mercoledì, gennaio 30, 2008

Il demagogo

L'ho sentito con le mie orecchie, quindi sono (ahimè) costretto a crederci.
Qualche giorno fa il capo dell'opposizione ha detto che se vincerà le elezioni farà subito tre cose:
  • abolirà l'ICI;
  • farà una legge severissima sulle intercettazioni telefoniche;
  • adotterà misure straordinarie per garantire la sicurezza dei cittadini.
Lo ha detto in qualche occasione pubblica, perchè alla radio dopo queste parole si sono uditi uno scroscio di applausi e un muggito di approvazione.

Qui su questo blog siamo d'accordo solo con la seconda che ha detto: ogni volta che leggiamo le SUE intercettazioni telefoniche ci vien da vomitare (quando dà ordini ai direttori RAI, quando caldeggia l'assunzione di nani e ballerine per far piacere a senatori compiacenti), e visto che in questo paese non c'è modo di vergognarsi quando uno fa così, che almeno ci venga risparmiato il mal di fegato.

Per quanto riguarda la prima, io non ho sentito reazioni. Si vede che sta bene a tutti che i comuni chiudano la serranda per sempre, e non ci siano più le mense i trasporti i vigili gli asili nido...
Si vede che siamo completamente rimbambiti, se dopo queste parole nel paese non è ancora rimbombato un sonoro e collettivo "VAFFANCULO!".

venerdì, gennaio 25, 2008

Una pessima giornata

La caduta di un governo prima della sua naturale conclusione è sempre un pessimo evento per un paese: questo rimane vero anche se questo paese è ormai ridotto ad uno stadio pieno di ultras, e capita di vedere pietose immagini di gente che festeggia con spumante, sputi, peti, rutti e lazzi, manco fosse caduta una dittatura, manco fossimo in un reality.

Un governo che stava governando (ma non sapeva comunicarlo) è stato abbattuto da un piccolo gruppo di sicari rancorosi, uno dei quali legge e insozza una bellissima poesia di Neruda nel momento in cui dovrebbe invece giustificare la costruzione di un impero di clientele e sostiene di fatto la tesi - complimenti - che la politica sia davvero la merda che la gente teme sia diventata.
E viene applaudito, VERGOGNA, quando attacca la magistratura, usando il richiamo ancestrale alla famiglia (ma sembra che il suo concetto al proposito assomigli a quello che esprime Denzel Washington in "American Gangster").

Un presidente di regione condannato per favoreggiamento di mafiosi festeggia la sentenza a cannoli, riceve applausi e ispira messe riparatorie.

Il rappresentante di una lobby fastidiosa ed ipocrita esprime giudizi da espulsione immediata sulle leggi dello Stato, con la scusa della libertà di espressione: e nel contempo, da tutti i media, ossessivamente, la stessa lobby si lamenta di essere vittima di censure.

Tornerà ora, di nuovo, il miliardario sorridente, con le sue pacche sulla spalle e le sue boutade, con il codazzo di yesmen proni e pronti a fare nuove "porcherie" come quelle che hanno prodotto questa situazione.

E le iene ridono, soddisfatte, guardando il disastro.

martedì, gennaio 22, 2008

Onore a te, Comandante Bulow


A 92 anni, Arrigo Boldrini, il mitico partigiano "comandante Bulow", è andato in montagna per sempre a raggiungere i suoi compagni.
Ha fatto bene a farlo oggi, quando il patrimonio della Resistenza sembra essere stato dilapidato e - sembra - stiamo per riconsegnare il paese in mano a quelli che la Resistenza l'hanno sempre vilipesa e offesa.

Grazie Comandante. Per esserci stato, per aver agito, per averci ricordato cosa vuol dire difendere davvero le cose che valgono.

La guerra italiana in Afghanistan

Va letto con attenzione, questo minidossier di Peacereporter che spiega come - nonostante l'assordante silenzio sull'argomento - l'Italia sia attivamente coinvolta in azioni militari nell'Afghanistan occupato.
Leggete soprattutto questa intervista all'esperto militare Gianandrea Gaiani: è illuminante.

