La pubblicità di questo film dice "volgare, scorretto, irriverente".
E dovrei pagare dai sette ai dieci euro per qualcosa che vedo tutti i giorni gratis uscendo semplicemente per la strada?
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Avviso ai lettori: come vedete sto utilizzando una versione beta di Blogger con qualche features in più, quindi per qualche tempo ci saranno cose strane tipo link senza senso, assenza della lista dei post, eccetera...portate pazienza...
venerdì, settembre 29, 2006
Il sedicipercento
Secondo uno di questi inutili sondaggi che Nonsisachi commissiona ogni tanto Nonsisaperchè, l'84 per cento degli italiani considera la violenza sessuale contro le donne una "piaga sociale".
Sembrerebbe un dato positivo, a prima vista.
Invece è terribile. Che cosa diavolo pensa il rimanente sedici per cento? E, peggio ancora, si comporta come pensa? O è pronto a farlo? Ci sono davvero più di nove milioni di italiani pronti ad aggredire le donne dentro un portone nella notte?
Brrrr...
Sembrerebbe un dato positivo, a prima vista.
Invece è terribile. Che cosa diavolo pensa il rimanente sedici per cento? E, peggio ancora, si comporta come pensa? O è pronto a farlo? Ci sono davvero più di nove milioni di italiani pronti ad aggredire le donne dentro un portone nella notte?
Brrrr...
venerdì, settembre 22, 2006
Ahmadinejad, Rocca, Blair e l'ONU:manca qualcuno?
Scrive Christian Rocca sul “Foglio” che è online oggi:
“In piena Assemblea generale e tra gli applausi della maggioranza dei paesi membri, Ahmadinejad ha detto di non riconoscere la legittimità dell’Onu, cioè di quell’istituzione che ha imposto illegalmente l’entità sionista al medio oriente.”
Io non c’ero, lì a New York quando ha parlato Ahmadinejad, ma ho letto il testo – tradotto in inglese - del suo intervento, il cui link è fornito dallo stesso Rocca sul suo blog Camillo.
Mi sembra che dica cose meno radicali di quelle che gli attribuisce Rocca, come potete leggere anche voi:
"The present structure and working methods of the Security Council, which are
legacies of the Second World War, are not responsive to the expectations of the
current generation and the contemporary needs of humanity.
Today, it is undeniable that the Security Council, most critically and urgently,
needs legitimacy and effectiveness. It must be acknowledged that as long as the
Council is unable to act on behalf of the entire international community in a
transparent, just and democratic manner, it will neither be legitimate nor effective.
Furthermore, the direct relation between the abuse of veto and the erosion of the legitimacy and effectiveness of the Council has now been clearly and undeniably
established. We cannot, and should not, expect the eradication, or even containment,
of injustice, imposition and oppression without reforming the structure and working
methods of the Council.
Is it appropriate to expect this generation to submit to the decisions and
arrangements established over half a century ago? Doesn't this generation or future
generations have the right to decide themselves about the world in which they want to
live?
Today, serious reform in the structure and working methods of the Security
Council is, more than ever before, necessary. Justice and democracy dictate that the
role of the General Assembly, as the highest organ of the United Nations, must be
respected. The General Assembly can then, through appropriate mechanisms, take on
the task of reforming the Organization and particularly rescue the Security Council
from its current state. In the interim, the Non-Aligned Movement, the Organization of
the Islamic Conference and the African continent should each have a representative as
a permanent member of the Security Council, with veto privilege. The resulting
balance would hopefully prevent further trampling of the rights of nations."
La cosa buffa è che lo stesso Rocca, nell’articolo, è in perfetta sintonia con la parte iniziale della dichiarazione sull’Onu di Ahmadinejad:
“La carnevalesca settimana al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite ha mostrato nel modo più chiaro possibile quanto il sistema di istituzioni internazionali creato alla fine della Seconda guerra mondiale sia un reperto del passato, incapace di affrontare le sfide del nuovo secolo.”
