La dinamica dell’attentato – come rivelò, venticinque anni dopo, uno di coloro che presero il Potere – lasciò sbigottiti tutti. Fu una donna (una donna del popolo, dimessa, dall’aria stanca e afflitta) ad abbracciare il Tiranno, stupito per quell’intrusione in uno dei luoghi più protetti del Palazzo, insinuandosi tra le corpulente guardie del corpo; e fu lei ad attivare il detonatore per far saltare la cintura esplosiva nascosta sotto la maglia sformata.
Probabilmente fu per una distrazione della pattuglia all’ingresso, e per un tradimento di chi presidiava la portineria: nessuno riuscì mai a capire esattamente come e quando fosse riuscita ad entrare. Ma entrò, in quel giorno di autunno, e la Storia del paese rischiò di cambiare.
Subito i fedelissimi del Tiranno fecero rendere inaccessibile il luogo dell’attentato, giustificando l’esplosione con lo scoppio di una caldaia nei sotterranei.
Le truppe scelte fecero irruzione da un ingresso secondario del Palazzo, si diressero nella Sala e in quel macello di detriti e di corpi straziati provvidero per prima cosa a eliminare i superstiti - su ordini precisi della Giunta che aveva assunto il potere.
Le televisioni diedero prontamente notizia dell’evento, in concitate edizioni straordinarie: parlarono dell’attentato, e rassicurarono sulla salute del Tiranno, appena scalfito dall’esplosione. Diffusero immagini di lui lievemente ferito, con un rivolo di sangue appena accennato sulla fronte, i vestiti in disordine, sporcati dai calcinacci: ma con il suo solito e solido sorriso, pronto alla battuta come sempre, triviale come piaceva ai suoi supporter, indistruttibile come lo dipingeva la propaganda.
Nella notte, attesi e temuti, partirono gli arresti. Il leader dell’opposizione (ormai frantumata da dodici anni di inutile, strenua resistenza in un Parlamento conservato artificialmente in vita, svuotato da ogni potere che non fosse meramente formale, e mai rieletto) fu trattato abbastanza bene mentre lo trasferivano in un carcere militare sotto gli occhi delle telecamere, ma la stessa sorte non fu riservata ai suoi collaboratori.
All’alba del giorno successivo, fu emesso un decreto a firma del Tiranno in cui si stabiliva lo Stato di Guerra, con cui si limitavano drasticamente le già ridotte libertà di movimento e associazione dei cittadini. Le frontiere furono chiuse dall’esercito.
Furono sciolti, con effetto immediato, i sindacati e le associazioni non dipendenti dal controllo diretto del governo. I partiti furono commissariati e affidati al controllo di un neonato Comitato per la Democrazia.
Le Ronde Azzurre furono convocate con un bando nazionale di reclutamento, a cui risposero migliaia di cittadini: alcune centinaia di miliziani armati presero posto davanti al Palazzo, con fare minaccioso, nei giorni successivi.
I pochi oppositori rimasti fuggirono all’estero, per evitare l’arresto, od entrarono in clandestinità.
Le televisioni, da quel momento, trasmisero di continuo immagini del Tiranno ripreso in occasioni ufficiali: le uscite pubbliche ed i bagni di folla a cui era abituato non erano più possibili a causa dello Stato di Guerra, ma il Tiranno continuava a sorridere incontrando nel Palazzo esponenti diplomatici stranieri, rappresentanti del clero, dirigenti di associazioni venuti a portare solidarietà al governo.
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I pochi militanti del gruppo ribelle “Network Guerrilla” sapevano bene come sfuggire ai controlli della Polizia Neurale: connessioni rapide utilizzando reti governative non abbastanza blindate, hackeraggi multilivello per non essere individuati in modo troppo rapido.
Eppure, molti erano già stati scoperti ed arrestati, nei mesi successivi all’entrata in vigore dello Stato di Guerra. Gli esperti che lavoravano per il potere erano tosti come loro, attenti ad ogni variante che potesse rivelare la presenza di germi (o anche solo di sospetti) di ribellione.
Da quando il nucleo dirigente aveva lanciato l’operazione “Real Revelation”, sfuggire alla maglia repressiva si era fatto ancora più difficile , visto che per condurla era necessario avvicinarsi pericolosamente, più di quanto fosse stato mai osato, alle strutture operative del potere.
Red era un mago del mordi-e-fuggi sui server del governo.
Li aveva violati innumerevole volte usando il suo minuscolo microbook autocostruito, che portava sempre con sé in una tasca dei jeans scoloriti; aveva dovuto scriversi da solo il sistema operativo, per evitare che le spie fatte inserire dal governo nel codice dei sistemi operativi “normali” potessero rivelare la sua presenza e le sue attività.
