venerdì, febbraio 19, 2010
"Fuori dal PDL chi commette reati"
Ed il mattino seguente, svegliandosi, non trovarono più nessuno.
giovedì, febbraio 18, 2010
Meno male...
...che non c'è un tempo massimo per stare in cabina a votare, perchè 'sto simbolo ci va un quarto d'ora a leggerlo:-)
lunedì, febbraio 15, 2010
Mignottazione comunista
Il sito "Comunicazione di genere" segnala questo splendido esempio di modernità comunista.
Questo bel manifesto lo potete trovare ovviamente sul sito di Rifondazione.
Il tentativo (lo comprendo) è quello di emulare l'ironia del Manifesto e di essere simpatici, ma il risultato mi sembra decisamente catastrofico:-).
Complimenti, cumpà.
Diteci poi quanti voti avrete raccolto tra veline ed escort, e quanti ne perderete tra le donne "non di classe".
PS: certo, da un lato questo è meno grave del manifesto razzista del PD di una sezione romana, segnalato dal blog del Russo, ma dall'altro è molto peggio perchè questo è stato vagliato ed approvato dalla direzione nazionale del Partito...
PS2: perchè parlo del sessismo di Rifondazione e non dico nulla sulla ennesima porcheria sessista pronunciata da B. in Albania? Perchè quest'ultima non è una notizia, è semplicemente vomito su vomito...e poi la miglior risposta ad una simile cosa si trova qui... ed a noi non resta che vergognarci per l'ennesima volta, perchè continuiamo a farci rappresentare da costui senza potercene affrancare.
Questo bel manifesto lo potete trovare ovviamente sul sito di Rifondazione.
Il tentativo (lo comprendo) è quello di emulare l'ironia del Manifesto e di essere simpatici, ma il risultato mi sembra decisamente catastrofico:-).
Complimenti, cumpà.
Diteci poi quanti voti avrete raccolto tra veline ed escort, e quanti ne perderete tra le donne "non di classe".
PS: certo, da un lato questo è meno grave del manifesto razzista del PD di una sezione romana, segnalato dal blog del Russo, ma dall'altro è molto peggio perchè questo è stato vagliato ed approvato dalla direzione nazionale del Partito...
PS2: perchè parlo del sessismo di Rifondazione e non dico nulla sulla ennesima porcheria sessista pronunciata da B. in Albania? Perchè quest'ultima non è una notizia, è semplicemente vomito su vomito...e poi la miglior risposta ad una simile cosa si trova qui... ed a noi non resta che vergognarci per l'ennesima volta, perchè continuiamo a farci rappresentare da costui senza potercene affrancare.
giovedì, febbraio 11, 2010
A Bertolaso
"Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando
o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti
precipitano roteando come massi da altissimi monti in rovina.
Uno dice che male c'è a organizzare feste private
con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato?
Non ci siamo capiti
e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?
Che cosa possono le Leggi dove regna soltanto il denaro?
La Giustizia non è altro che una pubblica merce...
di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori
se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente."
(Franco Battiato)
No, non è l'usuale disprezzo per le donne, degne al massimo di "una ripassata", che mi indigna.
E neppure l'abuso di potere.
Costoro si drogano di potere e ritengono di essere dio, ma la colpa non è loro.
La colpa è di chi glielo lascia credere.
Il padrone è sempre un'invenzione del servo, ed il potente un'immagine creata da chi non ha abbastanza dignità per riconoscere se stesso.
Non è Bertolaso il problema, ma chi in Bertolaso vede qualcosa di diverso da un uomo, e neppure dei migliori.
o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti
precipitano roteando come massi da altissimi monti in rovina.
Uno dice che male c'è a organizzare feste private
con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato?
Non ci siamo capiti
e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?
Che cosa possono le Leggi dove regna soltanto il denaro?
La Giustizia non è altro che una pubblica merce...
di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori
se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente."
(Franco Battiato)
No, non è l'usuale disprezzo per le donne, degne al massimo di "una ripassata", che mi indigna.
E neppure l'abuso di potere.
Costoro si drogano di potere e ritengono di essere dio, ma la colpa non è loro.
La colpa è di chi glielo lascia credere.
Il padrone è sempre un'invenzione del servo, ed il potente un'immagine creata da chi non ha abbastanza dignità per riconoscere se stesso.
Non è Bertolaso il problema, ma chi in Bertolaso vede qualcosa di diverso da un uomo, e neppure dei migliori.
La tempesta
"Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita."
(Prospero)
(Prospero)
Teatro Carignano, Torino, fino al 14 febbraio.
venerdì, febbraio 05, 2010
Vorresti non finisse mai
Perchè questo libro mi è piaciuto così tanto?
Credo sia perchè gronda amore, letteralmente, da ogni pagina.
