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venerdì, febbraio 17, 2023

Giorgio Gaber a vent'anni dalla morte: con tutta la rabbia, con tutto l'amore.

Bella serata dedicata al grande Gaber, ieri sera al Circolo dei Lettori di Torino, con lo storico Gianni Oliva e Bruno Maria Ferraro di Tangram Teatro /lui e Ivana Ricci hanno nel curriculum molti interessanti spettacoli su De Andrè e Gaber).

Inframmezzato da clip di Gaber fornite dalla Fondazione Gaber (di cui è motore e anima da sempre Paolo del Bon), il dialogo, con Oliva che rispondeva alle domande di Ferraro, ha analizzato il contesto storico in cui Gaber ha realizzato i suoi pezzi più significativi.

Gaber iniziò a fare il chitarrista di rock'n'roll negli anni Cinquanta, girando per i locali milanesi con Celentano e Jannacci. 

Negli Anni Sessanta divenne un cantante popolare e conduttore celebre, ricco e di successo.

Poi, negli Anni Settanta, stimolato dallo stravolgimento culturale del '68, fece qualcosa di incredibile: abbandonò la tv, e decise che il suo confronto con il pubblico sarebbe proseguito solo nei teatri. Nacque il Teatro Canzone, in tandem con Sandro Luporini, che avrebbe segnato i successivi trent'anni della carriera di Gaber (morto poi nel 2003).

Il Teatro Canzone si rivelò da subito impegnato, fortemente politico e dedicato ad una rigorosa analisi critica di quei tempi. Gaber era sempre "sul pezzo", seguendo l'entusiasmo e poi la disillusione rispetto ai grandi movimenti di quel tempo: il Muro non era ancora crollato, e pur con tutte le contraddizioni del caso si pensava che si potesse ancora realizzare un mondo migliore, una libertà "diversa da quella americana".

Poi vennero le derive nichiliste, il terrorismo, la perdita del sogno e delle speranza in qualcosa di amaro, stantio, marcio.

Gaber e Luporini hanno raccontato tutto questo con parole e pensieri, canzoni e monologhi, con una passione che sul palco era tremendamente fisica, tanto che il corpo di Giorgio alla fine di uno spettacolo era sfinito, spossato.

Gianni Oliva sottolineava che Gaber era così fortemente rivolto a capire e analizzare i fenomeni del tempo in cui viveva, che probabilmente tra alcuni decenni le sue canzoni cadranno nell'oblio. (Dè Andrè resisterà, perchè canta di temi universali che riguardano l'uomo, e i temi universali non invecchiano mai).

Già oggi molti suoi pezzi risultano zeppi di riferimenti incomprensibili a chi ha meno di cinquant'anni: improbabile che qualcuno possa capirlo tra qualche anno, quando noi non ci saremo più:-)

Eppure, ci vorrebbe un Gaber per ogni epoca. Qualcuno che ragioni, cerchi di capire, ci spinga a discutere, selezioni un punto di vista, ci aiuti a orientarci in questo rumore quotidiano.

Per noi, Giorgio è stato preziosissimo. Ci manca.

lunedì, aprile 15, 2013

La mia (piccola) Biennale Democrazia

Spesso si è stanchi, annoiati, distratti.
Sembra a tratti che la vita sia una noiosissima sequenza di atti sempre uguali a se stessi, faticosi, irritanti, e che nulla riesca a farci uscire da questo fiume (assai densamente popolato di altri pescetti come noi) che ci trascina via senza speranza di poterne uscire.

Poi, d'improvviso, ti accorgi (finalmente) di come basti pochissimo per uscire dall'apatia e raccogliere emozioni.
Le emozioni che possono illuminare la vita sono molteplici, e sono molto spesso a portata di mano.
Basta decidersi, uscire, partire, andare, osare...

A Torino si è svolta, tra il 10 ed il 14 aprile, la edizione 2013 della Biennale della Democrazia (sempre sia lodato il Presidente Zagrebelsky!!!). Il tema di quest'anno, assolutamente azzeccato, era quello dell'Utopia.

Purtoppo non ho avuto nè il tempo nè la voglia di seguire granchè, tra le decine e decine di eventi che si sono susseguiti in questi giorni (tutti a ingresso assolutamente gratuito, come è nello spirito della Biennale, al solo prezzo di code spesso estenuanti ma giustamente ineludibili...)

Ma un paio di cose, nonostante la mia pigrizia ormai leggendaria, sono riuscito a non perderle.

