In questo fine settimana, da giovedì a ieri, ho fatto una autentica scorpacciata di teatro (un record assoluto, direi), necessario e stupendo antidoto ad una intera settimana a Milano:-).
Ho iniziato con un pezzo forte, giovedì sera: un allestimento di "Anna Karenina" del regista lituano Eimuntas Nekrošius. Quattro ore e mezza di spettacolo, a cui mi ero preparato con cura leggendo il classico di Tolstoj (1000 pagine!) nel weekend precedente.
All'inizio sono rimasto un po' sconcertato dal registro grottesco e farsesco che rendeva tutti i personaggi un po' imbecilli...ma poi, accettato questo approccio (che comunque manteneva l'assoluta fedeltà al testo originario, salvo l'introduzione di uno spassosissimo personaggio inventato necessario a rappresentare il Destino), lo spettacolo è filato via leggero e godibile.
Non mi cimento in un tentativo di riassunto della trama, vi addormentereste nel corso del post, e vi rimando a Wikipedia se proprio ne volete uno: ma è la storia di una passione e di un amore travolgente, irresistibile, immenso, che sconvolge la vita di Anna senza che lei riesca a resistervi, e la conduce inesorabilmente alla disperazione ed alla follia.
Una storia bella e complessa, che racconta di come le passioni possano travolgerci, cambiare radicalmente la nostra vita, capovolgerla, e a volte distruggerla: e di come (mi riferisco all'amore di Levin per Kitty) si debba lottare e resistere, anche attraverso sconfitte che sembrano irrimediabili, per affermare il diritto all'amore, che alla fine DEVE vincere.
Se l'amore è al centro della vicenda di Anna Karenina, è invece il lavoro il tema principe dello spettacolo di Assemblea Teatro Torino che ho visto sabato sera: "Mio padre voleva chiamarmi Libero" è dedicato a Primo Levi, ed al suo primo vero libro da narratore, "La chiave a stella".
Lo spettacolo si svolge, ed è un contesto emozionante, nella palazzina della ex fabbrica di vernici di Settimo Torinese in cui Levi lavorò come direttore tecnico nel dopoguerra, fino alla pensione, ed esattamente nello stesso locale in cui risiedeva il laboratorio, e si provavano le nuove vernici.
La storia di Levi e della fabbrica (anche attraverso interviste filmate a chi ci lavorò in quel periodo) si fonde con la vicenda di Tino Faussone, montatore specializzato che gira il mondo ed è orgoglioso delle sue conoscenze, e ci convince che il lavoro (il lavoro sapiente, utile, concreto, che non ha bisogno di padroni per essere svolto, che produce cose visibili, utili, reali) è una delle vie alla realizzazione di sè e alla felicità, se non ci si rassegna a farne uno alienato e stupido in cui non si riesce ad essere se stessi.
E ieri, per terminare, ho partecipato ad una specie di maratona teatrale dedicata a Dante, e svoltasi sulle ultime propagini delle colline torinesi, con tre spettacoli in tre luoghi diversi (una fortezza sabauda e due centri storici mediavali) tra le 16 e le 21,30.
Ha iniziato Mario Barzaghi, il cui splendido spettacolo sull'Inferno è stato purtroppo interrotto da un autentico nubifragio, ha proseguito il collettivo chivassese del Faber Teater, ed ha terminato, nella chiesa del centro storico di Casalborgone, Lucilla Giagnoni con lo spettacolo "Vergine madre".
Confesso pubblicamente di provare un'attrazione folle per questa attrice, di una bellezza irresistibile e di una bravura straordinaria, da quando la vidi per la prima volta in "Adriano Olivetti" con Laura Curino.
La sua declamazione dei versi del "viaggio" per eccellenza, con l'approfondimento di alcuni dei personaggi descritti nella Commedia (Francesca da Rimini, Ulisse, il Conte Ugolino, Piccata Donati), è stata intervallata da riflessioni acute sul senso del viaggio, sulla religiosità, sul senso di quello che - tutti noi - stiamo facendo.
