lunedì, febbraio 27, 2006
Grazie, Giorgio!
Saremo fratelli poveri nel grande circo equestre della montagna, va bene.
Saremo lenti e affaticati sulle salite: 25 km all'ora di media, vuoi mettere con la discesa libera?
Saremo quelli che vivono in montagna, che parlano con forte accento dialettale, che non popolano le riviste patinate e non vengono invitati a fare gli sboroni nei talkshow televisivi.
Quelli che nessuno pagherà mai per fare uno spot per vendere automobili.
Però, chissenefrega. Quando Giorgio Di Centa si è sparato gli ultimi 100 metri in testa, con 49900 metri già nelle gambe e sotto la soletta, nella 50 Km a tecnica libera, per noi fondisti (che siamo fondisti anche nella vita) è stato un momento straordinario. Commovente, eccitante,
gasante. Che si capisce di più se ti è capitato, come a me domenica scorsa, di scivolare sulla neve nella valle di Cogne sotto una nevicata da fiaba, nel silenzio rotto solo dal fruscio dello sci, e passare tra gli alberi osservato con indifferenza da uno stambecco lì, a due passi.
Capisco, la figura è retorica: lo stambecco puzza, ed il fondista pure dopo venti km e parecchie salite; la neve che cade non ha il fascino di quella sollevata a spruzzo dal tarro a fine pista.
Ma quel silenzio e quella fatica in mezzo ai boschi, a fronte di una vita di plastica sovraffollata di rumori e che disprezza l'impegno, hanno un valore così importante e così semplice che bisognerebbe introdurre due ore obbligatorie di fondo la settimana per tutti i ragazzini in età scolare.
Grazie, Giorgio!
venerdì, febbraio 24, 2006
Appunti da un viaggio in Bulgaria, 2002.
Prefazione: in questi giorni sto vivendo una autentica crisi di identità bloggeristica. Non ho più voglia di "stare sulla notizia". Non ho più voglia di parlare delle cose di cui tutti parliamo. Non ho più voglia di seguire un palinsesto dettato da altri, quando penso e quando scrivo. La realtà è sterminata e complessa, e nel resto della mia vita voglio occuparmente, voglio capire e sapere davvero cosa succede. Voglio leggere storie di persone, per capirle meglio. E scrivere su piccole schegge di realtà che non trovano spazio altrove. Il blog, da oggi, segue una direzione più difficile. Tanto, ho così pochi lettori che il rischio di perderli è assolutamente ininfluente sulla scelta.:-)
La periferia di Karlovo è un triste riassunto di buche, di polvere, di ruggine, di colossali fabbriche in abbandono.
Gli ultimi 58 km fino a Plovdiv sembrano una pista nel deserto. La strada corre dritta tra i campi incolti, e a intervalli irregolari spuntano, ai lati della strada, piccoli mercati improvvisati, con la mercanzia appoggiata su un tappetino steso a terra o appoggiata sul cofano di una vecchia Lada dai colori improbabili (aragosta, o verde pisello).
A poco meno di 20 km da Plovdiv, il mercato ai lati della strada è molto popolato e colorato, sembra quasi un'oasi. Piccoli caffè e minuscoli minimarket sono accerchiati dalla massa di venditori: entrandoci, si riempie completamente l’angusto locale con la propria presenza, mentre il proprietario è schiacciato contro la parete di fondo e oppresso dai pochi articoli sull’unico scaffale che ci divide da lui. Fuori, angurie e meloni sovrastano nell'offerta pomodori e cetrioli.
Un ragazza di una bellezza straordinaria, con un vestito lungo e nero, impeccabile ed affascinante, con gli occhi fondi e le labbra curate di rossetto, vende su un misero banchetto alcuni sacchetti di spezie e alcune scope senza manico: penso che da noi sarebbe una principessa od una attrice, ma qui la democrazia della miseria non offre chance a nessuno.