La prima era la serata inaugurale, dedicata a Giorgio Gaber, al Teatro Regio.
Presente in sala un insolitamente loquace Sandro Luporini, coautore di GG, intervistato da Michele Serra.
Giovanna Zucconi ha letto alcuni brani gaberiani, di insolità attualità.
(Serra a Luporini:" Ma siete stati profetici voi o in questi trenta-quarant'anni in questo paese non è cambiato nulla", e Luporini: "Eh, l'è brutto dirlo, ma mi sa che non hè cambiato 'ulla.")
Sul video scorrevano immagini degli spettacoli di Gaber, così appassionati da portare ad applaudire persino il pubblico in sala in sincronia con quello originale della registrazione, come in un passaggio di testimone...
Impossibile, per me, sopprimere l'abituale commozione (ed il terribile groppo in gola) sul finale bellissimo e terribile di "Qualcuno era comunista", o la rabbia della versione più recente (ed antimafiosa) di "Io se fossi Dio", o il piacere dell'ascolto alla semplicità de "Un'idea"...così come impossibile è stato, per la platea,  non fare il coro, all'inizio della serata, con "La Libertà".
Alcuni video (doverosi) rendevano omaggio alla profonda amicizia e divertita collaborazione con quel geniaccio di Jannacci (l'unico, sottolineava la Zucconi, capace di far rimare "Quando tace il water" con "Quando parla Gaber" - in "Se me lo dicevi prima").
Tra i video e le parole di Luporini (che fluivano sempre più copiose, segno che era a suo agio) ci sono stati gli interventi musicali di Bruno Maria Ferraro (con una bellissima "Non insegnate ai bambini" alla chitarra), Andrea Mirò (con una bella "Il conformista" al piano), Luca Barbarossa, Enzo Iachetti (con la esilarante "Le elezioni"), ma soprattutto una appassionata ed emozionatissima Paola Turci da ovazione (con "C'è un'aria" e "Si può"): "Essere qui, in questo posto bellissimo, e cantare Gaber davanti a Luporini...mi scoppia il cuore!", e una tale ondata di emozione si è riverberata nel teatro, durante la sua esibizione, da lasciarci tutti meravigliosamente scossi...(qui una sua esibizione al Festival Gaber...giusto per dare l'idea...)


Il secondo evento è stata la lezione sull'utopia tenuta ieri al Piccolo Regio da Melania Mazzucco (un altro dei miei miti:-))
(Leggete qui per un resoconto davvero ben fatto della lezione...)

La Mazzucco, aiutata dalle immagini, ha compiuto una disamina degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (al tempo di Giotto, un pittore celebre quasi come lui) realizzati nella "Sala dei Nove" del Palazzo Civico di Siena (costruito a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo). Gli affreschi, conosciuti originariamente come "della pace e della guerra", nel Settecento sono stati ridenominati "del Buon Governo".

Il Comune di Siena, affidata a quei tempi la guida a nove Signori, si era dotato di una Costituzione, il cui testo - legato da una catena - era a disposizione di tutti i cittadini per la lettura e la conoscenza del contenuto.
Ma, poichè erano pochi i cittadini in grado di leggere, si rese necessario esibire i concetti della Costituzione attraverso il media più diffuso dell'epoca, ovvero la Pittura, e farlo nel luogo simbolicamente più corretto - la stanza di Palazzo Civico in cui i Signori esercitavano il Potere per conto del Popolo.
Fu chiamato appunto a questo compito Ambrogio Lorenzetti, non un semplice artigiano della pittura ma un uomo colto (un "filosofo", lo definì il Vasari), e quindi perfettamente in grado di "interpretare" visualmente i concetti contenuti nella Costituzione (i Signori esercitavano un potere quasi assoluto, ma la Costituzione li vincolava a manterenere Siena in pace: una pace attiva, anche bellicosa se necessario).
Ed ecco, dunque, gli elementi fondamentali del Buon Governo: la Giustizia, innanzi tutto, che deve essere lo scopo di chi governa. Sotto di essa, la Concordia, con una pialla per appianare i dissidi.
La Concordia è tramite tra la Giustizia ed il Popolo: questo tramite è rappresentato dalla corda che, attraverso la concordia, viene tenuta in mano da 24 cittadini (tutti diversi, a rappresentare mestieri e professioni, ma tutti di eguale altezza, per indicarne l'uguaglianza), fino a giungere al polso, a cui è saldamente annodata, della figura che rappresenta il Comune di Siena.
Non sto a descrivere nel dettaglio gli innumerevoli aspetti simbolici degli affreschi, che sono ampiamente descritti qui , ma in sintesi Lorenzetti esprime il concetto che se la Giustizia è al centro del Buon Governo la città diventa prospera, felice, bella, piacevole e priva di paura.
Se invece la Giustizia è umiliata e resa impotente vince la Tirannide, alle Virtù si sostituiscono i Vizi e nel declino che ne deriva si perde tutto: lavoro, speranza, felicità, e quel che resta è violenza, rovina e guerra.
Inutile sottolineare la persistente attualità del messaggio.

Poi, la Mazzucco ha preso come spunto un dipinto di Paul Signac, "Al tempo dell'anarchia", per una dissertazione sull'utopia anarchica (concentrandosi su fine Ottocento, quando la fiaccola dell'anarchia - nel bene e nel male - splendeva come riferimento per milioni di esseri umani oppressi che sognavano un mondo nuovo), incrociando quindi un altro dei miei miti.

