La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla causa intentata dalla signora Soile Lautsi contro la Repubblica Italiana è una miniera di informazioni interessanti: prima di tutto sul tema "storico" della esposizione obbligatoria del crocefisso nelle aule scolastiche italiane, ma - ed è la cosa più interessante - anche su quanto il nostro Governo sia ipocrita.
(Qui, cercando in "List of recent judgments" la sentenza CASE OF LAUTSI v. ITALY del 3/11/2009, troverete il testo integrale della sentenza, in francese).
La linea di difesa adottata dal Governo nella causa, infatti, si basa su una minimizzazione e su una mistificazione: si afferma che il crocefisso non è più un simbolo religioso, ma un simbolo portatore di valori umanistici condivisi da tutti.
Ma non solo: è un simbolo che si può tranquillamente ignorare.
"Il crocefisso, in effetti, è esposto nelle aule scolastiche, ma non è richiesto agli insegnanti nè di elevare ad esso il minimo segno di saluto, di riverenza o di semplice riconoscimento, ed ancora meno di recitare preghiere in classe.
Nei fatti, non è loro richiesto di prestare una qualsiasi attenzione al crocefisso."
Insomma, il Governo dice alla Corte: è vero, la nostra è una Repubblica Laica e la religione cattolica non è religione di stato, ma non dovete pensare che quel crocefisso sia una scelta di campo: è un simbolo laico, ormai.
E se proprio a qualcuno dà fastidio, può considerarlo alla stregua di un oggetto di arredamento, non farci caso: si può ignorare, come se non ci fosse.
La solita ipocrisia italica. Perchè di queste argomentazioni, nei lai alzati dagli uomini e dalle donne di governo dopo che la sentenza è diventata pubblica, non c'è traccia: lo stesso Governo che , negli atti di difesa, propone rispetto alla questione posta una tipica via d'uscita all'italiana, in pubblico alza la voce e grida al sacrilegio da parte di un'Europa portatrice di una "ideologia laicista".
Si badi bene: mai una volta, nella sua difesa davanti alla corte, il Governo mette in discussione il principio di laicità dello Stato, che è un valore comune europeo.
Sa di essere in colpa, e si "giustifica" rispetto a questa disarmonia tra laicità ed esposizione di un simbolo che si riferisce ad una specifica confessione.
Ma si guarda bene dal dirlo in pubblico, poi, quando la questione diventa pubblica.
Ma andiamo per ordine, ed entriamo nel dettaglio di questa storia leggendo passo passo la sentenza, che include anche una interessante dissertazione storica sull'argomento.
L'obbligo di esporre il crocifisso nelle scuole risale addirittura a prima della Unità d'Italia, perchè si trova per la prima volta in un decreto reale del 1860 del Regno di Piemonte-Sardegna.
Quando nel 1861 nasce il nuovo Regno d'Italia, esso assume di fatto come Statuto il vecchio testo albertino del 1848 e tutte le leggi sabaude, incluso tale obbligo.
Una circolare del Ministero dell'Istruzione datata 1922 lamenta il fatto che, nel tempo, dalle aule scolastiche delle scuole primarie stiano scomparendo l'immagine di Cristo ed il ritratto del Re, ed intima alle amministrazioni comunali di provvedere a ripristinarle entrambe.
Un decreto reale del 1924, confermato da uno del 1928, definisce il crocefisso come elemento fondamentale dell'arredamento delle aule scolastiche.
I Patti Lateranensi, siglati l'11 febbraio 1929, segnano la "conciliazione" definitiva tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, dopo la crisi seguita all'annessione armata di Roma al Regno d'Italia avvenuta nel 1871.
Il Cattolicesimo viene confermato religione ufficiale dello Stato Italiano.
Il primo articolo del trattato afferma: "L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato dall'articolo 1 dello Statuto Albertino del Regno del 4 marzo 1848, secondo il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato".
Nel 1948, lo Stato Italiano adotta la sua Costituzione Repubblicana.
L'articolo 7 riconosce esplicitamente che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel suo ambito, indipendenti e sovrani. I rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi e le modifiche degli stessi accettate dalle due parti non richiedono una procedura di revisione costituzionale.
