Il rapporto, sintetizzato in una serie di slides molto esplicite e comprensibili che trovate qui, fornisce una serie di dati sul periodo 2000-2010 che - se non vengono smentiti e se vengono compresi da un popolo ipnotizzato - possono davvero far incrementare in modo repentino la produzione, la vendita e soprattutto l'uso dei forconi.
Ne estraggo un campionario significativo, di questi dati. Quanto basta.
Occupazione.
Dall’inizio della crisi al secondo trimestre 2010 sono stati persi oltre un milione di posti di lavoro.
Il tasso di disoccupazione 2010 nel II trimestre 2010 è arrivato all’8,5%, circa 2 milioni e 136mila persone.
Gli inattivi in Italia sono arrivati a circa 15 milioni.
Nel picco (III trim 2009) dei 508mila posti di lavoro persi, circa 220mila erano a tempo determinato e, per la prima volta dal 1999, 110mila a tempo indeterminato.
Le lavoratrici e i lavoratori coinvolti dalla CIG sono oltre 1.200mila (pari a 650mila inattivi con –4.900 euro in un anno).
Le imprese coinvolte sono oggi oltre 5.000 (oltre 180 tavoli aperti) per oltre 400mila lavoratori.
Se consideriamo tra gli inoccupati anche gli scoraggiati (circa 300mila nuovi inattivi, soprattutto al Sud) il tasso di disoccupazione reale arriva all’11% (12% con i lavoratori in CIG).
Il tasso di disoccupazione reale tornerà ai livelli pre-crisi solo nel 2017.
Occupazione giovanile in crisi.
La disoccupazione giovanile ha raggiunto il picco del 28,2% a febbraio 2010 e nel II trimestre si è attestata al 27,9%.
La media europea nell’anno 2009 è del 19,8%.
Nel Mezzogiorno l’indice arriva al 39,3%.
In Italia, secondo il CNEL, nel 2009 sono stati oltre 450mila i posti di lavoro persi da parte dei giovani (16-24 anni).
Secondo l’Istat nel 2009, poco più di due milioni di giovani non lavora e non frequenta nessun corso di studi (il 21,2% della popolazione tra i 15 e i 29 anni: i cosiddetti Neet, Not in education, employment or training).
Per quanto riguarda coloro che sono fortunatamente impiegati, il 30% della popolazione 18-29enne svolge un lavoro atipico ed è in questo segmento che si è concentrato il calo dell’occupazione: se, per ogni 100 giovani occupati nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno, 15 sono transitati nella condizione di non occupato (erano 10 un anno prima), tra i giovani collaboratori questa percentuale sale a 27.
La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza.
Secondo l’ultima Indagine di Banca d’Italia sui redditi delle famiglie italiane, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane, che vuol dire che 2.380.000 famiglie possiedono ognuna mediamente 1.547.750 euro.
Così come il 50% della popolazione (la metà più povera) possiede solo il 9,8% della ricchezza netta complessiva: ovvero 11.908.000 famiglie posseggono mediamente 68.171 euro.
La distanza tra la ricchezza netta media (137.956 euro) e la ricchezza netta mediana (di quel 50% più povere, cioè 68.171 euro) evidenzia l’iniquità della distribuzione.
Indice di concentrazione della ricchezza netta (0,614) è quasi il doppio dell’Indice di concentrazione del reddito familiare (0,353).
Classificando i 30 paesi OCSE attraverso l’indice di concentrazione del reddito l’Italia risulta il sesto paese più diseguale. In Italia, la distanza tra reddito medio e reddito mediano (del 50% popolazione più povera) risulta invece essere cresciuta più di tutti gli altri paesi OCSE, passando, negli ultimi 15 anni, dal 10,5% al 17,3% (prima della crisi).
La nostra previsione è che nel 2011 tale distanza raddoppierà, superando il 20%.
Le dichiarazioni dei redditi 2008
I redditi maggiormente dichiarati sono quelli da lavoro dipendente e da pensione, sia in termini di frequenza (86%) che di ammontare (78%).
Seguono i redditi da partecipazione (5,47%), i redditi d'impresa (5,03%) e i redditi da lavoro autonomo (4,20%).
Il 27% dei contribuenti (11 milioni) paga zero IRPEF al fisco (quota esente). Il 50,86% dei contribuenti dichiara meno di 15.000 euro l'anno e il 40,04% dichiara redditi tra 15.000 e 35.000 euro.
Lo 0,9% dei contribuenti dichiara redditi superiori ai 100.000 euro annui.
In totale il 90,90% (oltre 37 milioni di contribuenti) dichiara meno di 35.000 euro.
Il reddito medio dei lavoratori dipendenti è pari a 19.280 euro e quello dei pensionati è di 13.440 euro.
Oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese.
Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne.
La caduta del reddito reale.
Nel I trim. 2010 Il reddito disponibile reale delle famiglie ha subito un’ulteriore flessione tendenziale rispetto al I trim. 2009 pari al -2,6% a prezzi correnti (considerando la somma mobile di 4 trimestri).
Se rapportiamo tale ammontare alla popolazione residente, ottenendo il reddito disponibile pro capite, la flessione passa al -3,2%.