E mentre scorri avidamente le pagine, e assapori con gusto quella scrittura così vicina a te, così spontanea e che rifiuta di prendere le distanze da quel che racconta, ti chiedi quale sarà il prossimo guaio, ma soprattutto quale sarà l'atto d'amore con cui lo si affronterà.
Gary scrive di un mondo che farebbe inorridire qualsiasi bravo borghese per la sua irregolarità e la sua distanza da qualsiasi modello di vita moralmente accettabile,: ma in questo mondo l'amore permea ogni angolo, lo illumina, e ce lo rende paradossalmente invitante, caldo, accogliente, vitale.
Oh, intendiamoci.
Qui l'amore non ha nulla a che vedere con quel che intende un certo nostro satrapo buffone, o quel che si intende nel mondo di plastica che cercano di spacciarci per autentico. Qui si parla di amore vero, che sa di fatica, di cacca e di piscio. Di fisicità, di attenzione vera. Di disgusto e di rabbia verso le "leggi naturali". Qui si racconta come ci si prende davvero cura di coloro che si amano. Anche se stanno andando in sfacelo, se sono brutti e ripugnanti. Perchè l'amore vero non è attrazione verso modelli seducenti e scintillanti, l'amore non è uno spot.
L'amore è non mollare chi si sta perdendo, l'amore è cura di chi ha raggiunto il suo momento di avere, l'amore è gratitudine, attenzione, pazienza, tempo.
L'amore raccontato qui devasta e fa a brandelli ogni idea di maternità e paternità "normali", di famiglia: il libro andrebbe fatto leggere a forza a chiunque si ostini a molestarci con stupidaggini dementi sul legame tra la famiglia tradizionale e l'amore.
L'amore raccontato qui ti porta a piangere senza vergogna.
C'è qualcosa, in questa Belleville multietnica degli anno sessanta (a cui Pennac è evidentemente debitore), che ci fa ardentemente desiderare di andarci a vivere, e fare di corsa quei sei piani senza ascensore per afffiancare l'amore che vi arranca con tenacia, fregandosene di avere il fiatone.
Questa mescolanza di ebrei, musulmani e francesi, bianchi e neri, che semplicemente vivono insieme, punto e basta, ed usano, sì, un certo razzismo di maniera per semplificare la comprensione del mondo, ma non per giudicare chi hanno intorno: per quello usano il loro cuore, e giudicano sempre quel che si fa, non quel che si appare.
Questi vecchietti adorabili che lottano contro la perdita di sè, ma che son sicuri di avere sempre qualcuno che dà loro una mano. E dispensano vita, saggezza, innocenza.
Questi personaggi che tracciano semplici ed immensi gesti d'amore, senza nessun bisogno di condirli con dichiarazioni altisonanti: la grande Madame Lola, il dottor Katz, il signor Waloumba ed i suoi tribuni, e poi i vicini, i negozianti, le puttane...
Questo meraviglioso gesto di Momò, che per più volte nel libro getta via soldi e merci, perchè semplicemente non contano un fico secco se hai qualcuno da amare.
Questa straordinaria Madame Rosa: un personaggio che ti vien voglia di abbracciare per perderti nella sua immensità corporea e affettiva, ed alla fine vorresti esser lì insieme a Momò a combattere con profumi e trucchi contro le schifose leggi di natura, o attivare tu stesso la macchina magica che fa andare il tempo al contrario.
Ecco: di tutto questo amore tra le persone - pulito e disinteressato- abbiamo bisogno, di tutta questa umanità - solare e semplice - abbiamo bisogno, e questo libro ci regala la speranza che esistano davvero. Non l'amore tra due soli esseri, badate bene, ma l'amore tra le persone.
Le più diverse, improbabili, "impresentabili": ma amabili semplicemente perchè vive, vere, presenti.
E in virtù di questa speranza, questo libro si fa amare anch'esso, e non vorresti lasciarlo più: e non ci si può far nulla.
Un ulteriore appunto lo merita la scrittura: la senti amica, popolare, vicina.
Sa di buono, di luoghi amici e odori conosciuti.
Ed ogni tanto, lungo la strada che porta all'epilogo, Gary semina - come se nulla fosse, come un dono lasciato lì per caso - alcune frasi che sono autentici gioielli: e quando ne scopri una, è un piacere fermarsi e starsene lì ad ammirarla, a farsela risuonare un po' nella mente ripetendola piano, a godersela.
(No, non vi faccio alcun esempio: così come la bellezza di un fiore ha senso solo nel prato in cui è cresciuto, e perde vita e senso se lo strappo e me le porto a casa, così le frasi-gioiello di Gary devono apparirvi lungo il sentiero della lettura mentre siete guidati dalle altre sue parole: riportarle qui sarebbe una mancanza di rispetto all'opera).
Credo sia perchè gronda amore, letteralmente, da ogni pagina.
