martedì, febbraio 06, 2018
Il Maestro Fo sarebbe stato molto contento di questo Mistero Buffo...
Prima cosa: Matthias Martelli, che in questa PRIMA NAZIONALE tiene magistralmente il palcoscenico da solo per due ore, e dopo mezz'ora ti fa smettere di pensare a "come lo faceva Dario Fo", è bravissimo, empatico, coraggioso, grandioso.
Essere diretto da un mostro sacro come Eugenio Allegri sicuramente aiuta, ma il talento del ragazzo è tutto suo, completamente suo. E affrontare il confronto con il Mito è una prova che fa tremare i polsi, ma Matthias la supera a pieni voti.
Dello spettacolo, celeberrimo, inutile dire: grottesco e sagace sfottò degli ultimi contro il potere costituito (re, papi, imperatori); Gesù visto come uno di noi, che lotta contro la ingiustizia e contro la sopraffazione, che sta tra il popolo. sorride ed esalta la gioia, il vino, la felicità.
Matthias ci infila qualche battuta sulla contemporaneità, ma non ce ne sarebbe bisogno. Il testo è attualissimo: come una commedia di Shakespeare, non invecchia mai.
La differenza è che forse oggi "il popolo", cioè noi, non abbiamo più la consapevolezza di quel che siamo: non sappiamo più di esistere, come "noi", come classe sociale, come insieme di persone che dovrebbero avere diritti e speranze comuni.
E, di conseguenza, non sappiamo più ridere di noi stessi e della nostra infelice condizione, e non siamo più in grado di irridere il potere che ci opprime: al massimo, da esso, ci facciamo irretire.
Grazie Matthias ed Eugenio, quindi.
Perchè ci avete fatto ridere, sganasciare, e capire che dovremmo ricordarci più spesso di farlo pensando a quel che siamo.
Ci farebbe bene.
Fonderie Limone, Moncalieri, fino al 18 febbraio.
domenica, febbraio 04, 2018
A Macerata siamo arrivati da lontano e piano piano...
... È triste come questo articolo di Nadia Urbinati, del 2009, possa essere ripubblicato senza quasi modificare una virgola. Con la differenza che i pericoli segnalati allora si stanno realizzando, ed il linguaggio "senza tabù" è diventato inarrestabile, e si consolida, e diventa pensiero e (purtroppo) azione.
martedì, gennaio 30, 2018
Il nostro secondo viaggio in Iran (ottobre 2017).
La cronistoria del nostro secondo viaggio in Iran, nell'ottobre 2017.
La prima volta fu nell'ottobre 2015, e il viaggio fu più "turistico": Teheran, Isfahan, Yadz, Shiraz e Persepolis...
Questa volta abbiamo visto un Iran "minore", spesso percorso solo dal turismo interno, ma non meno bello ed affascinante. Soprattutto, la maggior parte del viaggio lo abbiamo trascorso in compagnia di amici iraniani che non dimenticheremo mai.
16 ottobre.
Arrivati all’Aereoporto IKA di Teheran da Istanbul verso l’una di notte, affrontiamo subito il tema del visto (la prima volta lo facemmo in anticipo, prima del viaggio, al Consolato iraniano di Milano).
C’è un po’ di coda davanti all’ufficio Visti, ma per fortuna ci sono un paio di “facilitatori” che ci forniscono il modulo da compilare e ci indirizzano al vicino sportello per pagare la tassa (75 euro a testa). Poi inizia una attesa di circa un’ora, condivisa con una mezza dozzina di turisti europei di diversa nazionalità e con una comitiva di italiani. La ragazza che è guida di quest’ultima risulta essere l’unica del suo gruppo a non aver fatto il versamento.
Lei si adira un po’:
- Purtroppo qua sul modulo è scritto tutto in arabo, come faccio a dimostrare che ho già pagato in Italia?.
- Non è arabo, dai: è farsi, ragazza. Almeno i fondamentali…:-)
- Si, lo so che è farsi - dice lei. E’ che ogni volta che vengo qui ci sono sempre problemi. Quest’anno il gruppo lo guido io, ma l’anno scorso mi hanno affiancato una guida locale, un uomo che mi trattava malissimo e smentiva tutto quello che dicevo io…
Lei si adira un po’:
- Purtroppo qua sul modulo è scritto tutto in arabo, come faccio a dimostrare che ho già pagato in Italia?.
- Non è arabo, dai: è farsi, ragazza. Almeno i fondamentali…:-)
- Si, lo so che è farsi - dice lei. E’ che ogni volta che vengo qui ci sono sempre problemi. Quest’anno il gruppo lo guido io, ma l’anno scorso mi hanno affiancato una guida locale, un uomo che mi trattava malissimo e smentiva tutto quello che dicevo io…
Alla fine otteniamo il visto sui passaporti, passiamo il controllo e recuperiamo i bagagli. Si cambiano un po’ di euro, si comprano due SIM con un po’ di traffico internet (la VPN per bypassare le restrizioni ce l’abbiamo già…) e verso le 3 prendiamo un taxi, destinazione il Terminal dei Bus nei pressi della Azadi Tower, dove appena possibile prenderemo un bus in direzione Qazvin .