Presto ci commuoveremo per il film "Il cacciatore di aquiloni", come già abbiamo fatto per lo struggente, tragico libro di Husseini.
Forse pensare di più a quel paese, ed alle nostre responsabilità nel massacro dei civili e nella distruzione di quel territorio, ci farà anche assumere un atteggiamento più informato quando, a fine gennaio, il Parlamento voterà il rifinanziamento della missione in Afghanistan.

lunedì, gennaio 21, 2008

Il ricattatore

"O mi date solidarietà INCONDIZIONATA o faccio cadere il governo". Detto, fatto. Trovato il pretesto per fare probabilmente il salto della quaglia ed arruolarsi di nuovo nelle truppe cammellate del centrodestra, il signore qui a fianco - che rappresenta il modo di fare politica che più detestiamo, e che vorremmo veder sparire - ci farà andare probabilmente a nuove elezioni con l'attuale legge elettorale (questa si "abominevole", caro il nostro Bagnasco), pur di non mollare quel frammento di disgustoso, ricattatorio potere in suo possesso (e che considera peraltro parte del suo patrimonio familiare).

Cittadini perbene

E' bello poter riportare, una volta tanto, una bella notizia, di quelle che rinfrancano l'anima.
La discarica di rifiuti di Torino si trova in una zona chiamata Basse di Stura.
Come per tutte le discariche, esiste un comitato di cittadini (in questo caso il Comitato 2003) che da sempre si batte per la chiusura immediata della discarica (il momento della chiusura arriverà comunque alla fine del 2009).
Bene, lo scorso venerdì il Comitato si è riunito (con circa un centinaio di partecipanti) ed ha dichiarato pubblicamente che è favorevole ad accogliere nella discarica i rifiuti campani.
"Per noi si tratta solo di dare un aiuto" ha spiegato il portavoce Gino De Serio (un cognome, un programma, verrebbe voglia di dire se non suonasse irrispettoso), "è una questione di solidarietà. Non ci possiamo tirare indietro, per questo pensiamo che la Provincia di Torino ed il suo Presidente Saitta (che sono schierati per la non accoglienza dei rifiuti campani) sbaglino. Bisogna dire sì, poi saranno i tecnici a spiegare quanti rifiuti si potranno accogliere e soprattutto dove. E se diranno che si devono portare a Basse di Stura, li portino pure a Basse di Stura."

Aiuto, solidarietà. Son parole che ultimamente si sentono poco, in giro. Grazie a De Serio e al Comitato 2003 per averle pronunciate, e per tentare di metterle in pratica.

Abominevole sarà lei!

Se l'ambasciatore di un paese straniero osasse criticare in modo aggressivo le leggi del paese che lo ospita, probabilmente sarebbe richiamato in modo formale e dichiarato persona non gradita.
In questo paese ormai alla deriva, invece, il presidente della CEI osa definire "abominevole" una legge dello Stato (la 194), ed abbiamo ahimè l'amara certezza che nessuno lo richiamerà all'ordine, ricordandogli il confine tra un'opinione ed un'offesa allo Stato che lo ospita.
Anzi, facilmente assisteremo di nuovo ad una desolante processione di baciapile che faranno a gara per condividere l'offesa e supportare l'ipocrisia di una gerarchia cattolica che se ne frega dei poveri, degli ultimi, ed amoreggia allegramente con la parte più immorale ed amorale del paese.
L'aggressività della Chiesa Cattolica sembra ormai inarrestabile.
Al pari del masochismo di tanta parte di coloro che si definiscono laici, e rinunciano a difendere gli spazi del pensiero libero contro i dogmi e le verità assolute.

giovedì, gennaio 17, 2008

Il Papa alla Sapienza: i documenti

Il testo della lettera aperta del professor Cini (14 novembre del 2007)," Se la Sapienza chiama il Papa e lascia a casa Mussi", pubblicata sul Manifesto

Signor Rettore, apprendo da una nota del primo novembre dell'agenzia di stampaApcom che recita: «è cambiato il programma dell'inaugurazione del 705esimo Anno Accademico dell'università di Roma La Sapienza, che in un primo momento prevedeva la presenza del ministro Mussi a ascoltare la Lectio Magistralis di papa Benedetto XVI». Il papa «ci sarà, ma dopo la cerimonia di inaugurazione, e il ministro dell'Università Fabio Mussi invece non ci sarà più».

Come professore emerito dell'università La Sapienza - ricorrono proprio in questi giorni cinquanta anni dalla mia chiamata a far parte della facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali su proposta dei fisici Edoardo Amaldi, Giorgio Salvini e Enrico Persico - non posso non esprimere pubblicamente la mia indignazione per la Sua proposta, comunicata al Senato accademico il 23 ottobre, goffamente riparata successivamente con una toppa che cerca di nascondere il buco e al tempo stesso ne mantiene sostanzialmente l'obiettivo politico e mediatico.