(Sono anarchico? Lo sono stato, sinceramente, profondamente ed in modo convinto ed informato. Lo sono ancora, nel cuore, anche se oggi mi dico che un popolo che non è nemmeno in grado di usare decentemente una democrazia non può nemmeno giungere immaginare una cosa bella come l'assenza di governo dovuta al fatto che le comunità di individui sono in grado di gestirsi da sole).
Il grande Eliseo Reclus, scienziato ed anarchico (ricordate che incrociò la sua vita, per un tratto, con quello della esploratrice Alexandra David-Neel, di cui parlai qui?), disse che l'esperienza dei comuni italiani medievali può considerarsi il tipo di organizzazione che è giunto più vicino al concetto di libertà e giustizia.
Gli anarchici furono (e sono, anche se la loro voce è ormai così fiebile) i maggiori sognatori di un mondo davvero nuovo, radicalmente rifondato dalle radici...avevano una fiducia nell'uomo che andava oltre ogni ragionevole speranza:-)

Infine, la Mazzucco ha concluso con "Il mondo nuovo" , di Giandomenico Tiepolo (1791), rilevandone altri stringenti motivi di attualità.

Il mondo nuovo era una forma di lanterna magica montata nei giorni di festa che mostrava immagini straordinarie e fantastiche: «Tiepolo era attratto dagli imbonitori, da quelli che riescono ad attrarre l’attenzione della gente – dice Mazzucco – millantando qualcosa che in realtà non esiste. In questa lanterna magica erano promesse la visione di posti lontani, un mondo nuovo, diverso e anche un mondo alla rovescia. Tiepolo non ci fa vedere questo spettacolo perché nel quadro sono mostrati  invece gli spettatori di spalle, sono loro i protagonisti dello spettacolo senza saperlo, e gli spettatori sono il vero futuro al quale Tiepolo vuole offrire l’immagine di questa gente. Persone di tutti i tipi, manovrate da un ciarlatano, contagiati dalla smania di evasione e imboniti dalle promesse del mondo nuovo».

C'è forse qualcosa da aggiungere?:-)

lunedì, dicembre 14, 2009

Io se fossi Dio

Io se fossi Dio
prenderei a schiaffi Massimo Tartaglia
(e gli schiaffi di Dio, si sa,
appiccicano al muro tutti)
perchè io non ho creato i matti
per far piacere ai cattivi
li ho fatti per liberarli dall'assurdità del quotidiano
e non per nascondere col sangue
la natura violenta del caimano.

Io se fossi Dio
mi incazzerei con lui oltre il dovuto
perchè con quel gesto folle e rozzo
permette ai servi viscidi e schifosi
di proclamarsi vittime,
al posto dei botoli rognosi che eran ieri
che insultano, ringhiando e con la bava,
il senso dello Stato e chi lo ama.

Io se fossi Dio
gli urlerei cretino, deficiente
perchè di nuovo, un'altra volta,
ci rendi più difficile vedere dietro al niente
la vera violenza contro l'uomo,
di chi odia davvero le persone,
le loro vite, i loro affetti
e con le leggi e con il suo potere
offende la giustizia,
distrugge la speranza.

(Perdonami, Gaber.)

lunedì, gennaio 12, 2009

Perchè Fabrizio De Andrè E' uno di noi

"Continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai?"

Chiunque mi conosca (o mi legga da abbastanza tempo) sa bene che, nel mio cuore, Giorgio Gaber occupa uno spazio decisamente più ampio di Fabrizio De Andrè.
Sarà perchè è più amaro, più cupo, più pessimista, e quindi assomiglia di più a quello che -in fondo - sono io; sarà perchè usa la parola in modo più prosaico e meno poetico, ed io con la poesia ho sempre avuto dei problemi.:-)
(Ma poichè li sento egualmente e fortemente liberi e libertari, mi sono vicini entrambi).
Questo non vuol dire che le canzoni di De Andrè non mi emozionino profondamente.
Questa sera, guardando lo speciale di Raitre condotto da Fazio con Dori Ghezzi in occasione del 10° anniversario della morte di De Andrè, ho vissuto qualche ora di autentica commozione, che in qualche modo sono riuscito a condividere in tempo reale con molte delle persone che mi sono più care:-).
E ascoltando le sue parole, e ascoltando chi le interpretava, ho provato un fortissimo senso di appartenenza, e di siderale distanza da coloro che queste parole non riescono a capirle, e tantomeno a viverle.
L'uomo, l'anarchia (intesa come istintiva avversione alla cattiveria di ogni potere, che dell'uomo è nemico), e quel dio di cui avremmo un disperato bisogno, sono quel che De Andrè continua a cantare per tutti noi, anche se ci ha lasciati da troppo tempo.
La vicinanza a chi è distante dal potere, a chi "sbaglia", a chi è solo, a chi è sulla "cattiva strada" (sia ladro, puttana od assassino, o chiunque abbia bisogno di dare e ricevere amore) rende De Andrè, che sempre affermò di non essere in grado di saper guidare nessuno, un amico al cui fianco vorremmo continuare a camminare.

