotti, quando insiste su questo punto: esserci, esserci, esserci!
Coniuga di nuovo al futuro, su invito della Dandini, le parole "coraggio", "speranza", "legalità".
Si dichiara "uomo che tenta di saldare la terra con il cielo", e questa definizione mi piace moltissimo.

mercoledì, maggio 21, 2008

Gomorra

Quando lessi il libro di Saviano, oltre un anno fa, rimasi agghiacciato, come era giusto che fosse per un cittadino del nord ancora convinto che le mafie fossero un fenomeno nascosto, che condizionavano la realtà ed interagivano con essa, ma facendo in modo che la realtà (una parvenza di normalità) esistesse ancora.

Invece no, la scoperta che le mafie in Campania non sono "altro", ma LA realtà esistente (tutto il resto è sempre più, ormai, resistenza e testimonianza) mi sconvolse.

L'immagine delle mafie che fornisce Davide Mattiello di "Libera" è anch'essa agghiacciante: una immensa pozza putrida, piena di uova e di larve che continuano ad essere depositate, mentre lo Stato (la Magistratura) tenta disperatamente di schiacciare alcune delle zanzare più grandi tra quelle che hanno preso il volo.
Il problema è asciugare la pozza.
Nella pozza ci stanno anche quelli per cui Saviano è un personaggio pericoloso, per cui "è meglio che non affitti casa qui che se l'ammazzano ci rovinano tutto l'edificio, hai presente Borsellino..."

Quando andai in Brasile, nel 1989, in un viaggio di conoscenza con una ONG, ed incontrai sindacalisti della Fiat Brasile, rappresentanti dei contadini senza terra, missionari in lotta contro gli eserciti privati dei fazenderos, ognuno di loro si sentiva "marcado para morrer", ovvero ben in alto sulla lista dei condannati dagli squadroni della morte.

Mi sembrava una realtà assurda, spaventosa.
E invece, l'Italia di oggi assomiglia troppo al Sudamerica di allora (che forse oggi è migliorato, non lo so; il Presidente Lula allora era soltanto un leader sindacale amato dalle masse): un potere centrale folcloristico, sputtanato, che si esercita secondo canoni meramente televisivi, ed un controllo del territorio (di una parte eccessiva del territorio nazionale) in mano ai contropoteri criminali, che hanno le proprie liste di "marcado para morrer" piene di nomi di onesti servitori dello Stato e di rappresentanti della (residua) società civile...

giovedì, maggio 15, 2008

Le mafie dentro di noi

Mattinata al liceo scientifico che frequenta mia figlia: questa sera si svolgerà presso il liceo uno spettacolo per ricordare i trent'anni dell'assassinio di Peppino Impastato a Cinisi, ed in cambio dello spazio per lo spettacolo, come Consiglio di Istituto, abbiamo pensato di chiedere come "compenso" lo svolgimento di una assemblea sulla legalità con la partecipazione di Don Ciotti.
Don Ciotti non era disponibile, ma c'è Davide Mattiello, che è un suo stretto collaboratore nonchè responsabile di Libera NordOvest.
Ho già sentito Davide in una assemblea a Torino in cui si presentava un film relativo alla vicenda di Bruno Piazzese: un'autentica forza della natura, seducente e spietato al tempo stesso.
Anche qui non delude: parte con un durissimo altolà a chi pensa che questo tempo di assemblea possa essere dedicato al cazzeggio ed al disinteresse.
Mattiello non consente distrazioni ("Siamo qui per lavorare, mi spiace.Non possiamo iniziare a parlare di mafie se non ci guardiamo negli occhi, perchè questa è la prima libertà che si perde dove esse comandano"), ma è un intrattenitore nato: seduce, fulmina, avvince.
"Solo che è in grado di immaginare, di sognare una realtà diversa la può cambiare: gli altri sono già morti che camminano".
I ragazzi reagiscono bene, e pongono questioni intelligenti, profonde.
Un'ora densa di ragionamento, di concentrata attenzione, di condivisione di una realtà che non si vede, ma è prossima a noi, invisibile ma reale.

