giovedì, maggio 28, 2009

La nostra voce dal cassonetto

Antefatto: Su una mailing list dedicata ai Comitati Genitori attivi nel mondo della scuola, è apparso un post di un genitore disperato alle prese con un docente "inadeguato". Poichè situazioni del genere si presentano in ogni scuola, incluse quelle frequentate dai miei figli, e in genere non esiste soluzione (normalmente il dirigente scolastico, allargando le braccia, dice "fosse per me lo caccerei via, ma sa, questi maledetti sindacati..."), vorrei porgervi alcune mie riflessioni al riguardo.

In un mondo ideale, in uno Stato ideale, esisterebbe una particolare attenzione a questi problemi: e le persone che cadono in uno stato di debolezza e di vulnerabilità , dopo aver offerto magari egregiamente per decenni i propri servigi alla comunità, sarebbero aiutate a mantenere dignità, rispetto e risorse per vivere offrendo loro ruoli adeguati al nuovo stato, al nuovo equilibrio precario in cui si trovano.
Ma qui siamo in uno Stato reale, corroso dal mito spietato (e spesso mendace) della competizione. Ed oltre il ring su cui si combatte non c'è nulla, c'è l'abisso, c'è la notte della miseria e dell'esclusione.
C'è chi - per motivi che possono capitare a tutti - inciampa in problemi di salute, di vita difficile. E c'è chi - perchè accade - ha proprio sbagliato strada, perchè nessuno ha saputo o osato dirgli di guardarsi dentro con sincerità al momento giusto, e anche se continuasse mille anni non sarà mai un bravo studente/docente/ genitore, se nessuno gli da una mano a cambiare percorso. Oppure, semplicemente, c'è chi ha esaurito la propria spinta motivazionale, si è stufato di fare quello che fa, ma non può cambiare perchè è in chiuso in trappola dal bisogno, dalle sbarre fatte di affitto/pranzi e cene/bollette/ mutuo...in questo mondo, chi è in difficoltà rimane quasi subito SOLO.
A chi perde il passo (studente, docente, genitore), non resta dunque che resistere disperatamente, attaccato alle corde, piegato sulle ginocchia, perchè è meglio esistere così (umiliandosi, soffrendo per primi per la propria condizione) che non esistere più, scomparire, esser buttati fuori. Bollato come "inadeguato" , o peggio, "fannullone" , l'unica via che resta è resistere oltre ogni "ragionevolezza" .
La situazione così diventa catastrofica per tutti, soprattutto se hai il compito di creare e sviluppare relazioni con persone che dipendono da te, ma non c'è salvezza.
O meglio, si: c'è quella più semplice, quella che si sta adottando oggi. Spostare i "problemi sociali" fuori dalla porta. Ignorando che dentro i "problemi sociali" ci sono le persone, fatte di carne ed ossa, di bisogni e di sofferenze, di emozioni e di speranze. E se non bastano le porte che ci sono, costruirne di nuove.
E allora lo studente "perduto" capirà da solo che non è più il caso di iscriversi a scuola, dove sempre meno persone avranno sempre meno tempo per occuparsi di capire come ridare un senso al suo percorso, perchè Barbiana è ormai un luogo mitologico che forse non è nemmeno mai esistito per davvero.
Il docente in difficoltà non verrà più chiamato dal "dirigente con ampi poteri" conferitigli a breve dalla visione Aprea: la scuola sceglierà i docenti migliori, che sceglieranno gli studenti migliori. Per la gioia di tutti, incluse le famiglie (ognuna delle quali pensa, ovviamente, di aver diritto al meglio e di entrare senza dubbio nel novero della parte più privilegiata della società).
Le famiglie migliori (quelle che potranno esserlo, sfuggite per caso alla morsa della crisi o a "problemi sociali") applaudiranno. Le altre, semplicemente scompariranno dalla scena (fino a quando non decideranno di riprendersela) , nella stessa oscurità in cui si muoveranno gli studenti ed i docenti (e tutte le altre categorie sociali decadute) "non all'altezza" .

