venerdì, agosto 14, 2009

Show must go on

Bastano le notizie di un "più zero virgola qualcosa" nei PIL trimestrali di Francia e Germania, e subito ecco il coro che parte, con i fuochi artificiali sullo sfondo: "visto che tutto è finito? visto che avevano torto le cassandre (della sinistra, ovvio)? visto che basta aver fiducia ed ottimismo?".
E' giusto che lo dicano. Hanno avuto una strizza della madonna, in questi mesi; per un attimo è sembrato che si mettesse in discussione il sistema, che la crisi aprisse gli occhi alle persone e le convincesse che il capitalismo è un sistema che non tutela e non risparmia non solo le sue vittime predestinate, ma nemmeno chi ne è complice, succube o supporter.
Per un momento sembrava essersi fatta strada la consapevolezza: i fatti erano lì, sotto gli occhi di tutti, bastava leggerli per capire. La finanza, le banche, ovvero gli agenti/strumenti di moltiplicazione sfrenata (e spesso immaginaria) del denaro, l'avevano fatta così grossa che stavolta sembrava impossibile non capire. Il rischio era davvero alto: la credibilità del sistema, basata sulla menzogna e sulla promessa del "benessere per tutti", sembrava mostrare profonde crepe.
Bisognava intervenire subito, prima che alle masse, persino a quelle grasse e instupidite del mondo occidentale, venissero strane idee (tipo " e se questo mondo di merda non fosse l'unico possibile?" "e se esistesse qualche altra modalità di vita, oltre alla speranza di diventare ricchi e circondarsi di merci e filo spinato?").
Per la prima volta, a pagare iniziavano ad essere quei "ceti medi" occidentali per i quali la vita è sempre stata permeata di aspettative di sviluppo infinito.

"La crisi esplosa nel 2008 non è stato un incidente di percorso dell´economia mondiale. È stata piuttosto un´espressione di quello che per una trentina d´anni è stato giudicato e lodato come il suo normale funzionamento.

Era normale per il sistema bancario mettere in circolazione quasi 700 trilioni di dollari di derivati al di fuori delle borse, sì da renderli non rintracciabili dalle autorità di sorveglianza. Le quali, da parte loro, trovavano affatto normale fingere di non vederli.
Ma era comunque bene non fare nulla, giacché i mercati finanziari normalmente si auto-regolano, facendo affluire i capitali là dove sono meglio utilizzati per produrre occupazione e ricchezza. Dove si capisce perché nel bene o nel male, come diceva Keynes nelle due ultime righe della Teoria generale, le idee siano più pericolose degli interessi costituiti. In base alla idea dominante di normalità, era giudicato ugualmente naturale che l´industria manifatturiera dell´Occidente arrivasse a sviluppare un suo sistema finanziario capace di generare una quota di fatturato quasi pari alla produzione di beni materiali; insuperati, in questo, i costruttori di automobili statunitensi, appropriatamente definiti da una ex manager dell´alta finanza (Nomi Prins) «banche che vendevano automobili».

Intanto che, si noti, non trovano i quattro o cinquecento miliardi annui che basterebbero per dimezzare la quota di coloro che sopravvivono con un dollaro al giorno (1,4 miliardi, secondo le ultime stime della Banca Mondiale), o non dispongono di servizi igienici (2,6 miliardi), o soffrono la fame (1 miliardo, ma in aumento), ovvero abitano in slums (oltre 1 miliardo); o, ancora, il numero dei bimbi che muoiono prima di compiere cinque anni a causa di un raffreddore o un mal di pancia (10 milioni l´anno, 25.000 al giorno).

E in complesso non era forse considerato l´essenza della normalità un sistema economico che spende trilioni di dollari l´anno in pubblicità e marketing per convincere un miliardo e mezzo di persone a consumare beni in gran parte superflui?
(Luciano Gallino, "I rischi della normalità", 3 giugno 2009).


"Per la prima volta nella storia umana soffre la fame più di un miliardo di persone, un sesto della popolazione del pianeta. È la stima della Fao, l’agenzia dell’Onu per l’agricoltura e l’alimentazione. «La sicurezza alimentare è sicurezza tout court - dice Josette Sheridan del World Food Programme - Un mondo affamato è un mondo pericoloso per tutti». La recessione globale è una causa di questo pesante peggioramento: oggi ci sono cento milioni di affamati in più rispetto al 2008. Un altro fattore cruciale è l’inflazione delle derrate agroalimentari che colpisce soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Se in Occidente i prezzi sono in flessione, nel Terzo mondo i generi alimentari restano del 24% più cari rispetto al 2006, un onere insostenibile per il potere d’acquisto.

La "frontiera della fame" viene situata dagli esperti della Fao a 1.800 calorie al giorno. Al di sotto di questo livello di nutrizione i danni per la salute sono spesso irreversibili. La Banca mondiale stima che entro il 2015 moriranno da 200.000 a 400.000 bambini in più all’anno. Il 40% delle donne incinte nei Paesi poveri soffre di anemia, quindi dà alla luce neonati più vulnerabili alle malattie. Il numero di bambini sottopeso aumenterà di 125 milioni l’anno prossimo. "

(Federico Rampini, "Un miliardo di affamati, mai così tanti nel mondo", Repubblica, 20 giugno 2009).


Alla follia del Nord del mondo ed alla fame del Sud, si aggiunga la progressiva distruzione delle risorse fisiche ed ambientali del pianeta, in una accelerazione che preoccupa anche gli ambienti meno integralisti del sistema.