Alla fine, approfondimenti sul radicamento della ndrangheta sul nostro territorio, dove tre famiglie dominano il territorio e riciclano i proventi che giungono dall'economia sporca.
Amare considerazioni, che Saviano ha analizzato a fondo in "Gomorra": ogni ragazzino di 13 anni che fa il palo a Scampia prende 500 euro la settimana, in più gli danno scooter e telefonino e lo vestono firmato da capo a piedi, solo per inviare un sms se qualcuno di estraneo entra nel territorio controllato.
Le mafie sono seducenti e convincenti: ti riempiono di soldi e ti fanno diventare qualcuno.
Quel qualcuno che non eri, quando ti hanno sbattuto fuori da scuola, quando ti guardavano disprezzandoti, dicendo che saresti diventato un rifiuto della società: ti danno il rispetto che eri destinato a non avere mai, e ti fanno guadagnare a 12,13 anni più di quanto guadagna tuo padre.
Bisogna essere davvero un eroe, per resistere a sirene simili in un luogo dove non c'è futuro e non c'è più Stato.
Sulla sola piazza di Scampia, le mafie incassano 100.000 euro al giorno dallo spaccio.
I soldi stanno un po' in standby, fanno alcuni giri per il mondo via rete (Hong Kong, paesi dell'Est), e poi tornano in Italia attraverso finanziarie per avviare attività legali e pulite, in modo più generoso di quello che fanno le banche: impossibile per i magistrati provare i legami tra l'attività legale e l'origine dei soldi.
Le mafie non sono solo i pizzini di Provenzano, non sono arcaiche come spesso siamo portati a pensare: usano la tecnologia più avanzata, conoscono i processi reali, sono completamente dentro la realtà, la conoscono, la dominano: e contaminano la nostra, senza che noi ce ne accorgiamo.
Le mafie qui non sparano, ma aprono pizzerie e sale giochi "pulite". Quando beviamo una birra, spesso oltre al nostro intestino laviamo anche i soldi del pizzo e della droga.

Le mafie forniscono servizi, dai finanziamenti agli imprenditori ai piccoli sballi del sabato sera (impossibili senza i laboratori di sintesi): rispondono a domande che sono in noi, che la alimentiamo spesso senza rendercene conto, se non sappiamo qual è il grado di controllo del territorio.
Perchè la differenza è che le organizzazioni criminali tradizionali cercano esclusivamente l'arricchimento,ma le mafie sono una idea di governo alternativo del territorio: vogliono il potere ed il controllo di quel che è pubblico. E, a giudicare da quel che abbiamo intorno, ci stanno riuscendo pienamente. Stanno vincendo.

lunedì, marzo 20, 2006

Non c'è legalità senza qualità

Qualità del lavoro, qualità della politica, qualità dell’economia,
qualità dell’ambiente, qualità della scuola, qualità urbana, qualità dell’assistenza...è la parola d'ordine della
l'undicesima edizione della giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie, che quest'anno si svolgerà a Torino (21 marzo 2006).
Un altro buon motivo per esserci, a Torino.

venerdì, novembre 18, 2005

Mafia/2

"La mafia ci fa schifo", è il nuovo slogan del Presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro.
L'UDC siciliana (il partito del Presidente Cuffaro) vede cinque esponenti arrestati e dieci indagati per gravi reati di mafia. Ieri mattina, a Palermo, si è aperto il processo (udienza preliminare) contro il boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano e 75 fedelissimi picciotti.
La Regione Sicilia, che figura tra le 37 parti lese indicate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, NON si è costituita parte civile.
Già, la mafia gli fa così schifo che non la vogliono nè vedere nè toccare.

Mafia/1

La legge "Rognoni - La Torre" permette, da vent'anni, di colpire la mafia in modo efficace, sul piano economico, con la confisca dei beni derivati dalle attività illecite.
I beni confiscati (immobili, terreni) vengono quindi "restituiti" alla società civile (e diventano strutture ed opportunità di lavoro per cooperative ed attività "sane").
Oggi, un disegno di legge(*), che sarà sottoposto all'approvazione del Parlamento, prevede (tra altre cose) la possibilità di revisione, senza limiti di tempo e su richiesta di chiunque sia titolare di un "interesse giuridicamente riconosciuto", del provvedimento di confisca.
L'associazione "Libera" e i familiari delle vittime della mafia hanno lanciato un appello per chiedere al Parlamento un ripensamento di questa norma: mi sembra cosa buona e giusta, e doverosa per un futuro di speranza, leggere l'appello e sottoscriverlo qui.

(*) comma 1, lettera "m", art. 3 del disegno di legge AC 5362 recante “Delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di gestione e destinazione delle attività e dei beni sequestrati o confiscati ad organizzazioni criminali”