lunedì, giugno 30, 2008
Aver la faccia come almeno dieci culi
Oltre
Tracce che sedimentano e creano piccoli percorsi comuni, che portano a sentirsi più ricchi e meno soli.
E' un momento difficile, ma questo incessante bisogno di capire e di non arrendersi ad una realtà che non piace è importante.
Stiamo vicini, dai, non smettiamo di parlare.
Passerà anche questa. E tutte le parole che ci stiamo dicendo, tutte le emozioni che ci stiamo scambiando saranno il tesoro che avremo messo da parte e di cui avremo bisogno per ricominciare a costruire, quando saremo oltre la notte, oltre il deserto, oltre il buio di un paese impaurito, ripiegato su se stesso, offeso e offensivo, attraversato dal vento della tristezza e dalla aridità d'animo.
"Per arrivare all'alba, è sempre necessario attraversare la notte".
Non ricordo dove l'ho letto, ma sono d'accordo.
domenica, giugno 29, 2008
(Piccolo) bilancio
Quando mi apprestai a lasciar tutto per ricominciare da capo ed inseguire un sogno, ero preoccupato di coinvolgere gli altri in questa scelta.
Uno si dice sì, io riparto da capo, ma perché devo “impoverire” anche i miei figli, che colpa ne hanno loro, “porelli”, se io non ne posso più di questa vita e voglio farmene un’altra diversa, semplice, francescana, basata su quello che provo davvero?
Poi il tempo passa, e ti accorgi che più ti allontani dai finti bisogni, dalle merci, dal rassicurante potere delle cose, e più costruisci una libertà ed una ricchezza che è solo tua, che nasce da te e da quello che senti, che è sempre meno precaria, che resisterà – paradossalmente - ad ogni avversità e ad ogni rovescio finanziario.
Senti che quel che dai non è affatto poco, e vale moltissimo perché ti appartiene davvero, non è appiccicato temporaneamente a te dalle tue disponibilità economiche: è una ricchezza umana, fortemente tua, che nessuno potrà più toglierti, mai, nemmeno se vai a vivere sotto un ponte.
Ma all’inizio è normale, questa paura. E’ paura di sbagliare, è – fortemente condizionati dai modelli dominanti – paura che “semplicità” sia sinonimo di “sconfitta”, paura che “aver poco” corrisponda con “incapacità di essere”.
La casa più piccola (in affitto, e non in proprietà), l’auto che non puoi più cambiare (e che quando morirà sostituirai con quel che trovi in giro a poco prezzo, inutile lustrarsi gli occhi dai concessionari), tutte le cose che non puoi più comprare sembrano all’inizio un arretramento, un ritorno indietro.
E’, ancora, paura di lasciarsi andare, di giudicare troppo severamente quella vita vissuta anche da noi fino ad un attimo prima: è ancora il sintomo di una situazione in bilico.
Quel che lasciai era rassicurante, conosciuto, comodo. Sì, sapeva ormai di plastica e sembrava freddo, ma era “quel che tutti fanno”: non poteva essere completamente sbagliato. Sentivo di aver ragione, ma nulla sembrava darmela.
Non ci conosciamo più e non sappiamo valutarci da soli, ed il metro per capire cosa siamo è diventata la quantità di cose di cui ci attorniamo, la loro aderenza ai modelli di “modernità e moda”, lo spazio privato di cui disponiamo. Il rumore, la frenesia, la quantità di cose da fare attenuano il senso di solitudine, e la sgradevole impressione di essere uomini e donne dannatamente simili, come prodotti standardizzati: che dicono le stesse cose, vivono gli stessi eventi, agiscono secondo gli stessi comportamenti attesi.
Il percorso per liberarsi da questa schiavitù è lungo, difficile. Allontanarsi dalle cose e dalla sicurezza che danno fa paura, all’inizio. Esse sono ormai non solo la nostra intelligenza, la nostra forza, la nostra corazza, ma rassicurano il prossimo rispetto alla nostra appartenenza allo stesso identico sistema: ci rendono uguali alla massa, e dunque ci proteggono.
Reimparare ad aver fiducia in sé, a lasciare spazio alle emozioni che non nascono dalle cose, ma dall’essere, richiede davvero un grosso sforzo.
La rieducazione di sé è un processo lungo e faticoso: ma io ho forza, fiducia, e continuerò ad andare avanti.
giovedì, giugno 26, 2008
Ci mancherebbe pure questa...
