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lunedì, marzo 02, 2009

Una storia italiana

Venerdì sera sono finalmente andato a Cascina Caccia.
C'erano Elena Ciccarello e Stefania Bizzarri, giornaliste di Narcomafie, a raccontare la storia di questo luogo e fare il punto sulla presenza della attività mafiose nel Nord Italia (dal racconto di Elena ho tratto alcuni dei dettagli contenuti in questo post).
La storia di Cascina Caccia penso di averla già raccontata qua e là, ma la riepilogo di nuovo (il più possibile) brevemente.
Questa bellissima cascina, che sta in cima ad una collina del torinese a due passi dai primi rilievi del Monferrato, era la sede operativa della famiglia Belfiore, una delle più potenti emanazioni al Nord della 'ndrangheta calabrese.
Negli anni '70-'80, il controllo della criminalità organizzata nel Torinese era appannaggio condiviso del clan dei catanesi e, appunto, della 'ndrangheta.
Nel 1980, al vertice della Procura di Torino arriva Bruno Caccia. Un magistrato integerrimo, incorruttibile, uno con cui "non ci si poteva parlare", come dirà in seguito Domenico Belfiore.
Un magistrato talmente convinto della necessità di rispettare le leggi da arrivare al punto di denunciare il proprio notaio per aver autenticato la sua firma senza la sua presenza...
Caccia applica senza compromessi, nel proprio lavoro, il proprio rigore: dalle inchieste sulle violenze nelle manifestazioni sindacali dell'epoca, alle indagini sul terrorismo e sulla 'ndrangheta, Caccia non fa sconti a nessuno, non concede mediazioni.
Una parte dei magistrati chiede il trasferimento ad altre procure pur di non lavorare con un uomo così difficile, ma altri magistrati chiedono invece di poter lavorare con lui, per lo stesso motivo.
Questo rigore, ovviamente, segna la sua condanna a morte.
Mi immagino, in queste stesse stanze, il boss Belfiore che in una sera di primavera, nel 1983, convoca i suoi attendenti.
Sorseggia un liquore, osserva il dolce panorama fuori dalla finestra; e, con brevi parole, o forse solo con un cenno del capo, ordina l'esecuzione.
Bruno Caccia viene ucciso il 26 giugno dello stesso anno.
Le indagini, orientate in un primo tempo verso la pista terroristica, giungono ad una svolta grazie all'aiuto di un boss pentito del clan dei catanesi, che in carcere raccoglie le confidenze dei calabresi grazie ad un registratore piazzato negli slip.
Nel 1993, Domenico Belfiore viene condannato all'ergastolo come mandante dell'omicidio Caccia: ma i killer - forse un "gruppo di fuoco" giunto appositamente dalla Calabria - sono ancora oggi sconosciuti.
Nel 1998, la cascina viene confiscata ai Belfiore sulla base della legge La Torre-Rognoni del 1982, che prevede (art.14) "il sequestro dei beni dei quali ... si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego"; "il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza".
Successivamente viene assegnata a Libera, l'associazione contro le mafie fondata da Don Ciotti, sulla base della legge 109/96 (che prevede, per quanto riguarda i beni immobili confiscati, il loro trasferimento "al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato (...), a cooperative sociali (...), o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti (...)".)
La legge fu voluta fortemente da Libera, per salvare - e destinare ad un uso sociale e in nome della legalità - il notevole patrimonio immobiliare sequestrato alle mafie, che in gran parte stava andando in rovina a causa dell'inefficienza dell'amministrazione pubblica: il che, anche simbolicamente, avrebbe segnato una nuova sconfitta dello Stato di fronte ai cittadini ("ecco, lo Stato lascia andare in rovina quel che la mafia curava benissimo!").
(Purtroppo, siamo ancora lontani dall'obiettivo; i dati al 31 luglio 2008, che danno la situazione degli immobili confiscati ed assegnati dal 1997, dicono che l'assegnazione ha riguardato solo il 19% degli immobili sottoposti a sequestro definitivo...ciò vuol dire che 4 immobili su 5 vengono consegnati all'abbandono ed al degrado).
Bisognerà attendere fino al 2007 prima che la famiglia Belfiore lasci la cascina: in mezzo c'è un difficile lavoro di mediazione, di sensibilizzazione, di informazione non solo nei confronti della famiglia, ma anche della comunità locale, in cui la paura "della diversità" supera di molto quella provata nei confronti della presenza mafiosa.
Le ipotesi di destinazione della cascina debbono essere cambiate per ridurre al minimo l'opposizione della comunità: l'ipotesi iniziale è una comunità di recupero per tossicodipendenti, poi l'assegnazione ad una comunità-famiglia; ma questo non quieta gli animi nè seda le paure , come si può leggere in questa dichiarazione del capogruppo dell'opposizione in consiglio comunale di un paio d'anni fa (le frasi in grassetto si commentano da sole):
"Questa non è altro che l'ennesima dimostrazione di come l'amministrazione comunale venda ciò che gli è più comodo a seconda di chi urla di più. Noi l'avevamo avvertita del rischio che si sarebbe corso ad affidare una struttura in mano ad organizzazioni che fanno ciò che vogliono, sia Don Ciotti e i suoi affiliati. Ora non potremo più tornare indietro. Prima si parlava di droga, poi di donne con problemi, poi di disagi alimentari e a seguire di disagi di comunicazione: hanno cambiato ancora una volta versione? Ciò vuol dire che tra un anno, se non prima, potremo avere nuove sorprese, Oggi siamo davanti alla realtà di aver ceduto una struttura invidiabile in mano a delle persone che la vogliono trasformare in una comune dietro il paravento della parola famiglia."
(Dio santo, una comune!!! davvero molto meglio l'ndrangheta, non trovate?:-()