L'articolo 8 enuncia che le confessioni religiose diverse da quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purchè non siano in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano.
Il nuovo accordo tra Stato e Chiesa del 18 febbraio 1984, firmato dal Cardinale Casaroli e dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi, modifica in parte i Patti Lateranensi e stabilisce esplicitamente (nel Protocollo Aggiuntivo che interpreta gli effetti degli articoli) che "si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano. "
Ne discende, come conseguenza, che la Corte Costituzionale, in una sentenza del 1989 rispetto al carattere non obbligatorio dell'insegnamento della religione cattolica, afferma che la Costituzione contiene in diversi articoli ( 2, 3, 7, 8, 9, 19 e 20) il principio di laicità dello Stato, e che il carattere confessionale dello Stato è stato esplicitamente abbandonato nel 1985, in virtù del Protocollo Aggiuntivo ai nuovi accordi con la Santa Sede.
Nel 2001, la signora Lautsi (che ai tempi ha due figli di 11 e 13 annni che frequentano un istituto comprensivo di Abano Terme) ritiene che la presenza dei crocefissi in aula sia contraria al principio di laicità dello Stato, al quale intende ispirare l'educazione dei propri figli, e chiede alla scuola di rimuoverli, anche in virtù del fatto una sentenza della Corte di Cassazione, nel 2000, ha giudicato contrario al principio di laicità dello Stato la presenza di un crocefisso nei locali dei seggi elettorali preparati per le elezioni politiche.
La scuola decide di mantenere i crocefissi al loro posto, e la signora Lautsi ricorre allora al TAR del Veneto.
Il 3 ottobre 2002, il Ministero della Pubblica Istruzione (guidato da Letizia Moratti) entra nella questione con questa direttiva:
La linea di difesa adottata dal Governo nella causa, infatti, si basa su una minimizzazione e su una mistificazione: si afferma che il crocefisso non è più un simbolo religioso, ma un simbolo portatore di valori umanistici condivisi da tutti.
Ma non solo: è un simbolo che si può tranquillamente ignorare.
"Il crocefisso, in effetti, è esposto nelle aule scolastiche, ma non è richiesto agli insegnanti nè di elevare ad esso il minimo segno di saluto, di riverenza o di semplice riconoscimento, ed ancora meno di recitare preghiere in classe.
Nei fatti, non è loro richiesto di prestare una qualsiasi attenzione al crocefisso."
Insomma, il Governo dice alla Corte: è vero, la nostra è una Repubblica Laica e la religione cattolica non è religione di stato, ma non dovete pensare che quel crocefisso sia una scelta di campo: è un simbolo laico, ormai.
E se proprio a qualcuno dà fastidio, può considerarlo alla stregua di un oggetto di arredamento, non farci caso: si può ignorare, come se non ci fosse.
La solita ipocrisia italica. Perchè di queste argomentazioni, nei lai alzati dagli uomini e dalle donne di governo dopo che la sentenza è diventata pubblica, non c'è traccia: lo stesso Governo che , negli atti di difesa, propone rispetto alla questione posta una tipica via d'uscita all'italiana, in pubblico alza la voce e grida al sacrilegio da parte di un'Europa portatrice di una "ideologia laicista".
Si badi bene: mai una volta, nella sua difesa davanti alla corte, il Governo mette in discussione il principio di laicità dello Stato, che è un valore comune europeo.
Sa di essere in colpa, e si "giustifica" rispetto a questa disarmonia tra laicità ed esposizione di un simbolo che si riferisce ad una specifica confessione.
Ma si guarda bene dal dirlo in pubblico, poi, quando la questione diventa pubblica.
Ma andiamo per ordine, ed entriamo nel dettaglio di questa storia leggendo passo passo la sentenza, che include anche una interessante dissertazione storica sull'argomento.
L'obbligo di esporre il crocifisso nelle scuole risale addirittura a prima della Unità d'Italia, perchè si trova per la prima volta in un decreto reale del 1860 del Regno di Piemonte-Sardegna.
Quando nel 1861 nasce il nuovo Regno d'Italia, esso assume di fatto come Statuto il vecchio testo albertino del 1848 e tutte le leggi sabaude, incluso tale obbligo.