Non commento il triste fatto che Lei è stato eletto con il contributo determinante di un elettorato laico. Un cattolico democratico - rappresentato per tutti dall'esempio di Oscar Luigi Scalfaro nel corso del suo settennato di presidenza della Repubblica - non si sarebbe mai sognato di dimenticare che dal 20 settembre del 1870 Roma non è più la capitale dello stato pontificio. Mi soffermo piuttosto sull'incredibile violazione della tradizionale autonomia delle università - da più 705 anni incarnata nel mondo da La Sapienza dalla Sua iniziativa.

Sul piano formale, prima di tutto. Anche se nei primi secoli dopo la fondazione delle università la teologia è stata insegnata accanto alle discipline umanistiche, filosofiche, matematiche e naturali, non è da ieri che di questa disciplina non c'è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali. Ignoro lo statuto dell'università di Ratisbona dove il professor Ratzinger ha tenuto la nota lectio magistralis sulla quale mi soffermerò più avanti, ma insisto che di regola essa fa parte esclusivamente degli insegnamenti impartiti nelle istituzioni universitarie religiose. I temi che sono stati oggetto degli studi del professor Ratzinger non dovrebbero comunque rientrare nell'ambito degli argomenti di una lezione, e tanto meno di una lectio magistralis tenuta in una università della Repubblica italiana. Soprattutto se si tiene conto che, fin dai tempi di Cartesio, si è addivenuti, per porre fine al conflitto fra conoscenza e fede culminato con la condanna di Galileo da parte del Santo ufficio, a una spartizione di sfere di competenza tra l'Accademia e la Chiesa. La sua clamorosa violazione nel corso dell'inaugurazione dell'anno accademico de La Sapienza sarebbe stata considerata, nel mondo, come un salto indietro nel tempo di trecento anni e più.

Sul piano sostanziale poi le implicazioni sarebbero state ancor più devastanti. Consideriamole partendo proprio dal testo della lectio magistralis del professor Ratzinger a Ratisbona, dalla quale presumibilmente non si sarebbe molto discostata quella di Roma. In essa viene spiegato chiaramente che la linea politica del papato di Benedetto XVI si fonda sulla tesi che la spartizione delle rispettive sfere di competenza fra fede e conoscenza non vale più: «Nel profondo.., si tratta - cito testualmente - dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'infima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio».

Non insisto sulla pericolosità di questo programma dal punto di vista politico e culturale: basta pensare alla reazione sollevata nel mondo islamico dall'accenno alla differenza che ci sarebbe tra il Dio cristiano e Allah - attribuita alla supposta razionalità del primo in confronto all'imprevedibile irrazionalità del secondo - che sarebbe a sua volta all'origine della mitezza dei cristiani e della violenza degli islamici. Ci vuole un bel coraggio sostenere questa tesi e nascondere sotto lo zerbino le Crociate, i pogrom contro gli ebrei, lo sterminio degli indigeni delle Americhe, la tratta degli schiavi, i roghi dell'Inquisizione che i cristiani hanno regalato al mondo. Qui mi interessa, però, il fatto che da questo incontro tra fede e ragione segue una concezione delle scienze come ambiti parziali di una conoscenza razionale più vasta e generale alla quale esse dovrebbero essere subordinate. «La moderna ragione propria delle scienze naturali - conclude infatti il papa - con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda {sui perché di questo dato di fatto) esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali a altri livelli e modi del pensare - alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi a essa significherebbe una riduzione inaccetabile del nostro ascoltare e rispondere».

Al di là di queste circonlocuzioni (i corsivi sono miei) il disegno mostra che nel suo nuovo ruolo l'ex capo del Sant'uffizio non ha dimenticato il compito che tradizionalmente a esso compete. Che è sempre stato e continua a essere l'espropriazione della sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano da parte di una istituzione che rivendica l'esclusività della mediazione fra l'umano e il divino. Un'appropriazione che ignora e svilisce le innumerevoli differenti forme storiche e geografiche di questa sfera così intima e delicata senza rispetto per la dignità personale e l'integrità morale di ogni individuo.

Ha tuttavia cambiato strategia. Non potendo più usare roghi e pene corporali ha imparato da Ulisse. Ha utilizzato l'effige della Dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per entrare nella cittadella della conoscenza scientifica e metterla in riga. Non esagero. Che altro è, tanto per fare un esempio, l'appoggio esplicito del papa dato alla cosiddetta teoria del Disegno Intelligente se non il tentativo - condotto tra l'altro attraverso una maldestra negazione dell'evidenza storica, un volgare stravolgimento dei contenuti delle controversie interne alla comunità degli scienziati e il vecchio artificio della caricatura delle posizioni dell'avversario - di ricondurre la scienza sotto la pseudo-razionalità dei dogmi della religione? E come avrebbero dovuto reagire i colleghi biologi e i loro studenti di fronte a un attacco più o meno indiretto alla teoria danwiniana dell'evoluzione biologica che sta alla base, in tutto il mondo, della moderna biologia evolutiva?