Quando i Belfiore se ne vanno, spaccano tutto, per vendetta: distruggono palchetti e serramenti, devastano l'impianto idraulico ed il riscaldamento, mettono fuori uso quello elettrico, erigono muretti tra le stanze.
Ci vuole ancora tempo, e ancora fatica, per rendere praticabile la struttura (ancora oggi non c'è il riscaldamento).
A dare una mano a Libera e ad Acmos, oltre all'Amministrazione Comunale, ci pensano la Regione Piemonte (che con la legge regionale 14/2007 destina specificamente fondi da utilizzare per il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie), l'Associazione Nazionale Magistrati (che "adotta" simbolicamente una stanza della casa), ed un sacco di amici e compagni di strada.
L'inaugurazione della nuova vita di questa cascina, che dovrà cancellare il suo passato cupo e violento, avviene, finalmente, nel luglio 2008.

Alla fine, a prendere realmente possesso di Cascina Caccia sono quattro ragazzi della associazione Acmos (Anastasia, Sara, Roberto e Davide), che hanno passato l'inverno lavorandoci dentro e iniziando a costruire i legami con l'esterno, con il territorio.
Iniziative, corsi, incontri, cene, sede di uscite scout...la Cascina si candida ad essere una casa aperta a tutti, una "nuova Barbiana", come auspica Ciotti.
La strada è lunga: Sara mi racconta, davanti ad un tiramisù, come in zona ancora questa esperienza sia considerata con ostilità e con ignoranza "cosa da drogati".
E' lunga, ma è iniziata.
Mi piace chiudere questo post con le parole di Davide Mattiello (presidente di Acmos):
"... aprire "case" come Cascina Caccia è quanto di più vicino alla "Liberazione" siamo in grado di fare in questo momento.
Cascina Caccia sta a dimostrare che qualcosa di reale riusciamo a produrlo anche noi, che non sono solo parole e auspici e pacche sulle spalle.
Cascina Caccia, così come Casa ACMOS, I Tessitori, Isotta, Filo Continuo, Il Filo d’erba, sono per me polizze assicurative sulla speranza.
Sono palestre senza trucchi in cui ci alleniamo a fare sul serio, ad ottenere risultati, esiti e non solo ad generare processi.
Se fin qui è stata faticosa, lo sarà molto più da domani: quando si entrerà nella routine, quando mancheranno i soldi, quando i dubbi e le tensioni faranno pagare pegno, quando gli impegni (anche istituzionali) saranno disattesi. E così però che passo dopo passo forgeremo la nostra capacità di non mollare, di stare uniti, di non perdere di vista l’obiettivo."

Polizze assicurative sulla speranza...sottoscriviamone insieme, il più possibile!



mercoledì, febbraio 25, 2009

Saldare la terra con il cielo

Ecco, ci voleva proprio, una cosa bella come l'intervento di Don Ciotti (uno dei miei personalissimi miti laici) alla trasmissione "Parla con me".
Ci voleva la sua passione, il suo entusiasmo, la sua foga.
Racconta della cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, di Trapani, liberata dalla proprietà della mafia e restituità alla dignità del lavoro libero, e dell'impegno coraggioso dei servitori dello Stato (il Prefetto ed il Capo della Squadra Mobile di Trapani) che hanno permesso la confisca ai sensi della legge La Torre.
Dice, che di fronte a quel che accade, non ci si può più accontentare dell'indignazione, ma occorre arrivare fino al disgusto per poi finalmente reagire: con i progetti, le proposte, la presenza.
Si accalora, Don Ciotti, quando insiste su questo punto: esserci, esserci, esserci!
Coniuga di nuovo al futuro, su invito della Dandini, le parole "coraggio", "speranza", "legalità".
Si dichiara "uomo che tenta di saldare la terra con il cielo", e questa definizione mi piace moltissimo.