Soluzioni? No, non ne ho. Ma ho paura di un mondo in cui non è sufficiente essere persone per avere il diritto ad "esistere". Un mondo in cui, se non rispondi più agli standard, ti guardano allargando le braccia e ti prenotano per la rottamazione, indicandoti semplicemente la porta. Dove un diritto "forte" (il legittimo diritto di avere insegnanti capaci, bravi, appassionati per i propri figli), incrociando un altro diritto "forte" (la resistenza sindacale che inchioda la persona inadatta al posto ormai sbagliato, perchè è l'unico modo di farla sopravvivere) , schiaccia senza speranza i diritti deboli (il diritto dei ragazzi di avere una educazione adeguata, il diritto di ogni persona di svolgere un lavoro adeguato alle proprie capacità ed alle proprie condizioni).

Così l'unica cosa che si può fare (e che si fa normalmente) è spostare a rotazione il "fardello umano" costituito dal docente "inadeguato" (o dall'impiegato "incapace"), scontentando tutti, aumentando il livello di ostilità ed insoddisfazione reciproca. Ed alimentando le pulsioni peggiori, quelle che vedono le persone come merci che vanno gettate via non appena scadono, o quando non servono, o quando fanno paura, o quando ci rendono complicata la vita perchè ne alterano l'equilibrio. Il docente inadeguato e lo studente svogliato considerati come i clandestini, insomma: da respingere, da portare fuori dalla nostra vista.

Dovremo dunque, tutti insieme, ingegnarci per trovare una soluzione diversa dal semplice "escludere": e per farlo occorre iniziare a ragionare in modo più complesso, ad abbracciare non solo l'orizzonte del nostro presente, ma considerare che esiste anche quello degli altri. Capire che se l'altro - chi entra in relazione con noi - ha un problema, forse è meglio ragionare con lui su quale sia la possibile soluzione: avvicinarsi all'altro, interessarsi dell'altro, non allontanarsene lasciandolo solo con il "suo" problema. Così forse troveremo una soluzione umana, equa, giusta, ragionevole per tutti: o almeno potremo dire di averci provato.

La qualità (della vita, dell'educazione, delle merci, dei servizi) è una aspirazione
occidentale interiorizzata e di cui siamo orgogliosi, ma dobbiamo chiarirci bene sul prezzo umano che siamo disposti a pagare per averla.
Perchè se siamo disposti a "rottamare gli inadeguati e gli inutili", dobbiamo avere ben chiaro che un giorno potrà toccare a noi, diventare vecchi, deboli, poveri, rincoglioniti e non efficienti: e se avremo accettato l'idea - quand'eravamo potenti e forti - che chi non funziona viene buttato via, scopriremo con terrore che nessuno, quando verrà il nostro turno, avrà più voglia di ascoltare la nostra fiebile voce che esce dal cassonetto.

8 commenti:

dario ha detto...

;-) che strano, Lupo, di solito sono io a fare i ragionamenti sui grandi sistemi e tu invece mi tieni al guinzaglio sui problemi reali.
In questo caso mi pare che sei tu a generalizzare un po'...

Dunque, penso che in generale hai ragione. Pero' io, quand'ero studente (mmmh... non essendo genitore non riesco a immedesimarmi in quei panni), quando lo ero, e avevo anch'io docenti inadeguati, be', non e' che capitasse poi cosi' tanto spesso che la loro inadeguatezza fosse l'effetto di rincoglionimento senile o esaurimento nervoso dopo una vita gloriosa passata sulle cattedre da insegnante appassionato. Ricordo ad esempio un prof di Matematica al liceo (ma e' solo un esempio) che, immigrato di fresco dalla sicilia, non solo non riusciva a spiegare la materia in modo adeguato, non solo dimostrava palesemente di non conoscerla, non solo non riusciva nemmeno a costruire un periodo ipotetico con congiuntivi e condizionali nel posto giusto (cosa che non e' a rigore richiesta ad un insegnante di matematica, ma dimostra la sottocultura di quel tipo), ma difficilmente riusciva ad esprimersi in modo da essere semplicemente capito da chi l'ascoltava. Ricordo ad esempio un aneddoto divertente in cui parlando con il bidello (invece lombardo da un numero imprecisato di generazioni) chiedeva informazioni su "la Rossi" (un'altra docente). Il bidello gli aveva offerto una bottiglia di "Gazzosa", comprendendo male la richiesta.
Ora, mettila un po' come vuoi... a rigore secondo me quel signore non doveva nemmeno diventare prof, non avrebbero dovuto consentirgli di laurearsi - almeno non in quelle condizioni. O, meglio, lo stato avrebbe dovuto formarlo nella maniera adeguata, che' magari (chi lo sa'?) lui sarebbe diventato un bravo insegnante di matematica.
Ma se il sindacato o chi per esso difende strenuamente il suo posto a prescindere dalla sua preparazione e, quindi, dalla sua capacita' di comunicarla ai suoi studenti, mi pare che qualcosa non vada.

