Quello a destra è proprio lui: Baxter! |
Il testo di un intervento scritto per (e presentato a) un congresso provinciale della CGIL.
Care compagne e
cari compagni,
oggi voglio
parlarvi un attimo di Baxter e di Watson.
Baxter è un tipo
molto pacato, pesa 75 chili e non si stanca mai.
E’ un robot, e
oggi costa soltanto 22.000 dollari, più o meno un anno di salario di un
operaio. Tu lo programmi, e lui è in grado di lavorare 24 ore su 24 producendo
in modo standard e con ritmo costante. Ha soltanto bisogno di una manutenzione elettrica e ingegneristica, che
è l’unico costo di gestione per il suo mantenimento.
Non mangia, non
dorme, non ha sentimenti, non va in ferie, non protesta, non fa sciopero e non
pianta grane.
Di Baxter,
nell’industria dell’auto e dell’elettronica americana, ce ne sono già un
milione e mezzo, perfettamente efficienti e funzionanti.
E poi c’è Watson.
Watson è un
genio: nel 2011, ha battuto senza pietà tutti i concorrenti del quiz televisivo
americano Jeopardy, rispondendo con la sua voce calda e naturale a tutte le
domande che gli sono state poste, a voce, dal conduttore del programma.
Watson è un
sistema di intelligenza artificiale creato da IBM: capisce il linguaggio
naturale quando gli parli, comprende le domande, e poi è capace di consultare
200 milioni di pagine in poche frazioni di secondo per risponderti con una voce
umana.
Watson, se gli
metti sotto una bella potenza di calcolo che ormai costa sempre meno, può
sostituire senza colpo ferire (e operando molto meglio) decine, centinaia di
operatori di contact center, anche quelli che operano dalla Albania o
dall’India per costare meno.
Se Baxter è un
po’ difficile da immaginare, i fratellini minori di Watson ce li abbiamo già
tutti pronti sui nostri iphone e sui nostri smartphone: è che ci fa un po’
paura ammetterlo, ma già oggi noi possiamo parlare con questi oggetti con la
nostra voce, fare domande e ricevere risposte vocali, o dare ordini come
“portami a casa”, per attivare il navigatore, o “metti la sveglia alle 7”.
Perché vi ho
parlato di Baxter e di Watson?
Perché
rappresentano la realizzazione concreta, immediata, presente di ciò che a
sinistra abbiamo perseguito e desiderato da sempre: la liberazione dell’uomo
dal lavoro.
La tecnologia sta
crescendo in un modo così rapido e così imprevedibile che, se solo fossimo in
grado di vederlo, probabilmente dovremo rivedere completamente le nostre
priorità di azione sindacale.
Ma non le vediamo
in modo molto nitido, le cose che ci capitano intorno.
Un po’ perché
siamo travolti dalle conseguenze della crisi, dalle migliaia di persone che
perdono il lavoro e chiedono una risposta immediata, qui e subito, ai propri
bisogni ed alla propria disperazione. E allora è naturale che cerchiamo di
turare le falle, di conservare quel che c’è, di ragionare come abbiamo fatto
sempre, conservando dieci posti qui, ed è un successo perché salvi la vita di
dieci famiglie, e mettendo la cassa integrazione lì, e ne hai salvati altre
dieci, di famiglie, e senti che hai fatto una cosa giusta.
Eppure, ce
l’abbiamo chiara questa sensazione che il mondo ci stia sfuggendo di mano, come
sabbia tra le dita, e per quanto stringiamo il pugno l’impressione è che il
grosso ci sfugga.
Ed è proprio
così, compagne e compagne. Sentite qui: due ricercatori di Oxford si sono messi
a calcolare la probabilità che i Baxter e i Watson si mettano, nel futuro, a
svolgere le occupazioni più routinarie che svolgono gli umani, ed hanno provato
ad ipotizzare quante professioni di oggi possono scomparire da qui a vent’anni.
Attenzione: i
robot, in USA, negli ultimi quarant’anni ne hanno già fatti perdere 10, di
milioni di lavoro. Non stiamo parlando di un futuro lontano, eh, ma di una cosa
che capita già, e capiterà anche qui, che a noi piaccia o meno.
Dunque, secondo i
due ricercatori, da qui a vent’anni i posti di lavoro in Italia diminuiranno,
grazie o per colpa dell’automazione, di altri DODICI MILIONI. Dodici milioni di
posti in meno in vent’anni.
Scompariranno
ragionieri e autisti, tassisti, librai, programmatori…per fortuna avremo ancora
bisogno di maestri e di psicologi, e di
competenze di alto livello tecnologico in grado di guidare la transizione delle
attività dall’uomo alle macchine.
Sabbia che sfugge
tra le dita, dicevo.
Vertenze e
ammortizzatori sociali non risolveranno PIU’ questo problema. Se il sindacato
non affronta questo argomento con un approccio ed una immaginazione totalmente
nuovi, è condannato a diventare il lobbysta irrilevante di una nicchia di
lavoratori che assomiglieranno agli indiani pellerossa oggi chiusi nelle
riserve.
Un atteggiamento
di resistenza o luddista contro le nuove tecnologie è impensabile.
