“DA KRAPP A SENZA PAROLE”
Di Samuel Beckett
Traduzioni di Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Con Glauco Mauri e Roberto Sturno
Regia di Glauco Mauri
(Visto al Teatro Gobetti di Torino il 26 novembre 2013)
Cinque splendide e angoscianti partiture di Samuel
Beckett sulla insensatezza e assurdità della vita.
Glauco Mauri è un grande, splendido vecchio (ha 81 anni).
La sua recitazione, specie ne “L’ultimo nastro di Krapp”,
è ruggente e seducente.
Questo è il genere di teatro che entra violentemente
nelle questioni della vita, ti pone con brutalità il tema del senso della vita
stessa, e ti obbliga a pensare.
La vita è davvero questo cumulo di insensatezza che dice
Beckett, dove gli sforzi dell’uomo per darle un senso sono continuamente
frustrati da una quotidianità che dimostra esattamente l’opposto?
Davvero ogni nostra azione, alla fine, è inutile rispetto
al semplice iter biologico che va dalla nascita alla morte, e siamo solo noi
che ci ostiniamo a darle un significato, per non ammettere che viviamo e moriamo
e basta, senza un preciso perché?
Davvero le nostre emozioni (l’amore, l’odio, la rabbia,
la passione) sono invenzioni e suggestioni che mettiamo in campo per non dirci
che tra la nostra vita e quella di un batterio in fondo, in termini di
significato, non ci sono differenze?
Belle, forti e suggestive domande. A cui a volte tento
spontaneamente di dare risposte.
Per scoprire che, in fondo, la cosa migliore è proprio
evitare di porsele, quel tipo di domande, e continuare a sperare che le
emozioni continuino a distrarmi ancora abbastanza a lungo da tener lontane le
domande sul loro significato.
Poi, dalla visione dell’ultimo atto rappresentato, è nata
tra amici una discussione collaterale sulla “conservazione”. (Se avete voglia
di leggere il post fino alla fine, ne capirete l’origine).
Nulla di quello che oggi produciamo copiosamente e
conserviamo in digitale (foto, testi…) resisterà così a lungo senza
corrompersi…il tempo massimo di conservazione sicura sui nostri supporti
domestici (ma anche professionali) è di 3-5 anni.
Leggere qui per farsene una ragione e non rinunciare a
scrivere ANCHE su carta.
Questa recensione, ad esempio, è stata scritta prima su
un taccuino Moleskine e forse quella versione sopravviverà a questo blog…:-)
Di seguito, le trame delle parti dello spettacolo (almeno
per come le ho capite io, eh: Beckett non è affatto trasparente…)
Respiro.
Si alza il sipario, il palcoscenico è colmo di rifiuti e
sacchi di immondizia. Non c'è nessuno. Si ode il vagito di un neonato, che
diventa il respiro di un uomo, che diventa l'affannoso respiro dell'amore, che
diventa il rantolo finale che precede la morte. Sipario.
Improvviso dell'Ohio.
Due personaggi dai lunghi capelli canuti e dai lunghi
abiti neri siedono ad un tavolo, disposti a L, uno di fianco all'altro,
identici.
Il Lettore apre un grande e pesante libro, e legge una
storia che riguarda l'Ascoltatore.
Questi, periodicamente, batte le nocche sul tavolo e
costringe il Lettore a riprendere la narrazione dall'ultimo punto precedente.
E' una storia dolorosa, che parla di una assenza.
I due uomini sono la stessa persona. Lo sdoppiamento,
forse, è un modo per trovare una via di fuga dal dolore.
Atto senza parole.
Qui, Sturno è una specie di clown triste sul palcoscenico che rappresenta un deserto
assolato, accecante e ostile. Il suono di un fischietto lo richiama due volte
fuori scena, ma entrambe le volte viene rigettato con violenza nel deserto.
Mentre è sofferente per il caldo, dal cielo scende una
palma. Appena ottiene un po' di refrigerio dalla sua misera ombra, le foglie si
piegano.
Scende dal cielo una brocca con dell'acqua, e l'uomo
gioisce: ma si rende quasi subito conto che è troppo alta e fuori dalla sua
portata.
Scende un cubo, ne scende un secondo, e l'uomo li usa per
tentare di raggiungerla, ma entrambe le volte la brocca si alza quel tanto che
basta per divenire inafferrabile.
Scende una corda, scende un paio di forbici.
L'uomo tenta di catturare la brocca con la corda, ma
invano.
Allora taglia la corda, fa un cappio e, usando i cubi,
tenta di raggiungere una sporgenza della palma per impiccarsi: ma la sporgenza
scompare, la corda si affloscia.
Lascia la corda su un cubo e inizia a pensare a come
suicidarsi tagliandosi la gola con le forbici. Ma poi le appoggia un attimo sul
cubo, e questo si alza portando via con sè corda e forbici.
L'uomo, la cui volontà è spezzata, si siede desolato e
vinto al centro del palcoscenico.
A questo punto, la brocca con l'acqua ridiscende, proprio
davanti a lui.
Adesso, potrebbe prenderla senza fatica e bere,
ristorarsi.
Ma l'uomo ora scrolla le spalle. Rinuncia, e sceglie la
solitudine ed il distacco, definitivamente.
L'ultimo nastro di Krapp.
Il vecchio, trasandato Krapp (Mauri) siede ad una
disordinata scrivania nella sua stanza, con un registratore a bobina di fronte a sè.
E' irritato e irritante. Litiga con un mazzo di chiavi e
con un cassetto che apre con difficoltà, per poi estrarne una banana che mangia
con gusto.
Ripete la manfrina, e lascia a metà una seconda banana.
Dal caos della stanza recupera un registro polveroso, lo
apre e ne legge l'indicazione di una bobina contenuta in una scatola. La cerca
rabbiosamente, la trova, la monta ed inizia ad ascoltare: è la sua voce, di
quando aveva 39 anni.
Racconta della insensatezza della vita, e di un
pomeriggio con una ragazza fatto di momenti ritenuti allora indimenticabili, ma
che il vecchio Krapp, visibilmente, non ricorda affatto.
Krapp si stizzisce, interrompe il nastro, lo riavvolge e
riascolta la narrazione di quei momenti.
Poi cambia nastro, e incide amaramente una considerazione
su quanto fosse cretino a 39 anni.
Rimette il nastro che lo ha colpito, riascolta lo stesso
passaggio un'altra volta. Poi lo lascia terminare, e resta in silenzio, nel
buio, a guardare la bobina che gira a vuoto.
*
Particolare inquietante: il nastro che viene riprodotto è
stato inciso dallo stesso Mauri cinquantun anni fa, quando ne aveva 30 e
interpretò questo atto di Beckett per la prima volta nella sua carriera, nel
1962.
Secondo particolare interessante: l'atto di Beckett è del
1958, e il nastro, nella finzione, è stato inciso quando il vecchio protagonista
aveva 39 anni, quindi negli anni venti del Novecento:ma i registratori a bobina,
a quel tempo, non esistevano ancora; quindi la storia, quando è stata
scritta, è stata evidentemente
ambientata nel futuro.
La ovvia considerazione che abbiamo fatto tra amici,
uscendo da teatro, è che non è pensabile, oggi, scrivere un testo teatrale che
racconti di un tizio che riascolta qualcosa che ha archiviato trenta o quaranta
anni prima in formato digitale (il motivo l’ho spiegato nell’introduzione…)
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