P.S.: per fortuna esiste chi, al contrario di me, sa usare la poesia per dire con efficacia quel che a me risulta faticoso ed imperfetto: Stefi mi segnala la bella poesia che Daniele dedica a Faber; e persino io riesco a coglierne il valore ed a consigliarvene caldamente la lettura.:-)

mercoledì, aprile 16, 2008

Qualcuno era comunista

A vederla con calma il giorno dopo si nota che in realtà neanche il progetto PD è andato bene come sembrava. Disastro per la Finocchiaro in Sicilia, per Illy in Friuli, e forse si perderà anche Roma.
Ma di questo parlerò in altri post, purtroppo ci saranno 5 anni di tempo per farlo.
Questo lo voglio dedicare ai compagni (si, io questo termine lo uso ancora e me ne onoro) con cui ho condiviso decenni di storia, di entusiasmi, di sogni, e che oggi si ritrovano improvvisamente orfani: ma non soli, ve lo giuro, non soli.
Recupero dalla memoria i tempi antichi dell'Itis, i tardi anni '70: io facevo parte di una cellula anarchica (eravamo solo in due) e quindi già conoscevo bene - volontariamente - il senso dell'esclusione e della non rappresentanza: perchè pensavo che ognuno rappresentasse se stesso, e fosse già difficile così.
Ricordo poi i tempi bellissimi e gioiosi di Democrazia Proletaria, nelle notti torinesi di primavera in cui si esultava (fuori dalla sede storica di Via Rolando 4), per uno 0,1% conquistato alla Camera, per la Bianca Guidetti Serra (avvocato storico nel processo contro le schedature Fiat) eletta in Consiglio Comunale a Torino, per il seggio europeo di Mario Capanna (ed il suo primo intervento in aula, in greco antico!).
Ricordo i tempi del PCI alla guida di Torino, tra il 1975 ed il 1985, con Novelli sindaco dei ballatoi (e Giuliano Ferrara capogruppo del PCI in Consiglio Comunale, sigh), in una città allucinata dal terrorismo e dalla paura eppure laboratorio di una comunità nuova, che voleva vivere ed aggregarsi.
Ricordo i tempi in cui, studente squattrinato, potevo comprare ogni tanto solo uno dei QUATTRO quotidiani che uscivano "a sinistra dell'Unità": il manifesto, il quotidiano dei lavoratori, lotta continua e - per poco - la sinistra.
Quello che è "finito" lunedì è, indubbiamente, anche un pezzo della mia storia.
O forse è solo una necessaria trasformazione, una doverosa reinterpretazione del mondo.
Carletto Marx si è fatto un culo così per capire il mondo e proporne uno nuovo, ma non è che noi possiamo campare alle sue spalle per tutta la vita, ragazzi...

Mi sembra giusto fare omaggio a questa nostra storia comune con un estratto dallo splendido, celebre monologo di Gaber - che come al solito, con grande lucidità, aveva già capito 17 anni fa quel che noi abbiamo visto oggi....

Qualcuno era comunista (1991)

(...)
Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no.
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il Paradiso Terrestre.
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche… lo esigevano tutti.
Qualcuno era comunista perché “La Storia è dalla nostra parte!”.
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era comunista perché prima era fascista.
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo.
Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio.
Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio.
Qualcuno era comunista perché la borghesia il proletariato la lotta di classe. Facile no?
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopo domani sicuramente…
Qualcuno era comunista perché “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-Tung”.
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava sempre Rai Tre.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto.
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il “materialismo dialettico” per il “Vangelo secondo Lenin”.
Qualcuno era comunista perché era convinto d’avere dietro di sé la classe operaia.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c’era il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista nonostante ci fosse il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio.
Qualcuno era comunista perché abbiamo il peggiore Partito Socialista d’Europa.
Qualcuno era comunista perché lo Stato peggio che da noi solo l’Uganda.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi viscidi e ruffiani.
Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera.
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista.
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia.
Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.
No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.
E ora? Anche ora ci si sente come in due: da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.

venerdì, febbraio 08, 2008

Noi si corre da soli:-)

(Questo nasce come commento ad un post pubblicato sul sito di Suzukimaruti, ma visto che non riuscirei a rifarlo meglio lo ripropongo più o meno in versione integrale: il tono è un po' concitato, ma rispecchia i miei sentimenti attuali sull'argomento:-))

Sono d’accordissimo con la scelta di Veltroni: finalmente un sasso gettato nella palude, una scelta netta e chiara con cui ci si deve confrontare (e il Cdx con i suoi 18 partiti improvvisamente sembra cosa d’antan, e la cosa rossa non sa più se implorare o decidere finalmente di crescere).
Voterò convinto per il PD, e tutte le obiezioni ce le guardiamo a casa nostra e ce le mediamo prima di andare in pubblico, ‘che la democrazia è anche lavorarci un po’ su, sulle idee, prima di dar fiato alle ugole, creare almeno un semilavorato prima di andare a chiedere un voto dicendo ognuno la sua.
E tutte le volte che manifesto il mio entusiasmo per questa scelta, qualcuno mi dice “si, ma come la mettiamo con la Binetti?”.
Cioè, capitemi: fuori ci sono i teodem, il papa d’assalto, i formigoni, i ferrara, i nemici della 194, i vescovi medievali, e tu mi vieni a dire (come direbbe il grande Gaber) che il problema è la posizione della Binetti nel PD?
Ma chi se ne frega! Il PD contiene la Binetti ma non è la Binetti, e forse conterrà Montezemolo ma senza essere Montezemolo, e sarebbe bello contenesse ancora Padoa Schioppa, uno dei migliori ministri in circolazione sulla faccia triste di questo paese con Bersani e Amato e la Bonino…
Con il disastro che c’è fuori, i sofisti i puristi e gli immacolati possono pure accomodarsi altrove, è come discutere sul colore degli interruttori quando non c’è più nemmeno la casa, cazzo!
Vai Walter!:-)