Ed ecco finalmente Plovdiv, la seconda città della Bulgaria, annunciata da una vetusta centrale nucleare e dalla ruggine di un polo siderurgico in piena attività. Ci fermiamo in un quartiere popolare e tranquillo a fare cena. La gente ci guarda con simpatica curiosità. Un vecchietto offre giganteschi wafer ai bambini, una signora ci avverte che probabilmente tenteranno di rubarci le bici dal retro dei camper.
Ci spostiamo a piedi verso il centro, assaggiando la città vecchia di origine turca, che alle 9.30 di sera è ancora completamente al buio (mentre ironizziamo sul fatto che "era illuminata meglio nel 1300, con le torce!", i lampioni finalmente si accenderanno).
Vie tortuose e lastricate a pietroni che salgono verso la cima della collina. Case tipiche con facciate a tre settori e la parte centrale convessa. In cima alla collina, dopo un locale frequentatissimo a cui i taxi continuano a portare clienti, si gode uno splendido panorama su tutta la città: le poche luci, e la mezzaluna molto turca nel cielo, rendono il posto molto suggestivo.
Alla luce del sole, la città è molto meno romantica che al buio. Rifacendo la stessa strada, la luce illumina i palazzi scrostati, i vetri rotti, i palazzoni mai finiti sommersi dalle erbacce. La stradina amena che sale al centro dalla piazza del mercato si trasforma quasi subito in un impraticabile orinatoio.
Un colossale palazzo in centro, di cui è stata eretta molti anni prima solo la struttura con blocchi di cemento prefabbricati, è attorniato nei suoi tre piani da arbusti ormai divenuti alberi. All'interno, a vista sulle solette senza muri esterni, poche sedie di plastica indicano la precarietà di chi ci abita lo stesso.
Salendo verso il centro per strade più sicure, nei pressi della chiesa ortodossa incontriamo un matrimonio. Anzi, due: nel primo, gli sposi sono seguiti a piedi da un piccolo corteo di invitati che recano biscotti e bevande. Il secondo, in un contrasto stridente, è segnalato da una impressionante e stonatissima Lincoln bianca lunga almeno otto metri. Venditori di cartoline e piccoli artigiani si affollano senza clamore lungo la via che costeggia le mura. Un giovane ed elegante suonatore di "timbal", con le bacchette malconce, per un leva ci suona l'inevitabile "O sole mio" ed un brano tradizionale bulgaro.
Scendiamo verso la piazza centrale della parte moderna, che in una cartolina vediamo bella e coloratissima. Il centro della piazza è occupato dai resti dello "Stadium" romano: grottescamente, qualche amministratore spiritoso ha fatto mettere sugli spalti alcuni manichini travestiti da antichi romani ed una biga. Attorno al teatro, un assurdo e obbrobrioso contorno di cemento armato, forse destinato a fioriere improbabili. Le erbacce, i rifiuti ed i muri scrostati ne fanno, in realtà, una piazza tristissima, deprimente, inguardabile.
Proseguiamo lungo la via centrale, pedonale e piena di negozi. Nelle poche edicole, i giornali in vendita si contano sulla punta delle dita (sia per copie che per varietà).
Nel pomeriggio, visita ad una famiglia socia di un'organizzazione non governativa nella periferia nord della città. Difficile trovare la via, la gente è restia a dare informazioni, e le guardie giurate davanti alla sede delle Poste ci garantiscono che le bici spariranno, se qualcuno non farà la guardia.Spostiamo i camper in una via più trafficata, parcheggiandoli di nuovo portabici contro portabici.
Katia ci offre reika (acquavite), cedrata ed insalata di pomodori, cipolla e cetrioli. Si chiacchiera delle Bulgaria di oggi, delle abitudini, dei viaggi, della figlia sedicenne che vorrebbe andare a vivere e lavorare in Spagna, del marito cuoco che finalmente lavora per la famiglia e non più per un non meglio identificato "popolo".
Fa un caldo pazzesco e afoso, siamo sopra i 35 gradi.
Ripartiamo nel tardo pomeriggio, in direzione dei monti Ropodi.
La statale per Sofia è disseminata di punti di vendita di angurie e meloni. Alcune prostitute languono nelle piazzole, per nulla seducenti, schiantate dal caldo opprimente.