La fatica era stata ripagata: riusciva ad entrare ovunque, con un accettabile sforzo, senza essere individuato.
Il comando dell’operazione era stato affidato a lui, e da settimane Red ed i suoi compagni si stavano avvicinando – inesorabilmente ma pericolosamente – al loro obiettivo.
Quella sera, nella stanza di un amico da cui era appena giunto (per motivi di sicurezza cambiava ogni giorno il luogo in cui lavorava), sentiva che le ultime resistenze del Sistema Centrale potevano essere aggirate con un piccolo colpo di fortuna.
Attivò la connessione fantasma – che inviava in continuazione nugoli di informazioni false per depistare i segugi del governo – e, con pazienza, superò porte, firewall, trappole, false entrate.
Sfuggì un paio di volte, per un soffio, ad alcuni potentissimi applicativi intercettatori, e finalmente riuscì a forzare un server che inseguiva da tempo.
Si ritrasse ad un pelo dall’essere scoperto, si disconnesse e si riconnettè usando il doppio delle precauzioni, e quando finalmente fece un doppio click sul primo file criptato, usando un programma di visualizzazione sottratto arditamente in una scorribanda notturna sui server dei servizi segreti israeliani, non potè trattenere un grido di entusiasmo.
Davanti ai suoi occhi apparvero le immagini del Tiranno impegnato nei soliti incontri che la tv trasmetteva da mesi, ma quel che interessava a Red era la data di creazione di quei file: che, come sospettava “Network Guerrilla”, era di molti mesi precedente al giorno dell’attentato.
Fu più difficile ancora accedere ad alcune cartelle invisibili ai software tradizionali, ma Red riuscì in qualche modo a forzarle.
Ed anche se si attendeva qualcosa del genere, quel che vide lo stupì.
Erano i set dei filmati sul Tiranno che, in quei mesi, avevano inondato le televisioni per dimostrare che il Tiranno godeva di ottima salute. Set cinematografici in cui il Tiranno – proprio lui, vivo e vegeto – costruiva le prove della sua esistenza per ogni evenienza futura.
Personaggi autorevoli ed autentici, e semplici comparse provavano e riprovavano per lui e con lui scene di incontri, di presenze, di comizi nelle sale.
Immagini girate per il futuro, per un futuro che non sarebbe dovuto finire mai, anche se il Tiranno fosse scomparso.
Red scorse velocemente una parte di quella immensa realtà inventata: vide filmati modificati derivati da filmati autentici del passato, arricchiti di particolari plausibili per posizionarli nel tempo e nel contesto voluto. Vide filmati in lavorazione, semplici prove, ancora imperfette o incomplete.
Vide il Tiranno sorridente, in sala trucco, accettare un trucco leggero da “Tiranno lievemente ferito in un attentato”.
E poi, alla fine, quasi inaccessibile, vide finalmente la realtà: la strage nel palazzo, i resti quasi irriconoscibili del Tiranno, il sangue, le macerie. A seppellire per sempre la verità, insieme ai resti transitori di un potere che non vuol morire.
Red capì in un attimo che il suo tempo si stava per esaurire.
Fu costretto a scegliere in fretta, senza cura, quel che gli sembrava più utile a far capire al resto del mondo come fosse accaduto il Grande Inganno: e per chiedere aiuto, visto che il paese era isolato da tempo dal mondo esterno, tanto che Network Guerrilla spesso inviava oltre frontiera le informazioni su semplici volantini, l’unico modo per sfuggire ai controlli totali sulla Rete imposti dal potere.
Red si era tenuto una sola, rischiosissima possibilità per uscire dalla Rete controllata, e la usò in quel momento, pur sapendo che l’azzardo era altissimo.
Copiò i file che gli servivano e riprogrammò velocemente la connessione, cancellando ogni traccia della precedente, ma ebbe la spiacevole sensazione che qualcosa non fosse andato per il verso giusto.
Con rapidi comandi vocali si orientò sulla sola via d’uscita verso
Red, che ascoltava in cuffia la voce sintetica che dava la situazione del trasferimento, aveva appena udito la frase “novantacinque per cento”, quando tre uomini armati della Polizia Neurale sfondarono la porta ed irruppero nella stanza.
Red si protesse istintivamente il volto incrociando le braccia: e non vide, dunque, l’uomo che distruggeva il microbook con il calcio del fucile. Ma sentì il dispositivo spegnersi, con un debole guaito, irrimediabilmente, mentre una tempesta di colpi e di urla si abbatteva con furia sul suo corpo...
1 commento:
Ciao Lupo, bel racconto. Non tanto improbabile. Comunque possibile. Insomma non fantascienza.
Mi sono sempre chiesta se Francisco Franco, negli ultimi mesi di vita non fosse stato una sorta di manichino impagliato che muoveva artificialmente il braccio destro per stringere mani...
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