martedì, aprile 17, 2007

Altri lupi/2

La National Rifle Association spende 6 milioni di dollari l'anno per diffondere l'uso "civile" delle armi negli Stati Uniti d'America.
Di fatto, è il massimo sponsor del terrore interno agli U.S.A. . Dopo quello che è accaduto ieri in Virginia (uno studente impazzito di una università ne ha uccisi 33 con un'arma da assalto), la prima cosa seria e coerente da fare per i teorici della guerra preventiva sarebbe bombardare la sede della NRA.
Leggetevi anche (se ne avete lo stomaco) questo bel testo tratto dal loro sito.

Today is one of the most important days of the year for gun owners. The start of the NRA Annual Meetings is both a celebration of freedom and a rally for the Second Amendment, but it's also a show of force by gun owners to the enemies of freedom everywhere.

As tens of thousands of freedom-loving Americans descend on St. Louis, the anti-gunners are doing everything they can to chip away at your rights.

Sarah Brady's sending e-mails to Brady Campaign supporters, hoping to start a Brady Gun Law Defense Fund. Unlike the NRA's Civil Rights Defense Fund, the Brady lawyers will be trying to hurt gun owners, not help them. They're pushing for persecution of the Second Amendment, not protection. But when we gather in St. Louis, we show them we won't be pushed around.

Boston Mayor Tom Menino's calling for a ban on all semi-automatic firearms. Mr. Mayor, we've already seen what that has done for England and crime there. Why would you insist on disarming law-abiding Americans? Menino and his cohort Michael Bloomberg want to turn millions of Americans into instant criminals. But when we gather in St. Louis, we show them we won't be pushed around.

Rebecca Peters of the International Action Network on Small Arms is pushing an arms trade treaty that would gut our Second Amendment freedoms. They're not interested in lobbying Congress or state legislators. Instead, they want to go global, with the help of anti-gun politicians in countries without the Second Amendment. That arms trade treaty, if ratified by Congress or signed by a future president, would mean a global war on your guns the likes of which has never been seen. But when we gather in St. Louis, we show them we won't be pushed around.

In fact, when we gather in St. Louis, we're pushing back. We're pushing for Castle Doctrine laws across the country. We're pushing for legislation that ensures the gun confiscations in New Orleans will never be repeated in this country. We're pushing to protect our rights to protect ourselves, even against anti-gun employers who want to leave you defenseless to and from work. When we gather in St. Louis, we're pushing to protect and promote our freedoms, and we won't stop pushing until we've won.

lunedì, aprile 16, 2007

Altri lupi

Mentre la polizia sovietica bastona gli oppositori in piazza, Putin è con Berlusconi. Nulla di male, se il nostro ex-premier resistesse alla tentazione di dire la sua (a favore di Putin e contro "Altra Russia", inutile dirlo).
L'ultima volta che intervenne sulle cosiddette "questioni interne della Russia", fu per emettere la brillante sentenza a seguire: "La repressione russa in Cecenia? Una leggenda.".
Ma è così difficile stare zitti, se si hanno da dire solo boiate?

venerdì, aprile 13, 2007

Io me stavo lì (racconto dedicato a tutte le vittime dei PEC - Piani di Edilizia Convenzionata)

Io me ne stavo lì, da almeno cento anni, grasso e pasciuto, a farmi i fatti miei.

Pigro, si, lo sono sempre stato: ma non è che nella mia condizione si possa essere diversi.

Si, lo vedevo bene il disordine crescere su di me, ma anch’esso, in fondo, aveva una sua ragione d’essere ed una sua bellezza.

I ragazzini di qui, del paese, mi han sempre chiamato il Grande Prato: certo, tutto è relativo, e quel che viene visto dagli occhi dei bambini e degli adolescenti può sembrare grande anche se non lo è.

Io, a dirla sinceramente, non è che fossi immenso, però su di me si poteva correre a perdifiato per almeno due minuti di fila per la mia lunghezza, e non è che ci fossero poi molti altri posti per farlo.

E, visto che “per largo” sono in forte discesa, ci si poteva pure buttare di corsa verso il basso urlando come ossessi, fino a sentire le gambe esplodere, per lo sforzo di frenare prima di piombare come fulmini nel bel mezzo della strada asfaltata che mi sfiora a sud.

Si poteva far decollare l’aquilone, e poi farlo volare per un bel pezzo prima di essere obbligati a fermarsi e vederlo scendere sull’erba.

Si poteva aggrapparsi e arrampicarsi al noce che mi era cresciuto proprio in mezzo, un vecchio nodoso brontolone pieno di cicatrici, che non sopportava i bambini e li guardava truce mentre gli si posavano sui solidi rami, come grossi uccelli.

Si poteva mangiare more fino a scoppiare, prendendole una ad una dai rovi che c’erano al confine nord, facendo ben attenzione a non farsi catturare o graffiare dalle spine.

D’inverno, poi, in quegli inverni lontani in cui il paesaggio ancora si trasformava in incanto, c’erano notti e giorni interi in cui la neve mi copriva come una candida pelliccia.