E mentre scorri avidamente le pagine, e assapori con gusto quella scrittura così vicina a te, così spontanea e che rifiuta di prendere le distanze da quel che racconta, ti chiedi quale sarà il prossimo guaio, ma soprattutto quale sarà l'atto d'amore con cui lo si affronterà.
Gary scrive di un mondo che farebbe inorridire qualsiasi bravo borghese per la sua irregolarità e la sua distanza da qualsiasi modello di vita moralmente accettabile,: ma in questo mondo l'amore permea ogni angolo, lo illumina, e ce lo rende paradossalmente invitante, caldo, accogliente, vitale.
Oh, intendiamoci.
Qui l'amore non ha nulla a che vedere con quel che intende un certo nostro satrapo buffone, o quel che si intende nel mondo di plastica che cercano di spacciarci per autentico. Qui si parla di amore vero, che sa di fatica, di cacca e di piscio. Di fisicità, di attenzione vera. Di disgusto e di rabbia verso le "leggi naturali". Qui si racconta come ci si prende davvero cura di coloro che si amano. Anche se stanno andando in sfacelo, se sono brutti e ripugnanti. Perchè l'amore vero non è attrazione verso modelli seducenti e scintillanti, l'amore non è uno spot.
L'amore è non mollare chi si sta perdendo, l'amore è cura di chi ha raggiunto il suo momento di avere, l'amore è gratitudine, attenzione, pazienza, tempo.
L'amore raccontato qui devasta e fa a brandelli ogni idea di maternità e paternità "normali", di famiglia: il libro andrebbe fatto leggere a forza a chiunque si ostini a molestarci con stupidaggini dementi sul legame tra la famiglia tradizionale e l'amore.
L'amore raccontato qui ti porta a piangere senza vergogna.
C'è qualcosa, in questa Belleville multietnica degli anno sessanta (a cui Pennac è evidentemente debitore), che ci fa ardentemente desiderare di andarci a vivere, e fare di corsa quei sei piani senza ascensore per afffiancare l'amore che vi arranca con tenacia, fregandosene di avere il fiatone.
Questa mescolanza di ebrei, musulmani e francesi, bianchi e neri, che semplicemente vivono insieme, punto e basta, ed usano, sì, un certo razzismo di maniera per semplificare la comprensione del mondo, ma non per giudicare chi hanno intorno: per quello usano il loro cuore, e giudicano sempre quel che si fa, non quel che si appare.
Questi vecchietti adorabili che lottano contro la perdita di sè, ma che son sicuri di avere sempre qualcuno che dà loro una mano. E dispensano vita, saggezza, innocenza.
Questi personaggi che tracciano semplici ed immensi gesti d'amore, senza nessun bisogno di condirli con dichiarazioni altisonanti: la grande Madame Lola, il dottor Katz, il signor Waloumba ed i suoi tribuni, e poi i vicini, i negozianti, le puttane...
Questo meraviglioso gesto di Momò, che per più volte nel libro getta via soldi e merci, perchè semplicemente non contano un fico secco se hai qualcuno da amare.
Questa straordinaria Madame Rosa: un personaggio che ti vien voglia di abbracciare per perderti nella sua immensità corporea e affettiva, ed alla fine vorresti esser lì insieme a Momò a combattere con profumi e trucchi contro le schifose leggi di natura, o attivare tu stesso la macchina magica che fa andare il tempo al contrario.
Ecco: di tutto questo amore tra le persone - pulito e disinteressato- abbiamo bisogno, di tutta questa umanità - solare e semplice - abbiamo bisogno, e questo libro ci regala la speranza che esistano davvero. Non l'amore tra due soli esseri, badate bene, ma l'amore tra le persone.
Le più diverse, improbabili, "impresentabili": ma amabili semplicemente perchè vive, vere, presenti.
E in virtù di questa speranza, questo libro si fa amare anch'esso, e non vorresti lasciarlo più: e non ci si può far nulla.
Un ulteriore appunto lo merita la scrittura: la senti amica, popolare, vicina.
Sa di buono, di luoghi amici e odori conosciuti.
Ed ogni tanto, lungo la strada che porta all'epilogo, Gary semina - come se nulla fosse, come un dono lasciato lì per caso - alcune frasi che sono autentici gioielli: e quando ne scopri una, è un piacere fermarsi e starsene lì ad ammirarla, a farsela risuonare un po' nella mente ripetendola piano, a godersela.
(No, non vi faccio alcun esempio: così come la bellezza di un fiore ha senso solo nel prato in cui è cresciuto, e perde vita e senso se lo strappo e me le porto a casa, così le frasi-gioiello di Gary devono apparirvi lungo il sentiero della lettura mentre siete guidati dalle altre sue parole: riportarle qui sarebbe una mancanza di rispetto all'opera).