La stessa cosa afferma Tony Blair nel suo pamphlet “A Global Alliance for Global Values”, anch’esso segnalato da Rocca:
“After the Second World War, people realised we needed a new international institutional architecture. Today I look at our international institutions and think: these are the structures of 1946 trying to meet the challenges of 2006. In this new era, in the early 21st century, we need to renew them. I have therefore made some tentative suggestions for change.
First, the United Nations.”
Insomma, l’ONU di adesso non piace ad Ahmadinejad, ma neppure a Rocca (che ha scritto il libro “Contro l’ONU”) né a Blair.
E a questo blog, comunque, non piacciono né Ahmadinejad né Blair (il primo è inquietante, il secondo non credibile).
Su Rocca, possiamo dire che non siamo quasi mai d’accordo: però, perbacco, è bravo assai.
“In piena Assemblea generale e tra gli applausi della maggioranza dei paesi membri, Ahmadinejad ha detto di non riconoscere la legittimità dell’Onu, cioè di quell’istituzione che ha imposto illegalmente l’entità sionista al medio oriente.”
Io non c’ero, lì a New York quando ha parlato Ahmadinejad, ma ho letto il testo – tradotto in inglese - del suo intervento, il cui link è fornito dallo stesso Rocca sul suo blog Camillo.
Mi sembra che dica cose meno radicali di quelle che gli attribuisce Rocca, come potete leggere anche voi:
"The present structure and working methods of the Security Council, which are
legacies of the Second World War, are not responsive to the expectations of the
current generation and the contemporary needs of humanity.
Today, it is undeniable that the Security Council, most critically and urgently,
needs legitimacy and effectiveness. It must be acknowledged that as long as the
Council is unable to act on behalf of the entire international community in a
transparent, just and democratic manner, it will neither be legitimate nor effective.
Furthermore, the direct relation between the abuse of veto and the erosion of the legitimacy and effectiveness of the Council has now been clearly and undeniably
established. We cannot, and should not, expect the eradication, or even containment,
of injustice, imposition and oppression without reforming the structure and working
methods of the Council.
Is it appropriate to expect this generation to submit to the decisions and
arrangements established over half a century ago? Doesn't this generation or future
generations have the right to decide themselves about the world in which they want to
live?
Today, serious reform in the structure and working methods of the Security
Council is, more than ever before, necessary. Justice and democracy dictate that the
role of the General Assembly, as the highest organ of the United Nations, must be
respected. The General Assembly can then, through appropriate mechanisms, take on
the task of reforming the Organization and particularly rescue the Security Council
from its current state. In the interim, the Non-Aligned Movement, the Organization of
the Islamic Conference and the African continent should each have a representative as
a permanent member of the Security Council, with veto privilege. The resulting
balance would hopefully prevent further trampling of the rights of nations."
La cosa buffa è che lo stesso Rocca, nell’articolo, è in perfetta sintonia con la parte iniziale della dichiarazione sull’Onu di Ahmadinejad:
“La carnevalesca settimana al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite ha mostrato nel modo più chiaro possibile quanto il sistema di istituzioni internazionali creato alla fine della Seconda guerra mondiale sia un reperto del passato, incapace di affrontare le sfide del nuovo secolo.”
La stessa cosa afferma Tony Blair nel suo pamphlet “A Global Alliance for Global Values”, anch’esso segnalato da Rocca:
“After the Second World War, people realised we needed a new international institutional architecture. Today I look at our international institutions and think: these are the structures of 1946 trying to meet the challenges of 2006. In this new era, in the early 21st century, we need to renew them. I have therefore made some tentative suggestions for change.
First, the United Nations.”
Insomma, l’ONU di adesso non piace ad Ahmadinejad, ma neppure a Rocca (che ha scritto il libro “Contro l’ONU”) né a Blair.
