giovedì, febbraio 12, 2009

Zio Vanja

Questa opera di Anton Cechov, scritta appositamente per il teatro nel 1899, affronta il tema del fallimento, del rimpianto, della consapevolezza che la vita non è andata come si sognava, come avrebbe potuto essere...in questo è moderna, e perfettamente comprensibile in un tempo in cui il mito del successo è più forte che mai (e tutto complotta per farci sentire sempre un po' più falliti, un po' più inadatti, un po' più sbagliati).
Ogni personaggio sente di non aver raggiunto nulla di importante, o di aver sbagliato le proprie valutazioni e le proprie scommesse: e comprende, purtroppo, che è troppo tardi ormai per cambiare le cose, ripartire da zero, scommettere su qualcosa di diverso.
Non si può far altro che capire, accettare, e rassegnarsi: ogni tentativo di vitalità, di reazione è catastrofico, non fa che peggiorare le cose.
Il senso della morte, della fine, della impossibilità di cambiare il senso della storia è in tutti prepotente, imbattibile.Zio Vanja, che conduce per conto della nipote Sonja una tenuta in campagna, ospita il fratello Professore, in pensione, e la sua giovane e conturbante moglie, Elena. Il loro arrivo sconvolge l'operosità quotidiana della piccola comunità, e nulla funziona più come prima. Il dottore amico di Vanja intensifica improvvisamente le sue visite, con il pretesto della gotta del Professore, ma in realtà vede in Elena la via d'uscita da una vita che - pur vissuta - sembra d'un tratto anche a lui vuota ed insopportabile.
Il contrasto tra campagna e città, e la consapevolezza di aver bruciato una vita nel mito di un fratello che alla fine si rivela inconsistente, noioso, pedante, portano Vanja ad una ribellione senza sbocchi, in cui prova ad usare l'amore come strumento di riscatto - ma senza convinzione, poichè Elena è al contempo desiderata da troppi e troppo annoiata dalla vita per credere ad un nuovo amore.
Dopo un drammatico contrasto tra i due fratelli riguardo al futuro della tenuta, il Professore ed Elena tornano in città, e zio Vanja, con Sonja, torna alla vita di sempre, piccola e senza clamori, perchè questo è il destino, la sorte, la condanna a cui non ci può sottrarre, ma che occorre accettare con grazia, con pazienza.
Attori intensi e lievi nonostante la gravità del testo, in un teatro Carignano appena sottoposto ad un restauro che lo riporta in vita tra Ottocento e futuro.
Emozione personalissima: ero in prima fila, e al modesto prezzo di un torcicollo mi sono goduto la presenza di Lucilla Giagnoni (che io amo senza ritegno) a pochi metri di distanza per quasi tutto lo spettacolo.


UPDATE (for turineis only:-)): la ristrutturazione del Carignano mi ha lasciato un po' perplesso.
L'acustica è splendida e la torre scenica permetterà di fare cose grandiose, anche se Vacis ha forse esagerato a...mettere in scena i cambi scena, il che - in un dramma in cui il testo va seguito con estrema attenzione - porta inevitabilmente a distrarsi seguendo il traffico di funi e tappeti...
Adottando la tipica lamentosità sabauda, potrei dire che l'assenza della bussola all'ingresso è una perdita, che l'atrio è piccolo e triste, che alcuni dettagli (le ringhiere delle scale, ad esempio) non sembrano all'altezza di una spesa di 14 milioni di euro.
Lasciandola invece un attimo da parte, direi che la "bomboniera" del Carignano è sempre un luogo che regala emozioni fortissime, e sono felice che abbia riaperto.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella recensione Lupo.
Credo che i cambiamenti, le rivoluzioni interiori, si possano fare a qualunque età, ma ciò che non capisco è perchè si cerchino o, meglio, sia più facile trovare le spinte motivazionali al cambiamento nell'innamorarsi di (diverso da "amare") qualcuno. Perchè non è facile trovarle per se stessi a prescindere??

Ho visto, di passaggio, la nuova entrata del Carignano...mah, non mi ha molto convinta, ripasserò ad osservarla meglio.

Un abbraccio
Stefi

JANAS ha detto...

ciao! per fortuna mi hai messo un link a un tuo post, perchè cliccando sul tuo nick i giorni scorsi, non riuscivo ad accedere al tuo blog!!

Sai che questa tua recensione è molto molto vicina ad alcuni avvenimenti e riflessioni, che sto formulando in questo periodo!!

Intanto sulla società ( sia quella moderna che quella passata), concentrata più sull'avere che l'essere, sull'apparire...sul "sono" quello che possiedo! invece sul "sono" vero e proprio!
poi su questo "avere" costruiamo la nostra vita, e anche quando ci accorgiamo che non è esattamente quello che volevamo, pur di non rinunciare e rischiare di rimettere tutto in discussione, siamo così "vigliacchi" da lasciare tutto com'è!

oh! e poi naturalmente, siamo così bravi ad inventarci scuse attendibili, trovare alibi a giustificazione del nostro star seduti!!!

ps..Per Stefi, il tuo ultimo interrogativo mi ha fatto riflettere, posso provare a dare una risposta anch'io?
Credo che in parte ti sia già risposta da te, noi non siamo in grado di trovarla in noi stessi quella spinta, perchè fa paura addentrarsi nel buio di una caverna, che non si sa, dove ci porterà, a un'uscita su un mondo finalmente nostro...o nella profondità degli inferi! Sarà per questo che cerchiamo un compagno di viaggio per entrarci mano nella mano? Non lo so! forse per alcuni è così ...per altri no!

luposelvatico ha detto...

Bel quesito, Stefi...forse siamo noi che consideriamo unicamente l'amore come pretesto sufficiente per "cambiare tutto", quando "cambiare" dovrebbe essere normale e frequente, ogni volta che la vita fornisce un nuovo insegnamento ed ogni volta che il nostro "modello di vita" si rivela insufficiente ai fini della ricerca della felicità...il nostro modo di vivere è ormai una gabbia, uscirne richiede uno sforzo sovrumano.

Artemisia ha detto...

Bè, l'innamoramento dà una bella sferzata a molte sicurezze e nello stesso tempo dà il coraggio che normalmente non si ha. O almeno questo è quello che mi ricordo :-)

Ciao, lamentoso sabaudo. E il post su Capezzone dove è finito? Sarai mica "zompato de là"?