Questa vita che viviamo correndo, perdendoci perchè non abbiamo il tempo di stare fermi a capire cosa siamo, sembra indicare la paura collettiva della fine prossima ventura: i testi sacri indiani, i Veda, indicano la presente come la fase terminale dell'Età del Ferro, il Kali Yuga, in cui l'uomo si è allontanato definitivamente dalla propria natura divina e dal proprio sè.
Inutile dire che questa scorpacciata di teatro, ma soprattutto questa indigestione di storie su di noi, su quello che siamo, sulle nostre passioni e sulle nostre paure, sul modo in cui cerchiamo di capire una verità - qualunque essa sia - e di dare un senso alla nostra esistenza, mi ha fatto bene.
Mi ha ricordato che la mia attuale paura rispetto alle condizioni del mondo non è un'angoscia solo mia, ma che sulle vicende umane, da sempre, chi ha cervello, chi ha cuore si interroga e prova, se può, a fornire delle proprie umanissime risposte: ma se non riesce, è già molto importante che non cessi mai di condividere le domande che ci angosciano, raccontando con qualsiasi mezzo storie che ci uniscano, ci facciano sentire meno soli, meno disperati.
Ho iniziato con un pezzo forte, giovedì sera: un allestimento di "Anna Karenina" del regista lituano Eimuntas Nekrošius. Quattro ore e mezza di spettacolo, a cui mi ero preparato con cura leggendo il classico di Tolstoj (1000 pagine!) nel weekend precedente.
All'inizio sono rimasto un po' sconcertato dal registro grottesco e farsesco che rendeva tutti i personaggi un po' imbecilli...ma poi, accettato questo approccio (che comunque manteneva l'assoluta fedeltà al testo originario, salvo l'introduzione di uno spassosissimo personaggio inventato necessario a rappresentare il Destino), lo spettacolo è filato via leggero e godibile.
Non mi cimento in un tentativo di riassunto della trama, vi addormentereste nel corso del post, e vi rimando a Wikipedia se proprio ne volete uno: ma è la storia di una passione e di un amore travolgente, irresistibile, immenso, che sconvolge la vita di Anna senza che lei riesca a resistervi, e la conduce inesorabilmente alla disperazione ed alla follia.
Una storia bella e complessa, che racconta di come le passioni possano travolgerci, cambiare radicalmente la nostra vita, capovolgerla, e a volte distruggerla: e di come (mi riferisco all'amore di Levin per Kitty) si debba lottare e resistere, anche attraverso sconfitte che sembrano irrimediabili, per affermare il diritto all'amore, che alla fine DEVE vincere.
Se l'amore è al centro della vicenda di Anna Karenina, è invece il lavoro il tema principe dello spettacolo di Assemblea Teatro Torino che ho visto sabato sera: "Mio padre voleva chiamarmi Libero" è dedicato a Primo Levi, ed al suo primo vero libro da narratore, "La chiave a stella".
Lo spettacolo si svolge, ed è un contesto emozionante, nella palazzina della ex fabbrica di vernici di Settimo Torinese in cui Levi lavorò come direttore tecnico nel dopoguerra, fino alla pensione, ed esattamente nello stesso locale in cui risiedeva il laboratorio, e si provavano le nuove vernici.
La storia di Levi e della fabbrica (anche attraverso interviste filmate a chi ci lavorò in quel periodo) si fonde con la vicenda di Tino Faussone, montatore specializzato che gira il mondo ed è orgoglioso delle sue conoscenze, e ci convince che il lavoro (il lavoro sapiente, utile, concreto, che non ha bisogno di padroni per essere svolto, che produce cose visibili, utili, reali) è una delle vie alla realizzazione di sè e alla felicità, se non ci si rassegna a farne uno alienato e stupido in cui non si riesce ad essere se stessi.