"Pagine e pagine di tutti i giornali sono dedicate a questi temi; puntualmente si rende noto che, secondo la scienza più accreditata, le risorse disponibili sono in via di esaurimento, e che continuando a consumare al ritmo attuale presto avremmo bisogno di 5,4 pianeti; che buona parte delle coste del globo finiranno sott’acqua, quelle italiane per prime; che in molte città respirare è un grave rischio. Eccetera. Ma sono i medesimi organi d’informazione a dedicare spazi ancor più ampi e vistosi alla preoccupazione per l’auto che non “tira” come dovrebbe, al Pil che non cresce abbastanza, ai mercati che rischiano una battuta d’arresto: facendosi tramiti convinti, e spesso entusiasti, dell’invito al consumo. La crescita - non importa se all’interno di uno spazio che non può crescere - rimane la nostra stella polare. "
(Carla Ravaioli, "Crisi finanziaria e crisi ecologica, un'unica origine: il capitalismo", 4 febbraio 2009).

Di fatto, mai come oggi si pone il problema della insostenibilità fisica e sociale del capitalismo.

Che esso possa continuare a sopravvivere, si deve semplicemente al fatto che esso guadagni alla sua causa - con la ferocia laddove necessario, o con la promessa della felicità e l'ottundimento laddove ancora funzionano - milioni di persone che sono destinate inconsapevolmente ad esserne vittime: destinate normalmente a raccogliere le briciole che cadono dal tavolo delle immense ricchezze, e ad essere spazzate via senza rimpianti quando si rende necessario per la conservazione dello status quo.


In Italia, le strategie di conservazione del sistema e le "armi di distrazione di massa" sono affidate ad una classe dirigente che ormai sembra a tratti clownistica e priva di credibilità, a tratti guidata dall'odio e dalla cattiveria, ma lascia il dubbio di essere invece assai intelligente nel produrre il quotidiano diluvio di sciocchezze e stupidaggini che impediscono di affrontare, conoscere e recepire la realtà. (Che sia sintomo di stupidità o di sofisticata intelligenze, ripeto, è difficile a dirsi, ma di certo la strategia è efficace).

L'opposizione di centrosinistra si muove nell'ambito di una realtà che ritiene immodificabile, e rinuncia a cambiare gioco: impossibile uscire da una logica troppo consonante con quella del potere, e dire parole diverse da "sviluppo, produzione, crescita, reddito...".

Così le sue risposte echeggiano le sciocchezze di chi governa, e non si trova nè il coraggio nè le forza per proporre ed immaginare un "mondo diverso".


(Ho detto molto spesso, e lo confermo, che oggi "mi accontento" di un PD che abbia nel suo programma quello di riportare l'Italia ad un minimo sindacale di decenza simile a quella di altri paesei europei, visto che oggi è utopistico non solo pensare alla rivoluzione, ma persino alla convivenza civile: ma ciò non toglie che l'adagiamento sulla parola d'ordine "uscire dalla crisi", senza analizzare ciò che la crisi significa davvero, sia una prospettiva che rivela un forte senso di inferiorità rispetto alla ideologia dominante).

L'idea che "domani tutto tornerà come prima" non solo è folle, ma rappresenta sempre di più una gigantesca occasione perduta per ragionare sul senso della nostra esistenza.



"Un danno non minore che un ritorno al
business as usual provocherebbe sarebbe che la insostenibilità da più punti di vista del sistema economico odierno (o modello di sviluppo che dir si voglia) avvicinerebbe il momento in cui essa comincerebbe a tradursi, più rapidamente di quanto già non faccia ora, in immani tragedie collettive.
Avrà forse esagerato un po´, il principe Carlo d´Inghilterra, nell´indicare in soli 99 mesi il tempo per salvare il pianeta. Il fatto è che il rischio non viene solo dal cambiamento climatico. Per assicurare entro una o due generazioni una vita decente a qualche altro miliardo di persone non ci sarà acqua a sufficienza. Lo dicono i rapporti Onu sullo sviluppo umano.
Non ci saranno prodotti alimentari a sufficienza, perché le superfici destinate ad usi agricoli si vanno riducendo a causa dell´erosione e salinizzazione dei suoli, dello sviluppo delle colture per la produzione di agrocarburanti, della distruzione di interi eco-sistemi. Per diffondere in tutto il mondo i consumi oggi normali dell´occidente non ci saranno nemmeno abbastanza metalli o carbone o petroli, né abbastanza mari, forse nemmeno abbastanza ossigeno.
Bisognerebbe dunque darsi da fare allo scopo non di ricostruire la normalità di ieri, bensì di sviluppare una idea diversa di sistema produttivo e finanziario normale.
Per il momento bisogna ammettere che né l´Unione Europea né gli Stati Uniti sembrano muoversi con decisione in tale direzione, al di là delle generiche quanto inconsistenti dichiarazioni del G-20 e delle terribili quanto inette minacce rivolte ai paradisi fiscali o ai fondi speculativi.
Visto che in campo economico e politico non sono molti quelli che si lasciano influenzare da nuove teorie dopo i venticinque o i trent´anni – è ancora un pensiero di Keynes – forse si dovrà mandare al potere i ventenni. A condizione di farli transitare in un sistema scolastico e universitario meno prono dell´attuale al consenso di Washington o di Bruxelles. "

(Luciano Gallino, "I rischi della normalità", 3 giugno 2009).


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