Una circolare del Ministero dell'Istruzione datata 1922 lamenta il fatto che, nel tempo, dalle aule scolastiche delle scuole primarie stiano scomparendo l'immagine di Cristo ed il ritratto del Re, ed intima alle amministrazioni comunali di provvedere a ripristinarle entrambe.
Un decreto reale del 1924, confermato da uno del 1928, definisce il crocefisso come elemento fondamentale dell'arredamento delle aule scolastiche.
I Patti Lateranensi, siglati l'11 febbraio 1929, segnano la "conciliazione" definitiva tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, dopo la crisi seguita all'annessione armata di Roma al Regno d'Italia avvenuta nel 1871.
Il Cattolicesimo viene confermato religione ufficiale dello Stato Italiano.
Il primo articolo del trattato afferma: "L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato dall'articolo 1 dello Statuto Albertino del Regno del 4 marzo 1848, secondo il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato".
Nel 1948, lo Stato Italiano adotta la sua Costituzione Repubblicana.
L'articolo 7 riconosce esplicitamente che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel suo ambito, indipendenti e sovrani. I rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi e le modifiche degli stessi accettate dalle due parti non richiedono una procedura di revisione costituzionale.
L'articolo 8 enuncia che le confessioni religiose diverse da quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purchè non siano in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano.
Il nuovo accordo tra Stato e Chiesa del 18 febbraio 1984, firmato dal Cardinale Casaroli e dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi, modifica in parte i Patti Lateranensi e stabilisce esplicitamente (nel Protocollo Aggiuntivo che interpreta gli effetti degli articoli) che "si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano. "
Ne discende, come conseguenza, che la Corte Costituzionale, in una sentenza del 1989 rispetto al carattere non obbligatorio dell'insegnamento della religione cattolica, afferma che la Costituzione contiene in diversi articoli ( 2, 3, 7, 8, 9, 19 e 20) il principio di laicità dello Stato, e che il carattere confessionale dello Stato è stato esplicitamente abbandonato nel 1985, in virtù del Protocollo Aggiuntivo ai nuovi accordi con la Santa Sede.
Nel 2001, la signora Lautsi (che ai tempi ha due figli di 11 e 13 annni che frequentano un istituto comprensivo di Abano Terme) ritiene che la presenza dei crocefissi in aula sia contraria al principio di laicità dello Stato, al quale intende ispirare l'educazione dei propri figli, e chiede alla scuola di rimuoverli, anche in virtù del fatto una sentenza della Corte di Cassazione, nel 2000, ha giudicato contrario al principio di laicità dello Stato la presenza di un crocefisso nei locali dei seggi elettorali preparati per le elezioni politiche.
La scuola decide di mantenere i crocefissi al loro posto, e la signora Lautsi ricorre allora al TAR del Veneto.
Il 3 ottobre 2002, il Ministero della Pubblica Istruzione (guidato da Letizia Moratti) entra nella questione con questa direttiva:
Prot. n. 2666
Il competente Dipartimento del Ministero dell’Istruzione dell'Università e della ricerca provvederà ad impartire le occorrenti disposizioni perché:
- sia assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche;
- ogni istituzione scolastica, nell’ambito della propria autonomia e su delibera dei competenti organi collegiali, renda disponibile un apposito ambiente da riservare, fuori dagli obblighi ed orari di servizio, a momenti di raccoglimento e di meditazione dei componenti della comunità scolastica che lo desiderino.
La direttiva non è una legge, ovviamente, ed inoltre su questa direttiva aleggia un certo mistero, come potete leggere qui: la direttiva risulta emessa, ma mai firmata dal ministro e (forse) mai giunta alle scuole.
Nel 2004, il TAR del Lazio giudica ammissibile la questione di costituzionalità posta dalla ricorrente e la pone alla Corte Costituzionale.
Il Governo sostiene che la presenza del crocefisso dentro le aule scolastiche sia un "fatto naturale", poichè non è solo un simbolo religioso ma anche la "bandiera della Chiesa Cattolica", che è stata la sola Chiesa nominata nella Costituzione (articolo 7).