E appena il manto si faceva denso e sufficiente, i ragazzi si infilavano sotto il sedere qualsiasi cosa scivolasse, una slitta un bob un sacco dell’immondizia, e volavano letteralmente lungo la discesa divertendosi come pazzi.

Beh, certo, io non è che possa andarmene in giro, lo capirete bene, ed il mondo intorno non l’ho visto, ma ho visto invece un piccolo pezzo di mondo passarmi sopra, in tutti questi anni, ed era un mondo che mi piaceva.

I fidanzati che, al tramonto, occultavano i loro baci dietro il caos dei noccioli lasciati crescere ad est senza criterio, intricati e scomposti.

I contadini (due anziani, lui e lei, piccoli e rinsecchiti sul minuscolo trattore) che, a fine estate, venivano a fare l’erba (e quanto ero grato, accidenti, che mi ripulissero un po’, che mi rendessero un po’ più ordinato).

E gli ospiti notturni, i cinghiali, i tassi, i gatti, silenziosi e guardinghi…

Poi, un giorno di fine autunno, sono arrivati quei due tizi.

Avevano la cravatta al collo e delle valigette, dalle quali han tirato fuori un sacco di carte con delle linee, e strumenti che non avevo mai visto.

Io, non è che sia razzista, ma gente con la cravatta al collo e le valigette non l’ho mai vista girare sui prati, non è ambiente suo, e mi è venuta subito un po’ di diffidenza.

Son stati qua sopra tutto il pomeriggio, ma non è che mi guardassero, non è che gli sia venuta voglia di sdraiarsi un attimo sull’erba. Erano qui, mi calpestavano, ma era come se non ci fossero. Distratti, non vedevano neanche le cincie ed i rondoni che si mettevano a giocare sopra la loro testa.

Quando sono andati via mi son sentito meglio, devo dire.

D’inverno, quando tutte le foglie del noce e dei noccioli erano a terra, i contadini son venuti a ripulire tutto. A ripulire troppo, devo dire, rispetto a come facevano di solito. E sembravano stanchi, e anche un po’ con gli occhi lucidi. Si muovevano piano, e spesso si fermavano a guardarmi con uno sguardo strano: non è che io sappia interpretare le emozioni che gli uomini si tengono dentro, ma sentivo che c’era qualcosa di diverso dal solito.

Prima ancora che arrivasse la primavera, quando tutto su di me dormiva – era un mattino presto, ed ancora mi beavo della freschezza della rugiada – ho sentito un rumore tremendo provenire dalla strada asfaltata: uno stridio, un cigolio impressionante.

Mentre stavo lì un po’ stupito, mi è venuto sopra un enorme coso giallo, con ruote grandissime e con davanti una specie di cucchiaio quadrato; e prima ancora che capissi che cosa stava per succedere, quel coso mi aveva piantato il suo cucchiaio nella carne, ed aveva iniziato a…si, a scuoiarmi!!!

Un male cane, mi ha fatto, mentre mi toglieva la parte di me più bella…ha lavorato per tutto il mattino, ed io ero ormai dolorante ed irriconoscibile, pieno di zolle marroni, ammucchiate qua e là senza criterio.

Ma la cosa peggiore, se peggiore poteva essere, è successa dopo, quando sono arrivati tutti quegli uomini: avevano in mano cose orrende, taglienti, e rumorose e puzzolenti, e con quelle si avvicinarono al vecchio noce, e lo fecero letteralmente a pezzi!!!

Io solo sentivo le sue urla di dolore, ma non potevo fare nulla. Dopo poche ore, il cadavere del mio vecchio, burbero amico se ne andava per sempre, ridotto in piccoli pezzi, sul cassone di un carro attaccato ad un trattore.

Giunse poi la volta, nei giorni successivi, dei noccioli, e dei rovi, e di nuovo tornò il mostro giallo a farmi del male, e poi altri mostri, sempre più rumorosi e puzzolenti e selvaggi.

Ero a pezzi, non mi riconoscevo più. Gli uomini vennero sempre più numerosi, mi infilarono nella carne infiniti pezzi di metallo, e poi mi fecero dolorose iniezioni di cemento, ma stavo sempre più male. Sempre più male.

Io me ne stavo lì, da almeno cento anni, grasso e pasciuto, a farmi i fatti miei.

Ed ora sono qui, schiacciato da queste otto case che mi distruggono le ossa, e sono stanco, e non ho più voglia di vivere. Al posto dell’erba hanno fatto delle strade, delle piccole piazze, e adesso ci abitano molti uomini, qui, e sul mio corpo passano le auto.

Nessuno corre più a perdifiato, non c’è più lo spazio.

Ci sono ancora dei bambini che giocano, li sento, però stanno nascosti dietro i muri,e quando escono stanno chiusi dentro alti recinti di ferro, su piccoli pezzi ben curati di verde, in mezzo a fiori colorati.

Non mi vedono più, non sanno neppure che esisto.

Io spero solo che, dopo quello che mi hanno fatto, ci sia almeno più felicità, qua sopra.