Dal sito di Manlio Cammarata
Internet e stampa |
Blog e stampa clandestina: aspettiamo la sentenza |
17.06.08 |
La sentenza del tribunale di Modica, con la quale un blogger è stato condannato per "stampa clandestina" in forza dell'art. 16 delle "disposizioni sulla stampa" del 1948, potrebbe essere formalmente corretta. E' la legge che non va bene. |
Un coro di proteste si leva nell'internet italiana in seguito alla condanna di uno studioso siciliano, Carlo Ruta, perché con il suo blog avrebbe violato l'art. 16 della legge sulla stampa del 1948. Secondo quanto si legge nei commenti che circolano in questi giorni, il tribunale di Modica avrebbe equiparato il blog alla stampa periodica, contestando la violazione dell'art. 5 della legge, che impone: "Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi". Da qui lo scandalo: come si può confondere un blog, che per sua natura e nella sostanza non ha una periodicità predeterminata, con un periodico di informazione? Se ne deduce un intento persecutorio nei confronti del blogger e della libertà di espressione on line. La sentenza non è reperibile on line e quindi si deve procedere per ipotesi e con molta prudenza. Il che significa, prima di tutto, leggere con attenzione, e per intero, la norma incriminatrice: Dunque la violazione contestata a Ruta potrebbe non essere quella contemplata dal primo comma (pubblicazione di un periodico senza la preventiva registrazione), ma quella prevista dal secondo: omessa o falsa indicazione delle informazioni essenziali (nome dell'editore e dello stampatore) in una pubblicazione non periodica. Un blog, di solito non ha editore, poiché la sua figura coincide con quella dell'autore. E, non essendo stampato, non ha neanche uno stampatore. Dunque come si possono applicare le norme del '48 a questo tipo di "prodotto editoriale"? Ma è accettabile l'equiparazione di una pubblicazione personale a un prodotto editoriale? Dunque la sentenza (fatte salve le valutazioni che si potranno fare dopo averla letta) appare comunque liberticida. Come liberticida appare oggi la legge del '48, anche se emanata dalla stessa Assemblea Costituente che aveva scritto l'articolo 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. |
domenica, giugno 22, 2008
Camminando...
Sono stati, questi ultimi, mesi di camminate lunghe e solitarie.
Mesi in cui mi sto riappropriando di me, e di tempi liberati dalle incombenze che mi possedevano e mi svuotavano dandomi solo piccoli brandelli di soddisfazione.
Mi rendo conto che sto da poco iniziando a recuperare appieno la capacità di usare i miei sensi: non ero quasi più capace di vedere, di sentire, di provare sensazioni elementari.
La mia mente era giunta a livelli spaventosi di percezione, ma il mio corpo era dissociato, completamente dimenticato: un ingombro, più che la mia manifestazione fisica.
Scivolavo sul mondo senza toccarlo: via, rapido, sempre protetto ed isolato in scatole d'acciaio e di cemento. Sempre di corsa, di fretta, sempre con una destinazione da raggiungere, sempre con qualcosa di definito da fare. Il tempo vuoto mi faceva quasi paura, un tempo, avevo l'ansia di riempirlo a tutti i costi – anche dormendo, se necessario. Così fan tutti, no?
Ora che i chilometri fatti a piedi iniziano ad accumularsi in modo sensibile nelle mie gambe, ora che i paesaggi non sono più uno sfondo su cui sfugge la mia vita ma sono qualcosa dentro cui vivo, ora che il tempo assume una dimensione diversa – non più qualcosa da consumare, ma qualcosa da vivere - sento che finalmente la mia vita comincia davvero a cambiare.
Rallentare, cambiare prospettiva, riacquisire una conoscenza che non sia funzionale solo al mio ruolo nella società – e l'unico ruolo che mi vogliono lasciare è quello di consumatore, e io non ci sto – è pian piano quello che sto facendo, dopo decenni di progressiva accumulazione di sovrastrutture inutili.
La semplificazione a cui anelavo, quando ho deciso di ripartire da zero, sta finalmente diventando una cosa che sento non solo necessaria, ma davvero liberatoria.
Non baratterei mai più questa deliziosa sensazione di libertà dalle cose con lo stato di relativo benessere che avevo prima.
Mi accorgo che, con la pratica, il potere rassicurante delle merci ha perso ogni attrattiva su di me.
