(Qui troverete una nutrita rassegna stampa sulla ricerca, ma ne ha parlato in sintesi qui anche la mia amica blogger Chicca.
Quelle che seguono invece son parole mie, anche se scritte già altrove...)
"Nulla infatti garantisce che una persona che sa eseguire il proprio lavoro con competenza sia altrettanto brava, una volta promossa, a svolgere le nuove mansioni: e ovviamente non sarà più "promossa", quindi spostata dal nuovo ruolo, poiché non sarà più in grado di manifestare bravura e competenza: risultato, rimarrà prima o poi congelata nel ruolo che le è meno congeniale.
"In una organizzazione gerarchica in cui i ruoli non sono strettamente dipendenti, i membri della stessa vengono promossi fino a raggiungere il loro massimo livello di incompetenza": questo principio, enunciato da Laurence J.Peter nel 1969, è stato dimostrato da Rapisarda e dai suoi colleghi simulando al computer le dinamiche di una ipotetica azienda con 160 dipendenti organizzati su sei livelli.
Gli scenari analizzati sono stati due: un'organizzazione in cui i ruoli nei vari livelli sono dipendenti, e quella in cui i ruoli non lo sono (la situazione prospettata da Peter): la simulazione ha calcolato l'efficienza dell'organizzazione adottando diverse logiche di promozione.
E ha dimostrato che, quando non c'è relazione di competenza tra i ruoli, promuovere il più competente è la strategia peggiore: conviene promuovere a caso, o alternando il più competente con quello che lo è meno.
Risultati provocatori? Più semplicemente, dai risultati della ricerca giunge un invito a non adottare esclusivamente punti di vista convenzionali ed automatici, quando si tratta di prendere una decisione importante per un'organizzazione: un "pensiero alternativo" può produrre risultati positivi inaspettati."
Ed in questa intervista , uno dei ricercatori premiati risponde così alla domanda che segue:
"La casualità può essere un agente di innovazione delle scelte, dunque? Potrebbe migliorare i risultati rispetto a scelte dettate esclusivamente dal "raziocinio", e non solo all'interno di una organizzazione?Anche nella nostra vita di individui la "scelta casuale" potrebbe portare risultati inattesi e positivi?
E' sicuramente così, pensi ad esempio all'evoluzione naturale. Le mutazioni sono casuali e se danno un vantaggio alla specie non vengono certo rimosse (promosse ad altro ruolo...) ma incentivate e rafforzate. Esattamente quello che noi proponiamo. La casualità fa emergere possibilità nascoste, talenti che magari non avrebbero nessuna possibilità di emergere. Quante volte leggendo qualcosa per caso ci ha fatto nascere un'idea vincente. Io credo che tutti abbiamo qualche esempio di questo tipo all'interno della propria esperienza familiare e/o lavorativa."
La seconda "provocazione culturale" che vi propongo non è meno interessante, ed è legata all'uscita di un libro del politologo franco-americano Bernard Manin ("Principi del governo rappresentativo",Il Mulino, Bologna 2010,pp. 312, € 30)., recensito qui.
Riprendiamo dal sito "Lo spiffero":
La democrazia si è ridotta a scheletro di procedure, a feticcio di regole. Questo percorso è ricostruito, in modo originale, da Manin, il quale dopo aver puntualmente esaminato le cause si concentra sull’avvento dell’odierna “democrazia del pubblico”, ovvero l’epoca contemporanea in cui i partiti cedono spazio alle persone, l’organizzazione alla comunicazione, mentre le identità collettive si indeboliscono, compensate dalla fiducia personale diretta.
Il rapporto con la società e gli elettori avviene, sempre più, attraverso i media e il marketing politico.
Manin parla di “democrazia del pubblico” perché lo spazio della rappresentanza coincide con lo scambio fra leader e “opinione pubblica”. Che avviene, prevalentemente, attraverso i media. In modo asimmetrico, perché a senso unico.
Ciò non sancisce la fine del sistema democratico, ma ne rappresenta semmai una metamorfosi. La personalizzazione, in particolare, non va considerata una degenerazione, ma un elemento costitutivo della democrazia rappresentativa. Perché la rappresentanza è, per sua natura, “personale”. Fin dall’origine, al tempo del parlamentarismo (nel XVIII e XIX secolo). Ma anche nell’epoca della democrazia - e dei partiti - di massa i rappresentanti erano - sono - persone, che esercitano un grado, più o meno ampio, di autonomia personale.