giovedì, maggio 15, 2008

Le mafie dentro di noi

Mattinata al liceo scientifico che frequenta mia figlia: questa sera si svolgerà presso il liceo uno spettacolo per ricordare i trent'anni dell'assassinio di Peppino Impastato a Cinisi, ed in cambio dello spazio per lo spettacolo, come Consiglio di Istituto, abbiamo pensato di chiedere come "compenso" lo svolgimento di una assemblea sulla legalità con la partecipazione di Don Ciotti.
Don Ciotti non era disponibile, ma c'è Davide Mattiello, che è un suo stretto collaboratore nonchè responsabile di Libera NordOvest.
Ho già sentito Davide in una assemblea a Torino in cui si presentava un film relativo alla vicenda di Bruno Piazzese: un'autentica forza della natura, seducente e spietato al tempo stesso.
Anche qui non delude: parte con un durissimo altolà a chi pensa che questo tempo di assemblea possa essere dedicato al cazzeggio ed al disinteresse.
Mattiello non consente distrazioni ("Siamo qui per lavorare, mi spiace.Non possiamo iniziare a parlare di mafie se non ci guardiamo negli occhi, perchè questa è la prima libertà che si perde dove esse comandano"), ma è un intrattenitore nato: seduce, fulmina, avvince.
"Solo che è in grado di immaginare, di sognare una realtà diversa la può cambiare: gli altri sono già morti che camminano".
I ragazzi reagiscono bene, e pongono questioni intelligenti, profonde.
Un'ora densa di ragionamento, di concentrata attenzione, di condivisione di una realtà che non si vede, ma è prossima a noi, invisibile ma reale.

Alla fine, approfondimenti sul radicamento della ndrangheta sul nostro territorio, dove tre famiglie dominano il territorio e riciclano i proventi che giungono dall'economia sporca.
Amare considerazioni, che Saviano ha analizzato a fondo in "Gomorra": ogni ragazzino di 13 anni che fa il palo a Scampia prende 500 euro la settimana, in più gli danno scooter e telefonino e lo vestono firmato da capo a piedi, solo per inviare un sms se qualcuno di estraneo entra nel territorio controllato.
Le mafie sono seducenti e convincenti: ti riempiono di soldi e ti fanno diventare qualcuno.
Quel qualcuno che non eri, quando ti hanno sbattuto fuori da scuola, quando ti guardavano disprezzandoti, dicendo che saresti diventato un rifiuto della società: ti danno il rispetto che eri destinato a non avere mai, e ti fanno guadagnare a 12,13 anni più di quanto guadagna tuo padre.
Bisogna essere davvero un eroe, per resistere a sirene simili in un luogo dove non c'è futuro e non c'è più Stato.
Sulla sola piazza di Scampia, le mafie incassano 100.000 euro al giorno dallo spaccio.
I soldi stanno un po' in standby, fanno alcuni giri per il mondo via rete (Hong Kong, paesi dell'Est), e poi tornano in Italia attraverso finanziarie per avviare attività legali e pulite, in modo più generoso di quello che fanno le banche: impossibile per i magistrati provare i legami tra l'attività legale e l'origine dei soldi.
Le mafie non sono solo i pizzini di Provenzano, non sono arcaiche come spesso siamo portati a pensare: usano la tecnologia più avanzata, conoscono i processi reali, sono completamente dentro la realtà, la conoscono, la dominano: e contaminano la nostra, senza che noi ce ne accorgiamo.
Le mafie qui non sparano, ma aprono pizzerie e sale giochi "pulite". Quando beviamo una birra, spesso oltre al nostro intestino laviamo anche i soldi del pizzo e della droga.

Le mafie forniscono servizi, dai finanziamenti agli imprenditori ai piccoli sballi del sabato sera (impossibili senza i laboratori di sintesi): rispondono a domande che sono in noi, che la alimentiamo spesso senza rendercene conto, se non sappiamo qual è il grado di controllo del territorio.
Perchè la differenza è che le organizzazioni criminali tradizionali cercano esclusivamente l'arricchimento,ma le mafie sono una idea di governo alternativo del territorio: vogliono il potere ed il controllo di quel che è pubblico. E, a giudicare da quel che abbiamo intorno, ci stanno riuscendo pienamente. Stanno vincendo.

venerdì, novembre 18, 2005

Mafia/1

La legge "Rognoni - La Torre" permette, da vent'anni, di colpire la mafia in modo efficace, sul piano economico, con la confisca dei beni derivati dalle attività illecite.
I beni confiscati (immobili, terreni) vengono quindi "restituiti" alla società civile (e diventano strutture ed opportunità di lavoro per cooperative ed attività "sane").
Oggi, un disegno di legge(*), che sarà sottoposto all'approvazione del Parlamento, prevede (tra altre cose) la possibilità di revisione, senza limiti di tempo e su richiesta di chiunque sia titolare di un "interesse giuridicamente riconosciuto", del provvedimento di confisca.
L'associazione "Libera" e i familiari delle vittime della mafia hanno lanciato un appello per chiedere al Parlamento un ripensamento di questa norma: mi sembra cosa buona e giusta, e doverosa per un futuro di speranza, leggere l'appello e sottoscriverlo qui.

(*) comma 1, lettera "m", art. 3 del disegno di legge AC 5362 recante “Delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di gestione e destinazione delle attività e dei beni sequestrati o confiscati ad organizzazioni criminali”