Non guardare più la tv da sette mesi probabilmente ha aiutato, ma in realtà quello che è stato determinante è stato uscire, uscire, uscire.
Uscire con la mente da una prigione che mi ero costruito da solo, con il tempo, adattandomi ad una vita in cui non mi riconoscevo più.
Uscire, fisicamente, e stare il più fuori possibile da tutte le prigioni materiali in cui tendiamo a rinchiuderci: le case, le automobili, i nostri giardini.
Perché alla fine l'esperienza che offrono è limitata, angusta, sempre uguale. Non siamo fatti per questo, per usare il cervello ed i sensi per fare solo quelle trecento cose e basta, di cui duecento imposte dal sistema di vita che condividiamo con il prossimo.
I viaggi sono stati sempre un modo straordinario, per me, per riprendere ossigeno e piacere per
Ora ho imparato che posso intraprendere un viaggio ogni volta che esco di casa, senza dover fuggire via lontano, senza limitarmi a qualche settimana l'anno.
Lo posso fare di continuo, tutti i giorni.
Quando le scatole magiche si accendono nelle case, e nelle strade non resta più nessuno, io mi godo il giorno che sta finendo, e la notte che sta arrivando.
Percorro lento i sentieri, le strade. Ascolto, mi ascolto, osservo, tocco, annuso l'aria. Mi riconosco, piano piano, e riconcilio questa mente e questo corpo. Sento i miei passi andare sicuri sulla strada. Mi sento, da solo lungo il sentiero. Sento lo sforzo e la fatica, e poi la dolce abitudine che mi consentirebbe di camminare per ore, preso il ritmo.
Ad ogni passaggio, la stessa strada si arricchisce di particolari che non avevo notato prima. La pioggia, la neve, la nebbia, il sole, trasformano ogni volta lo stesso luogo in qualcosa di nuovo.
Le stagioni danno il senso del tempo vero, così distante da quello artificiale e schizofrenico in cui siamo immersi: ed anche il tempo necessario a coprire gli spazi diventa esperienza, diventa vita, non solo il trasferimento più veloce possibile tra due destinazioni.
Mi capita di fermarmi a mangiare le fragole, o le ciliegie, o a riconoscere (poco alla volta: la nostra ignoranza delle cose reali è sterminata!) alberi, piante, fiori, in un processo lentissimo in cui mi sembra pian piano di tornare a vedere quel che mi circonda dopo secoli di cecità. Risento finalmente gli odori – l'erba tagliata, i profumi dei fiori…
Inizio a saper valutare quanto ci vuole a piedi per andare da un posto all'altro: muovermi a piedi da un paese all'altro è una cosa che solo un anno fa avrei ritenuto inconcepibile - in quanto inutile.
Ora so bene cosa c'è su ogni percorso, e sapere come arrivare senza alcun mezzo da un posto all'altro – pur in un raggio di soli cinque-sei chilometri da casa, per ora – mi da un senso di potenza e di conoscenza che mi rendono orgoglioso: ecco, posso andare fino a lì, che sembra distantissimo, ed invece arrivarci è facile, e non ho bisogno di nient'altro che di tempo (sempre meno di quel che uno teme) e dei miei piedi. Niente mezzi meccanici, niente gasolio, niente inquinamento. Posso fare una cosa che non fa male a nessuno, che non peggiora il mondo, e mi da un immenso piacere.
Perché dopo mesi, sto finalmente iniziando a farla mia, questa terra. Conosco i nomi dei luoghi, dei torrenti, delle valli. Inizio a riconoscerle con sicurezza, quando le guardo da lontano o dall'alto di un bricco. Sento mio, sempre di più, quel che percorro e scopro. So orientarmi, ed ogni tanto provo a "perdermi" non guardando la cartina, e scoprendo con piacere che so benissimo dove andare, e so benissimo quanto ci metterò ad arrivare.
Partendo attrezzato (semplicemente, con gli scarponi e con il mio zainetto con qualcosa da bere, la giacca di goretex, un taccuino,
La pioggia è una piacevole emozione, e se non è troppo fitta aspetto pure un po' a coprirmi: tanto nel resto del cammino mi asciugherò, che problema c'è…tocco l'erba bagnata, mi impiastriccio con il fango, mi rimescolo con quell'ambiente da cui abbiamo disperatamente cercato di allontanarci nei secoli.