La robotica e
l’automazione avanzeranno malgrado noi: chi oggi possiede la ricchezza finanzia
questo tipo di ricerca, investe, non solo per moltiplicare i suoi profitti, ma
perché è in corso quella che l’Economist definisce una nuova rivoluzione
industriale. Non si tratta solo di soldi, ma anche di realizzare il futuro
dell’umanità con mezzi nuovi.
Google, per dire,
ha appena acquisito quattro aziende americane di robotica. L’incrocio tra
informazione e automazione è al centro di tutti gli investimenti mondiali.
Oltre agli automi
e ai costosissimi robot, il prossimo decennio sarà quello della stampa 3D:
delle stampanti che, sulla base di un disegno 3D, creano oggetti reali. Delle
dimensioni che volete, perché queste stampanti che già esistono, vanno dai
mille al milione di euro, e possono stampare dal bicchiere ad una intera
automobile.
Per il film di
007 “Skyfall”, con una stampante 3D che poteva stampare oggetti di dimensioni fino a otto metri cubi, sono
stati realizzati tre modelli in scala 1/3 della Aston Martin di James Bond.
In 3D si può stampare
plastica, ABS, titanio, tessuto, ormai qualsiasi cosa. E la cosa più spaventosa
è che ormai chiunque di noi può comprarsi una stampante del genere a mille
euro, ordinandola oggi sul sito della COOP (non sto scherzando!) e iniziare a
prodursi in casa oggetti di qualsiasi dimensione, immediatamente, perché sono
immediatamente disponibili a tutti i file, gratis, per produrre qualsiasi tipo
di oggetto, intero o nelle sue componenti.
Inclusa una
pistola, interamente in plastica, che può sparare fino a sei colpi prima di
rompersi: se volete vi do l’indirizzo per scaricare i file.
Immaginate come
anche questo cambierà il futuro dell’industria manifatturiera: se avrai bisogno
di un oggetto di uso comune, tra due-tre anni partirai con la tua chiavetta e
andrai a fartelo stampare in un centro servizi 3D, senza nessun bisogno che ci
sia una fabbrica che produca diecimila bicchieri o piatti.
Si potrà – si può
già oggi! - stampare qualsiasi oggetto in qualsiasi parte del mondo,
replicandolo all’infinito, inviando semplicemente un file.
Tutto quello che
conosciamo, sta cambiando in un modo velocissimo.
E ci sta rendendo
obsoleti.
E ci sta rendendo
testimoni di un mondo peggiore di quello di ieri, dove alla liberazione dal
lavoro non corrisponde più felicità, ma maggior schiavizzazione del lavoro (fino
a quando potremo competere con i robot?), un impoverimento progressivo e
inesorabile di chi non ha mezzi e potere, e una sempre maggiore emarginazione
degli esseri umani. Divisi in due: chi è dentro e chi è fuori. Come sempre, ma
con la differenza che siamo noi e i nostri figli, per la prima volta, a
rischiare di essere fuori.
E allora, per
chiudere: che fare?
Quel che è certo
è che sarà sempre più difficile ed anacronistico lottare semplicemente per la
“difesa del posto di lavoro”, quando il lavoro umano tende a ridursi
inesorabilmente. Forse dobbiamo ritornare a sognare, a lottare per
redistribuire il tempo che le macchine rendono libero, e trasformare il
profitto immenso che queste macchine offrono in reddito per tutti, in felicità,
in vite degne di essere vissute, fatte di relazioni umani, di scambi, di
libertà dalla alienazione.
Forse dobbiamo
lasciar perdere la difesa a tutti i costi del posto che si sta perdendo, e
dedicare le nostre energie a capire come rifare la battaglia per il reddito di
cittadinanza, che garantisca a ogni persone il diritto ad una vita dignitosa
INDIPENDENTEMENTE dal lavoro, che ormai non sarà più il centro della vita per
un numero sempre crescente di persone.
L’unica cosa che
sappiamo con certezza è che contrastare questo processo sul piano delle lotte
tradizionali è inefficace, anche se ci rassicura e ci piace. Quel che abbiamo
di fronte è un potere fluido e sfuggente, non più immediatamente riconoscibile.
Gli eventi macroscopici, come le grandi rivoluzioni del passato, probabilmente
non capiteranno più (e le rivolte auto organizzate con lo smartphone, ad oggi,
non sembrano aver ancora raggiunto la forza di resistere nel tempo e darsi un
indirizzo di cambiamento generale).
Bisogna avere
immaginazione, essere creativi, ripensare il nostro modo di essere e di agire
come sindacato, in una società che sta rimettendo radicalmente in discussione
il nostro ruolo insieme a tutte le modalità di relazione che conoscevamo.
Rimettersi a
studiare e partire dalla conoscenza del presente e del prossimo futuro è
sicuramente un buon nuovo inizio, e se lo facciamo insieme magari ci verranno
idee nuove ed adeguate.
L’importante è
non rimanere chiusi nel recinto, nella nostra riserva indiana, a vederci
invecchiare in un tempo che non è più quello della vita reale.
Grazie per la
pazienza.