martedì, ottobre 23, 2007

Nessuna simpatia

Mi hanno prestato un libro che si intitola "Dal basso dei cieli": in copertina la guglia della Mole è costituita da una siringa da cui spunta una goccia di sangue.
Il libro racconta la vita di Peppo Parolini, morto nell'estate 2006, che secondo il risvolto di copertina era un "artista, icona dell'underground torinese...un uomo libero che ha lasciato un grande vuoto in chi ha ascoltato le sue storie e conosciuto la sua voce impastata di alcol e di fumo".

In realtà, 'sto personaggio - noto per essere un elemento fisso dell'arredamento di alcuni famosi locali torinesi - ha percorso gli anni sessanta e settanta della città con una vita tristissima, dedicata alla morfina, all'eroina e ad ogni sorta di sballo chimico.
Furti, galera, una patetica autodefinizione di "rivoluzionario e sognatore" che deriva dall'aver partecipato a rivolte nichiliste nelle carceri.
Per farsi, il nostro si organizzava con lestofanti suoi pari per rubare vaglia negli uffici postali (e chissenefrega se i soldi erano magari di qualche poveraccio: a lui serve un milione al giorno, negli anni settanta, non è che può star lì a sofisticare), documenti e ricette per prelevare migliaia di scatole di porcherie farmaceutiche da spararsi in vena.
Il Parolini ripercorre la storia di una generazione inutile, che passa il suo tempo a non fare un cazzo dalla mattina alla sera fuorchè procurarsi materiale da sballo, a vivere da parassita come gli omologhi ricchi (con cui infatti si trova perfettamente a suo agio), ma non potendo mungere genitori ricchi si accontenta di fottere i poveracci suoi pari...

E son storie tristi di morti nei cessi, in India, di droga e AIDS, di figli abbandonati a se stessi, di amori senza impegno, senza legame fuorchè il dannato buco...di una Torino in fondo assai peggiore di quella che negli anni Settanta era la sua immagine "pubblica", lacerata dal dramma dell'immigrazione e del terrorismo.

Un libro assolutamente da leggere: perchè capisci che una vita così alla fine è davvero cacca distillata, perchè questo approccio bohemienne alla vita provoca il giusto schifo ed il giusto ribrezzo e quindi una reazione positiva, vitale, perchè vien voglia di riascoltare il grande Gaber di "Quando è moda e' moda", ed alla fine ti fa sperare che tuo figlio tutto sommato diventi un grigio impiegato di un ministero, 'che almeno la sua vita la butterà via senza accorgersi di soffrire e senza far soffrire gli altri.

mercoledì, ottobre 10, 2007

Il mio nuovo atteggiamento verso la vita...

Si può riassumere in questa splendida, indimenticabile canzone di Gaber...

Buttare lì qualcosa

di Gaber - Luporini

Ho visto aiutare chi sta male
sperare in un mondo più civile
ho visto chi si sa sacrificare
chi è sensibile al dolore
ed ho avuto simpatia.


Ho visto tanti figli da educare
e gente che li cresce con amore.
Ho visto genitori comprensivi
ed insegnanti molto bravi
pieni di psicologia.

Ma non ho visto mai nessuno
buttare lì qualcosa e andare via.

Ho visto tanti giovani lottare
di fronte alla violenza del potere.
Ho visto tanti giovani impegnati
militare nei partiti
con la loro ideologia.

Ma non ho visto mai nessuno
buttare lì qualcosa e andare via.

Ho visto farsi strada una tendenza
si parla di politica e coscienza.
Ho visto dar valore ai nostri mali
anche ai fatti personali
teorizzare anche Maria.

Ma non ho visto mai nessuno
buttare lì qualcosa e andare via.

Diffondere e insegnare la conoscenza
imporre a tutti i costi la propria esperienza.
Guidare, guidare per farsi seguire
opporsi al potere, infine riuscire a cambiare
il potere.
Decidere per gli altri dentro a una stanza
sapersi organizzare con molta efficienza.
Guidare, guidare per farsi seguire
opporsi al potere, cambiare per poi reinventare
il potere.
Il potere.

