giovedì, maggio 22, 2008

Un libro: "Viaggio di una parigina a Lhasa"

Visto che sto riorganizzando la sezione dei "libri letti", qui a destra sotto la sezione "cose da leggere, cose da fare", aggiungendo un po' di informazioni in più per consentirvi di ritrovarli, per l'occasione vi regalo la recensione di un libro che mi è piaciuto moltissimo (e piacerebbe di sicuro ad Artemisia, che lo sta in parte evocando con il suo viaggio a piedi).

"Viaggio di una parigina a Lhasa", di Alexandra David-Neel (sottotitolo: "a piedi e mendicando dalla Cina all'India attraverso il Tibet")

A.D.N. nasce a Parigi nel 1868, ed il viaggio a cui si riferisce il libro inizia nell'ottobre del 1923 (quando lei ha cinquantaquattro anni!) e finisce due anni dopo.

Prima, giovanissima, lei è stata grande amica dell'anarchico francese Eliseo Reclus, scrittore e geografo, di cui divora le opere. Studia inglese, sanscrito e canto. Grazie ad una eredità può permettersi i primi viaggi: Ceylon, l'India. Con il canto (ha una bella voce da soprano) si guadagna da vivere e diventa una stella in Indocina, mentre non ha eguale fortuna in Francia. A Tunisi conosce Philippe Neel, di cui diviene l'amante: bello, scapolo, occhi azzurri, gran classe...un moderno Don Giovanni. Alexandra di giorno fa la cantante e la direttrice artistica, di notte ama Philippe, e ogni tanto va a Parigi dove è conferenziera e giornalista.

Nel 1904 si sposano, ma lei non riesce a perdonargli il suo passato libertino. Per non cadere nell'angoscia, lavora disperatamente: libri di filosofia, congressi, viaggi…si trasforma definitivamente da cantante a prestigiosa orientalista.

Nel 1911 parte per un viaggio in Oriente, senza sapere che lei e Philippe si rivedranno solo nel 1925!

India, Nepal, sono le mete di viaggi di studi e conoscenza che la rendono famosissima. Nel 1914 ingaggia Yongden, un ragazzo di quattordici anni, reincarnazione di un capo tibetano, figlio di un lama-mago (con poteri di provocare o arrestare la pioggia e la grandine) e lama lui stesso: condivideranno tutte le esperienze di viaggio insieme, fino alla morte di lui. Per seguirla, lui lascia la famiglia e rinuncia alla sua parte di eredità.

Mentre in Europa infuria la guerra, Alexandra desidera la solitudine: trascorre 20 mesi in Nepal in una caverna a 3500 m d'altezza con un capo spirituale tibetano, il Gomchem, imparando lingua, cultura e tradizioni del paese, e perfezionando i metodi di meditazione.

Ne esce con il nome di "Lampada di Saggezza", e intraprende un viaggio in Tibet, presto espulsa dagli inglesi che dominano il paese.

Va poi in Birmania e in Giappone, ma ne resta profondamente delusa. Anche la Corea è una delusione: sente la nostalgia del Tibet. Nel 1917 è a Pechino, da cui parte l'anno dopo (in una situazione che preannuncia la guerra civile) per arrivare in Tibet via Mongolia, percorre 2500 km a piedi. Visita fortezze e monasteri, si abitua a camminare per oltre quaranta km al giorno. Entra finalmente ed illegalmente in Tibet, ma nel 1921, mentre viaggia con il seguito, viene riconosciuta e fermata, nonché espulsa. Capisce l'errore: "ero prigioniera delle circostanze, dei domestici chiacchieroni, delle bestie e dei bagagli. Gli uni e gli altri ostacolavano la libertà dei miei movimenti, mi impedivano di fare perdere le mie tracce, di mischiarmi alla folla anonima".

Ci riprova nell'inverno, ma viene arrestata.

Passa i successivi tre anni a viaggiare a nord del Tibet, per "farsi dimenticare". Intanto impara le espressioni popolari, impara a mendicare, a dormire all'aperto: le prove generali per il "Grande Progetto", arrivare a piedi a Lhasa, la capitale del Tibet e città proibita agli stranieri.

Nell'ottobre del 1923 parte in sordina, quasi senza viveri, con il fido Yongden: è il Viaggio, finalmente.