Nota: ormai le recensioni dei libri che leggo le posto soltanto su Anobii, ma in questo caso Gary meritava un'eccezione.
martedì, febbraio 02, 2010
La coda e la testa
IL TG3 delle 19 di ieri presenta un servizio su una scuola primaria romana.
Dove ci sono 40 posti disponibili per il tempo pieno, e le richieste delle famiglie sono 50.
Ed i genitori che fanno?
Passano la notte davanti a scuola. Dalle 2 alle 9.
Organizzati in turni, con i contrappelli ogni ora.
Ed alle 9, quando apre la segreteria, i primi 40 vincono: gli altri si attacchino.
Ora, che si sia giunti a questo (un'offerta non adeguata alle richieste) è delirante, e la catena di responsabilità - dal duo Tremonti-Gelmini alle dirigenze scolastiche - è ben individuabile.
Ma la risposta che viene data a questo problema dai genitori qual è?
"Chi tardi arriva, male alloggia". Mio Dio.
Se una delle famiglie che ha chiesto il tempo pieno ha il padre che lavora di notte e la madre che deve accudire un altro essere umano, piccolo od anziano che sia, e non può partecipare a questa assurda maratona, è FUORI.
Possibile che al Consiglio di Circolo o di Istituto o al Comitato Genitori non sia venuta una idea migliore di questa?
Possibile che a queste persone non sia venuta l'idea di trovare un sistema diverso dalla competizione, per risolvere la questione?
Persino il sorteggio, a mio avviso, era più equo di questa selezione basata sulla disponibilità di tempo da passare di notte davanti alla scuola.
Ma ci voleva molto a metter giù quattro dati sulle famiglie interessate (composizione, necessità legate al lavoro dei genitori, necessità di assistenza, situazione organizzativa degli altri figli) e INSIEME valutare chi aveva più bisogno, riconoscendo semplicemente che non tutti partono dalla stesse condizioni e c'è chi ha più bisogno e chi ne ha meno degli altri?
Che ci sono situazioni in cui è più semplice organizzarsi in modo alternativo ed altre in cui, oggettivamente, è impossibile?
La cosa più triste di questa storia (che non è unica nè isolata) non è il disagio dei genitori che fanno la coda al freddo, come sembra suggerire il servizio: ma l'assenza totale di una visione solidaristica, umana, che parta dal riconoscimento dell'altro e dei bisogni che ha.
Ed il fatto che, nelle difficoltà, persone che hanno lo stesso problema tendano a sposare sempre - ahimè - un modello di soluzione competitivo, che preveda vincenti e sconfitti (ed i sconfitti son sempre gli stessi: sempre).
UPDATE (grazie a Roberto Longo):
Dove ci sono 40 posti disponibili per il tempo pieno, e le richieste delle famiglie sono 50.
Ed i genitori che fanno?
Passano la notte davanti a scuola. Dalle 2 alle 9.
Organizzati in turni, con i contrappelli ogni ora.
Ed alle 9, quando apre la segreteria, i primi 40 vincono: gli altri si attacchino.
Ora, che si sia giunti a questo (un'offerta non adeguata alle richieste) è delirante, e la catena di responsabilità - dal duo Tremonti-Gelmini alle dirigenze scolastiche - è ben individuabile.
Ma la risposta che viene data a questo problema dai genitori qual è?
"Chi tardi arriva, male alloggia". Mio Dio.
Se una delle famiglie che ha chiesto il tempo pieno ha il padre che lavora di notte e la madre che deve accudire un altro essere umano, piccolo od anziano che sia, e non può partecipare a questa assurda maratona, è FUORI.
Possibile che al Consiglio di Circolo o di Istituto o al Comitato Genitori non sia venuta una idea migliore di questa?
Possibile che a queste persone non sia venuta l'idea di trovare un sistema diverso dalla competizione, per risolvere la questione?
Persino il sorteggio, a mio avviso, era più equo di questa selezione basata sulla disponibilità di tempo da passare di notte davanti alla scuola.
Ma ci voleva molto a metter giù quattro dati sulle famiglie interessate (composizione, necessità legate al lavoro dei genitori, necessità di assistenza, situazione organizzativa degli altri figli) e INSIEME valutare chi aveva più bisogno, riconoscendo semplicemente che non tutti partono dalla stesse condizioni e c'è chi ha più bisogno e chi ne ha meno degli altri?
Che ci sono situazioni in cui è più semplice organizzarsi in modo alternativo ed altre in cui, oggettivamente, è impossibile?
La cosa più triste di questa storia (che non è unica nè isolata) non è il disagio dei genitori che fanno la coda al freddo, come sembra suggerire il servizio: ma l'assenza totale di una visione solidaristica, umana, che parta dal riconoscimento dell'altro e dei bisogni che ha.
Ed il fatto che, nelle difficoltà, persone che hanno lo stesso problema tendano a sposare sempre - ahimè - un modello di soluzione competitivo, che preveda vincenti e sconfitti (ed i sconfitti son sempre gli stessi: sempre).