Arriviamo alla stazione dei bus dopo un’ora circa: l’atrio è immenso, pieno di biglietterie chiuse e di led e scritte luminose. Tutto è scritto esclusivamente in farsi. Sugli infiniti sedili, un po’ di gente che dorme. La cosa migliore è imitarli per qualche ora, poi vedremo il… da farsi:-).
17 ottobre
Dopo un po’ di sonno tormentato, mi sveglio ed incomincio a gironzolare per l’immenso atrio. Non trovo nessuna parola in inglese, nulla che mi possa indirizzare e far capire come si possa andare a Qazvin. E la cosa mi entusiasma! L’unica indicazione "internazionale" che riconosco è quella per il WC:-), che è già qualcosa.
Torno alla nostra postazione sulle sedie. L’unica soluzione è trovare qualcuno che parli inglese!
Vicino a noi c’è un ragazzo, quindi vado abbastanza sul sicuro. Sina è di Urmieh, e naturalmente mi dà subito una mano. Mi aggancio a lui mentre fa il giro delle biglietterie chiedendo…poi usciamo nel mattino e percorriamo un po’ di piazzali, dove si scaldano decine di pullman puzzolenti e stagionati, e qualcuno inizia già a partire.
A dieci minuti a piedi dalle biglietterie finalmente lo troviamo, il pullman per Qazvin!
A dieci minuti a piedi dalle biglietterie finalmente lo troviamo, il pullman per Qazvin!
- A che ora parte questo, Sina?
- Ah, questi partono quando sono al completo, non c’è un orario fisso.
Torno a prendere Carla, e recuperati i bagagli torniamo sul posto.
Sina (che nel frattempo mi ha dato il suo numero di telefono e mi ha ovviamente detto che ci ospiterà a Urmieh quando ci arriveremo) è lì che ci aspetta e mi aggiorna sul prezzo: 80K Rial a testa, circa 2 euro per 2 ore di viaggio.
Sina (che nel frattempo mi ha dato il suo numero di telefono e mi ha ovviamente detto che ci ospiterà a Urmieh quando ci arriveremo) è lì che ci aspetta e mi aggiorna sul prezzo: 80K Rial a testa, circa 2 euro per 2 ore di viaggio.
Siamo abbastanza fortunati: in mezz’ora il bus si riempie e parte (anche se molte ragazze salgono e poi rinunciano, quando l’ultimo posto rimasto è in mezzo a due sedili occupati da maschi).
Dopo due ore siamo al terminal bus di Qazvin, a scansare con un sorriso le innumerevoli offerte di taxi. Comunichiamo ad Hassan via Telegram dove ci troviamo, e lui ci viene a recuperare in auto poco dopo.
Hassan è il principale della filiale di Qazvin di una ditta che distribuisce pasta di produzione iraniana. Ci porta nel suo ufficio, dove conosciamo le sue collaboratrici, tra cui Mina. E poco dopo veniamo portati proprio a casa di Mina, dove saremo ospitati.
Dopo una prima bella colazione iraniana, con una specialità che dobbiamo per forza apprezzare (il cervello di pecora…) ci lasciano riposare per un paio d’ore: poi ci verranno a prendere per pranzo e per andare in giro per Qazvin.
Dopo una prima bella colazione iraniana, con una specialità che dobbiamo per forza apprezzare (il cervello di pecora…) ci lasciano riposare per un paio d’ore: poi ci verranno a prendere per pranzo e per andare in giro per Qazvin.
Dopo pranzo, ci portano per prima cosa a visitare il santuario di Imamzadeh-ye Hossein, in posizione decentrata. Molto bello, considerando anche che è una giornata di sole e di vento.
Nel piazzale davanti al santuario, c’è un cimitero dei martiri della guerra con l’Iraq. Un aereo da guerra sovrasta una panchina su cui due donne velate si cingono con il velo per sfuggire alla mia Olympus. Un gruppo di pellegrini, fuori dal perimetro del santuario, fa pranzo collettivamente vicino al proprio pullman.
Poi si va in centro, alla Moschea Jame (cioè “del venerdì"). Hassan fa aggiungere alla compagnia un professore suo amico, che ci racconta la storia della città e dei monumenti.
Il centro storico di Qazvin è davvero affascinante, anche se gli edifici avrebbero un gran bisogno di restauri.
