lunedì, dicembre 02, 2013

Beckett e il (non) senso della vita



“DA KRAPP A SENZA PAROLE”
Di Samuel Beckett
Traduzioni di Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Con Glauco Mauri e Roberto Sturno
Regia di Glauco Mauri
(Visto al Teatro Gobetti di Torino il 26 novembre 2013)

Cinque splendide e angoscianti partiture di Samuel Beckett sulla insensatezza e assurdità della vita.

Glauco Mauri è un grande, splendido vecchio (ha 81 anni).
La sua recitazione, specie ne “L’ultimo nastro di Krapp”, è ruggente e seducente.

Questo è il genere di teatro che entra violentemente nelle questioni della vita, ti pone con brutalità il tema del senso della vita stessa, e ti obbliga a pensare.

La vita è davvero questo cumulo di insensatezza che dice Beckett, dove gli sforzi dell’uomo per darle un senso sono continuamente frustrati da una quotidianità che dimostra esattamente l’opposto?

Davvero ogni nostra azione, alla fine, è inutile rispetto al semplice iter biologico che va dalla nascita alla morte, e siamo solo noi che ci ostiniamo a darle un significato, per non ammettere che viviamo e moriamo e basta, senza un preciso perché?

Davvero le nostre emozioni (l’amore, l’odio, la rabbia, la passione) sono invenzioni e suggestioni che mettiamo in campo per non dirci che tra la nostra vita e quella di un batterio in fondo, in termini di significato, non ci sono differenze?

Belle, forti e suggestive domande. A cui a volte tento spontaneamente di dare risposte.
Per scoprire che, in fondo, la cosa migliore è proprio evitare di porsele, quel tipo di domande, e continuare a sperare che le emozioni continuino a distrarmi ancora abbastanza a lungo da tener lontane le domande sul loro significato.

Poi, dalla visione dell’ultimo atto rappresentato, è nata tra amici una discussione collaterale sulla “conservazione”. (Se avete voglia di leggere il post fino alla fine, ne capirete l’origine).

Nulla di quello che oggi produciamo copiosamente e conserviamo in digitale (foto, testi…) resisterà così a lungo senza corrompersi…il tempo massimo di conservazione sicura sui nostri supporti domestici (ma anche professionali) è di 3-5 anni.

Leggere qui per farsene una ragione e non rinunciare a scrivere ANCHE su carta.
Questa recensione, ad esempio, è stata scritta prima su un taccuino Moleskine e forse quella versione sopravviverà a questo blog…:-)

Di seguito, le trame delle parti dello spettacolo (almeno per come le ho capite io, eh: Beckett non è affatto trasparente…)



Respiro.
Si alza il sipario, il palcoscenico è colmo di rifiuti e sacchi di immondizia. Non c'è nessuno. Si ode il vagito di un neonato, che diventa il respiro di un uomo, che diventa l'affannoso respiro dell'amore, che diventa il rantolo finale che precede la morte. Sipario.

Improvviso dell'Ohio.
Due personaggi dai lunghi capelli canuti e dai lunghi abiti neri siedono ad un tavolo, disposti a L, uno di fianco all'altro, identici.
Il Lettore apre un grande e pesante libro, e legge una storia che riguarda l'Ascoltatore.
Questi, periodicamente, batte le nocche sul tavolo e costringe il Lettore a riprendere la narrazione dall'ultimo punto precedente. E' una storia dolorosa, che parla di una assenza.
I due uomini sono la stessa persona. Lo sdoppiamento, forse, è un modo per trovare una via di fuga dal dolore.

Atto senza parole.
Qui, Sturno è una specie di clown triste sul  palcoscenico che rappresenta un deserto assolato, accecante e ostile. Il suono di un fischietto lo richiama due volte fuori scena, ma entrambe le volte viene rigettato con violenza nel deserto.
Mentre è sofferente per il caldo, dal cielo scende una palma. Appena ottiene un po' di refrigerio dalla sua misera ombra, le foglie si piegano.
Scende dal cielo una brocca con dell'acqua, e l'uomo gioisce: ma si rende quasi subito conto che è troppo alta e fuori dalla sua portata.
Scende un cubo, ne scende un secondo, e l'uomo li usa per tentare di raggiungerla, ma entrambe le volte la brocca si alza quel tanto che basta per divenire inafferrabile.
Scende una corda, scende un paio di forbici.
L'uomo tenta di catturare la brocca con la corda, ma invano.
Allora taglia la corda, fa un cappio e, usando i cubi, tenta di raggiungere una sporgenza della palma per impiccarsi: ma la sporgenza scompare, la corda si affloscia.
Lascia la corda su un cubo e inizia a pensare a come suicidarsi tagliandosi la gola con le forbici. Ma poi le appoggia un attimo sul cubo, e questo si alza portando via con sè corda e forbici.
L'uomo, la cui volontà è spezzata, si siede desolato e vinto al centro del palcoscenico.
A questo punto, la brocca con l'acqua ridiscende, proprio davanti a lui.

Adesso, potrebbe prenderla senza fatica e bere, ristorarsi.

Ma l'uomo ora scrolla le spalle. Rinuncia, e sceglie la solitudine ed il distacco, definitivamente.

L'ultimo nastro di Krapp.
Il vecchio, trasandato Krapp (Mauri) siede ad una disordinata scrivania nella sua stanza, con un registratore a bobina  di fronte a sè.
E' irritato e irritante. Litiga con un mazzo di chiavi e con un cassetto che apre con difficoltà, per poi estrarne una banana che mangia con gusto.
Ripete la manfrina, e lascia a metà una seconda banana.
Dal caos della stanza recupera un registro polveroso, lo apre e ne legge l'indicazione di una bobina contenuta in una scatola. La cerca rabbiosamente, la trova, la monta ed inizia ad ascoltare: è la sua voce, di quando aveva 39 anni.
Racconta della insensatezza della vita, e di un pomeriggio con una ragazza fatto di momenti ritenuti allora indimenticabili, ma che il vecchio Krapp, visibilmente, non ricorda affatto.
Krapp si stizzisce, interrompe il nastro, lo riavvolge e riascolta la narrazione di quei momenti.
Poi cambia nastro, e incide amaramente una considerazione su quanto fosse cretino a 39 anni.
Rimette il nastro che lo ha colpito, riascolta lo stesso passaggio un'altra volta. Poi lo lascia terminare, e resta in silenzio, nel buio, a guardare la bobina che gira a vuoto.

 
Particolare inquietante: il nastro che viene riprodotto è stato inciso dallo stesso Mauri cinquantun anni fa, quando ne aveva 30 e interpretò questo atto di Beckett per la prima volta nella sua carriera, nel 1962.

Secondo particolare interessante: l'atto di Beckett è del 1958, e il nastro, nella finzione, è stato inciso quando il vecchio protagonista aveva 39 anni, quindi negli anni venti del Novecento:ma i registratori a bobina, a quel tempo, non esistevano ancora; quindi la storia, quando è stata scritta,  è stata evidentemente ambientata nel futuro.

La ovvia considerazione che abbiamo fatto tra amici, uscendo da teatro, è che non è pensabile, oggi, scrivere un testo teatrale che racconti di un tizio che riascolta qualcosa che ha archiviato trenta o quaranta anni prima in formato digitale (il motivo l’ho spiegato nell’introduzione…)

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