Man mano che cammino, e che mi libero dalle vecchie sovrastrutture opprimenti, mi sento più sicuro, più autonomo, più leggero. Recupero le mie capacità perdute, mi fido della mia resistenza, sia fisica che psichica: cambio sempre più il mio punto di vista sulla vita, e raffino il mio sistema di valori.
Quel che provo assume sempre più valore rispetto a quel che possiedo, e quel che provo è sempre più svincolato da quel che possiedo.
Ora salverei, tra le merci, solo quelle che consentono di raccontare e riprodurre esperienze ed emozioni: i libri, la musica, il cinema. E poi il buon cibo ed il buon vino. Tutto il resto, più o meno, è secondario, o non merita comunque soverchio impegno. L'auto tocca averla, il telefono pure, ma alla fine se uno si muove e telefona ha raggiunto lo scopo, non è che bisogna avere chissachè.
Ora, quando sto con i miei ragazzi, sento che il nostro tempo è un tempo che vale molto di più di prima, perché io sono una persona diversa, più interessante, più singolare, più originale: parlo di me e di quel che faccio, non di quel che accade in un mondo che non conosco.
Quel che dico, quel che racconto, le cose che faccio vedere sono mie, sono le mie esperienze, e visto che le faccio quasi tutte vicino a casa posso condividerle, portarli a vedere il panorama da un luogo specifico e condividere l'emozione di quel che si vede, farla capire, goderla insieme, così come scoprire e mangiare insieme le fragole al limitare di un sentiero.
Raccontare – che so - di un viaggio in Canada, per quanto emozionante e meraviglioso e straordinario, non consente di fare questo: di condividere davvero, appunto, di "vivere insieme" e non in solitudine. E quindi mi sento paradossalmente più ricco io, che "possiedo" tutto il territorio che ho esplorato e conosco attorno a me, e posso donarlo a chi amo, rispetto ad un viaggiatore economicamente ricco e fortunato che può soltanto offrire un eco delle emozioni provate in quei posti meravigliosi.
Depurato dalle emozioni finte, sto iniziando a godere davvero di quelle autentiche.
Ogni giorno esco dal mio piccolo nido, che mi protegge solo per dormire, per mangiare e per leggere, e mi impadronisco di questo mondo che gli altri trascurano: un mondo immenso, ricchissimo, di cui posso godere per sempre, in cui non smetto di scoprire ogni giorno qualcosa, di stupirmi, di eccitarmi, di sorridere.
Non lo perderò mai, perché non lo possiedo: lo vivo, ed è una cosa diversa.
venerdì, giugno 20, 2008
L'euro scarlatto
Ora, io lo vorrei vedere in faccia, l'imbecille a cui è venuta questa idea (gli imbecilli che l'hanno approvata, purtroppo, li conosciamo tutti).
Io capisco che, tra costoro, il buonsenso non sia di casa: ma potevano, in questo caso, farsi aiutare da qualcuno: uno psicologo, magari.
Esistono persino nella sanità pubblica, per ora: so che chi ci governa non lo sa, e che la parola "pubblico" gli provoca solo allergie ed appetiti, ma se gli fa schifo appoggiarsi a professionisti pagati con i soldi di tutti potevano almeno sganciare un duecento euro a quel Crepet che infesta i salotti televisivi.
Persino lui avrebbe potuto dire che la propria povertà non è proprio una cosa che faccia piacere esibire a nessuno, neppure sotto forma di un pezzo di plastica colorato e decorato con ologrammi scintillanti.
Che tirar fuori quel pezzo di plastica in un supermercato (il panettiere sotto casa, col cavolo che accetta le carte di credito!) è così umiliante, ed anche così ostico per un anziano che con 'ste cose non ci ha mai avuto a che fare, che alla fine uno per dignità rinuncerà ad usarla (e così, tra un anno, si dirà trionfalmente che i poveri non esistono!).
(Senza contare che il piccolo supermercato sotto casa mia espone da mesi il cartello "Non è TEMPORANEAMENTE disponibile il pagamento con carte di credito").
Poi, per chi non può muoversi di casa, la beffa della carta "personale" è ancora più bruciante: al nipote o al vicino od al volontario che ti va a fare la spesa devi dare i dieci euro sonanti, quel pezzo di plastica che devi firmare tu "di pirsona pirsonalmente", come direbbe il Catarella di Camilleri, è inutile e costituisce un'ulteriore schiaffo alla tua condizione.