Non desco a capire, quindi, le motivazioni della Sua proposta tanto improvvida e lesiva dell'immagine de La Sapienza nel mondo. Il risultato della Sua iniziativa, anche nella forma edulcorata della visita del papa (con «un saluto alla comunità universitaria») subito dopo una inaugurazione inevitabilmente clandestina, sarà comunque che i giornali del giorno dopo titoleranno (non si può pretendere che vadano tanto per il sottile): «Il Papa inaugura l'Anno Accademico dell'Università La Sapienza».

Congratulazioni, signor Rettore. Il Suo ritratto resterà accanto a quelli dei Suoi predecessori come. simbolo dell'autonomia, della cultura e del progresso delle scienze.

Marcello Cini



Il testo della lettera dei 67 docenti al Rettore.
"Magnifico Rettore, con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l'intervento di papa Benedetto XVI all'Inaugurazione dell'Anno Accademico alla Sapienza. Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella citta di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto". Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano. In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato".

Dichiarazione del Rettore (oggi, 17 gennaio):
"L'università ha un grande clima di libertà e il rettore non può intervenire. Coloro che hanno firmato la lettera saranno giudicati dagli studenti e dai colleghi. Se un docente fa valutazioni scientifiche errate viene giudicato dai suoi studenti, che sono i migliori giudici".

Robe da matti. Costui o non sa leggere, o è un mistificatore cosciente.

Dichiarazione di Maurizio Gasparri, AN (ieri,16 gennaio)
«Dopo lo sconcio della Sapienza di Roma ci attendiamo che vengano assunte iniziative per allontanare dall'ateneo i professori ancora in servizio che hanno firmato quel vergognoso manifesto. Questa dimostrazione di intolleranza non può restare priva di conseguenze».
16.01.08 14:05

Senti da che pulpito si parla di intolleranza!! Senti chi parla di vergogna!!! Robe da matti, davvero, è un paese in cui ogni personaggio può dire la sua contando sull'ignoranza dei fatti e sulla menzogna.

mercoledì, gennaio 16, 2008

Semplicemente, dei luridi schifosi farabutti

Le carte segrete della Thyssenkrupp - di Giovanna Pavani
(articolo tratto da www.megachip.info)
Lunedì, 14 gennaio 2008
C’è da rabbrividire nel leggere alcuni stralci di un documento, assolutamente riservato agli addetti ai lavori, sequestrato dalla magistratura nel corso di alcune perquisizioni nelle abitazioni di tre fra i massimi dirigenti della Thyssen Krupp di Torino, l'amministratore delegato Harald Espenhahn, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, già iscritti nel registro degli indagati per omicidio e disastro colposo. Si tratta di un’analisi interna aziendale della situazione politica italiana, un dossier scritto in tedesco, in modo da non essere immediatamente fruibile da indiscreti occhi italiani, che meglio di ogni altra testimonianza, metterebbe in evidenza l’atteggiamento sprezzante e privo di scrupoli del board della casa madre delle acciaierie di Essen rispetto alla gestione della situazione dopo l’incidente di Torino.

Prodi che specula, a livello mediatico, sulla morte degli operai di Torino per coprire altre emergenze nazionali che metterebbero in cattiva luce il suo governo. Un diverso tipo di trattamento per gli operai a Terni e a Torino e in tutte le altre fabbriche in via di dismissione. Una lunga tradizione sindacale “di stampo comunista” che avrebbe reso molto sfavorevole il mantenimento dell’attività produttiva nel capoluogo piemontese. E, infine, la necessità oggettiva di non colpire gli operai sopravvissuti al rogo della linea 5 con provvedimenti disciplinari in attesa che sia calata la polvere sullo scandalo delle misure di sicurezza dell’acciaieria. Nella nota, secondo quanto emerso da indiscrezioni trapelate dalla Procura, si analizza la storia e la realtà della città di Torino, dove esiste - registrano i funzionari ThyssenKrupp - “una lunga tradizione sindacale di stampo comunista” e dove, già negli anni precedenti alla tragedia, le “condizioni ambientali” apparivano sfavorevoli al mantenimento dell'attività produttiva. Non mancano i cenni remoti alla storia italiana e torinese degli “anni di piombo”, nei quali chi firma l'analisi ricorda come alcune delle pagine più sanguinose del terrorismo brigatista siano state scritte proprio a Torino.