UPDATE (grazie a Roberto Longo):
Per realizzare i tagli decisi con la l. 133/08, si è prodotta con il Regolamento sul primo ciclo, DPR 89/09,una sperequazione ancora maggiore di quanto non ce ne fosse prima tra scuola a tempo pieno e quella che ormai viene definita ex modulo, dato che i tagli stessi si sono concentrati particolarmente su quest'ulima, ma ciò che riporti testimonia di una "barbarie" molto grave e preoccupante perchè è del tutto illegale disporre l'accoglimento delle domande di iscrizione sulla base dell'ordine di presentazione delle stesse (pratica invece regolare nelle scuole private).
La stessa Circolare Ministeriale 4/10 sulle iscrizioni afferma:
Accoglimento della domanda
"Nella previsione di domande di iscrizione in eccedenza, le scuole procedono alla definizione dei criteri di precedenza nella ammissione, mediante apposita delibera del consiglio di circolo/istituto, da rendere pubblica prima delle iscrizioni, con affissione all'albo e, ove possibile, con la pubblicazione sul sito web dell'istituzione scolastica.
Le domande di iscrizione sono accolte entro il limite massimo dei posti complessivamente disponibili nella singola istituzione scolastica. Resta inteso, comunque, che l'Amministrazione scolastica deve garantire in ogni caso, trattandosi di istruzione dell'obbligo, il diritto allo studio attraverso ogni utile forma di coordinamento e di indirizzo a livello territoriale.
L'esperienza dimostra che una aperta ed efficace collaborazione tra le scuole e gli Enti locali permette di predisporre in anticipo le condizioni per l'accoglienza delle domande, pur con le variazioni che di anno in anno si verificano.
Le scuole hanno l'obbligo di acquisire al protocollo le domande presentate e di comunicare, periscritto, agli interessati il mancato accoglimento delle stesse.
La comunicazione di non accoglimento, debitamente motivata, deve essere effettuata con ogni possibile urgenza per consentire l'opzione verso altra scuola."
Cosa fanno i genitori eletti nel Consiglio di Istituto? Deliberano i bivacchi notturni? Quando la Circolare parla di criteri da definire per la precedenza nell'ammissione non può che riferirsi a condizioni in essere nella famiglia dell'alunno o alunna all'atto dell'iscrizione e non certo al chi arriva prima.
In ogni caso se non c'è delibera del CdI in materia quelle assegnazioni possono essere impugnate.
La stessa Circolare Ministeriale 4/10 sulle iscrizioni afferma:
Accoglimento della domanda
"Nella previsione di domande di iscrizione in eccedenza, le scuole procedono alla definizione dei criteri di precedenza nella ammissione, mediante apposita delibera del consiglio di circolo/istituto, da rendere pubblica prima delle iscrizioni, con affissione all'albo e, ove possibile, con la pubblicazione sul sito web dell'istituzione scolastica.
Le domande di iscrizione sono accolte entro il limite massimo dei posti complessivamente disponibili nella singola istituzione scolastica. Resta inteso, comunque, che l'Amministrazione scolastica deve garantire in ogni caso, trattandosi di istruzione dell'obbligo, il diritto allo studio attraverso ogni utile forma di coordinamento e di indirizzo a livello territoriale.
L'esperienza dimostra che una aperta ed efficace collaborazione tra le scuole e gli Enti locali permette di predisporre in anticipo le condizioni per l'accoglienza delle domande, pur con le variazioni che di anno in anno si verificano.
Le scuole hanno l'obbligo di acquisire al protocollo le domande presentate e di comunicare, periscritto, agli interessati il mancato accoglimento delle stesse.
La comunicazione di non accoglimento, debitamente motivata, deve essere effettuata con ogni possibile urgenza per consentire l'opzione verso altra scuola."
Cosa fanno i genitori eletti nel Consiglio di Istituto? Deliberano i bivacchi notturni? Quando la Circolare parla di criteri da definire per la precedenza nell'ammissione non può che riferirsi a condizioni in essere nella famiglia dell'alunno o alunna all'atto dell'iscrizione e non certo al chi arriva prima.
In ogni caso se non c'è delibera del CdI in materia quelle assegnazioni possono essere impugnate.
lunedì, febbraio 01, 2010
Storia di una lotta (lungi dal terminare)
Tremila morti. Non è l'effetto di una catastrofe naturale, ma della lavorazione dell'amianto - o meglio, della produzione di quella miscela di cemento e amianto nota sotto il nome commerciale di "Eternit" - eseguita tra gli anni '60 e la fine degli anni '80 tra le province di Alessandria, Torino, Reggio Emilia e Napoli.
