Torno a mangiare, con lentezza e gusto, le parole altrui.
Le guardo con attenzione, le ammiro, le ricesello nella mente, lettera per lettera: per vedere come sono fatte, per scoprire di nuovo qual è la magia che - legandole insieme - le rende portatrici di emozioni.
Le trascrivo, ignorando le grida di dolore del cervello anchilosato e del polso disabituato: che la mano percorra goffamente le curve dei segni sulla carta, che il graffiare faticoso del pennino mi ricordi che non c'è umanità vera senza fatica, senza dolore, senza coinvolgimento, senza errore.
Vedo l'imprecisione, le scivolate, i cambiamenti di inclinazione, le dimensioni incoerenti, l'imperfetto controllo della mano.
Vedo il lavoro da compiere su me stesso (ci sarà da faticare, a lungo).
Vedo il lavoro da compiere su me stesso (ci sarà da faticare, a lungo).
Vedo, in quei segni, la vita.
Torno a mangiare, con lentezza e gusto, le parole altrui.
Sperando che possano tornare a nutrire le mie.
Sperando che ancora, un giorno, "sappiano le mie parole di sale" (*).
(*) citazione volutamente parafrasata del titolo di un libro di Babsi Jones.
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