Poi si passa a esaminare la situazione dei 20 giorni di dicembre che hanno fatto seguito alla tragedia, durante i quali il sacrificio degli operai, le loro condizioni di lavoro, le dichiarazioni di dura condanna da parte delle istituzioni e delle forze politiche e sindacali italiane hanno occupato le prime pagine dei giornali e dei telegiornali.

Ai vertici aziendali che dalla Thyssen tedesca hanno evidentemente richiesto elementi per poter meglio valutare la situazione e per poter quindi decidere la propria strategia sia di comunicazione sia legale, lo sconosciuto relatore dell'analisi trasmette i propri commenti.

Commenti che già nel tono fanno ben emergere la visione del lavoro di stampo ottocentesco che permea queste figure manageriali di un’azienda che, per storia antica ma mai sepolta (producevano i cannoni del Terzo Reich e anche i Panzer), è sempre stata poco avvezza a relazioni umane paritarie con i propri sottoposti.

E, infatti, nel dossier trapela il profondo fastidio dei vertici aziendali circa il modo in cui i media italiani enfatizzano la sopravvivenza degli operai scampati al rogo della linea 5.

I sopravvissuti e i compagni di lavoro delle vittime “passano di televisione in televisione “ e vengono rappresentati “come degli eroi”.

Un fatto, quest'ultimo, particolarmente sgradevole, che impedisce ogni possibile misura di censura o di richiamo a questi testimoni, che sono ancora e a tutti gli effetti dipendenti della società, ma che in questo momento sarebbe inopportuno colpire sul piano disciplinare, anche se non si esclude di poter prendere in considerazione questa ipotesi per il futuro, dopo un'attenta analisi degli aspetti formali e delle rassegne stampa cartacee e televisive.

Infine, viene tracciato un affresco a tinte fosche della situazione politica italiana in generale, facendo notare come lo stesso governo guidato da Romano Prodi, che attraverserebbe comunque un periodo di “crisi”, possa trarre vantaggio dall'estrema attenzione dei media sul rogo di Torino, che può esercitare, se non altro, un ruolo di calamita capace di distrarre l'attenzione dei lettori e dei telespettatori da altri e più urgenti problemi di politica interna.

Fin qui le poche righe di indiscrezioni che, anche da sole, hanno innescato una valanga di proteste e commenti. Come quello del leader Fiom, Giorgio Cremaschi: “Sono degli autentici mascalzoni – ha commentato – e tra le righe si intende che si preparano ad intimidire i lavoratori che dovranno testimoniare in tribunale”.

“Un inquietante volta faccia dei vertici Thyssen – è stato invece il commento a caldo del sindaco di Torino, Chiamparino – perché quando l'Ad della Thyssen Italia, Harald Espenhahn, e altri suoi colleghi sono venuti da me, hanno usato ben altre parole nei confronti della citta' e degli operai, bisogna capire ora se i pensieri contenuti in questa nota rappresentato il parere dell' azienda o di qualcuno in specifico.

I riferimenti su Torino e sulla storia democratica e sociale, disegnata come una caricatura - ha concluso, con disappunto, Chiamparino - sono comunque ignoranti e strumentali, e quelli sui lavoratori della Thyssen di Torino gravissimi'”. Piu' duro Giorgio Airaudo, segretario cittadino Fiom: “Sappiano i vertici Thyssen che questi lavoratori non saranno mai lasciati soli e che verranno difesi. E' gravissimo che l'azienda possa dire certe cose e pensare a vendette nei confronti dei suoi operai dopo averli esposti a rischi così pesanti''.

Inutile dire lo sconcerto e il rinnovato dolore che il ritrovamento di questo documento ha destato negli operai della Thyssen: “Dopo il danno, la beffa - ha commentato, con amarezza, Antonio Boccuzzi, un sopravvissuto - nessuno di noi va di in tv in tv, come loro asseriscono, per cercare di diventare un divo; vogliamo solo raccontare cosa non funzionò quella notte e cosa non funzionava in quel periodo. Credo che sia ancora una volta una totale mancanza di sensibilità e di umanità da parte dell'azienda.

Non riesco a capire che tipo di provvedimenti possano prendere perchè nessuno ha raccontato cose non vere”.