Di questa strage moderna si è parlato in una intensa serata, venerdì scorso a Cavagnolo (un piccolo paese di 2300 abitanti in provincia di Torino: qui la presenza di uno stabilimento Eternit, chiuso nel 1982, ha prodotto la morte accertata di 108 persone e la malattia di 46, come risulta dal documento di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Torino).
Ma è stata la città di Casale Monferrato (AL) a pagare all'amianto il tributo più pesante, come racconta il documentario "Seicentomila fibre in un respiro", di Michele Ruggiero, proiettato durante la serata.
Il locale stabilimento dell'Eternit, chiuso definitivamente nel 1986 e abbattuto di recente, impiegò nei momenti più floridi della produzione quasi mille persone, che si erano ridotte a circa trecento alla fine della storia della fabbrica.
L'Eternit per Casale rappresentava il posto sicuro, la certezza del reddito, il futuro dei figli, la possibilità di costruire casa: ed a questo si pagava il prezzo della salute, del rapido invecchiamento, della morte "da giovani".
Nel documentario, il sindacalista della CGIL Nicola Pondrano (che con Bruno Pesce sarà il coordinatore ed il motore della Vertenza Amianto, sin dagli anni '80) racconta del suo stupore quando, entrato all'Eternit nel 1974, vedeva rinnovarsi con eccessiva frequenza sui muri dello stabilimento gli annunci mortuari dei suoi colleghi, ben pochi dei quali superavano i sessant'anni.
E racconta di come lo colpì la visione di un magazziniere, di nome Marengo, che durante una pausa, seduto su un sacco di polverino d'amianto, lo apostrofò in piemontese dicendo: "Ma che sei venuto a fare, qui? A morire anche tu?"
(I magazzinieri furono ovviamente tra le categorie più colpite, a causa della vicinanza continua con l'amianto: i sopravvissuti furono pochissimi).
La pericolosa polvere dominava ogni parte dello stabilimento: senza alcuna protezione, senza alcun sistema di aspirazione, gli operai giunsero - come ricorda il titolo del documentario - ad aspirare seicentomila fibre di amianto con ogni respiro.
Un prete operaio, che lavorava a Casale ed aveva libero accesso ai vari reparti dello stabilimento, iniziò a creare una "mappa della malattia", che passò a Pondrano quando fu - ovviamente - allontanato dall'Eternit.
Da quel momento, il sindacato (con Pondrano e Pesce) intraprese una vertenza, lunga e complessa, che servì a far entrare nella fabbrica medici e ricercatori, e pian piano iniziò a delinearsi il quadro (tragico) della situazione.
Si scoprì, ad esempio, che le vittime non erano limitate all'ambito dei lavoratori dell'Eternit: perchè questi portavano a casa sui loro abiti e sulla loro pelle la temibile polvere d'amianto, che peraltro si diffondeva anche nel cielo e sul suolo di Casale.
Negli anni '80 fu costituita la Associazione Familiari della Vittime dell'Amianto, che proseguì insieme al sindacato la lotta per il riconoscimento della pericolosità di quella lavorazione - e della responsabilità di chi, conoscendo il rischio a cui erano sottoposti lavoratori e popolazione, non aveva fatto nulla per eliminarlo.
Non fu facile, per il sindacato, unire la lotta per la salute, e la tutela dei singoli operai che pagavano il prezzo della situazione, con la necessità di salvare comunque il reddito, il salario della gente - non meno indispensabile della salute.
Non fu facile andare contro l'opinione pubblica, convinta che il solo sollevare il problema avrebbe provocato la perdita di posti di lavoro, la crisi economica del territorio.
Quando senti parlare - con semplicità e autorevolezza - un sindacalista come Bruno Pesce o Nicola Pondrano, hai la piacevole sensazione di sentir parlare la parte più bella e vera (e con un orgoglio da rivendicare) della esperienza sindacale italiana: quella lontana dagli intrighi di palazzo e dalla burocrazia scaldasedie, e vicina alle persone, al lavoro, al territorio, alla realtà. E capisci quanto di buono e di importante ci sia ancora oggi in un'esperienza di impegno, di vicinanza, di lotta a favore del prossimo, che nella base del sindacato è viva e opera ogni santo giorno in condizioni di estrema difficoltà per salvare i posti di lavoro, e la dignità di quel posto.
Ma torniamo alla serata.
Per dire che la tragedia dell'Eternit, in questo territorio, non è una questione del passato: solo lo scorso anno, nel casalese, si sono registrati una cinquantina di decessi per mesotelioma pleurico o asbestosi, che sono le classiche conseguenze dell'esposizione alle fibre d'amianto; e che il picco dei decessi non è stato probabilmente nemmeno raggiunto, visto che il tempo di latenza di questo genere di tumore arriva a 40 anni.
E che il tema "bonifica" è soltanto all'inizio, nonostante le determinate azioni delle amministrazioni locali che si sono succedute a Casale e Cavagnolo negli anni, e nonostante la Regione abbia fornito, con la legge 30 del 2008, un valido strumento per affrontare il problema.