E a questo blog, comunque, non piacciono né Ahmadinejad né Blair (il primo è inquietante, il secondo non credibile).
Su Rocca, possiamo dire che non siamo quasi mai d’accordo: però, perbacco, è bravo assai.
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martedì, settembre 19, 2006
lunedì, settembre 18, 2006
Ancora su Oriana Fallaci.
Io della Fallaci ho letto solo "Un uomo" e il pamphlet "La rabbia e l'orgoglio" quando era uscito sul Corriere, prima che diventasse un libro. E le puttanate che scrisse quando descrisse il Social Forum di Firenze come un'adunata di barbari.
Una penna straordinaria, è innegabile.
E' curioso essere così affascinati e sedotti da una scrittura divina, esplicita, frontale, coraggiosa, praticamente perfetta, ed al tempo sentire una irritazione crescente e furibonda verso chi la possiede (Porca puzzola, scrivi da Dio, perchè non usi questo talento e questa forza in positivo? Astio e rancore son cose da piccoli ominidi, da te ci si aspetta una forza di dimensioni inaudite, anche spietata, che rinnovelli il mondo, che spazzi via i potenti, i superbi ed i maligni e non che se la pigli con i poveri cristi miseri ed incolti che pisciano per le strade...)
Ammirazione e antipatia in egual misura. Insopportabile lei e quello stronzo geniale e affascinante di Panagulis (stessa faccia, stessa razza...)
Peccato che per noi atei, dopo, non ci sia un mondo in cui andare a placarsi, a riposare, a fare una beata fava tutto il giorno bevendo vino e leggendo e scrivendo e rotolandosi sui prati, e ripensare alle cose con più distacco, con più serenità: ci tocca far tutto in questa vita, senza altre possibilità, e non ci riusciamo quasi mai.
L'Oriana ha finito dunque così, senza possibilità di placarsi, malamente, sola, con l'elmetto ancora in testa. Ma quel che di buono ci ha lasciato è la passione, il gusto di affermare idee forti, pregnanti: forse non confrontabili, e quindi inutili, ma di fronte a quella immensa forza non si può non restare ammirati.
Una penna straordinaria, è innegabile.
E' curioso essere così affascinati e sedotti da una scrittura divina, esplicita, frontale, coraggiosa, praticamente perfetta, ed al tempo sentire una irritazione crescente e furibonda verso chi la possiede (Porca puzzola, scrivi da Dio, perchè non usi questo talento e questa forza in positivo? Astio e rancore son cose da piccoli ominidi, da te ci si aspetta una forza di dimensioni inaudite, anche spietata, che rinnovelli il mondo, che spazzi via i potenti, i superbi ed i maligni e non che se la pigli con i poveri cristi miseri ed incolti che pisciano per le strade...)
Ammirazione e antipatia in egual misura. Insopportabile lei e quello stronzo geniale e affascinante di Panagulis (stessa faccia, stessa razza...)
Peccato che per noi atei, dopo, non ci sia un mondo in cui andare a placarsi, a riposare, a fare una beata fava tutto il giorno bevendo vino e leggendo e scrivendo e rotolandosi sui prati, e ripensare alle cose con più distacco, con più serenità: ci tocca far tutto in questa vita, senza altre possibilità, e non ci riusciamo quasi mai.
L'Oriana ha finito dunque così, senza possibilità di placarsi, malamente, sola, con l'elmetto ancora in testa. Ma quel che di buono ci ha lasciato è la passione, il gusto di affermare idee forti, pregnanti: forse non confrontabili, e quindi inutili, ma di fronte a quella immensa forza non si può non restare ammirati.
venerdì, settembre 15, 2006
venerdì, settembre 08, 2006
Continuiamo così, facciamoci del male (la saga dei caprioli continua)
Ricevo, leggo e rabbrividisco (sull'argomento ho già scritto un post assai dettagliato):
Caccia: stop per caprioli
Il WWF accoglie con soddisfazione l'accoglimento del suo ricorso presso il Tar del Piemonte. Si torna nel solco delle ''buone prassi'', gli enti scientifici sono infatti referenti essenziali per decidere un equilibrato piano di abbattimento.