Esisteva un modo più semplice per fare la carità: mettere 'sti quattrocento euro direttamente sulla pensione e sullo stipendio, 'che almeno uno se li sparava tutti subito per un suicidio come si deve, dopo una bella cena di ringraziamento al Governo.
Alla fine, 'sto insultante pezzo di plastica è paragonabile ad un euro di stoffa scarlatta da applicare sulla giubba, e ricorda - come tante altre cose di questi tempi - momenti storici da cui i nostri governanti sembrano trarre sempre più ispirazione.
I poveri "nostrani" (di cui tra un po' andremo in molti ad aumentare il numero, io sono in prossimità della categoria) diventano dunque categoria sociale specifica come i rumeni e gli zingari, e come loro vanno riconosciuti e classificati. Una forma di nazismo gentile. Per ora.
'nzomma, saprei bene io dove potrebbero infilarseli, 'sto milione e duecentomila pezzetti di plastica rigida...ma non lo dico perchè è un blog che tenta di non lasciarsi sedurre dalla volgarità dilagante, neppure da quella governativa:-)
mercoledì, giugno 18, 2008
Ciao, Mario!
E siamo tutti un po' più soli. Non solo perchè il "Sergente" era una delle memorie storiche del paese, e da lui - come da molti altri - conoscemmo la reale dimensione di una delle più assurde tragedie generate dal fascismo - la campagna di Russia.
Ma perchè Rigoni Stern aveva occhi e cuore per vedere, nei suoi boschi, e parole e sensibilità per raccontare, nei suoi libri, tutto quello che piano piano è diventato invisibile agli abitanti di questo paese.
Le albe, la montagna, i boschi. La natura. La fatica, il silenzio, il confronto muto e stupefatto dell'uomo con quello che ha intorno, con quello che non può ne comprare nè conquistare ma può solo ammirare, se la sua anima esiste ancora.
Seguendo le tue parole e le tue storie abbiamo camminato con te, Mario, lassù sull'Altipiano, invidiando la tua capacità di capire davvero le cose che contano, ascoltando in rispettoso silenzio le verità che raccontavi, pacato e autentico.
Ci piace pensare che hai preso lo zaino e gli scarponi, ancora una volta, e picchiettando il bastone sulle rocce stai camminando laddove l'aria non si sporca mai, laddove nessuno può contaminare il mondo con favole e bugie, laddove il paesaggio esige silenzio, rispetto, umanità.
Grazie di tutto.
martedì, giugno 17, 2008
Fermiamolo.
Mi aspettavo che qualcuno mandasse i carabinieri ad arrestarlo, mentre proclamava le sue usuali sconcezze contro la Magistratura e dichiarava di non voler sottostare a nessun potere, a nessun equilibrio che non sia il suo.
Invece no: laddove quel che in un paese normale sarebbe una pustola, un'escrescenza che si sarebbe rimossa da tempo, in una democrazia estenuata e offesa da decenni di aggressione mediatica non genera neppure più gli anticorpi per difenderci da quel che, nato come un'influenza pittoresca, è diventato nel tempo un male incurabile.
Veltroni, forse dire "Se continui a fare il birichino non ti parlo più" non è ancora essere consapevoli della gravità della situazione.
Veltroni e Di Pietro, dite e fate qualcosa non dico di sinistra, ma qualcosa di DEMOCRATICO. Chiamateci in piazza, a percuotere le casseruole. Ad accatastare i nostri televisori davanti a Palazzo Chigi e sfasciarli a martellate, con la musica dei Pink Floyd al massimo del volume: "We don't need no education, we don't need no thought control...".
Se non lo facciamo ora, quando più riprenderemo il coraggio di reagire? Cosa dobbiamo ancora aspettare?
Che il funerale della democrazia - di cui il berlusconismo è l'esecutore materiale, ma di cui il mandante morale è questo popolo irreversibilmente rimbambito - sia almeno fragoroso, rutilante. Che ricordi almeno gli immensi sforzi dei Padri Costituenti per costruirla, e omaggi lo sforzo del Presidente Napolitano per salvarla.
lunedì, giugno 16, 2008
Come a Bogotà
Come dice Chiamparino, non siamo a Bogotà: ma probabilmente Bogotà è il modello urbano e sociale a cui si vuol tendere nei prossimi anni.