L'Assessore all'Ambiente della Regione, durante la serata, ha stimato che in giro per il territorio ci siano ancora 40 milioni di metri quadri di amianto, figli del favoloso successo commerciale dell'Eternit tra gli anni '60 ed '80: ed il costo di una bonifica totale si aggirerebbe sul miliardo di euro.
Compresa la dimensione del problema, si capisce perchè ci siano voluti vent'anni di lotte, indagini e una caparbietà notevole per giungere al processo aperto a Torino nel dicembre 2009: un primo processo negli anni novanta a carico dell'Eternit si risolse con un nulla di fatto.
Come ha detto la Presidente dell'Associazione Familiari delle Vittime, Romana Blusotti Pavesi, "la giustizia va conquistata con la lotta", ed era una dichiarazione commossa e grata rivolta a tutti da parte di coloro che la lotta l'hanno condottta, con i mezzi (più o meno semplici) di cui disponevano: tra essi, i familiari delle vittime ed i malati presenti in sala.
Tra chi ha partecipato a questa azione di lotta, assume ovviamente un ruolo importante il Procuratore Raffele Guariniello.
Che ha condotto le indagini, con i suoi collaboratori, in modo capillare, seguendo fatti e verificando intuizioni, tessendo negli anni una tela complessa, intricata, che solo alla fine ha rivelato la sua trama: ha fatto il suo mestiere, ma lo ha fatto così bene e con tale competenza che non possiamo non essergli grati per questo modo di interpretare la giustizia.
Non è finita, ci avverte Guariniello all'esordio di questo processo che avrà rilevanza mondiale (è il primo in assoluto in tema di amianto): siamo solo all'inizio, anzi; il processo sarà lungo e difficile.
Ma essere arrivati qui è già un grande risultato collettivo.
Questa esperienza servirà non solo al nostro paese, ma anche al resto del mondo laddove (in Brasile, in Canada) la lavorazione dell'amianto continua, e continua a mietere vittime.
Le vittime, i familiari, il sindacato, la Sanità e le Amministrazioni Locali, la Regione, la Procura hanno fatto e stanno facendo la loro parte in questo complesso percorso verso la giustizia: è giusto supportarli, come cittadini, con la nostra attenzione e partecipazione.
Di questa strage moderna si è parlato in una intensa serata, venerdì scorso a Cavagnolo (un piccolo paese di 2300 abitanti in provincia di Torino: qui la presenza di uno stabilimento Eternit, chiuso nel 1982, ha prodotto la morte accertata di 108 persone e la malattia di 46, come risulta dal documento di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Torino).
Ma è stata la città di Casale Monferrato (AL) a pagare all'amianto il tributo più pesante, come racconta il documentario "Seicentomila fibre in un respiro", di Michele Ruggiero, proiettato durante la serata.
Il locale stabilimento dell'Eternit, chiuso definitivamente nel 1986 e abbattuto di recente, impiegò nei momenti più floridi della produzione quasi mille persone, che si erano ridotte a circa trecento alla fine della storia della fabbrica.
L'Eternit per Casale rappresentava il posto sicuro, la certezza del reddito, il futuro dei figli, la possibilità di costruire casa: ed a questo si pagava il prezzo della salute, del rapido invecchiamento, della morte "da giovani".
Nel documentario, il sindacalista della CGIL Nicola Pondrano (che con Bruno Pesce sarà il coordinatore ed il motore della Vertenza Amianto, sin dagli anni '80) racconta del suo stupore quando, entrato all'Eternit nel 1974, vedeva rinnovarsi con eccessiva frequenza sui muri dello stabilimento gli annunci mortuari dei suoi colleghi, ben pochi dei quali superavano i sessant'anni.
E racconta di come lo colpì la visione di un magazziniere, di nome Marengo, che durante una pausa, seduto su un sacco di polverino d'amianto, lo apostrofò in piemontese dicendo: "Ma che sei venuto a fare, qui? A morire anche tu?"
(I magazzinieri furono ovviamente tra le categorie più colpite, a causa della vicinanza continua con l'amianto: i sopravvissuti furono pochissimi).
La pericolosa polvere dominava ogni parte dello stabilimento: senza alcuna protezione, senza alcun sistema di aspirazione, gli operai giunsero - come ricorda il titolo del documentario - ad aspirare seicentomila fibre di amianto con ogni respiro.
Un prete operaio, che lavorava a Casale ed aveva libero accesso ai vari reparti dello stabilimento, iniziò a creare una "mappa della malattia", che passò a Pondrano quando fu - ovviamente - allontanato dall'Eternit.