Un viaggio clandestino, vestiti da mendicanti, senza poter dare nell'occhio: anzi, dovendosi nascondere per buona parte del tempo, per evitare l'arresto.

Un viaggio a piedi che all'inizio si svolge quasi esclusivamente di notte.

Per cibo, tè alla tibetana con burro di yak, e "tsampa", una farina da mescolare all'acqua.

Marce forzate, durissime, valichi a 5, 6, 7000 metri, spesso compiuti di notte: nevicate continue per settanta, ottanta ore. Fame, freddo, paura dei briganti.

Ma, soprattutto, paesaggi da sogno, da fiaba, che riempiono il cuore e l'anima: mai visti dai viaggiatori e spesso neppure dai locali (nessuno viaggiava, in Tibet, per il "piacere" di farlo).

Pian piano il travestimento da mendicanti diventa realistico e convincente, ed è più facile farsi ospitare, diventare completamente mimetici. Spesso chi ospita non ha da mangiare, e per dormire offre il tetto della propria abitazione esposto alla bufera!

Alexandra osserva, impara, scopre, non giudica mai, anzi: ritiene la sua conoscenza sempre troppo angusta, non è mai sazia di imparare. Le foreste, le montagne, le nevi sono affrontate con umiltà, commettendo errori che spesso rischiano di essere fatali, ma con la stessa umiltà viene posto rimedio, si ripercorrono strade al contrario, si ammette di aver errato, si fa tesoro dell'esperienza. Anche le persone incontrate (poveri pastori, pellegrini, lama) sono viste come eguali, anche se a volte è difficile, per un animo europeo, sopportare (e condividere) il dormire direttamente sullo sterco congelato o mangiare carne putrefatta.

Il viaggio è soprattutto un'esperienza di crescita interiore, la scoperta di sé e dei propri limiti, e delle risorse che si sanno trovare dentro di sé quando è necessario e la situazione sembra disperata: non essere soli è importante, ma ognuno trova dentro di sé le risorse per continuare.

Arrivati a Lhasa senza essere scoperti, ci restano per due mesi a osservare, a vivere la Città Proibita: poi, senza alcun intoppo, nel giro di alcuni mesi raggiungono la frontiera indo-tibetana.

L'impresa le dona una enorme popolarità. Tornata in Europa, scrive decine di libri sulla cultura tibetana, tiene conferenze, scrive romanzi. Continua a viaggiare e scrivere per anni: Cina, Russia, ancora in una Cina sconvolta dalla guerra: il viaggio per visitare i monasteri si trasforma in una fuga (a piedi e in treno) che dura sedici mesi: perde tutto, resta in Cina per anni.

Nel 1941 Philippe muore, nel 1946 Alexandra ritorna in Europa per sempre.

Nel 1955 muore Yongden. Alexandra lavora moltissimo scrivendo libri anche negli ultimi anni, anche se verso la fine è quasi cieca ed immobilizzata su una sedia a rotelle: ma quando muore, nel 1969, ha 101 anni.

Le sue ceneri, con quelle di Yongden vengono disperse nel Gange.

4 commenti:

marina ha detto...

Che storia interessante e che figura di donna!
grazie per la segnalazione, marina

viviana ha detto...

mi associo.
grazie per il respiro del tuo racconto e per avermi fatto conoscere questa luminosa figura di donna

Anonimo ha detto...

aggiungo il mio personale Grazie, per avermi rievocato un libro che lessi molti anni fa e che mi hai fatto venir voglia di rileggere..
Si una gran personaggio ma soprattutto una grande Donna!
Poi mi chiedo: chissà se la sua vita sarebbe stata diversa se, anziché di Philip Need da cui si è "allontanata il più possibile".., si fosse innamorata di un uomo diverso??
A volte bisognerebbe proprio trovare il coraggio di intraprendere un vero Viaggio, con la stessa umiltà espressa da Alexandra!!
Stefi

Artemisia ha detto...

Grazie per il pensiero, Lupo! Certo tra Ischia e l'India in comune mi sa che c'e' solo l'iniziale :-)
Interessante la storia che ci proponi. In effetti mi sento vicina ad Alexandra soprattuto quando "ritiene la sua conoscenza sempre troppo angusta, non è mai sazia di imparare".