Fermare il Piano di abbattimento dei caprioli in Piemonte è un esempio di buon senso da parte delle istituzioni perché riconosce il valore e attendibilità dell'Istituto nazionale di Fauna Selvatica nella valutazione dei piani di abbattimento. Così il WWF Italia accoglie la notizie della sentenza del Tar del Piemonte che ferma le doppiette. Il ricorso del WWF era stato presentato infatti perché il piano di abbattimento dei caprioli aveva ricevuto un parere negativo dell'Istituto Nazionale Fauna Selvatica. Il parere dell'Infs non va considerato vincolante, ma è prassi che a seguito di un mancato assenso, la Regione presenti comunque un parere che motivi l'avvio del piano di abbattimento. Il WWF quindi ritiene che un dietro-front fosse necessario per ripristinare una corretta catena di diritto. Il mancato ascolto del parere di un soggetto referenziato da parte del Tar avrebbe infatti potuto creare un precedente legale, e rappresentare una consuetudine pericolosa se applicata in altri contesti.
''Il nostro è un paese - spiega Fulco Pratesi, Presidente del WWF Italia - che certamente, in alcuni contesti territoriali, ha per qualche specie di animali problemi di soprannumero di capi. Sono comunque animali che pagano le scelte dell'uomo il quale, sterminando predatori naturali o facendo reintroduzioni sbagliate per motivi venatori ha alterato quegli equilibri che governano i rapporti tra varie specie''.
Dunque, adesso la Regione dovrebbe motivare il piano di abbattimento.
Lo sta facendo da un bel po' di tempo, direi: da anni, se qualcuno avesse voglia di ascoltarla, invece di lamentare la triste sorte del capriolo con strepiti e lacrime degne di miglior causa.
Pratesi dice che si, in effetti, da qualche parte ce ne sono troppi: ma è colpa dell'uomo bla bla bla, e poi a me che me ne frega, ai boschi che non nascono più ci penserà probabilmente il prossimo presidente del WWF.
Che paese di incompetenti, Dio mio!
Caccia: stop per caprioli
Il WWF accoglie con soddisfazione l'accoglimento del suo ricorso presso il Tar del Piemonte. Si torna nel solco delle ''buone prassi'', gli enti scientifici sono infatti referenti essenziali per decidere un equilibrato piano di abbattimento.
Fermare il Piano di abbattimento dei caprioli in Piemonte è un esempio di buon senso da parte delle istituzioni perché riconosce il valore e attendibilità dell'Istituto nazionale di Fauna Selvatica nella valutazione dei piani di abbattimento. Così il WWF Italia accoglie la notizie della sentenza del Tar del Piemonte che ferma le doppiette. Il ricorso del WWF era stato presentato infatti perché il piano di abbattimento dei caprioli aveva ricevuto un parere negativo dell'Istituto Nazionale Fauna Selvatica. Il parere dell'Infs non va considerato vincolante, ma è prassi che a seguito di un mancato assenso, la Regione presenti comunque un parere che motivi l'avvio del piano di abbattimento. Il WWF quindi ritiene che un dietro-front fosse necessario per ripristinare una corretta catena di diritto. Il mancato ascolto del parere di un soggetto referenziato da parte del Tar avrebbe infatti potuto creare un precedente legale, e rappresentare una consuetudine pericolosa se applicata in altri contesti.
''Il nostro è un paese - spiega Fulco Pratesi, Presidente del WWF Italia - che certamente, in alcuni contesti territoriali, ha per qualche specie di animali problemi di soprannumero di capi. Sono comunque animali che pagano le scelte dell'uomo il quale, sterminando predatori naturali o facendo reintroduzioni sbagliate per motivi venatori ha alterato quegli equilibri che governano i rapporti tra varie specie''.