C'è nell'aria un bruttissimo vento di rivalsa, di vendetta. La destra vittoriosa, forte dell'ampio consenso del popolo più rimbambito d'Europa, vuol saldare tutti i conti subito: dopo il panem et circenses, è arrivato finalmente e quasi subito il tempo del "facciamoci-i-cazzi-nostri", le leggi per rendere impunita la casta ed i suoi adulatori.
Niente più intercettazioni, niente più processi. Via libera agli appetiti economici legati alle grandi infrastrutture, per rendere sazi gli amici. Via libera all'insana ed ipocrita commistione con il clero più retrivo.
Non possiamo fare granchè, per ora: solo definire, conservare e alimentare questa lucida indignazione, per capire come trasformarla in azione, per capire come salvare quel che si può, prima che costoro ci trasformino in prigionieri politici nella nostra stessa casa.
venerdì, giugno 13, 2008
Avviso di incendio
Ma c'è l'invito a non mollare nonostante il comune senso di smarrimento.
E quello, nonostante mi manchino le parole, lo accolgo con tutto il mio essere.
Salviamoci: ma poi facciamogliela vedere, a questa gente.
(Il caso della clinica privata di Milano, dove avidi epigoni di Mengele mutilavano la gente per rubare i soldi della collettività, mi sta scatenando dentro una indignazione ed un furore che non immaginate, uguale e contrario a quello del popolo stupido che odia i poveri e i diversi: al punto da farmi dire che se fossi una delle persone violentate da questi bastardi, da questi infami, da questi farabutti, che subito vengono difesi e coperti dalla casta di appartenenza invece di essere accompagnati in cella per buttar via subito dopo le chiavi, assumerei la vendetta - feroce e spietata, perchè qui si è valicata ogni umanità, ogni normalità - come obiettivo di vita.
Rovinarli, come già lo sono dentro, indegni di condividere i nostri stessi spazi, la nostra stessa vita, il nostro stesso tempo, la nostra stessa aria).
Avviso d'incendio
Rossana Rossanda
L'Italia va incontro ai tempi più oscuri da quando è nata la repubblica. Ha mandato spensieratamente a Palazzo Chigi un governo di fascistoidi, bugiardi e corruttori. Fascistoidi non solo perché siamo il solo paese in Europa la cui Camera è presieduta da un ex missino e la capitale idem, ma perché il peggio della destra - razzismo, superomismo, arroganza, disprezzo per la democrazia, vaghe idee ma ostili alla Costituzione, populismo, «noi tireremo diritto», balle tipo trecentomila fucili pronti a sparare, il ricatto come metodo dei rapporti - sta dilagando senza fare scandalo, come se un po' di fascismo quotidiano fosse ovvio e comunque disinnescato. E poi, bugiardi, una cosa dicono oggi e ritirano domani, nella persuasione che basti affermarla due volte ergendo il petto perché sia vera. E corruttore il loro leader, scampato alla giustizia solo in grazia alle prescrizioni perseguite dai suoi avvocati, il più vanesio e ridicolo dei capi di stato del continente - e non è che ne manchino.
Al potere da poche settimane, questo governo ogni giorno ne tira fuori una - ha già ridetassato chi ha una casa per ingraziarsi chi qualcosa possiede e va strillando in tv che le pensioni costano il 60 per cento della spesa pubblica mentre sono pagate dai lavoratori fino all'ultimo euro. Agita la galera per l'affamato che riesce ad aggrapparsi fino alle nostre sponde e per chi non si presenta al lavoro nel pubblico impiego. Il premier vagheggia l'uso dell'esercito per le popolazioni del sud strette fra la discarica sotto casa e le forze armate che gli impongo di lasciarvela mettere, mentre dopo la prima devastazione voluta da Veltroni delle povere baracche di un campo romeno, abbiamo un pogrom spontaneo alla settimana. Alemanno ha giurato di far fuori da Roma tutti gli immigrati clandestini, cioè tutti quelli che non sono venuti con un contratto in mano, e Maroni insiste che chi non lo ha vada dentro da sei mesi ai quattro anni. Già succede in Francia, ha detto - e tutti zitti. Finché Sarkozy ha spiegato a Berlusconi che questa è una disposizione mai applicata una volta, non essendosi trovato un Pm che abbia la faccia di chiederla. E poi, osservano coraggiosamente i democratici, è più facile cacciare gli immigrati senza processo che con, e cacciarli in fretta è quel che conta. Con l'amico Sarkozy il nostro presidente avrebbe già cambiato a fine settimana le nostre cosiddette missioni di pace in esplicite missioni di guerra per far contento l'amico Bush se proprio l'altro ieri Obama non avesse vinto le primarie dei democratici e va a capire se non lascia Iraq e Afghanistan per primo. E sempre Berlusconi avrebbe già fissato il viaggio dall'amico Olmert se questi non fosse sulla via dell'uscita anche lui per corruzione.