E nessuno, davvero nessuno in Italia, ha mai pensato il contrario. Al di là della vergogna morale di queste parole e della inaccettabilità dei giudizi dell'azienda sul clima politico esistente in Italia e dei riferimenti al terrorismo e alla città di Torino, il documento porterebbe a confermare, come subito sottolineato dalla Fiom, il rifiuto di ogni responsabilità aziendale sulla strage e sarebbe, anzi, il tentativo di scaricare colpe sui lavoratori, addirittura minacciandoli di provvedimenti disciplinari per danni all'immagine aziendale.

Un eclatante strategia intimidatoria, dunque, per far si che molti operai, preoccupati per il posto di lavoro, facciano a meno di testimoniare in tribunale ciò che sanno, che hanno visto e forse anche denunciato, inascoltati da padroni troppo impegnati a sfruttarli per il miglio profitto al minimo costo.

Ma ciò che ci si aspetta adesso è un incisivo intervento del governo presso il governo tedesco per avviare, come d’altra parte auspicano i sindacati, “una radicale modifica dei comportamenti di ThyssenKrupp in Italia, comportamenti che rappresentano un danno complessivo, oltre che per i lavoratori, per il sistema industriale italiano”.

E’ bene ricordare, infatti, che nel 2005 il governo italiano intervenne, con congrue sovvenzioni per evitare che la Thyssen desse seguito alla minaccia di abbandonare il polo di Terni per delocalizzare la produzione in Cina. Alla fine di un’estenuante trattativa durante la quale i vertici Thyssen si rimangiarono spesso la parola, il governo ottenne il mantenimento dell’attività ternana a fronte della dismissione di un solo ramo produttivo, ma furono sborsati migliaia di euro in cambio del mantenimento dei posti di lavoro.

Insomma, la storia si ripete ancora. Ma, d’altra parte, come ci si può fidare di un’azienda che non ha vergogna a portare un nome così tristemente pesante nella storia dell’ultimo conflitto mondiale? Cannoni e Panzer del Reich a parte, la storia della famiglia Thyssen è nota soprattutto per un’altra vicenda, per un massacro.

Per chi non lo ricordasse, nella primavera del 45, quando per la Germania la guerra era oramai persa e le truppe russe erano a 15 chilometri da Rechnitz, Margit von Batthyány , moglie del conte Ivan Batthyány e primogenita di Heinrich Thyssen, delfino della dinastia industriale tedesca, organizzò un ricevimento nel castello del paese, invitando trenta-quaranta persone tra cui importanti personalità del partito nazista locale, delle SS, della Gestapo e della gioventù hitleriana.

La festa fu accompagnata da ampie libagioni e durò fino all'alba. Per offrire agli ospiti un "diversivo", intorno a mezzanotte duecento ebrei in stato di denutrizione e valutati come inabili al lavoro vennero caricati su camion e condotti al Kreuzstadel, un fienile raggiungibile a piedi dal castello.

Franz Podezin, un membro della Gestapo e del partito nazista locale, riunì in una stanza del castello una quindicina di ospiti e, dopo aver consegnato loro armi e munizioni, li invitò "uccidere un paio di ebrei".

Le vittime predestinate furono obbligate a svestirsi prima di essere uccise dagli ospiti ubriachi della festa, che poi tornarono al castello e proseguirono i festeggiamenti fino all'alba. All'indomani alcuni di loro si sarebbero addirittura vantati delle loro atrocità, mentre le salme vennero interrate da quindici prigionieri ebrei che erano stati risparmiati esclusivamente per questo lavoro.

Questi ultimi furono poi condotti al mattatoio comunale, dove vennero uccisi da Podezin e Joachim Oldenburg, un membro locale del partito nazista.

Secondo lo storico Josef Hotwagner i russi arrivarono a Rechnitz nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1945, e nella stessa notte il castello dei Batthyány fu distrutto dalle fiamme (anche se non è chiaro se furono i russi ad appiccare il fuoco, oppure gli stessi nazisti nell'intento di occultare le prove dell'eccidio).

Nei giorni successivi il misfatto venne tuttavia alla luce: secondo un rapporto redatto dalle autorità sovietiche, vennero trovate ventuno fosse comuni, ciascuna misurante cinque metri per uno e contenente dalle dieci alle dodici persone. I cadaveri erano stati finiti con colpi alla nuca o con armi automatiche e presentavano, oltre ad un generale deperimento, molteplici ematomi, segno di violenze subite immediatamente prima dell'uccisione.