Dal 1946...
Qui, in un Paese in cui fino a qualche tempo fa la parola democrazia significava qualcosa. In Italia. Non in Transnistria, o in Turkmenistan, o in qualche finta democrazia esportata con le armi. Qui.
Non so voi, ma io sono basito.
giovedì, febbraio 23, 2006
Ritorno all'ovile
Gli saranno arrivati dei nuovi sondaggi?
Comunque è stato lungimirante: non aveva neppure modificato il suo sito per comunicare ai suoi elettori il penultimo salto mortale.
lunedì, febbraio 20, 2006
Insomnia
Mi si sfalda tra le dita, diventa polvere.
Pazienza.
Apro i cassetti della mente, e cerco qualcosa di gaio, di divertente, di ameno.
mmm... questo no... questo è scaduto...accidenti, è quasi tutto da buttar via.
E questa? "Ma tu, quando frulli le arance, dopo ti restano a grumi?"
Dio mio, non ci vado più al caffè con i colleghi, no, se genero queste cose...
Va be', ma per fortuna ho sempre i miei sogni.
Ora ci penso e starò meglio, sicuro. Basta che me ne venga in mente uno.
Bzzzz...trrr...sfffffffffffff...ecco...mah...l'immagine è sfocata, e l'audio è peggio di quello del Palamazda. E' lei? La mia fata? Non ci somiglia neanche un po'.Come faccio a farmi venire i brividi con tutte queste righe, interferenze, disturbi?
Okay, dormo troppo poco, sto invecchiando e non riesco più a concentrarmi su nulla.
venerdì, febbraio 17, 2006
Censura
Ma non ce la faccio. Non ne posso più. Aspetto che questo passi. Che torni il tempo di scrivere Ministro e Presidente del Consiglio con le maiuscole.
giovedì, febbraio 16, 2006
A pulire le toilette dei siti olimpici, tanto per cominciare...
I transfughi, i traditori, chiamateli come volete.
Parlo degli esponenti del centrodestra piemontese che, preoccupatissimi dai sondaggi, stanno abbandonando precipitosamente la nave della CdL per salvarsi da un probabile disastro.
L'ultimo, ieri, è stato il capogruppo di Forza Italia nel Consiglio Comunale di Torino, Paolo Chiavarino. Durante una riunione del suo gruppo, senza preavvisarli, ha comunicato agli ex-sodali attoniti di essere passato all'Udeur.
Qualche giorno prima aveva fatto il salto della quaglia anche il fantasista Deodato Scanderebech, uno che ha preso quasi 10.000 preferenze alle ultime regionali, nonostante il cognome da olimpionico di slittino non fosse tra i più semplici da scrivere sulla scheda (ma lui rimase famoso, tra le altre cose, per avere distribuito normografi adatti all'uopo in occasione di una consultazione elettorale).
I due simpatici personaggi, nelle interviste capolavoro che hanno rilasciato a Repubblica (in cui par di sentire il rumore delle unghie che grattano i vetri), invece di tacere, per dignità e pudore, rivendicano il loro passato democristiano o mastelliano, senza preoccuparsi del fatto che questo non fa che sottolineare la preoccupante persistenza del loro voltagabbanismo.
Il bello è che ancora oggi, sul sito dello Scanderebech si può leggere quanto segue:
"L'UDC, rappresentato a livello nazionale da Marco Follini e da Pier Ferdinando Casini, è senza alcun dubbio il partito che avrà un ruolo di primo piano nel dopo Berlusconi, parola di SCANDEREBECH. È quanto si evince dall'analisi del quadro politico del momento, dominato da una situazione in cui tutti fanno pressione per riuscire a occupare una posizione centrale nello schieramento politico di appartenenza. All'interno della maggioranza parlamentare, oggi più che mai, si avverte il bisogno di stabilità per poter tener fede agli impegni presi con l'elettorato, come si è potuto dedurre dalle scelte fatte dall'UDC in occasione della verifica di governo."
(Da domani il testo probabilmente cambierà, il Grande Fratello è solo in ritardo ...)