Sarebbe un governo pessimo come altri, se ci fosse una opposizione come altre, che non si felicitasse con il premier ogni due giorni, ricevendo in cambio congratulazioni per le sue buone maniere. Ratzinger, che da giovane ne ha viste altre, fa sapere di essere tutto contento per il «clima» che vige oggi in Italia. Trovarne uno che alle prodezze della Lega sbotti: Ma questa è una vergogna! No, uno c'è, Massimo Cacciari, ora che i serenissimi vogliono impedire un quartiere per i sinti, ancorché siano italiani e paghino le tasse da decenni. Ma non c'è una società civile che scenda in piazza a dire: Questo è troppo. Basta qualche decina di leghisti a Mestre per bloccare un cantiere, perché Venezia dorme, non vede, non sente.
Questo è il guasto profondo, e in atto da tempo. La tempesta elettorale ha solo reso evidente un processo di egoismo, e incarognito, che ha portato l'Italia a essere il solo paese d'Europa che ha tutta la destra al governo e tutta la sinistra fuori dal parlamento. Non ce ne sono altri. E se questo è successo, qualche responsabilità l'avremo avuta pure noi nel nostro piccolo. Per distrazione, per sufficienza, perché «rivoluzione o niente», per stanchezza - siamo in campo da quasi quarant'anni, troppo modesto distributore di contravveleni.
Il peggio che avviene nelle situazioni simili alla nostra è il pensare di non farcela, che tanto tutto è inutile, vero motivo della disaffezione di chi scrive e di chi legge, mentre le piccole ferite che ognuno si sente bruciare sulla pelle a forza di tirare la carretta non aiutano a liberarsi dai vecchi vizi e dai vecchi vezzi. Come potrebbe essere diverso con l'aria che tira? Anche il manifesto ha avuto le sue linee d'ombra, i suoi momenti di spleen.
Ma non c'è più tempo per lo spleen. Si sente puzza di fuoco, mettiamo fuori il cartello «Avviso di incendio!» come Walter Benjamin nella repubblica di Weimar, era il 1926. Non fu molto ascoltato. Noi abbiamo meno genialità ma più lettori di quel profetico infelice. E avvertiamo compagni ed amici - si diceva una volta - che chi ha adesso le redini del paese non farà prigionieri, come ebbe a dire Previti. A lui non è andata bene. Perché non vada bene ai suoi consoci, il manifesto riparte ancora una volta.
Dateci una mano.
martedì, giugno 10, 2008
Parole prima di rimanere senza
"Nel prossimo Consiglio dei ministri introdurremo il divieto assoluto per le intercettazioni telefoniche tranne che per la criminalità organizzata, la mafia, la camorra e il terrorismo. Cinque anni per chi le fa e anche una forte penalizzazione economica per gli editori che le pubblicano"
Claudio Scajola (Ministro delle Attività Produttive):
Maurizio Sacconi (Ministro del Lavoro):
Francesca Guidi (Presidente dei Giovani Industriali):
Renato Brunetta (Ministro della Funzione Pubblica):
Vari:
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Quel che esce da questa “offensiva culturale”, a guardarlo bene, è qualcosa di vecchio, di consunto, un assemblaggio di idee che si pensavano già condannate dal tempo e dallo sviluppo “culturale” che il paese ha vissuto negli ultimi decenni.
Sotto la vernice fresca del decisionismo, ecco collocate sugli scaffali le “offerte speciali” che sembrano nuove solo ad un popolo rimbambito dalla TV, ma sono merce scaduta da tempo, ammuffita, putrefatta.