Può sembrare una provocazione astratta, ma non va in questa prospettiva sottovalutata la possibilità rilanciata da Bernard Manin di affiancare ai classici, ma scricchiolanti metodi di selezione della classe dirigente anche quello in uso nella polis ateniese ai tempi di Pericle: l’estrazione a sorte. Un metodo che gli stessi Montesquieu e Rousseau hanno in più occasioni rivalutato. Un metodo che peraltro, come ha ricordato il bel film “Il sorteggio” nei giorni scorsi, è ancora previsto pur se solo nell’ambito molto particolare dei giudici popolari.
All’origine del sorteggio ateniese c’era anche al fondo un pensiero religioso: il fatto che gli dei avrebbero guidato le scelte. Ma c’era soprattutto il principio della rotazione delle cariche, cioè della necessità che ogni cittadino potesse avere sia il dovere di essere governato, sia il diritto di governare. «In altre parole – afferma Manin – la libertà democratica consisteva non nell’obbedire solo a se stessi, ma nell’obbedire oggi a qualcuno al cui posto ci si poteva trovare domani».
AGGIORNAMENTO!
Pubblico volentieri questo documento inviatomi da Sileno, che riguarda il sistema in uso per la nomina del Doge:
Venezia, anno 1268. Sì, avete letto bene: 1268. Settecentoquarantuno anni fa. Si elegge per la prima volta il Doge della Serenissima. Come fanno, i veneziani? Si affidano al sorteggio.
Non a un sorteggio qualsiasi, come un banale sorteggio del superenalotto. No, i veneziani, che in quel periodo già spadroneggiano in tutto l’Adriatico e oltre, e quindi hanno bisogno di una guida seria, scelta bene, eleggono il Doge con un sistema di sei sorteggi consecutivi.
I membri del Gran Consiglio votano e, contemporaneamente, a ogni votazione, procedono a un sorteggio. Elezione e sorteggio non rappresentano più una contraddizione, ma un congegno virtuoso.
Lo spiega bene Mario Ascheri nel suo libro “Le città-Stato” (ed. Il Mulino).
In sintesi: con il primo sorteggio si individuavano i primi 30 elettori, cioè i 30 membri del Gran Consiglio a cui il “ballottino” (un ragazzo scelto a caso) consegna le “ballotte” contenenti la scritta “elector”.
Con il secondo sorteggio, sempre con la stesso sistema delle “ballotte”, i 30 vengono ridotti a 9. Questi 9 elettori scelgono 40 cittadini, ognuno dei quali deve ottenere almeno sette voti.
Terzo sorteggio e nuova riduzione di numero: i 40 eletti diventano 12. I 12 quindi votano e scelgono 25 cittadini, che devono ottenere non meno di nove voti a testa.
Con il quarto sorteggio e la quarta estrazione di “ballotte” i 25 ridiventano 9. Questi 9 votano per 45 cittadini, ognuno dei quali deve ottenere almeno sette voti.
Siamo al quinto sorteggio, che riduce i 45 appena eletti a 11. Questi 11 eleggono i 41 veri elettori del Doge, ognuno dei quali deve ottenere almeno nove voti. I 41 votano segretamente per chi gli pare e le schede finiscono dentro un’altra urna.
Da quest’urna, ed eccoci al sorteggio numero sei, viene estratto un solo nome.
Ma non è finita qui.
L’estratto veniva “processato” e chiamato a difendersi. Dopo di che, si votava di nuovo. Per poter essere eletto Doge, l’estratto doveva ottenere almeno 25 voti favorevoli. Altrimenti si estraeva un altro nome e si ricominciava la procedura.
2 commenti:
Anche a San Marino ed a Firenze si è usato nel passato il metodo del sorteggio nelle elezioni
Si veda questo sito dedicato all'uso nel del
sorteggio in svariati campi
http://www.conallboyle.com/index.html
Cordiali saluti
Andrea Rapisarda
http://www.dfa.unict.it/home/rapisarda/
Nella premura non ti avevo segnalato che il documento sul sorteggio è tratto dal blog seguente: http://carlovulpio.wordpress.com/2009/08/24/il-sinedrio-del-csm-e-il-sorteggio-della-serenissima/
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