E ieri, per terminare, ho partecipato ad una specie di maratona teatrale dedicata a Dante, e svoltasi sulle ultime propagini delle colline torinesi, con tre spettacoli in tre luoghi diversi (una fortezza sabauda e due centri storici mediavali) tra le 16 e le 21,30.
Ha iniziato Mario Barzaghi, il cui splendido spettacolo sull'Inferno è stato purtroppo interrotto da un autentico nubifragio, ha proseguito il collettivo chivassese del Faber Teater, ed ha terminato, nella chiesa del centro storico di Casalborgone, Lucilla Giagnoni con lo spettacolo "Vergine madre".
Confesso pubblicamente di provare un'attrazione folle per questa attrice, di una bellezza irresistibile e di una bravura straordinaria, da quando la vidi per la prima volta in "Adriano Olivetti" con Laura Curino.
La sua declamazione dei versi del "viaggio" per eccellenza, con l'approfondimento di alcuni dei personaggi descritti nella Commedia (Francesca da Rimini, Ulisse, il Conte Ugolino, Piccata Donati), è stata intervallata da riflessioni acute sul senso del viaggio, sulla religiosità, sul senso di quello che - tutti noi - stiamo facendo.
Questa vita che viviamo correndo, perdendoci perchè non abbiamo il tempo di stare fermi a capire cosa siamo, sembra indicare la paura collettiva della fine prossima ventura: i testi sacri indiani, i Veda, indicano la presente come la fase terminale dell'Età del Ferro, il Kali Yuga, in cui l'uomo si è allontanato definitivamente dalla propria natura divina e dal proprio sè.
Inutile dire che questa scorpacciata di teatro, ma soprattutto questa indigestione di storie su di noi, su quello che siamo, sulle nostre passioni e sulle nostre paure, sul modo in cui cerchiamo di capire una verità - qualunque essa sia - e di dare un senso alla nostra esistenza, mi ha fatto bene.
Mi ha ricordato che la mia attuale paura rispetto alle condizioni del mondo non è un'angoscia solo mia, ma che sulle vicende umane, da sempre, chi ha cervello, chi ha cuore si interroga e prova, se può, a fornire delle proprie umanissime risposte: ma se non riesce, è già molto importante che non cessi mai di condividere le domande che ci angosciano, raccontando con qualsiasi mezzo storie che ci uniscano, ci facciano sentire meno soli, meno disperati.
6 commenti:
Sinceramente ho difficoltà a comprenderti.Sono anni che ho la consapevolezza di essere "sola" ma non per questo mi sento disperata.Per quanto riguarda il teatro credo che sia una delle migliori invenzioni del genere umano,dopo i libri,naturalmente.
E bravo Lupo! Lo sai che ti invidio??
Purtroppo ho troppa poca dimestichezza con il teatro, ma proprio un paio di mesi fa ebbi l'occasione di vedere "Il Re muore" di Ionesco è stata una folgorazione..e mi ero ripromessa di continuare.
Quello spettacolo, sarà stato l'allestimento o che, ma l'ho trovato incredibilmente attuale e di stimolo per successive riflessioni.
In effetti siamo una miriade di solitudini che, forse, devono solo trovare la voglia e/o il coraggio di ricominciare a parlarsi, a condividere. E forse ci si sentirebbe meno soli!
Ciao
Stefi
Anch'io ti invidio un po'. Belli e stimolanti gli spettacoli che ci hai raccontato.
Bellissimo, Lupo! Non vado a teatro da anni, da quando mi sono ammalata e ho utilizzato le forze solo per farmi mangiare, contraddizione!, dalle figlie. Curerebbe molte ferite del cuore!
ps ho risposto a Dario che talvolta si accalora troppo.
angela
E' da tanto che non mi sparo più certe full-immersion !!!!
Ammettilo, vuoi farti invidiare.
Nooooo, non voglio farmi invidiare...è che è stato un evento così eccezionale che forse non capiterà mai più...anche se il teatro non lo mollo più, mi dona troppe emozioni!
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