Una storia atroce, vergognosa, che certo non ha nulla a che fare con gli attuali dirigenti della Thyssen, il cui disprezzo per gli altri, soprattutto per i propri operai, dimostra tuttavia un’impostazione ideologica difficile da scalfire, nonostante il trascorrere del tempo e il giudizio della storia. Ma forse è anche per questo se ancora oggi la lunga “tradizione sindacale di stampo comunista” torinese a questa gente fa ancora così tanta paura.

da www.canisciolti.info

Il Papa alla Sapienza: un altro esempio di mistificazione

C'è stata molta confusione informativa (assai interessata) sull'evento clou della settimana: forse è meglio fare un po' d'ordine.
Il Magnifico Rettore della "Sapienza" ha invitato il Pontefice alla cerimonia di apertura dell'anno accademico.
Trattasi di una cerimonia INTERNA, e NON RIVOLTA AL PUBBLICO, dell'accademia; per questo motivo, 67 docenti della Sapienza hanno scritto al Rettore in forma privata per rilevare come l'invito, NEL CONTESTO DI QUELLA CERIMONIA, fosse incongruo ed inopportuno: in altre situazioni, vi sono stati interventi di pontefici presso la Sapienza, nella sua lunga storia (è stata fondata, ahimè, dal famigerato Bonifacio VIII), senza alcuna contestazione.

Ignorare questo dettaglio significa già fare volutamente disinformazione.

Il Rettore ha ignorato la lettera dei docenti, commettendo un secondo grave errore.

Poi, qualcuno ha deciso di rendere pubblica (malamente) e strumentalizzare la vicenda: la lettera privata al Rettore è stata resa pubblica e "trasformata" mediaticamente in una opposizione generica all'intervento del Pontefice, simbolo di una laicità intollerante: ovviamente siamo in un paese in cui tutti parlano di cose che non conoscono, per cui nessuno si è nemmeno preso la briga di leggerla,
questa lettera.

Poi è accaduto un bailamme inaudito, tipico di questo paese in via di impazzimento, dove ognuno ha detto la sua spacciandola per versione ufficiale dell'accaduto.

Riepiloghiamo, dunque:
  • il personaggio principale responsabile di tutto questo caos è il Magnifico Rettore, che ha abusato dei suoi poteri o perlomeno ha forzato in modo irresponsabile una consuetudine secolare;
  • la nota dei docenti era legittima e corretta;
  • non si è trattato dunque di "tappare la bocca" a chicchesia.


Detto questo, e sottolineato che il Pontefice ha preso una decisione saggia nel decidere di non intervenire, a differenza del Rettore, non possiamo però ignorare che l'interventismo della Chiesa Cattolica, negli ultimi tempi, è BEN OLTRE il livello di accettabilità per chiunque non sia cattolico.
Non si tratta più semplicemente (e legittimamente) di esprimere opinioni, ma di interventi a gamba tesa in campo legislativo, atti di lobbysmo antidemocratico (se vuoi contare in parlamento, presentati e fatti eleggere!), senza una adeguata difesa, da parte laica, dei confini sacri del ruolo dello Stato.
Inevitabile che questo generi insofferenza, avversione, che io personalmente in gran parte condivido e capisco.
Io non voglio che le leggi vengano fatte su ispirazione della Chiesa Cattolica, ma sulla base delle idee espresse e presenti nel Parlamento democraticamente eletto.
Lamentare la censura è ridicolo, vista la presenza mediatica ossessiva ed ossessionante della Chiesa.
Ognuno conosce benissimo le posizioni (spesso medievali, spesso oltranziste, sempre nemiche della donna e delle libertà laiche, e per loro intrinseca natura integraliste, intolleranti e dogmatiche) espresse dalla Chiesa e dal Pontefice: quello che manca, mi sembra, è la libertà ormai di NON ascoltarle.

martedì, gennaio 08, 2008

Buon anno!

Il ritorno al lavoro è sempre un trauma, da quando lavoro in una multinazionale (non l'ho scelta io, è lei che si è mangiata per motivi meramente finanziari la vecchia, storica, solida società in cui lavoravo prima: e quel che prima contava 100 per noi ora conta 0,8 nel nuovo contesto).

Qui a Torino è ancora forte l'emozione per il dramma della Thyssen, dopo la strage in cui sono morti sette operai (gli invisibili di questo tempo), solo perchè la proprietà tedesca considerava lo stabilimento torinese, e gli uomini che ci lavoravano dentro, alla stessa stregua con cui le proprietà italiane considerano i propri stabilimenti nell'est europeo (inclusi gli uomini che ci lavorano dentro).

