Segnalo, ripubblicati con intelligenza su foruminsegnanti.it, questo articolo di Mario Pirani su Repubblica di lunedì 21 maggio, nonchè il precedente su Repubblica del 14 maggio, perchè sollevano un problema di fondo su cui dovremmo tutti ragionare (o almeno noi che abbiamo a cuore il futuro di questo paese). Il problema è il passaggio critico, che sta avvenendo negli ultimi 10 anni, dal concetto di scuola pubblica "unica ed indivisibile" al concetto (vago e un po' ambiguo) di "autonomia delle istituzioni scolastiche basata sull'identità culturale".
Ma andiamo con ordine. C'erano una volta i Programmi Nazionali: garantivano in tutte le scuole del Paese (o del Regno, come si diceva un tempo) una uniformità di finalità, obiettivi e contenuti della scuola, ed erano la garanzia (od almeno il tentativo) di non creare scuole di serie A e B sul territorio nazionale.
Dal "Manifesto dei 500", redatto nel 1999 da insegnanti e genitori mobilitati contro la riforma Berlinguer:
"La Costituzione afferma l'eguaglianza dei cittadini, e lo Stato si dovrebbe assumere il compito di rimuovere gli ostacoli alla crescita umana e culturale che possono derivare dalle differenze economiche, di ceto, religiose che esistono tra i cittadini.
Per questo la scuola statale basata sui Programmi Nazionali ha l'obiettivo di essere una scuola aperta a tutti, che non si fonda su idee particolari o su programmi differenziati, che non pone condizioni per nessun iscritto, che rispetta le idee di ognuno e non ha obiettivi diversi tra un istituto e un altro.
La scuola statale non può avere altri obiettivi che i Programmi Nazionali: non può quindi avere l'obiettivo di far profitti sull'istruzione, né quello di far passare particolari idee, convinzioni pedagogiche, politiche, religiose."
La riforma di Berlinguer (il ministro, non il rimpianto Enrico) è la prima, negli anni 1997-2000, a scardinare organicamente i Programmi Nazionali.
(Anche questo si deve ascrivere, al nostro Centrosinistra: di essere stato il primo, cosciente o no, ad aver avviato un piano organico di distruzione della scuola pubblica).
La riforma Moratti (2003) tenta di sostituirli in sordina con "Indicazioni nazionali" redatte in clandestinità e senza validazione giuridica, anche se formalmente i Programmi Nazionali (aggiornati nel '79 e nell'85) non sono mai stati ufficialmente abrogati.
Per fortuna queste indicazioni (illeggittime) sono state di fatto ignorate da buona parte delle scuole italiane, affossando "de facto" l'applicazione pratica della Riforma.
Ma arriva il 2006, e giunge il Ministro Fioroni, che al riguardo la pensa così:
"L’autonomia scolastica e l’interazione, nei contesti locali, tra le diverse autonomie, costituisce il quadro di riferimento principale dei processi di innovazione e di riqualificazione di cui l’intero sistema educativo ha bisogno.
Pretendere di imporla dall’alto, con atti dirigistici legislativi o amministrativi, sarebbe un grave errore. Condannato in partenza all’incomprensione e all’inefficacia. Ciò che occorre non è una logica abrogativa che sarebbe connotata inevitabilmente da rischi conservativi, né tanto meno la restaurazione – evocata da non poche cassandre – di una scuola del passato
che non può più esserci perchè è scomparso il suo mondo di riferimento. Ma, d’altro canto, bisogna evitare la pretesa , ancora una volta di cambiare tutto e subito, anche se il nostro sistema educativo ha senza alcun dubbio bisogno di profonde innovazioni."
In soldoni, ed anche in pratica, i Programmi Nazionali sono un concetto da spedire in soffitta a favore dei POF, che rappresentano "l'identità culturale delle istituzioni scolastiche" (DPR 275 del 1999, articolo 3, "Regolamento delle autonomie scolastiche"), pur nel rispetto delle famose "indicazioni nazionali".
Il problema è di equilibrio, ovviamente. Il rischio forte è che la "identità culturale delle istituzioni scolastiche" diventi un elemento di disgregazione della scuola pubblica, trasformando ogni "istituzione scolastica" in un supermarket dell'offerta didattica e formativa, fortemente condizionato da meccanismi di risposta alla domanda del "mercato" che nulla hanno (e debbono) avere a che fare con una istituzione che deve garantire l'istruzione (a parità di condizioni) verso tutti i cittadini.
Non penso solo al fiorire di scuole confessionali (che in questa fase di aggressività intollerante delle diverse fazioni religiose mi preoccupa non poco), ma anche di scuole "padane" o "buddiste", "patafisiche" o "pleistescioniste", visto che il concetto di "identità culturale" - che non esiste neppure nella Costituzione - si presta ad ogni sorta di interpretazione.
E ultimamente, di ogni cosa importante vedo solo apparire "interpretazioni" nel segno dell'egoismo, della chiusura, del recinto, del localismo spinto, della paura dell'altro, o, peggio, della vacuità più assoluta.
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