Le solite grandi opere. Ponti, centrali, ferrovie. La Compagnia Aerea Nazionale. Mentre il 94% dei pendolari è insoddisfatto del servizio offerto e le Ferrovie dicono che senza soldi taglieranno proprio le linee meno redditizie, i famosi “rami secchi”, il Governo butta via valanghe di soldi (attesi golosamente dalla mafie, già pronte al banchetto) in opere insensate, ma che possano farlo ricordare per sempre (una cosa assai simile alla Statua d’oro del defunto Presidente Nyiazov in Turkmenistan, né più né meno). Una costosa riedizione di panem et circenses.
Il solito ipocrita moralismo cattolico: che finge di sentire l’offesa non nella mortificazione dell’essere umano, ma nel fatto che essa sia visibile agli occhi sensibili del popolo. Via le prostitute dalle strade, e gli zingari, e i poveri: non importa dove e come si arrangino, basta che non si vedano. Più soldi alle scuole cattoliche, maggiori ostacoli all’aborto legale e pubblico: poi ognuno si comporti come gli pare, specie se è ricco e potente, specie se è protagonista e complice di un sistema che i poveri li crea, li genera incessantemente. Ma non importa, basta baciare le mani inanellate per rifarsi una verginità.
La vecchia, solita, balzana idea che il mercato e l’iniziativa privata, lasciati liberi, liberino “energie” miracolose che migliorino il mondo. Non si leggono i giornali internazionali, non si ascoltano le istituzioni internazionali, e dunque non giunge, in questo piccolo paese dimenticato l’eco, – dal mondo – dei danni della speculazione sui cereali, sul petrolio: eccolo lì, il capitalismo liberato, che fa morire la gente di fame, esattamente come fa da quando è nato. Eccolo lì, il capitalismo vincente, che ha portato da 800 a 900 i milioni di persone che “vivono” con meno di un dollaro al giorno. Ma non importa, son quisquiglie: ed ecco dunque i “giovani industriali” che sognano il ritorno all’Ottocento, alla barbarie dello sfruttamento senza regole, alla libertà di impresa intesa come dominio e sopraffazione, all’epoca precedente lo sviluppo del movimento operaio.
Tutto quello che viene proposto come nuovo è dunque vecchio, putrido, già vissuto, già superato, già provato, già clamorosamente fallito.
Ma ha l’immenso vantaggio di non chiedere, alle masse rimbambite, annichilite dalla TV e avvelenate dalla schiavitù delle merci, lo sforzo di pensare e di assumersi responsabilità. Raccontare la verità è difficile, ed assai impopolare in un mondo costruito sul consenso. Meglio dunque continuare a dire che tutto va bene, che si può vivere così per sempre, che avremo sempre quel che abbiamo e assai di più, che lo sviluppo perpetuo è un mito che bisogna continuare a venerare senza cedimenti. Che la ricchezza ed il potere sono ancora alla portata di tutti, purchè si faccia ben attenzione a “tener fuori” gli estranei, i “non aventi diritto”.
Il popolo, assetato di bugie rassicuranti e assai poco propenso a rinunciare ad aspettative alimentate per decenni, ovviamente gradisce assai, e il livello di fiducia nel Presidente del Consiglio e nei suoi ministri aumenta sensibilmente. (Resta un po' indietro la Gelmini, ma presto potrà iniziare a disfare in senso populista la scuola pubblica - che ognuno scelga la scuola confessionale che preferisce! Libertà per le famiglie, o morte! - , ed anche lei avrà il suo momento di gloria).
L’idillio – tra un popolo rimbambito ed un governo che lo asseconda nella sua regressione ad un infantilismo civile che sembra irreversibile – sembra poter durare a lungo, con reciproca ed intensa soddisfazione.
Inutile pensare che, in questo contesto, le voci che instillano dubbi e propongono ragionevolezza possano ricevere ascolto: non è tempo di cassandre, non è tempo di dubbi, ma solo di gioiose e semplicissime certezze.
Inutile sprecare fiato, parole, byte per contrastare una corrente così impetuosa.
Intorno a me, oggi, le persone normali parlano con passione di una partita di calcio; e io mi stupisco che si possa provare così tanta passione per cose così stupide, e così tanta indifferenza per il nostro presente e per il nostro futuro.
Meglio dunque ritrarsi, conservare le forze, le parole. Coltivare, in piccole isole al riparo dalla esuberante corrente che tutto travolge - pensieri, ragioni, realtà -, i semi che ancora restano di una razza in via di estinzione.
“Non mi piace il mercato globale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente
e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.
Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione."
(Gaber/Luporini: “La razza in estinzione”, 1981).