Il post di ieri (Sindaco fai da te) conteneva un virulento attacco ai piccoli comuni, considerati di fatto come un modo artificioso di creare piccole posizioni di potere (sindaco, assessori) e posti di lavoro artificiali (messi, impiegati, ecc.).
E' vero che dimensioni ridotte significa spesso inefficienza (nel fornire i servizi) e doppioni sul territorio; ma è anche vero che l'idea di non considerare come ricchezza la dimensione del "villaggio", e stabilire che ogni identità locale deve annegareper legge in un supercomune da almeno 10.000 abitanti mi ricorda molto (e sgradevolmente) i progetti di Ceasescu in Romania e di Mao in Cina negli anni '70.
Io penso che:
- a "bocce ferme" della nostra storia regionale e nazionale, sia corretto ostacolare la formazione "articiosa" di nuovi comuni (e qui il limite di 10.000 abitanti mi trova concorde), magari sulla base di "spinte separatiste";
- sia invece molto più opportuno obbligare i piccoli comuni ad erogare alcuni tipi di servizi (scolastici e sociali) in forma consortile in un ambito territoriale omogeneo e riferito ad un bacino di popolazione sufficientemente ampio (5/10.000 abitanti) per realizzare economie di scala: questo avviene già oggi con le comunità collinari e montane, ma dove vige invece un piccolo miserabile campanilismo si rischia di non avere neppure i servizi fondamentali se non si trasforma l'opportunità in obbligo.
Non commento invece questo passaggio del post di Grillo: "Nei piccoli comuni non si elegge il sindaco, ma uno di famiglia. Talvolta il figlio del sindaco precedente. O comunque un familiare di secondo o terzo grado comunale."
Qualunquismo puro.
Accorpare i piccoli comuni, secondo Grillo, è doveroso perchè "frazionare i municipi, oltre a essere un esercizio costoso, porta spesso all’immobilismo o a decisioni divergenti. Un comune fa il depuratore a valle e quello a monte non ha nemmeno la fognatura. Risultato: costi pubblici (depuratore) insieme alla m..da privata."
Mi sembra di leggere tra le righe il fastidio per gli impedimenti e le contraddizioni portate dall'"abbassamento dei livelli decisionali": se ognuno vuol decidere del suo territorio, non se ne esce più. Non è un'idea completamente sbagliata, ma mi suona strano che a sostenerla sia lo stesso Grillo che - pochi mesi fa - difendeva a spada tratta il diritto delle microcomunità della Val di Susa a difendersi con ogni mezzo dall'aggressione della TAV.
C'è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare.
In un piccolo comune, la partecipazione popolare alla vita amministrativa è possibile ed ha un fortissimo ruolo educativo:si può facilmente misurarsi con i problemi amministrativi di una comunità, "sporcarsi le mani" con la politica e capire cosa vuol dire governare, spesso senza passare necessariamente dalla struttura di un partito organizzato.
E' quindi una palestra politica straordinaria per centinaia di migliaia di persone, che altrimenti sarebbero tagliate fuori dalle opportunità di partecipazione in una realtà più ampia. Certo, questo ha un costo, ma il decentramento della democrazia e la costruzione "dal basso" della capacità di governare mi sembra lo giustifichino appieno.
1 commento:
Letto. Nella fattispecie non so entrare nel merito essendo sempre vissuta in una grande citta' comunque sono d'accordo con l'atteggiamento qualunquistico di Grillo.
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