Dunque, adesso la Regione dovrebbe motivare il piano di abbattimento.
Lo sta facendo da un bel po' di tempo, direi: da anni, se qualcuno avesse voglia di ascoltarla, invece di lamentare la triste sorte del capriolo con strepiti e lacrime degne di miglior causa.
Pratesi dice che si, in effetti, da qualche parte ce ne sono troppi: ma è colpa dell'uomo bla bla bla, e poi a me che me ne frega, ai boschi che non nascono più ci penserà probabilmente il prossimo presidente del WWF.
Che paese di incompetenti, Dio mio!
Sentirsi stupidi
Ho letto due volte questo post su Carmilla e mi sento un vero deficiente.
Alla fine non ho capito se elogia Camilleri o lo critica ferocemente.
Chi può, mi illumini.
Alla fine non ho capito se elogia Camilleri o lo critica ferocemente.
Chi può, mi illumini.
giovedì, settembre 07, 2006
Davideblog contro Goliablog: dalla parte dei piccoli comuni
Leggo sempre più distrattamente il blog di Beppe Grillo, lo confesso: un blog che denuncia tutti i giorni qualcuno o qualcosa, incessantemente, e senza tregua fustiga, moraleggia, giudica, dopo un po' diventa pesante; e si possono ormai cogliere poche perle di saggezza nel mare di una deriva mistico/qualunquista.
Il post di ieri (Sindaco fai da te) conteneva un virulento attacco ai piccoli comuni, considerati di fatto come un modo artificioso di creare piccole posizioni di potere (sindaco, assessori) e posti di lavoro artificiali (messi, impiegati, ecc.).
E' vero che dimensioni ridotte significa spesso inefficienza (nel fornire i servizi) e doppioni sul territorio; ma è anche vero che l'idea di non considerare come ricchezza la dimensione del "villaggio", e stabilire che ogni identità locale deve annegareper legge in un supercomune da almeno 10.000 abitanti mi ricorda molto (e sgradevolmente) i progetti di Ceasescu in Romania e di Mao in Cina negli anni '70.
Io penso che:
Non commento invece questo passaggio del post di Grillo: "Nei piccoli comuni non si elegge il sindaco, ma uno di famiglia. Talvolta il figlio del sindaco precedente. O comunque un familiare di secondo o terzo grado comunale."
Qualunquismo puro.
Accorpare i piccoli comuni, secondo Grillo, è doveroso perchè "frazionare i municipi, oltre a essere un esercizio costoso, porta spesso all’immobilismo o a decisioni divergenti. Un comune fa il depuratore a valle e quello a monte non ha nemmeno la fognatura. Risultato: costi pubblici (depuratore) insieme alla m..da privata."
Mi sembra di leggere tra le righe il fastidio per gli impedimenti e le contraddizioni portate dall'"abbassamento dei livelli decisionali": se ognuno vuol decidere del suo territorio, non se ne esce più. Non è un'idea completamente sbagliata, ma mi suona strano che a sostenerla sia lo stesso Grillo che - pochi mesi fa - difendeva a spada tratta il diritto delle microcomunità della Val di Susa a difendersi con ogni mezzo dall'aggressione della TAV.
C'è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare.
In un piccolo comune, la partecipazione popolare alla vita amministrativa è possibile ed ha un fortissimo ruolo educativo:si può facilmente misurarsi con i problemi amministrativi di una comunità, "sporcarsi le mani" con la politica e capire cosa vuol dire governare, spesso senza passare necessariamente dalla struttura di un partito organizzato.
E' quindi una palestra politica straordinaria per centinaia di migliaia di persone, che altrimenti sarebbero tagliate fuori dalle opportunità di partecipazione in una realtà più ampia. Certo, questo ha un costo, ma il decentramento della democrazia e la costruzione "dal basso" della capacità di governare mi sembra lo giustifichino appieno.