Da quel momento, il sindacato (con Pondrano e Pesce) intraprese una vertenza, lunga e complessa, che servì a far entrare nella fabbrica medici e ricercatori, e pian piano iniziò a delinearsi il quadro (tragico) della situazione.
Si scoprì, ad esempio, che le vittime non erano limitate all'ambito dei lavoratori dell'Eternit: perchè questi portavano a casa sui loro abiti e sulla loro pelle la temibile polvere d'amianto, che peraltro si diffondeva anche nel cielo e sul suolo di Casale.
Negli anni '80 fu costituita la Associazione Familiari della Vittime dell'Amianto, che proseguì insieme al sindacato la lotta per il riconoscimento della pericolosità di quella lavorazione - e della responsabilità di chi, conoscendo il rischio a cui erano sottoposti lavoratori e popolazione, non aveva fatto nulla per eliminarlo.
Non fu facile, per il sindacato, unire la lotta per la salute, e la tutela dei singoli operai che pagavano il prezzo della situazione, con la necessità di salvare comunque il reddito, il salario della gente - non meno indispensabile della salute.
Non fu facile andare contro l'opinione pubblica, convinta che il solo sollevare il problema avrebbe provocato la perdita di posti di lavoro, la crisi economica del territorio.
Quando senti parlare - con semplicità e autorevolezza - un sindacalista come Bruno Pesce o Nicola Pondrano, hai la piacevole sensazione di sentir parlare la parte più bella e vera (e con un orgoglio da rivendicare) della esperienza sindacale italiana: quella lontana dagli intrighi di palazzo e dalla burocrazia scaldasedie, e vicina alle persone, al lavoro, al territorio, alla realtà. E capisci quanto di buono e di importante ci sia ancora oggi in un'esperienza di impegno, di vicinanza, di lotta a favore del prossimo, che nella base del sindacato è viva e opera ogni santo giorno in condizioni di estrema difficoltà per salvare i posti di lavoro, e la dignità di quel posto.
Ma torniamo alla serata.
Per dire che la tragedia dell'Eternit, in questo territorio, non è una questione del passato: solo lo scorso anno, nel casalese, si sono registrati una cinquantina di decessi per mesotelioma pleurico o asbestosi, che sono le classiche conseguenze dell'esposizione alle fibre d'amianto; e che il picco dei decessi non è stato probabilmente nemmeno raggiunto, visto che il tempo di latenza di questo genere di tumore arriva a 40 anni.
E che il tema "bonifica" è soltanto all'inizio, nonostante le determinate azioni delle amministrazioni locali che si sono succedute a Casale e Cavagnolo negli anni, e nonostante la Regione abbia fornito, con la legge 30 del 2008, un valido strumento per affrontare il problema.
L'Assessore all'Ambiente della Regione, durante la serata, ha stimato che in giro per il territorio ci siano ancora 40 milioni di metri quadri di amianto, figli del favoloso successo commerciale dell'Eternit tra gli anni '60 ed '80: ed il costo di una bonifica totale si aggirerebbe sul miliardo di euro.
Compresa la dimensione del problema, si capisce perchè ci siano voluti vent'anni di lotte, indagini e una caparbietà notevole per giungere al processo aperto a Torino nel dicembre 2009: un primo processo negli anni novanta a carico dell'Eternit si risolse con un nulla di fatto.
Come ha detto la Presidente dell'Associazione Familiari delle Vittime, Romana Blusotti Pavesi, "la giustizia va conquistata con la lotta", ed era una dichiarazione commossa e grata rivolta a tutti da parte di coloro che la lotta l'hanno condottta, con i mezzi (più o meno semplici) di cui disponevano: tra essi, i familiari delle vittime ed i malati presenti in sala.
Tra chi ha partecipato a questa azione di lotta, assume ovviamente un ruolo importante il Procuratore Raffele Guariniello.
Che ha condotto le indagini, con i suoi collaboratori, in modo capillare, seguendo fatti e verificando intuizioni, tessendo negli anni una tela complessa, intricata, che solo alla fine ha rivelato la sua trama: ha fatto il suo mestiere, ma lo ha fatto così bene e con tale competenza che non possiamo non essergli grati per questo modo di interpretare la giustizia.
Non è finita, ci avverte Guariniello all'esordio di questo processo che avrà rilevanza mondiale (è il primo in assoluto in tema di amianto): siamo solo all'inizio, anzi; il processo sarà lungo e difficile.
Ma essere arrivati qui è già un grande risultato collettivo.
Questa esperienza servirà non solo al nostro paese, ma anche al resto del mondo laddove (in Brasile, in Canada) la lavorazione dell'amianto continua, e continua a mietere vittime.
Le vittime, i familiari, il sindacato, la Sanità e le Amministrazioni Locali, la Regione, la Procura hanno fatto e stanno facendo la loro parte in questo complesso percorso verso la giustizia: è giusto supportarli, come cittadini, con la nostra attenzione e partecipazione.
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