E non ho visto mai nessuno
buttare lì qualcosa e andare via.

mercoledì, novembre 29, 2006

Vedere il mondo che cambia sotto i tuoi occhi

In questo novembre strano e caldo, chi ha occhi per vedere si accorge che qualcosa sta cambiando, velocemente, sotto i propri occhi.
Tra poco è dicembre, eppure il salice nel giardino non solo ha perso pochissime foglie, ma non è neppure ingiallito.
Leggo i dati meteo della mia cittadina, e scopro che le precipitazioni nel mese di ottobre e novembre sono crollate (rispettivamente) del 70 e del 90% rispetto alla media.
So bene che non bisogna lasciarsi ingannare dalla memoria e basarsi sui dati oggettivi, ma nella mia memoria recente questi mesi sono stati i mesi tragici delle alluvioni del 1994 e del 2000, di precipitazioni abbondantemente sopra la media.
E ricordo che le gelate a novembre erano - fino all'anno scorso - cosa usuale, mentre ad oggi ancora non ho avuto il piacere di accarezzare la galaverna.
Però, dicono, tutto va bene. La realtà virtuale ci rassicura, anche se fuori il mondo cambia in modo sempre meno comprensibile. Alla TV scorrono le stesse immagini idiote di sempre. E, come direbbe il buon Gaber: "non bisogna farsi trarre in inganno dalla realtà!".

martedì, maggio 23, 2006

Giù le mani da Giorgio Gaber/2

Ma trattasi di un vizio del direttore comunicazione della Piaggio, dunque...! Il classico caso in cui, potendo mangiare un'idea, non si produce nulla di meglio della cacca.

Fulvio Zendrini cita Gaber e bacchetta Telecom

Ah “se potessi mangiare un’idea”... Fulvio Zendrini, direttore comunicazione del gruppo Piaggio, prende a prestito le parole di Giorgio Gaber per sottolineare la forza dell’idea che riempie una campagna pubblicitaria. Zendrini - ex numero uno della comunicazione di Tim e Telecom Italia - non risparmia nessuna critica ai suo vecchi datori di lavoro: “Lasciarsi strappare da Fastweb un testimonial come Valentino Rossi è stata una follia – dice -. Certo, saranno anche bravi a pianificare ma...”. Il manager riafferma poi la supremazia “del cuore sui numeri” e spara a zero sul reparto marketing (“Uccidetelo”), dicendo ai creativi di rivolgersi direttamente agli amministratori delegati e ai direttori comunicazione delle aziende. “Quando mi si accusa di chiamare in gara 17 agenzie per il nuovo tre ruote di Piaggio – conclude – io rispondo che se c’è un’idea sono le agenzie stesse a farsi avanti. Perché dovrei privarmi di un’idea forte, anche se viene da un ragazzino?”.

venerdì, maggio 19, 2006

Giù le mani da Giorgio Gaber

In questo blog si ama Giorgio Gaber. Tutto, dal Trani a gogo a Io se fossi Dio, il cui testo è anche pubblicato in versione integrale in un post.
E quindi figuratevi la mia emozione quando, ascoltando la radio, parte ad un certo punto la sua amata voce che canta "la libertà non è star sopra un albero...".
Una canzone attualissima sulla necessità della partecipazione, perbacco.
Sei lì che ti metti a cantare insieme a lui, e la canzone sfuma di botto con una annunciatrice che dice "La libertà è Piaggio". La libertà è Piaggio? Ma vaffanculo, Piaggio!
Ma c'è di peggio. La pubblicità radiofonica di un nuovo canale televisivo "per soli uomini" (lo deduci dal testo sprezzante e misogino che apre lo spot) è chiuso sempre da Gaber che canta "Ciao ciao bambina" (la canzone è di Tenco, mi pare, ma ne ha fatta una versione anche Gaber, la sua voce nasale è inconfondibile).
Ora, io capisco che un grande come Gaber abbia avuto in vita la orribile sfiga di una famiglia folgorata sulla via di Arcore; ma mi sembra che nè Ombretta Colli nè Dalia Gaberscik siano ridotte cosi "pezzealculo" da dover dare via i diritti del grande Giorgio per vendere motorini o canali per maiali.
Che peste le colga, subito.

giovedì, aprile 06, 2006

Io se fossi Dio

Quel che provo oggi l'ha già scritto il grande Giorgio Gaber nel 1980. Nessuno, allora, ebbe il coraggio di pubblicargli questo testo. Lo produsse da solo, su un memorabile lp con quest'unica canzone, inciso da un lato solo (ne ho una copia, che tengo come una reliquia).

Vale la pena di risentirla e, almeno qui, di rileggerla.

IO SE FOSSI DIO
[Giorgio Gaber ]
Io se fossi Dio...
e io potrei anche esserlo,
sennò non vedo chi!
Io se fossi Dio,
non mi farei fregare dai modi furbetti della gente,
non sarei mica un dilettante,
Sarei sempre presente!
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
o meglio ancora a criticare
appunto cosa fa la gente.
Per esempio il piccolo borghese
com'è noioso,
non commette mai peccati grossi,
non è mai intensamente peccaminoso.
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda
lui pensa che l'errore piccolino non lo conti o non lo veda.

Per questo
io se fossi Dio,
preferirei il secolo passato,
se fossi Dio
rimpiangerei il furore antico,
dove si odiava, e poi si amava,
e si ammazzava il nemico!

Ma io non sono ancora
nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
non sarei così coglione
a credere solo ai palpiti del cuore
o solo agli alambicchi della ragione.

Io se fossi Dio,
sarei sicuramente molto intero
e molto distaccato
come dovreste essere Voi!