Secondo me, se c'e' un metro per decidere se un insegnante e' adeguato oppure no, quale che sia quel metro, ci dovrebbe essere modo per evitare che chi non e' adeguato non ricopra quel ruolo. Il che non dovrebbe significare che quella persona e' svalutata umanamente o che non debba avere accesso ad altri ruoli, si spera adeguati, che la societa' gli offre, ma sicuramente un insegnante di matematica che non e' in grado di insegnare matematica non riuscira' ad insegnare matematica, e uno studente con quell'insegnante difficilmente apprendera' la matematica.

La mia impressione invece, nei pochi rapporti che ho avuto con i sindacati nella mia vita lavorativa o in quanto consumatore di servizi e' stata che il sindacato difende il posto di lavoro a prescindere. Posso capire che cio' avvenga come atto di solidarieta' verso chi e' in una situazione temporanea - o anche non molto temporanea - di inadeguatezza, anche al limite come tampone sociale. Ma che cio' avvenga verso colui che non ha, non ha mai avuto e non avra' mai i requisiti per essere produttivo in quel ruolo mi pare davvero una forzatura. E qui "produttivo" mi pare un concetto cruciale, visto che parliamo della cultura dei nostri ragazzi.

Tanto per concludere l'aneddoto, l'anno successivo per fortuna quel prof e' stato trasferito dal mio liceo ed e' stato sostituito da un altro prof, che pure veniva dal sud, e con il suo accento pugliese mi ha insegnato ad amare la matematica. Non fosse stato per lui io probabilmente non sarei qui, adesso.

luposelvatico ha detto...

Dario, hai introdotto giustamente un elemento che ho lasciato dietro le quinte, ovvero il fatto che nella scuola italiana - e questo è dovuto alla fortissima e colpevole resistenza del sindacato - non esista e non si sia mai riusciti a mettere in piedi un sistema condiviso di valutazione degli insegnanti, che invece esiste ed è normalmente adottato senza patemi in altri stati europei. Allo stesso modo, non esiste un sistema condiviso di valutazione dei dirigenti scolastici, a cui la prossima riforma (DDL Aprea) assegna un ruolo decisionale molto forte con possibilità di assunzione diretta dei docenti.
Anche nella mia storia scolastica, come in quella dei miei figli, ci sono docenti totalmente privi di competenze e personalità, o insegnanti di inglese con imbarazzanti inflessioni dialettali: ma come dici giustamente tu, più che porsi il problema di come "sbatterli fuori" oggi, sarebbe più giusto capire come impedire che entrino domani (meglio buttar via un ciclo di magistrali che un'intera vita in una professione sbagliata, a cui non si è adatti).Allo stesso modo, e questo dovrebbe valere per tutti i settori ed in particolare per chi insegna ed educa, ci dovrebbero essere "vie di fuga" per cambiar mestiere quando uno sente o capisce o gli viene detto che non è più adatto per un certo ruolo, mentre oggi l'unica alternativa offerta è, appunto, il... cassonetto: da qui,in un circolo vizioso che non si spezza mai, l'abbarbicamento sindacale al posto-pure-se-sbagliato.
E' evidente che, visto che sono d'accordo con lo scardinamento dei muri, il fatto che un insegnante possa essere indotto a cambiare mestiere non mi scandalizza affatto: mi aspetto però che lo Stato inizi, come tentò il buon Bersani, a scardinare anche quei recinti che oggi impediscono l'accesso delle moltitudini alle professioni di casta (il notaio, il farmacista...), che alzano barricate più solide di qualunque veterosindacato: il che penso proprio che non avverrà.

Licia Titania ha detto...