Il post di ieri (Sindaco fai da te) conteneva un virulento attacco ai piccoli comuni, considerati di fatto come un modo artificioso di creare piccole posizioni di potere (sindaco, assessori) e posti di lavoro artificiali (messi, impiegati, ecc.).
E' vero che dimensioni ridotte significa spesso inefficienza (nel fornire i servizi) e doppioni sul territorio; ma è anche vero che l'idea di non considerare come ricchezza la dimensione del "villaggio", e stabilire che ogni identità locale deve annegareper legge in un supercomune da almeno 10.000 abitanti mi ricorda molto (e sgradevolmente) i progetti di Ceasescu in Romania e di Mao in Cina negli anni '70.
Io penso che:
- a "bocce ferme" della nostra storia regionale e nazionale, sia corretto ostacolare la formazione "articiosa" di nuovi comuni (e qui il limite di 10.000 abitanti mi trova concorde), magari sulla base di "spinte separatiste";
- sia invece molto più opportuno obbligare i piccoli comuni ad erogare alcuni tipi di servizi (scolastici e sociali) in forma consortile in un ambito territoriale omogeneo e riferito ad un bacino di popolazione sufficientemente ampio (5/10.000 abitanti) per realizzare economie di scala: questo avviene già oggi con le comunità collinari e montane, ma dove vige invece un piccolo miserabile campanilismo si rischia di non avere neppure i servizi fondamentali se non si trasforma l'opportunità in obbligo.
Non commento invece questo passaggio del post di Grillo: "Nei piccoli comuni non si elegge il sindaco, ma uno di famiglia. Talvolta il figlio del sindaco precedente. O comunque un familiare di secondo o terzo grado comunale."
Qualunquismo puro.
Accorpare i piccoli comuni, secondo Grillo, è doveroso perchè "frazionare i municipi, oltre a essere un esercizio costoso, porta spesso all’immobilismo o a decisioni divergenti. Un comune fa il depuratore a valle e quello a monte non ha nemmeno la fognatura. Risultato: costi pubblici (depuratore) insieme alla m..da privata."
Mi sembra di leggere tra le righe il fastidio per gli impedimenti e le contraddizioni portate dall'"abbassamento dei livelli decisionali": se ognuno vuol decidere del suo territorio, non se ne esce più. Non è un'idea completamente sbagliata, ma mi suona strano che a sostenerla sia lo stesso Grillo che - pochi mesi fa - difendeva a spada tratta il diritto delle microcomunità della Val di Susa a difendersi con ogni mezzo dall'aggressione della TAV.
C'è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare.
In un piccolo comune, la partecipazione popolare alla vita amministrativa è possibile ed ha un fortissimo ruolo educativo:si può facilmente misurarsi con i problemi amministrativi di una comunità, "sporcarsi le mani" con la politica e capire cosa vuol dire governare, spesso senza passare necessariamente dalla struttura di un partito organizzato.
E' quindi una palestra politica straordinaria per centinaia di migliaia di persone, che altrimenti sarebbero tagliate fuori dalle opportunità di partecipazione in una realtà più ampia. Certo, questo ha un costo, ma il decentramento della democrazia e la costruzione "dal basso" della capacità di governare mi sembra lo giustifichino appieno.
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mercoledì, settembre 06, 2006
Perchè sfidarsi a superare i propri limiti
Lo spunto di questo post nasce da una notizia (un tizio ha percorso di corsa, impiegandoci nove mesi, la distanza tra Pechino e Parigi, quasi 20.000 km, senza fermarsi mai neppure per un giorno, con una media di 73 km di corsa quotidiana) e dalla lettura di un libro biografico su Walter Bonatti (l'alpinista/esploratore dell'era ante-Messner che partecipò in modo drammatico alla spedizione italiana di conquista del K2 nel 1955).