Il loro era un lavoro duro ed oscuro, destinato all'estinzione - il destino della siderurgia torinese e italiana in genere, ormai presente solo più a Terni - e malpagato.
Ma forse aveva un senso, come tutto quello che produce e trasforma materia, che produce effetti fisici e visibili, che occupa spazio, che pesa, che esiste, che si può toccare.

Una parte sempre crescente dei mestieri del mondo occidentale, invece, sta alla realtà come il consumismo sta ai bisogni elementari dell'uomo: produce cose in buona parte inutili, non essenziali, di cui si potrebbe benissimo fare a meno.
Quando il mestiere poi rientra nell'ambito dei "servizi immateriali", la sensazione di fare e generare cose superflue si acuisce. Se poi le si fa nel contesto di una organizzazione spaventosamente grande, dare un senso al lavoro quotidiano diventa veramente difficile.
Dal mio punto di vista, posso stimare che l'80% delle attività quotidiane è puramente funzionale alla sopravvivenza dell'organizzazione.
Se improvvisamente smettessimo di farle non accadrebbe nulla di male alla realtà: verremmo pagati per fare nulla anzichè cose palesemente inutili, ma almeno sarebbe un patto più chiaro:-)

Prova ne è che - in queste ultime settimane - decine di colleghi sono andati in mobilità ed in pensione: e con loro è "partito per sempre" il lavoro che facevano, e non si sente la loro assenza; le quattro cose davvero utili vengono ripartite con facilità, o addirittura vengono semplicemente dimenticate:-)

Ho letto ieri "Il Sistema Periodico", un libro che Primo Levi scrisse nei primi anni '80, dopo il bellissimo "La chiave a stella", e raccoglie episodi e aneddoti relativi alla sua attività lavorativa, che Levi proseguì fino alla fine nonostante dal 1956 avesse raggiunto la notorietà come scrittore.

Levi era un chimico, che amava la chimica perchè gli permetteva di entrare nel mistero della materia e tentare di svelarlo: faceva il suo lavoro con passione, tra alambicchi e attrezzature artigianali disponibili nel dopoguerra, anche se col tempo perse l'attitudine al laboratorio occupandosi di assistenza ai clienti e diventando, poi, direttore di una fabbrica di vernici.

Racconta quindi (svelando che lui stesso era il modello per il Faussone della Chiave a Stella) di attività fatte con passione, con gusto, con amore, del lavoro inteso come sfida posta da un problema all'intelligenza ed alla conoscenza di uno specialista, inteso come occasione per superare i proprio limiti, ampliare la conoscenza specifica, raggiungere un orizzonte nuovo.

Lui - il tecnico - era lasciato solo davanti al problema: poteva solo far affidamento su se stesso, sulle proprie intuizioni e sulle proprie esperienze. Ma era libero: libero di sperimentare, di provarci, di tentare, di inventare. La chimica lo permetteva: prendo un frammento di materia, lo sottopongo ad un processo, guardo cosa accade, sperimento, analizzo, imparo, risolvo. E se non ottengo risultati ne prendo un altro, e cambio strada, finchè le esperienze e le intuizioni non mi guidano su quella giusta.

Oggi questa libertà non c'è più, se non in un numero limitato di mestieri. Le procedure aziendali servono a rendere gli uomini intercambiabili, e questo significa voler esplicitamente fare a meno della diversità, della unicità di ogni individuo. Più l'azienda si ingrandisce, più il peso dato all'individuo si assottiglia. Nelle grandi organizzazioni, si è in genere assolutamente inutili in buona parte dei livelli organizzativi, anche se (l'ho già annotata in precedenza con fastidio, questa cosa) è normale che il direttore generale megagalattico dia del tu all'ultimo degli impiegati, con ipocrito familiarismo.

Non c'è spazio per i matti, per l'alzata di ingegno, per l'idea nata al caffè, per le competenze fuori registro, per le conoscenze informali, per il disordine creativo: no, giammai. Tutti a morire sullo stesso foglio excel, a riempire caselline di codici e cifre, a sentirsi imbecilli. A inseguire date definite su criteri irrealistici. A scrivere documenti che nessuno leggerà mai. Ad affogare tra le mail, sepolti da informazioni disperse, frammentarie, incomprensibili, disorganiche, ma sempre caratterizzate dal richiamo all'urgenza ed alla incazzatura di qualcuno in alto.

Insomma, le grandi aziende non sono affatto meglio della società e della politica, al di là dell'immagine che si danno. E quel che producono (o non producono) riflette lo stesso, identico smarrimento di una società che si è perduta e non sa più ritrovarsi.