Argomento spinosissimo!! condivido naturalmente il fondo del tuo post, ed il fatto che chi è in difficoltà non dovrebbe essere lasciato solo né, tantomeno, deriso (come invece ho visto accadere)...ma sai, il nostro è un mestiere difficile, perché dopo un po' che lo facciamo, almeno nella maggior parte dei casi, anche se - a volte, alcuni -siamo incapaci e un po' ignoranti, noi LO AMIAMO: Cioè lasciare i ragazzi non è come lasciare un'azienda. Ho conosciuto colleghi insegnanti in difficoltà del tipo descritto da te e da Dario; tali difficoltà erano dolorosamente acuite, non solo dal fatto di esserne coscienti, ma anche da un senso di frustrazione perché avrebbero voluto "far bene" e trasmettere il loro sapere. Comunque in caso di problema grave (ad esempio problemi particolari di salute, ma non solo) c'è una legge che ci permette di cambiar lavoro, anzi ci può obbligare a farlo, finendo ad esempio in una biblioteca: come direbbe un mio amico "che...fortuna!" Una mia ex collega ha chiesto ed ottenuto di cambiare per poter meglio seguire la madre ammalata; non insegna più da anni; è clinicamente depressa, magari lo sarebbe anche con i ragazzi ma...forse no. Forse a scuola era un po' distratta dai suoi problemi ma, umanamente, ha dato molto a chi l'ha avuta come prof. Scusa se mi sono infervorata, ovviamente neanch'io ho la soluzione ma volevo dare il mio contributo e dire anche a Dario che i prof che non amano i ragazzi ed il loro lavoro (magari facendo di tutto per dissimularlo, quell'amore) non sono poi così numerosi. Ciao:-)

dario ha detto...

Licia.
Non sono d'accordo con te. Non sono poi cosi' isolati i casi degli insegnanti imbecilli. Io ne ho avuti alcuni. Diciamo non meno del dieci per cento, considerando tutti quelli attraverso i quali sono passati, contando anche quelli di ginnastica e di religione.
E del rimanente novanta per cento, detto proprio francamente, quelli che riuscivano a far passare un po' di amore per i propri studenti erano ben pochi. Diciamo il cinquanta per cento, per essere larghi. La maggior parte si poneva come scopo di seguire il programma marcandolo stretto senza la minima preoccupazione che qualcuno, eccetto i soliti tre o quattro secchioni della classe, capisse una beatissima minchia di quel che insegnavano. Di quel 45% (il 50% del 90%), direi che quasi tutti seguivano il programma perche' dovevano seguire il programma, non perche' erano d'accordo con esso, dimostrando quindi, che se in qualche modo provavano un senso di amore per la materia, be', la materia che amavano era una loro personale interpretazione. Di sicuro non amavano quel che erano costretti ad insegnare.

Certo quel che stiamo vivendo in questo periodo non aiuta affatto a migliorare la situazione, anzi, la peggiora sicuramente. Ma dire che gli insegnanti sono cosi' belli bravi e buoni e abbiano questa romantica aspirazione a rispondere al sacrificio della chiamata divina mi pare francamente un po' fuorviante.
(continua...)

dario ha detto...

(...continua)
Io sono stato bocciato in terza liceo. Con quattro materie: italiano, latino, storia e inglese. Per l'inglese avevo una emerita idiota che non era in grado nemmeno di capire che io non ero poi malaccio con la lingua e che se non riuscivo ad appassionarmi minimamente alla letteratura era perche' lei nemmeno ci era appassionata minimamente. Solo che ovviamente era lei incaricata di giudicare me e non viceversa. Storia ce l'ho avuta perche' avevo un cinque e mezzo in storia e uno in filosofia, e la prof si e' arrogata il diritto di fare una media del pastone e mettere cinque in storia e sei in filosofia (tra l'altro in filosofia ero proprio bravo perche' non mi limitavo a studiare con impegno una materia che mi piaceva, come faceva il resto della classe, ma ci ragionavo criticamente). Allo stesso modo il prof di italiano e latino aveva fatto una media tra il tre di italiano e il sette in latino per fiondarmi due cinque.
Al mio papa', comprensivo e amorevole, avevano raccontato che la bocciatura era finalizzata al mio bene, che con un anno in piu' su quei programmi sarei riuscito ad apprendere meglio le loro materie rallentando anche un po' il ritmo che giudicavano troppo pressante su di me. Mai a nessuno, probabilmente, e' venuto in mente che se avevo tre in italiano perche' non mi applicavo nella letteratura e non sapevo scrivere temi, forse era perche' nessuno mi introduceva come si deve nella materia e nessuno mi aveva insegnato prima come si fa a scrivere un tema. A nessuno era mai sembrato strano che avevo voti come sette in latino, nove in matematica, otto in fisica accostati a voti come cinque in storia, tre in italiano (cioe, dico: tre! non so se si e' notato! Come diavolo si fa a dare tre in un tema o in una interrogazione di italiano? Significa che proprio non ho scritto/risposto un cazzo!).
Ma a questo loro non ci avevano pensato. Per loro amare lo studente e la materia significa sbarazzarsi di me e darmi in pasto ai prof (diversi) dell'anno successivo. E quando il mio papa' si era fatto convincere della bonta' della loro decisione, si e' potuto constatare l'aria di orgoglio che essi avevano per aver adempiuto la loro missione.
Papa' invece non l'aveva presa tanto bene, ridimensionando il proprio orgoglio nei miei confronti, io invece l'avevo presa proprio male, che' se la mia autostima gia' vacillava allora, dopo la bocciatura sono caduto nella depressione piu' totale, quasi patologica (che per un quindicenne non e' mica uno scherzo!). Ma loro, Metafora, Cazzaniga, Garbin, erano cosi' orgogliosi, poveri scemi!