Nello stesso anno, la Corte Costituzionale si dichiara incompetente a decidere sulla questione di costituzionalità perchè il motivo del contendere non è previsto in leggi ma in regolamenti, che non hanno valore di leggi.
Continua intanto la procedura davanti al TAR, che nel marzo 2005 respinge il ricorso, affermando che il crocefisso è un simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell'identità italiana, ed il simbolo dei principi di legalità, di libertà e di tolleranza oltre che della laicità dello Stato.
La ricorrente avanza ricorso al Consiglio di Stato, che il 13 febbraio 2006 rigetta il ricorso, motivandolo con il fatto che la croce è diventata uno dei valori laici della Costituzione Italiana e rappresenta i valori della vita civile.
A questo punto, il ricorso viene presentato a livello europeo, ipotizzando una possibile violazione della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (uno dei documenti fondanti dell'Unione Europea), e porta alla sentenza UNANIME della corte emessa il 3 novembre.
Il ragionamento della signora Lautsi è il seguente.
Il crocefisso viene esposto nelle aule in relazione a disposizioni che sono datate 1924 e 1928 e che sono considerate tuttora in vigore, nonostante siano anteriori all'entrata in vigore della Costituzione (1948) e soprattutto agli ultimi accordi tra Stato e Chiesa del 1984, in seguito ai quali la religione cattolica non è più religione di stato.
Tali disposizioni sono il frutto di una concezione confessionale dello Stato superata, appunto, dal 1984: non si capisce dunque per quale motivo lo Stato riconosca alla religione cattolica, con l'esposizione del crocefisso nelle aule, una posizione di privilegio che si traduce in una ingerenza nel diritto di libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Inoltre, il crocefisso è un simbolo inequivocabilmente religioso, malgrado si tenti di accreditarlo in modo diverso usando chiavi di lettura storiche e culturali.
Uno Stato laico non dovrebbe mai dare la sensazione di privilegiare una confessione religiosa rispetto ad un'altra, e soprattutto di fronte alle persone che sono più vulnerabili a causa della loro giovane età.
Come risponde il Governo italiano, di fronte alla Corte, a queste argomentazioni?
Afferma che si tratta di un questione più filosofica che giuridica. Che il simbolo in questione è ormai, più che specificatamente religioso, portatore di un messaggio umanistico e relativo a valori condivisi.
La croce rinnova un messaggio che è perfettamente compatibile con la laicità ed accessibile anche ai non cristiani ed ai non credenti.
In conclusione, il simbolo della croce può essere percepito come deprivato di significato religioso, e la sua esposizione in un luogo pubblico non costituisce in sè un attentato ai diritti ed alle libertà garantite dalla Convenzione.
Nello specifico, non è negata o meno la libertà di aderire o meno ad una religione: in Italia questa libertà è pienamente garantita. Il crocefisso, in effetti, è esposto nelle aule scolastiche, ma non è richiesto agli insegnanti nè di elevare ad esso il minimo segno di saluto, di riverenza o di semplice riconoscimento, ed ancora meno di recitare preghiere in classe. Nei fatti, non è loro richiesto di prestare una qualsiasi attenzione al crocefisso.
Secondo il Governo, l'esposizione della croce non mette in discussione la laicità dello Stato, principio che è inscritto dentro la Costituzione e negli accordi con la Santa Sede. Essa (l'esposizione) non viene considerata il simbolo di preferenza verso una religione, perchè si riferisce ad una tradizione culturale e di valori umanisti sostenuti anche da persone diverse dai cristiani. In conclusione, l'esposizione della croce non disconosce il dovere di imparzialità e di neutralità dello Stato.
Inoltre, il Governo chiede alla Corte di essere prudente e di astenersi dal dare un contenuto preciso al principio di "laicità dello Stato", ad esempio interdicendo la semplice esposizione di simboli.
Questo darebbe un "contenuto materiale predeterminato" al principio di laicità, il che sarebbe in contrapposizione alla legittima diversità degli approcci nazionali e condurrebbe a conseguenze imprevedibili.
Il Governo non sostiene che sia necessario, opportuno o desiderabile mantenere il crocefisso nelle aule scolastiche, ma la scelta di mantenerlo o no risponde a criteri di opportunità, non di legalità.