Insomma, l'Unione, oltre a tutti i problemi che ha con quelli che ne fanno parte da secoli, divisi su quasi tutte le cose importanti, ha ora anche il problema di questa lunga fila di personaggi in fuga dalla sconfitta che bussano alle sue porte.
E una la trovano aperta sempre, dannazione: è quella di Mastella, che già ha promesso ai due prodi (con la p minuscola, neh) la possibilità di correre per uno scranno al Senato.
Insomma, mentre "il caso Ferrando" distoglie la nostra attenzione dalla realtà, l'Unione imbarca personaggi che possono farle ancora più male, dal punto di vista di un elettorato che vorrebbe un cambiamento vero e radicale, sia di direzione politica del paese che di uomini che la devono attuare.
Non dico che bisognerebbe sbattergliela in faccia, la porta. Ma almeno farli entrare da quella di servizio, fargli prendere scopa e spazzolone e per un adeguato periodo di decantazione mandarli a pulire i bagni da qualche parte.
Sarebbe più giusto, nei confronti di chi pensa che la politica sia e debba essere ancora una cosa seria.
martedì, febbraio 14, 2006
Sediciazero
Unico perchè il mio budget olimpico è praticamente nullo, e quindi mi son potuto permettere (con la tribù) solo un evento da...venti euro, che moltiplicato per quattro ed aggiunte le spese di spedizione fanno 92 euro, che "a va già bin" per noi ex-ceto medio inesorabilmente sospinti verso la povertà prossima futura dal Governo di colui che si crede Gesù Cristo.
Ma non deragliamo: torniamo all'evento olimpico.
Trattavasi di una partita di hockey femminile, nello specifico Italia-Canada, disputata al Palasport Olimpico (una struttura creata apposta per le Olimpiadi, sorta vicino allo Stadio Comunale - ora Olimpico - da cui svetta la fiamma).
Superati i controlli (il metal detector è tarato in modo tale da rilevare anche una monetina da 5 centesimi: ed io avevo naturalmente le tasche piene di spiccioli!), siamo entrati nel Palasport.
Ovviamente dall'ingresso sbagliato, rispetto al settore in cui saremmo dovuti entrare...essendo i siti olimpici trappole letali, una volta entrati nel posto sbagliato non si riesce più a porvi rimedio: per fortuna ci ha salvati un volontario, facendoci passare da una scorciatoia vietatissima tra le aree della struttura.
Ed ecco il campo da gioco: lucido e bellissimo, circondato da almeno 10.000 seggiolini di plastica trasparenti.
Al centro, sospeso al soffitto, un impianto cubico con quattro schermi ed altrettanti visori a cristalli rossi: da qui, all'americana, giungono i replay, le notizie su formazioni, tempi e penalty, e gli inviti al pubblico per la claque ("Make noise", "Clap your hands", "hola"...).
Tra il pubblico, sono ordinatamente disposte...delle ragazze pon-pon! Io le avevo viste solo nei film americani sul baseball...
La partita (finita sedici a zero per le marziane canadesi) è stata forse l'evento secondario, rispetto al clima ed al pubblico: tanta la voglia gioiosa di far casino, espressa anche attraverso l'inno nazionale, che in questo caso non echeggiava sinistri patriottismi ma un condiviso senso di appartenenza.
E' bello esserci, a queste olimpiadi, in questa città che non è mai stata così bella ed affascinante.
E' bello esserci, anche fuori dai siti, anche quando ci si trova in duecento a fotografare il braciere vicino alla torre Maratona, o in ventimila attorno alla Medal Plaza a curiosare, a guardare e condividere insieme cose mai viste prima d'ora.
E' bello salire sul 4 pieno di stranieri, e sentirsi per una volta orgogliosi di vivere qui.
venerdì, febbraio 10, 2006
La fiaccola
Stamattina l'ho vista. E' passata proprio qua, sotto l'ufficio. Che dire, ragazzi? Mi sono commosso.
martedì, febbraio 07, 2006
Una piccola, ennesima tragedia caucasica
Guardate questa notizia che arriva dal Turkmenistan: forse è nulla in confronto a quel che accade normalmente nel Caucaso (vedi Cecenia), ma significativo per capire cosa accade in quelle parti del mondo su cui i riflettori restano perennemente spenti.