Io se fossi Dio,
non sarei mica stato a risparmiare,
avrei fatto un uomo migliore.
Si vabbè lo ammetto
non mi è venuto tanto bene,
ed è per questo, per predicare il giusto,
che io ogni tanto mando giù qualcuno,
ma poi alla gente piace interpretare
e fa ancora più casino!

Io se fossi Dio,
non avrei fatto gli errori di mio figlio,
e sull'amore e sulla carità
mi sarei spiegato un po' meglio.

Infatti non è mica normale
che un comune mortale
per le cazzate tipo compassione e fame in India,
c'ha tanto amore di riserva
che neanche se lo sogna,
che viene da dire:
"Ma dopo come fa a essere così carogna?"

Io se fossi Dio,
non sarei ridotto come Voi
e se lo fossi io certo morirei
per qualcosa di importante.

Purtroppo l'occasione
di morire simpaticamente
non capita sempre,
e anche l'avventuriero più spinto
muore dove gli può capitare
e neanche tanto convinto.

Io se fossi Dio,
farei quello che voglio,
non sarei certo permissivo,
bastonerei mio figlio,
sarei severo e giusto,
stramaledirei gli Inglesi
come mi fu chiesto,
e se potessi
anche gli africanisti e l'Asia
e poi gli Americani e i Russi;
bastonerei la militanza
come la misticanza
e prenderei a schiaffi
i volteriani, i ladri,
gli stupidi e i bigotti:
perché Dio è violento!
E gli schiaffi di Dio
appiccicano al muro tutti!

Ma io non sono ancora
nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Finora abbiamo scherzato!
Ma va a finire che uno
prima o poi ci piglia gusto
e con la scusa di Dio tira fuori
tutto quello che gli sembra giusto.

E a te ragazza
che mi dici che non è vero
che il piccolo borghese
è solo un po' coglione,
che quel uomo è proprio un delinquente,
un mascalzone, un porco in tutti i sensi, una canaglia
e che ha tentato pure di violentare sua figlia!

Io come Dio inventato,
come Dio fittizio,
prendo coraggio
e sparo il mio giudizio e dico:
"Speriamo che a tuo padre
gli sparino nel culo cara figlia!".
Così per i giornali diventa
un bravo padre di famiglia.

Io se fossi Dio,
maledirei davvero i giornalisti
e specialmente tutti,
che certamente non son brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete,
avete ancora la libertà di pensare
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere,
e di fotografare immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento:
cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti,
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano.
Sì vabbè lo ammetto
la scomparsa dei fogli e della stampa
sarebbe forse una follia,
ma io se fossi Dio,
di fronte a tanta deficienza
non avrei certo la superstizione della democrazia!

Ma io non sono ancora
del regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente,
nel regno dei cieli non vorrei ministri
e gente di partito tra le "balle",
perché la politica è schifosa
e fa male alla pelle.
E tutti quelli che fanno questo gioco,
che poi è un gioco di forza, è ributtante e contagioso
come la lebbra e il tifo,
e tutti quelli che fanno questo gioco,
c'hanno certe facce
che a vederle fanno schifo,
che sian untuosi democristiani
o grigi compagni del P.C.
Son nati proprio brutti
o perlomeno tutti finiscono così.

Io se fossi Dio,
dall'alto del mio trono
vedrei che la politica è un mestiere come un altro
e vorrei dire, mi pare Platone,
che il politico è sempre meno filosofo
e sempre più coglione!:
è un uomo tutto tondo
che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo,
che scivola sulle parole
anche quando non sembra o non lo vuole.

Compagno radicale,
la parola compagno non so chi te l'ha data,
ma in fondo ti sta bene,
tanto ormai è squalificata,
compagno radicale,
cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino
ti muovi proprio bene in questo gran casino
e mentre da una parte si spara un po' a casaccio
e dall'altra si riempiono le galere
di gente che non centra un cazzo!
Compagno radicale,
tu occupati pure di diritti civili
e di idiozia che fa democrazia
e preparaci pure un altro referendum
questa volta per sapere
dov'è che i cani devono pisciare!

Compagni socialisti,
ma sì anche voi insinuanti, astuti e tondi,
compagni socialisti,
con le vostre spensierate alleanze
di destra, di sinistra, di centro,
coi vostri uomini aggiornati,
nuovi di fuori e vecchi di dentro,
compagni socialisti fatevi avanti
che questo è l'anno del garofano rosso e dei soli nascenti,
fatevi avanti col mito del progresso
e con la vostra schifosa ambiguità!
Ringraziate la dilagante imbecillità!

Ma io non sono ancora
nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
non avrei proprio più pazienza,
inventerei di nuovo una morale
e farei suonare le trombe
per il Giudizio universale.

Voi mi direte perché è così parziale
il mio personalissimo Giudizio universale?
Perché non suonano le mie trombe
per gli attentati, i rapimenti,
i giovani drogati e per le bombe?
Perché non è comparsa ancora l'altra faccia della medaglia.
Io come Dio, non è che non ne ho voglia,
io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili
o addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili,
ma come uomo come sono e fui
ho parlato di noi, comuni mortali,
quegli altri non li capisco,
mi spavento, non mi sembrano uguali.
Di loro posso dire solamente
che dalle masse sono riusciti ad ottenere
lo stupido pietismo per il carabiniere,
di loro posso dire solamente
che mi hanno tolto il gusto
di essere incazzato personalmente.
Io come uomo posso dire solo ciò che sento,
cioè solo l'immagine del grande smarrimento.

