Ieri, come capita una volta l'anno, abituale giornata trascorsa tra fiori e lapidi.
Una volta (fino a pochi anni fa) temevo la morte e tutto ciò che ad essa si ricollegava: i cimiteri, il culto dei morti, i crisantemi.
Poi sono probabilmente invecchiato, come capita a tutti, e l'idea della morte mi è diventata - come è giusto che sia - quasi "naturale", indipendentemente dalla sua causa.
E' capitato a mio fratello a 42 anni, capiterà prima o poi ai miei genitori che hanno superato gli ottanta; capita, sempre più spesso, a colleghi e conoscenti.
Capita, ed è quindi necessario farci i conti, con questa idea.
Ed affrontarla in modo laico e razionale. Considerarla come la fine del tempo a disposizione per vivere.
Uno sa che di fronte a se non ha più il tempo infinito ed indefinito che aveva di fronte nell'infanzia e nell'adolescenza, in cui il numero di scelte possibili era anch'esso sostanzialmente infinito.
Ora uno può considerare di avere davanti a sè un certo numero FINITO di anni, un certo numero di giorni. E sa esattamente quali sono le proprie risorse, le proprie capacità, le proprie realistiche aspettative.
In fondo, è a questa età (attorno ai 45) che uno ha le migliori possibilità di scegliere davvero.
Tutto è lì, chiaro e nitido, sul tavolo. Non ci sono più dubbi su se stessi, non ci sono più inganni possibili, e molte della variabili del problema sono definite. Un tot di tempo, un tot di possibilità.
Le uniche incognite riguardano salute e soldi, ma queste lo sono state sempre, durante tutta la vita, indipendentemente dal nostro grado di consapevolezza.
E allora andiamo avanti, sereni: scegliendo. Agendo. Decidendo.
Aspettare non serve a granchè, perchè il nostro destino è comunque finire in quelle foto ovali affacciate sui vialetti di ghiaia, a sentire lo scricchiolio delle suole altrui.
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