La Repubblica Italiana, benchè laica, ha deciso liberamente di lasciare il crocefisso nelle aule scolastiche per diversi motivi, tra cui la necessità di trovare un compromesso con i partiti di ispirazione cristiana che rappresentano una parte essenziale della popolazione e del suo sentimento religioso.
Quanto a sapere se un insegnante è libero di esporre altri simboli religiosi dentro un'aula, nessuna disposizione lo proibisce.
La Corte, sulla vicenda in questione, ha sentito un parere "terzo" e indipendente: il Greek Helsinki Monitor (GHM) (1).
Secondo il GHM, la tesi che il crocefisso non debba essere inteso come simbolo religioso, ma come simbolo "altro" (portatore di valori umanisti), non è accettabile, ed anzi potrebbe essere considerata offensiva per la Chiesa. Il Governo italiano non è probabilmente in grado di indicare un solo non-cristiano che sia d'accordo con questa tesi.
Se il crocefisso non deve essere nè salutato, nè degnato di attenzione, ci si chiede perchè allora venga affisso.
Il GHM osserva che, secondo i "Principi di Toledo per l'insegnamento relativo alle religioni e convinziioni nelle scuole pubbliche" pubblicati dall'OCSE (qui il testo scaricabile in inglese e spagnolo) , la presenza di un tale simbolo dentro una scuola pubblica può costituire una forma di insegnamento implicito di una religione, ad esempio dando l'impressione che questa religione particolare sia favorita in rapporto alle altre.
Alla fine, la Corte, all'unanimità, svolge le seguenti riflessioni:
"La Corte non è riuscita a a comprendere come l'esposizione, nelle aule di scuole dello Stato, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato al Cattolicesimo (la religione maggioritaria in Italia) possa essere funzionale al pluralismo educativo che è considerato essenziale per la preservazione di una "società democratica" così come concepita dalla Convenzione, un pluralismo che è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale Italiana. L'esibizione forzosa del simbolo di una confessione specifica in premessa usata dalle pubbliche autorità, e specialmente nelle aule, di conseguenza ha limitato il diritto dei genitori di educare i loro figli nel rispetto delle loro convinzioni, ed il diritto dei bambini di credere o non credere.
La Corte ha concluso, ALL'UNANIMITA' , che si è rilevata una violazione dell'Articolo 2 del protocollo n.1 unitamente all'articolo 9 della Convenzione (2)" .
Dunque, una sentenza tutt'altro che VIOLENTA, come si spinge ad affermare il Ministro Gelmini.
Anzi: su un argomento del genere, il Governo ha saputo pacatamente porre le proprie argomentazioni a difesa. Riconfermando la laicità dello Stato, come abbiamo visto, e traslando la portata del simbolo, chiedendo di non considerarlo più "simbolo religioso" ma "simbolo umanista".
Asserendo addirittura che non esiste alcuna direttiva che impedisca agli insegnanti di apporre in aula simboli di altre confessioni religiose in aula.
Ma appena la sentenza viene resa nota, ecco che il Governo cambia volto ed abbandona la sua posizione "ragionevole e laica". Lamenta l'aggressione laicista e secolarista, rinnega la sua stessa posizione "laicista ma tollerante verso il simbolo", e ridiventa un megafono ipocrita del Vaticano.
Al punto che la Lega Nord, la formazione più pagana ed antievangelica che si sia in tempi recenti aggirata sul territorio nazionale, arriva al paradosso blasfemo di usare la questione crocefisso per un'ennesima crociata: ovviamente non in difesa della religione cattolica, ma in "offesa" di tutti coloro nei cui confronti questo simbolo può essere usato come elemento di divisione e discriminazione religiosa o razziale.
Il "moderato" Cota, capogruppo alla Camera e candidato leghista alla Presidenza della Regione Piemonte, ha affermato: "Noi vogliamo il crocefisso nelle aule PERCHE' non vogliamo diventare musulmani", violentando contemporaneamente la ragione e la logica.