Beh, non potrebbe essere altrimenti: non è che sono stupidi, gli uomini.

giovedì, aprile 12, 2007

Slovenija/1: cronaca di un viaggio

Arriviamo alle Skocjanske Jame (conosciute in italiano come Grotte di San Canziano), ad una trentina di chilometri da Trieste ed a circa 15 da quelle ben più famose di Postumia, con un ampio anticipo sull’orario della visita guidata pomeridiana, fissato per le 15.30.

Non c’è molta folla, visto che è un giorno feriale: non più di una trentina di persone.

Il piccolo gruppo di turisti (per metà locali e per metà italiani) si muove all’improvviso fuori dal Centro in cui si trova la biglietteria, evidentemente ponendosi all’inseguimento di qualcuno che farà da guida: noi, che siamo perennemente attardati, ci accontentiamo di seguire il gruppo senza capire bene cosa accade.

Scendiamo lungo la strada di accesso, e poi all’interno di un piccolo bosco, fino a giungere ad un piazzale su cui si affaccia l’ingresso alle Grotte. La guida – che adesso si palesa, svettando sul gruppo, per le informazioni introduttive – è una simpatica ragazza dai capelli corti che parla alternativamente in inglese ed in un italiano corroso da un forte accento friulano.

L’ingresso alla prima parte delle Grotte avviene attraverso un orribile tunnel di cemento armato, lungo un paio di centinaia di metri.

Ma lo schifo finisce subito, appena si inizia il camminamento che entra nella cosiddetta “Grotta del Silenzio”. Stalattiti, stalagmiti e colonne creano il paesaggio lunare e suggestivo che è tipico delle grotte, ed in particolare delle grotte carsiche: l’illuminazione fioca rivela, tra le ombre, il candore del calcare e il rosso cupo dei minerali ferrosi. Al fondo del camminamento la Grotta si apre in una sala grandiosa, profonda cento metri ed alta cinquanta, in cui svetta una stalagmite alta almeno quindici metri: avrà qualche decina di migliaia d’anni di età!

Nella sala si sente già il brontolio cupo del fiume Reka, che è il protagonista assoluto della seconda parte della visita, la cosiddetta "Grotta del Rumore".

Fatti pochi passi in un piccolo corridoio di transito, si entra in un ambiente straordinario, fantastico, da mozzare il fiato.

In un antro enorme, alto e profondo, il fiume scorre rumorosamente in una gola centro metri più in basso, al fondo della quale scompare improvviso sotto i nostri piedi (riemergerà quaranta chilometri più a ovest, per gettarsi nel Timavo e poi nell’Adriatico).

Ti aspetteresti che, da dietro un angolo, appaia irruente e solido Gandalf il Grigio impegnato in un feroce combattimento con un demoniaco balrog: si, accidenti, questo luogo è qualcosa di molto simile alle miniere di Moria! (cfr J.R.R. Tolkien, “Il Signore degli Anelli”).

I camminamenti ai lati della grotta sono suggestivi, incluso il passaggio su un ponticello lungo una trentina di metri che svetta a 45 metri di altezza sulla gola. Nelle pareti si aprono improvvise e profonde ferite, in cui si intravedono i resti di spaventosi camminamenti affacciati sul precipizio, approntati dai primi scopritori attorno al 1830.

Il fiume là in fondo è tumultuoso, rabbioso, quasi vivo: quando la guida spegne le luci alle nostre spalle, quel buio impenetrabile e tuonante fa davvero impressione.

Dall’antro si risale il corso del fiume in uno stretto passaggio, guardando con inquietudine le acque spumeggianti (ma anche schiumeggianti; la guida non sa dire se trattasi di inquinamento o di virtù saponifiche dovute ai locali alberi di castagno), e piano piano si torna verso la luce, che giunge dalla apertura di un’altra grande grotta in cui il Reka entra molto più cauto e tranquillo.

Ma lo stupore non è ancora terminato: usciti alla luce, ci troviamo ancora in una gigantesca grotta diventata dolina, in tempi antichi, a causa del crollo del tetto. Lassù in cima si vede il campanile di un paese costruito proprio a due passi dal precipizio, mentre in fondo, precipitando da una forra, il Reka arriva e percorre i suoi ultimi passi alla luce prima di inabissarsi in quel mondo fantastico.

Ci stropicciamo gli occhi, accecati. Respiriamo l’aria tiepida di questo pomeriggio di aprile, e, senza parole, ci godiamo ancora un po’ il nostro delizioso stupore da bambini.

(La foto è tratta dal sito http://www.agencija-vangogh.si/ita/skocjan.asp)

mercoledì, aprile 04, 2007

Pausa

Ci sarebbero molte cose da scrivere, di questi tempi. Ed infatti le scrivo, altrove, e non riesco a farlo qui.
Si aggiunga il fatto che da stasera me ne fuggo via per qualche giorno, e che non torno prima del 10 aprile.
Ci si rilegge dopo, dunque, ammesso che riesca a trasformare in parole "pubbliche" tutto l'ambaradan che mi si muove dentro.:-)