La caduta del potere d’acquisto per abitante in realtà risulta già molto evidente prima del 2009: rispetto al “picco” del III trim. 2006 la flessione del reddito in termini reali supera il 6%, che corrisponde ad oltre 1.100 euro annui.
…caduta del reddito di quali famiglie?
L’impatto della crisi è stato generalizzato e ha colpito tutte le famiglie italiane.
Eppure, a differenza delle famiglie con a capo un imprenditore o un libero professionista, le famiglie di lavoratori dipendenti hanno accumulato una perdita di reddito disponibile reale che si è trascinata fino alla crisi, in cui la riduzione dell’occupazione e l’abbattimento delle retribuzioni (soprattutto per effetto della CIG) hanno trascinato ancora più in basso il potere d’acquisto delle famiglie di operai e impiegati.
Variazioni dei redditi reali 2002-2010
Imprenditori e liberi professionisti: +5940 euro
Lavoratori dipendenti: - 3118 euro
Fonte: elaborazioni su microdati Banca d’Italia (I bilanci delle famiglie italiane, anni 2000-2008). (*) Stime 2009 e 2010.
La perdita dei salari reali tra il 2000 ed il 2010: – 5.453 euro
(considerando una mancata restituzione del fiscal drag di 2069 euro)
Quanto sono cresciuti i profitti? Variazione media annua (anni 1995-2009, 1400 grandi aziende): Profitti per dipendente+ 5% Retribuzione per dipendente: +1%
Dove sono andati i profitti? Tra il 1980 ed il 2009, il rapporto tra investimenti fissi lordi e profitti lordi è calato del 38,7%. Tra il 1990 ed il 2008, i redditi da capitale sono aumentati dell'87%.
Interessante anche questo articolo dal sito voce.info:Ieri l’Istat ha pubblicato il comunicato su occupati e disoccupati nel secondo trimestre del 2010. Aggiorniamo la tabella e i grafici già pubblicati su queste pagine in cui analizziamo l’andamento dell’occupazione durante la crisi.
LIEVE RIMBALZO DELL’OCCUPAZIONE, MA LE ASSUNZIONI SONO CON CONTRATTI TEMPORANEI.
Il tasso di disoccupazione peggiora ed ha raggiunto il livello più alto dal 2003, 8.5 per cento. Grave in particolare è la situazione della disoccupazione giovanile (27,9 per cento oggi contro il 20,4 per cento di due anni fa).
I posti di lavoro bruciati tra i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono 131.000 (-16.6 per cento sullo stock).
La figura 1 è un aggiornamento delle stime già pubblicate sulla percentuale di lavoratori in cassa integrazione (1). Il peggioramento dei dati sulla Cassa Integrazione nel secondo trimestre 2010, in gran parte dovuto alla CIG in Deroga insieme al nuovo aumento del tasso di disoccupazione, porta questa stima della quota di forza di lavoro in cerca di occupazione all'11,3 per cento.
Le ripercussioni della crisi sul mercato del lavoro non si arrestano anche se sembra esserci per la prima volta un’inversione di tendenza sul lato dell’occupazione. Il numero complessivo di occupati è salito rispetto al trimestre precedente, benché sia ancora inferiore rispetto allo stesso trimestre di un anno fa.
Questa lieve ripresa è avvenuta esclusivamente attraverso le nuove tipologie contrattuali, su cui sin qui si era concentrata la distruzione di posti di lavoro (i contratti a tempo determinato sono calati del 10 per cento dal secondo trimestre 2008 e pesano per ben il 42 per cento del totale dei posti andati persi). La fine del periodo di Cassa Integrazione e il fatto che ormai non si assuma più con contratti a tempo indeterminato contribuisce a spiegare la loro flessione (-1 per cento, rispetto allo 0,7 per cento dello scorso trimestre).
Il numero di posti di lavoro bruciati dal secondo trimestre 2008 ad oggi è 929.307. Questi sono i posti di lavoro persi tra i lavoratori italiani, tenendo conto dell’aumento della componente straniera (che per la prima volta ha superato 2 milioni di unità).
Tuttavia, come già ricordato tre mesi fa, le statistiche che riguardano gli stranieri risentono delle regolarizzazioni e sono pertanto meno attendibili.
Aggiorniamo di seguito anche la tabella e il grafico che riassumono l’andamento del mercato del lavoro in questo periodo.
(1) Per ottenere queste stime si calcolano il numero di lavoratori equivalenti a tempo pieno, dividendo le ore autorizzate totali di cassa integrazione per le ore lavorate in un trimestre da un lavoratore medio italiano.
Riassunto di tutta questa roba: in Italia un sacco di persone (e relative famiglie) stanno molto peggio di dieci anni fa, la situazione sta peggiorando e la classe dirigente sembra del tutto indifferente al problema.
E in tutto il resto del mondo, va ancora peggio: non è che il giusto e doveroso peggioramento del nostro tenore di vita serva a migliorare le condizioni degli ultimi del mondo (il che avrebbe un senso), ma serve solo ad arricchire una sempre più ristretta elite di bastardi (assassini, criminali, farabutti: come li definireste, altrimenti?).
Ecco perchè a chi vuol parlarmi di cognati, appartamenti, dibattiti nel partito, confronti sulla leadership, non intendo prestare il benchè minimo segno di attenzione.