Però se fossi Dio
sarei anche invulnerabile e perfetto,
allora non avrei paura affatto,
così potrei gridare, e griderei senza ritegno che è una porcheria,
che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia!

Ecco la differenza che c'è tra noi e gli innominabili:
di noi posso parlare perché so chi siamo
e forse facciamo più schifo che spavento,
ma di fronte al terrorismo o a chi si uccide c'è solo lo sgomento.

Ma io se fossi Dio,
non mi farei fregare da questo sgomento
e nei confronti dei politicanti
sarei severo come all'inizio,
perché a Dio i martiri
non gli hanno fatto mai cambiar giudizio.

E se al mio Dio che ancora si accalora,
gli fa rabbia chi spara,
gli fa anche rabbia il fatto
che un politico qualunque
se gli ha sparato un brigatista,
diventa l'unico statista.

Io se fossi Dio,
quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio,
c'avrei ancora il coraggio di continuare a dire
che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana
è il responsabile maggiore di vent'anni di cancrena italiana.

Io se fossi Dio,
un Dio incosciente enormemente saggio,
avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
quella faccia che era!

Ma in fondo tutto questo è stupido
perché logicamente
io se fossi Dio,
la Terra la vedrei piuttosto da lontano
e forse non ce la farei ad accalorarmi
in questo scontro quotidiano.

Io se fossi Dio,
non mi interesserei di odio o di vendetta
e neanche di perdono
perché la lontananza è l'unica vendetta
è l'unico perdono!

E allora
va a finire che se fossi Dio,
io mi ritirerei in campagna
come ho fatto io...

Pazienza.

Su, pazienza. Ancora pochi giorni ed è finita. Lunedì sera si capirà se si è ripresa la strada verso un paese normale, o se toccherà scegliere la montagna in cui passare i prossimi anni di Nuova Resistenza, o il paese (preferibilmente di lingua spagnola) in cui andare a vivere per dimenticare la patria natia, così bella un tempo ed ora così mortalmente ferita.
C'è poco da scherzare, ormai: sentire Berlusconi fa paura. Fa paura il suo rancore livido, il suo odio, la violenza della sua espressione come sfondo della violenza delle sue parole.
Fa paura sentire uno suo dipendente, Confalonieri, affermare che non andare a Canale 5 sia un "attentato alla libertà di informazione". Capite, la vita fuori dagli studi televisivi non esiste. Non si è invitati ad un confronto televisivo, ma convocati: se rifiutate gentilmente la trappola, è la prova che state costruendo un regime.
Un regime. Detto da VOI verrebbe una gran voglia, come diceva Gaber in una "Io se fossi Dio" di cui sento di nuovo forte il bisogno, che vi saltassero i denti.
VOI. Voi che vi riconoscete in questo signore maleducato, tracotante, offensivo.
VOI adesso dovete assumervi pienamente la responsabilità di questa vostra identificazione. Non vi sorrideremo più, piccoli squali da condominio, ma vi mostreremo i denti.
Saremo educati ma gelidi, saremo giusti ed equi ma vi disprezzeremo come meritate. Solo da questo disprezzo potrà rinascere il paese che, pur con tutti i difetti, vi era stato consegnato cinque anni fa in buone condizioni di civiltà.
Non potremo mai perdonarvi, mai, per averci ridotti a un paese di stupidi, superficiali, brutti, cafoni, maleducati, arroganti, ad un paese che disprezza il lavoro, la fatica, la dignità, quel che è piccolo e debole e tenero e merita calore, attenzione, rispetto.
Non vi perdoneremo mai.

lunedì, marzo 27, 2006

Che la tua fine sia il nostro inizio...

Una delle cose belle di questa settimana, un po' sepolta sotto i clamori legati alle ultime follie preelettorali ed all'uscita del "Caimano", è il fatto che il libro-biografia di Tiziano Terzani "La fine è il mio inizio" sia tra i libri più venduti in Italia.
Non ho ancora comprato nè letto il libro, ma il suo successo (credo basato più sul passaparola che sul marketing) è un elemento di ottimismo, in questo momento molto cupo per il paese.
Non come quando quattro milioni di persone si recarono a votare alle primarie dell'Unione, ma piuttosto come quando il lavoro postumo di Giorgio Gaber, "Io non mi sento italiano", giunse in testa alle classifiche.
Sia il caso di Gaber che quello di Terzani può essere dovuto al fatto, come suggerisce una mia autorevole musa, che sia ormai una minoranza colta e danarosa quella che, a volte, permette tali fiammate di fiducia nelle capacità del popolo di saper scegliere, nonostante il collettivo rimbambimento di lungo corso a colpi di reality e cattiva televisione.
Può essere. Ma lasciatemi credere che non sia vero.