Ora, io non e' che voglio fare di tuta l'erba un fascio. Dio, tre prof che fanno cinque tra le materie piu' importanti per il triennio del liceo non e' che sia poco, ma si potrebbe supporre una congiunzione astrale che avesse trasformato la coincidenza in sfiga. Tuttavia la quasi totalita' di prof che ho avuto nell'intera carriera scolastica, a partire dalle elementari fino alla laurea, mi e' sembrata piu' o meno della stessa pasta, e quelli migliori sono sempre stati quelli che si sono preoccupati solamente di insegnare, e non di amare.

Scusate il personale.

marina ha detto...

Che tema difficile hai toccato! Vado dritta "al monte", tanto è a monte che bisogna risalire, cioè alla formazione degli insegnanti. Secondo me sono tre i requisiti di un insegnane: conoscere la materia, saperla trasmettere e avere equilibrio psicologico.
La passione potrebbe persino essere un di più se intanto ognuno partisse da questi tre requisiti.
Ma nel nostro paese non è così. Affluiscono nella scuola persone che tentano di supplire con la buona volontà alle loro carenze formative (quando tentano).
Chiediamoci perché spesso gli insegnanti sono inadatti al compito che li aspetta. La mia risposta è che la società nel suo complesso non li considera importanti, sono figure screditate, marginali; un insegnante nella cultura di oggi è considerato un fallito in altri campi. Non ha potere economico né riconoscimento sociale. La frustrazione è enorme. Inoltre è sempre più impastoiato in compiti puramente "notarili" che gli succhiano tempo ed energie. La scuola stessa è considerata nel nostro paese un'agenzia formativa di seconda classe. Tutto preme perché si compia definitivamente la spaccatura tra due scuole: una "vera" e privata ed una "finta" e pubblica per alunni sfigati ed insegnanti di quart'ordine. Ho conosciuto troppi colleghi impreparati, indifferenti, incapaci, per aver voglia di difenderli, ma ne ho conosciuti di troppi preparati, appassionati, infaticabili ed UMILIATI per non prendermela con la imperante cultura diffusa che li vede come semplici guardiani delle esuberanze giovanili. E forse è anche dei giovani che frequentano le scuole, cioè dei nostri figli che dovremmo parlare. Ma questo comporterebbe parlare di noi e di come li educhiamo. Tema MOLTO più spinoso.
Il tema che porti alla nostra attenzione comporterebbe l'apertura di un dibattito sulla formazione UMANA dei nostri figli, dibattito che la nostra società non è disposta ad aprire.La tua sollecitudine verso coloro che sono in difficoltà qualunque ruolo occupino (insegnanti, genitori, studenti, presidi) naturalmente è condivisibile.
grazie, marina

dario ha detto...

Non so se e' vero, Marina.
Visto dall'esterno della nicchia isolata che e' il mondo della scuola, spesso la figura dell'insegnante e' quella di chi con arroganza pretende di essere depositario della cultura, perche' nella scuola c'e' cultura, mentre se uno svolge un lavoro diverso e' perche' fondamentalmente e' un deficente. Questa e' ovviamente solo la mia impressione, nei rapporti, scolastici e non, che ho avuto con insegnanti a qualunque livello.

Sono invece d'accordo sul fatto che sia condivisibile la posizione di Lupo verso coloro che sono in difficolta' qualunque ruolo ricoprano, e non solo insegnanti, genitori, studenti, presidi, ma anche bidelli, e, perche' no, operai, impiegati, disoccupati... insomma, un po' tutti quelli che si trovano in difficolta'.

Artemisia ha detto...

Molto interessante sia il post che i commenti.