Ovviamente, la sentenza (che tutti possono leggere con una conoscenza elementare del francese) è lì a disposizione di chiunque voglia capire la materia del contendere: ed il modo migliore per non farlo è, come sempre, accontentarsi della informazione di regime strombazzata dai TG.
UPDATE: leggo ora (17,30) dal sito di Repubblica le seguenti dichiarazioni del Cardinale Bagnasco.
Crocifisso. Di fronte alla ''surreale'' sentenza emessa dalla Corte europea di Strasburgo a proposito della presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane, ''bene ha fatto il Governo ad annunciare ricorso''. Dice Bagnasco che parla di una sentenza ''sorprendente'' e ''alquanto surreale''. "Un'impostura" di minoranze esigue che rischiano di far allontanare l'Europa dalla gente.
Credo che ognuno possa valutare da solo chi, in questa storia, si collochi tra gli impostori della peggior specie.
(1) Il GHM è un'organizzazione per la tutela dei diritti umani che realizza principalmente attività di monitoraggio sui media dell'area balcanica, redige Rapporti e Pubblicazioni sulla situazione delle minoranze etniche, linguistiche e religiose in Grecia.
(2) Articolo 9 della Convenzione: Libertà di pensiero, di coscienza e di religione 1 Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. 2 La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui. Articolo 2 del Protocollo 1: Diritto all'istruzione Il diritto all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.
8 commenti:
grazie infinite caro Lupo, una pagina utilissima la tua, stampo e porto all'insegnante di italiano di Giulia.
Dei cristiani al governo, dei monsignori al governo, provo ormai solo pena: dead men walking!
bel post, complimenti.
vorrei far notare che in questo caso, ovvero stavolta, poiché a sollevare la questione è stata una finlandese, quindi una intoccabile e rispettabile europea, non c'è stato il solito linciaggio verbale che sarebbe invece sistematicamente toccato a un altro soggetto che fosse invece appartenuto ad un'altra religione/cultura (qualsiasi). qualche tempo fa la stessa questione fu sollevata infatti da una famiglia musulmana, e la reazione immediata, sulle bocche di tutti gli italianetti, fu: eh, ma "loro" mica lo farebbero se fossimo "noi" a chiederglielo (o variazioni sul tema). il che da una parte rivela la immancabile ipocrisia che va a braccetto con la cultura degenerata cattolica (due pesi e due misure, e tutti subito pronti alla crociata contro l'infedele - se musulmano, però), dall'altra il fatto che se si afferma una cosa del genere si paragona e quindi automaticamente si mettono sullo stesso piano lo stato laico (buhahahahahah) italiano a quello teocratico e fondamentalista dell'esempio in questione, ovverosia si confrontano due realtà che o sono completamente diverse (e allora il paragone non avrebbe senso), oppure hanno entrambe un carattere di teocrazia (più o meno manifesta e fondamentalista), e qui casca l'asino.
infine: Bersani non ci ha fatto una bella figura con il suo "simbolo inoffensivo"...e da quando, con la croce ci si copre pure il ku klux klan! Ipocrisia e mediocrità tutta italica!
Si, sono d'accordo: una cosa o ha significato o non ce l'ha.
La strategia dello sminuire non mi piace chiunque la adotti, è una strategia ipocrita.
Ottimo, davero ottimo post.
Grazie
Davvero molto interessante.Forse è vero che il crocefisso può diventare "parte dell'arredamento", senza particolari significati religiosi; ma solo per noi occidentali. A me è capitato che un alunno musulmano mi chiedesse di toglierlo dalla parete dell'aula, perché se ne sentiva offeso (lo abbiamo fatto). Aggiungo poi che ricordo di aver letto che il simbolo della Croce, a noi così familiare, susciterebbe terrore in un ipotetico individuo completamente primitivo ('queste persone crocifiggono i loro simili? ah no meno male, lo fanno solo alla divinità'). Dico queste cose da credente e praticante, come credo altri tuoi commentatori: il rispetto e la libertà d'opinione e di culto sono imprescindibili in un paese civile. Grazie per questo post così esauriente.
Bravissimo.
Davvero Lupo, grazie, un'ottima esposizione giuridica e filosofica...tanto per "centrare" la questione...grazie davvero
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