Quando si parla di imprese del genere (o di quelle di Messner) si resta sulle prime ammirati, ma un attimo dopo si liquida la questione dicendo semplicemente "quello è matto..."
"Matto" perchè razionalmente tali imprese sono così faticose e/o rischiose da non essere giustificabili semplicemente con il ritorno economico e di immagine che possono dare, in questa società dove esiste solo quello che fa notizia: nel senso che si può benissimo diventare ricchi e famosi senza rischiare l'osso del collo.
Infatti, c'è qualcosa di più del bisogno di esporre un ego dalle dimensioni notevoli: e questo "di più" credo sia umanamente interessante.
Queste imprese non vogliono soltanto dire "io sono il migliore", ma - a leggere le dichiarazioni dei protagonisti - vogliono soprattutto dire "io posso farlo". Servono a misurare l'estensione del proprio essere, cosa che in genere il "sistema" non chiede a nessuno: perchè persone consapevoli delle proprie possibilità diventano presto indomabili, ingestibili, incontrollabili, "antipatiche" (e Bonatti e Messner sono sempre stati sulle balle a quasi tutti).
Quando si parla di imprese del genere (o di quelle di Messner) si resta sulle prime ammirati, ma un attimo dopo si liquida la questione dicendo semplicemente "quello è matto..."
"Matto" perchè razionalmente tali imprese sono così faticose e/o rischiose da non essere giustificabili semplicemente con il ritorno economico e di immagine che possono dare, in questa società dove esiste solo quello che fa notizia: nel senso che si può benissimo diventare ricchi e famosi senza rischiare l'osso del collo.
Infatti, c'è qualcosa di più del bisogno di esporre un ego dalle dimensioni notevoli: e questo "di più" credo sia umanamente interessante.
Queste imprese non vogliono soltanto dire "io sono il migliore", ma - a leggere le dichiarazioni dei protagonisti - vogliono soprattutto dire "io posso farlo". Servono a misurare l'estensione del proprio essere, cosa che in genere il "sistema" non chiede a nessuno: perchè persone consapevoli delle proprie possibilità diventano presto indomabili, ingestibili, incontrollabili, "antipatiche" (e Bonatti e Messner sono sempre stati sulle balle a quasi tutti).
venerdì, settembre 01, 2006
Vai Coliandro!
Credo di non aver mai guardato una fiction televisiva prima d'ora in vita mia: tantomeno quelle basate sulle gesta dei corpi di polizia & affini, i cui trailer trasudano in genere retorica e buoni sentimenti in modo nauseabondo.
Ma quando ho leggiucchiato che stava partendo una serie sceneggiata da Lucarelli, che era stata girata quasi due anni fa e tenuta in freezer per presunto "politically uncorrect", ho immaginato che si trattasse di una cosa di qualità.
Ed infatti non sono rimasto deluso: "L'ispettore Coliandro", miniserie in quattro episodi trasmessa da RAI2 (prossimo ed ultimo episodio martedì 5 settembre alle 21), è una fiction basata sulle gesta di un poliziotto sfigato, imbranato, ignorantello e cafoncello, contaminato da film western e polizieschi e tendente all'abuso di potere, ma stramaledettamente vero e simpatico.
In genere si trova coinvolto involontariamente in qualche casino per sbaglio, si muove goffamente in ambienti in cui in genere i poliziotti da film si mimetizzano alla perfezione: lui no, puzza di pulotto lontano un chilometro, viene riconosciuto subito e rischia da subito la pelle.
E' disprezzato dal magistrato di turno (ovviamente una bellissima donna in carriera), sottovalutato dai colleghi, e in ogni storia incontra una ragazza dal presente problematico che non sopporta i poliziotti (ma riuscirà a convertire sempre la diffidenza in simpatia).
Il genere è un poliziesco di ambiente che vira sulla commedia: simpatico, ironico, mai eccessivo. Da non perdere, per quel che ne resta: vista la discreta qualità, difficilmente ce ne sarà un'altra serie.
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