giovedì, aprile 23, 2020

Giapponismo

Chiunque mi conosca sa quanto il mio cuore batta per l'Iran: la Persia è un paese che amo profondamente, per i suoi abitanti, i suoi luoghi, la sua cultura e la sua storia millenaria.

Ma c'è un altro luogo, in questo momento di pandemia più distante che mai, che ha sempre popolato il mio cuore: il Giappone.

Non ho mai organizzato davvero un viaggio in quel paese, ma mi accorgo che nel corso della mia vita sono sempre stato affascinato da quel paese. Qualche traccia di questa fascinazione si trova sicuramente anche nella mia biblioteca...:-)


Parecchio tempo fa, per un paio di anni, ho praticato anche un'arte marziale giapponese, l'Aikido, di cui mi affascinavano molte cose: l'idea che fosse una pratica esclusivamente difensiva, il suo rigore formale, la sferica armonia dei movimenti, la bellezza del pantalone blu riservato alle cinture nere.. Non sono andato troppo lontano e sono rimasto ad un livello infimo, quasi vergognoso, ma praticarlo mi piaceva moltissimo.

Così come sono sempre stato affascinato dal mito dei Samurai, e mi sono abbeverato ai film di Kuroshawa che considero un genio ("Rashomon" mi è piaciuto persino più dei "Sette Samurai", ed il samurai pazzo di Toshiro Mifune è uno dei personaggi cinematografici che mi sono piaciuti di più in assoluto).

Non mi perdo dunque nessuna delle mostre che parlino di Giappone.
Nei primi tre mesi del 2020 (che ora sembrano lontanissimi) ne ho viste tre, magnifiche.

La prima è quella sulle Donne Guerriere al Museo di Arte Orientale di Torino.
E' finita il 1° marzo, appena un attimo prima che la pandemia costringesse a chiudere tutto.
Le donne combattenti sono un tema molto affascinante, e il materiale ed i video esibiti nella mostra sono straordinari (c'è persino la ricostruzione del vestito di Lady Oscar!:-)

Qui un video di Marianna Zanetti che la racconta bene: 


Speriamo di rivederla da qualche parte in Italia, quando tutto sarà finito!

La seconda mostra si è svolta, fino a febbraio, alla Pinacoteca Agnelli per esporre l'opera di tre grandi maestri della xilografia giapponese di metà Ottocento: Hokusai, Hiroshige e Hakui. Sono certo che del maestri Hiroshige conoscete l'opera più famosa, ovvero l'Onda, che appare sulla copertina di questo bel volume della Taschen che ho comprato (in assenza del catalogo, non disponibile quando ho visitato la mostra):


Anche quella mostra era deliziosa. Ho avuto peraltro la fortuna di visitarla in una mattina in cui non c'era praticamente nessuno, salvo una laureata in storia dell'arte che mi ha fatto da guida e mi ha consentito di capire ed apprezzare quello che vedevo. La mostra era preceduta da un video che spiegava la tecnica riproduttiva delle xilografie, mediante la quale le stampe delle opere di questi artisti ebbe una diffusione grandissima non solo in Giappone, ma anche in Europa.

Il volumetto della Schlombs, economico ma splendido,  è fondamentale per comprendere contesto e simboli presenti nell'opera dell' "artista della nebbia, della neve e della pioggia" che influenzò profondamente l'arte occidentale di fine Ottocento. 
Anche Van Gogh reinterpretò con successo, da par suo ma con stretta aderenza all'originale, due opere di Hiroshige, e anche Edouard Manet fu fortemente influenzato dalla xilografia giapponese dell'epoca.  

Il libro mi è piaciuto così tanto che, appena ho visto che la Taschen metteva in saldo in formato XXL una delle più belle opere di Hiroshige, "Le sessantanove stazioni della Kisokaido", non ho resistito alla tentazione.









La Kisokaido è l'antica strada imperiale che univa la vecchia capitale dell'impero (Kyoto) alla nuova (Edo, cioè Tokyo). Veniva percorsa dai signori feudali con la propria corte (a volte composta da 3000 persone) quando andavano a rendere omaggio allo Shogun: un viaggio a piedi tra montagne impervie e strade faticose, che poteva durare dai 10 ai 16 giorni.
Hiroshige rappresenta le sessantanove tappe del viaggio con splendide vedute "a volo d'uccello" sui paesaggi (che diventano l'elemento principale) e sulle persone che lo attraversano, creando per la prima volta una "storia visuale del paesaggio" a cui ogni giapponese può sentirsi vicino (a differenza dell'arte precedente, che si limitava a rappresentare i potenti), un'arte che - grazie alla sua riproducibilità - ogni giapponese può finalmente acquistare per un prezzo modico e appendersi in casa.

La terza ed ultima mostra, anch'essa conclusa ma di cui per fortuna ho potuto acquistare il catalogo, si è conclusa al Palazzo Roverella di Rovigo a gennaio, e si intitolava "Giapponismo - Venti d'Oriente nell'arte europea 1860-1915".


Le xilografie a colori dei maestri giapponesi arrivano in Europa dopo il 1853, quando il Commodoro Perry rompe il secolare isolamento del Giappone, ma diventano popolari con la grandi esposizioni universali di Londra (1862) e Parigi (1867).
Quanto arriva dal Giappone va subito ad influenzare un'arte desiderosa di rinnovamento, in un momento in cui l'Europa è in una fase di profondo cambiamento ed i vecchi mezzi espressivi sembrano non essere più adeguati.
Van Gogh, come detto, è uno degli artisti più sensibili nel recepire la nuova modalità espressiva - copiando esplicitamente Hiroshige, ma reinventando con maestria l'aspetto cromatico.
"Giapponismo" (termine in uso ancora oggi, come si può vedere) è stato coniato dal collezionista francese di xilografie Philippe Burthy nel 1872.

Bene, chiudo qui questa carrellata, invitandovi a dirmi in che rapporti siete voi con il Giappone...e a segnalarmi qualsiasi cosa interessante vi capiti sotto mano su questo tema!:-)

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