Lì la situazione è passata da un dramma all'altro, negli ultimi 90 anni: il grande Turkestan è stato, dopo la rivoluzione bolscevica, spezzato in cinque repubbliche, russificato, comunistizzato, soggetto a trasferimenti forzati di etnie e, dopo il crollo dell'impero russo e la morte dell'Unione Sovietica nell'agosto del 1991, tornato in balia di un nazionalismo islamico tutt'altro che moderato.
(Per capirci qualcosa, è utile leggere lo splendido libro "Buonanotte, Signor Lenin!" del mai abbastanza compianto Tiziano Terzani).
Il satrapo locale, che nel nostro caso si chiama Njazov, con un atto di imperio ha deciso di riorganizzare il sistema pensionistico, che forniva a 400.000 turkmeni pensioni di importo compreso tra i 10 ed i 90 dollari al mese.
Bene, ecco cosa accade (riporto testualmente dal Sole 24 ore di oggi, articolo a firma di Piero Sinatti).
"Dal 1° gennaio la pensione spetterà solo agli uomini che hanno lavorato ininterrottamente in Turkmenistan per 25 anni (ed alle donne che lo hanno fatto per 20): ma dovranno restituire allo stato l’ammontare dei giorni di riposo, malattie e festività finora pagati dallo stato.
Chi in questi 20-25 anni abbia lavorato anche altrove, vedrà esclusi dal computo della sua pensione gli anni lavorati fuori del paese. Di fatto perderà il diritto alla pensione. In tutto, circa un terzo dei pensionati resterà privo di mezzi di sostentamento.
Perderanno la pensione anche quanti hanno lavorato in Turkmenistan in imprese dipendenti direttamente da Mosca, chiuse dopo l’indipendenza turkmena (1991). Soprattutto lavoratori allogeni, specie russi e russofoni.
Anche i kolchoziani non riceveranno più la pensione (10 dollari al mese). Essi, infatti, “dispongono ancora della terra che li nutrisce”. Gli inabili al lavoro perderanno del tutto le pensioni di invalidità.
Mentre sono in corso le operazioni di ricalcalo delle pensioni, è sospeso ogni pagamento.
Le NGO turkmene (costrette all’esilio o alla clandestinità) hanno diffuso la notizia sui loro siti (come www.gundogar.org) ripresi immediatamente da giornali e agenzie russe (come www.strana.ru).
Il Turkmenbashi avrebbe detto che “la tradizione turkmena affida ai figli il compito di sostentare i genitori anziani”. Ma non tutti i pensionati hanno i figli. Né tutti i figli hanno un lavoro, dati gli alti tassi di disoccupazione del paese (le NGO parlano di tassi del 60-70%)."
Il sito non governativo Gundogar aggiunge che saranno 100.000 le persone che da subito non riceveranno più nulla: e le strade si riempiono di anziani che vendono qualsiasi cosa per sopravvivere, nonostante (come dice il Ministro degli Esteri) : "The amount of social payments is high and in line with the robust social-economic growth of Turkmenistan. The population is also provided with free gas, electricity, drinking water and salt, transport and municipal charges are low. Other benefits are also provided."
Njazov, ex segretario del PCUS della Repubblica "riciclatosi" come dopo il 1991, si è autonominato Presidente a vita nel 1999. Il Turkmenistan è isolato dal mondo, è uno dei troppi luoghi dove non esiste libertà di espressione e di stampa.
lunedì, febbraio 06, 2006
Parole sensate...
Non è più il caso che ne scriva io.
venerdì, febbraio 03, 2006
Ancora sulle presunte offese a Maometto
Di queste famose vignette ne ho vista una sola, e mi ha fatto ridere assai. Il Profeta, dall'alto di una nuvola, blocca l'arrivo in cielo di nuovi kamizake dicendo più o meno: "Ragazzi, non abbiamo più vergini a sufficienza..."
Che si scateni un finimondo per roba del genere mi sembra demenziale, ma probabilmente è solo un segno di questi tempi oscuri.
Guardate invece, in questa foto pubblicata dal sito di Repubblica, i simpatici islamici di Giacarta, che all'assalto della ambasciata danese hanno esibito questo bel manifesto sanguinario. Roba da vomitare, altro che offesa. Bestialità iconografica.
Gola tagliata, crocefissione e un pugnale in gola contro un europeo.
Insomma, sfotti il Profeta ed io ti taglio la gola.
Io son d'accordo con quanto diceva Tiziano Terzani: posso capire tutto, posso capire la reazione all'oppressione ed alla violenza che ha colpito duramente i musulmani nei secoli, ma questa religione mi fa paura, non mi piace, mi inquieta.
Non solo l'islam, eh. Non solo.
Massima solidarietà ai danesi.
giovedì, febbraio 02, 2006
Minus habens : par condicio interreligiosa
Non ho trovato le vignette incriminate, quindi non saprei dire se l'indignazione a questo riguardo sia legittima o eccessiva.
Occorre dire che il quotidiano danese che ha pubblicate le 12 vignette, che hanno sollevato proteste violentissime nel mondo islamico, ha chiesto scusa alla locale comunità, che le ha accettate.
Il dramma è che, ad oggi, esprimere idee (o, peggio ancora, umorismo) che cozzano contro le religioni è pericoloso.
Ha effetti eccessivi, e sempre esagerati. Non si tratta spesso di sensibilità offese, ma di intolleranza pura e semplice.
Il Corano, è noto, impedisce di riprodurre l'immagine del Profeta: e allora, secondo certe anime belle, tutto il mondo dovrebbe seguire il Corano. O la Bibbia, o il Sacro Libro di Kittammurti.
In relazione a questo fatto, oggi un commando armato palestinese ha occupato, a Gaza, la sede della UE, chiedendo minacciosamente che i governi francese, danese e norvegese si scusino entro 48 ore.
Si scusino di cosa? Il Corano non può entrare a forza a casa degli altri, signori miei, e nemmeno la Bibbia. Mettetevelo in testa. E se non siete d'accordo, parlatene con Poletto, Ruini e Ratzinger, visto che v'intendete perfettamente sull'intolleranza, ma lasciate in pace chi non vuole appartenere a nessuna religione.
Anche in questo caso, sono personalmente stanco della violenza espressa nel nome di un dio.
Che, se esistesse davvero, forse non esiterebbe a spazzar via poletti e fanatici dalla faccia della terra.
Le religioni si confermano, come sempre nella storia, il principale nemico della pace tra i popoli.
Volti contratti e feroci, urlanti, aggressivi, continuano a imporre al mondo visioni inaccettabili.
Noi laici, atei, razionalisti dovremmo iniziare a difenderci sul serio.
Minus habens sarà lei, Cardinale!
Appartenendo a questa categoria, mi sono sentito colpito.
L'ateo? "Un pover'uomo, o una povera donna, che deve rassegnarsi ad una vita senza speranza, non potendo contare sulla vita eterna." Segue un'altra frase di commiserazione, da cui risulta evidente che - per il Cardinale - NOI siamo persone da compatire.
La mia prima reazione, quella interiore, è stata molto rozza e volgare, e non merita di essere pubblicizzata.
Quel che tristemente vorrei far notare è che la deriva ideologica (e aggressiva) della Chiesa Cattolica prosegue senza sosta, e che in queste considerazioni sugli ALTRI (che sono ovviamente poveretti, tristi, infelici: INFERIORI) è contenuto un germe di discriminazione pericolosissimo.
Poletto mi indica ai cattolici (e mi auguro che ben pochi lo ascoltino) con la sua faccina colma di pietà e commiserazione, dicendo che sono inferiore a loro.
Mi auguro che domani non prosegua su questa strada, magari suggerendo ai bravi cattolici di cacciarmi, dopo aver segnato la mia porta di casa con una croce bianca.