Il “Chehel Sotun”, il palazzo reale di epoca Qajar, è molto bello, con le sue travi di legno e le finestre colorate, e sebbene più piccolo di quello di Isfahan lo supera in fascino. Contiene un museo della calligrafia, con documenti stupendi (la calligrafia islamica è una di quelle cose che, dal primo viaggio a Istanbul, mi fanno andare fuori di melone...)
Al primo piano, per la prima volta vediamo affreschi che ritraevano donne cancellati a colpi di scalpello dalla foga rivoluzionaria islamica del ’79 (a Isfahan le scene coeve di corte, in cui compaiono figure di donne, si possono ancora vedere: sono state risparmiate o restaurate a fini turistici?).
Visto che siamo un po’ stanchi ed affaticati, Hassan ci riporta nel suo ufficio dove ci risolleviamo con tè ed una deliziosa fetta di torta.
Poi, con Mustafa ed altri amici ci inoltriamo di nuovo verso il centro, gironzolando per il bellissimo ed antico bazar della città, pieno di caravanserragli.
Ci ritroviamo dopo un'ora con Hassan: tutte le famiglie si ricompongono e andiamo a visitare una fiera in città, colma di elettrodomestici (tra cui monumentali frigoriferi doppi, come quello che c’è a casa di Moustafa) e di tutti gli oggetti e le cose che si possono trovare in una delle nostre fiere commerciali.
18 ottobre
Oggi giornata dedicata ad una escursione nella valle di Alamut, comprata dall’Italia via web ad un prezzo che a noi sembrava ragionevole (75 euro per tutto il giorno, compresa la guida in inglese) e che i nostri amici iraniani considerano spropositato , visto che corrisponde al salario medio mensile di un operaio.
Hassan, la guida locale, ha aggiunto all’escursione tre turisti olandesi, ma ovviamente in una auto sola non ci stiamo, e allora ha dovuto coinvolgere l’amico Reza con un’altra auto.
Reza non spiccica ovviamente che poche, inutili parole di inglese, fuma come un turco ed è anche un driver particolare, anche se bravo (sorpassi azzardatissimi, anche se fortunatamente rari, e in discesa va con il motore spento…la sua auto è dotata di doppi pedali, e mi inquieta quando mi chiede se posso frenare anche io in caso di bisogno:-)))
La strada che sale da Qazvin è bellissima e tortuosa (e per fortuna nostra, vista la guida di Reza, poco frequentata).
Il dialogo con Reza è difficile. Si ascolta musica persiana e gli facciamo ascoltare un po’ De Gregori. Tento di spiegargli in inglese di cosa parla “Il bandito ed il campione”, e qualcosa passa.
Ci fermiamo alcune volte lungo la strada, per godere degli splendidi panorami della valle o cogliere qualche frutto. Scendiamo poi verso una valle secondaria e verdissima dove si coltiva il riso , percorsa da un bel torrente di montagna. Attorno al fiume, pareti di roccia candida e verticale ci ricordano un paesaggio alpino e familiare.
Hassan ci porta in escursione verso un canyon, al fondo del quale si trova una cascata, ed il percorso è all’inizio da paradiso terrestre, in un verde fresco e pieno di alberi, percorso da innumerevoli piccoli ruscelli.
Il canyon è arido e la cascata alla fine si rivela una burletta, ma la sensazione di camminare in un posto particolare e “da turismo interno” è piacevole. Il tormentone di “Reza-che-fuma-sempre” diventa un gioco collettivo.
Il castello è in un luogo ameno, una enorme roccia che sovrasta un paesaggio pieno di verde. Ci fermiamo prima a mangiare in un ristorante nei pressi — dove troviamo ovviamente altri turisti, anche italiani.
La salita verso i resti del castello è faticosa per noi , i più anziani del gruppo, ma in qualche modo arriviamo in cima alla roccia enorme su cui sorgeva il castello. La vista che da lassù si ha della valle e delle vette circostanti è magnifica: ma le rovine sono una delusione, deturpate da ponteggi che evidenziano decenni di età e coperture di lamiera semiarrugginite.
Ma il panorama è stupendo, davvero. Verrebbe voglia di stare quassù a guardare il tramonto, per ore.Ma secondo i piani di Hassan siamo in terribile ritardo e quindi dobbiamo ripartire. Scendiamo lentamente per goderci il luogo, ma poi le auto (per quel che possono) filano via veloci verso il lago Oven.
Al quale arriviamo ormai al tramonto, con ancora la luce sufficiente per coglierne la bellezza e fare qualche foto suggestiva. Gli olandesi si fermano a dormire sul lago, e Hassan ci affida a Reza per i 120 km che ci restano da fare per tornare a Qazvin. Sono le 17 ed il sole inesorabilmente tramonta dietro le montagne. Il buio è assoluto, i fari della vetturetta sono quelli che sono, Reza ha fretta ed è preoccupato (la sua compagna ha passato la giornata in ospedale), e quindi la prima parte del viaggio ci inquieta.
Ma in una sosta vediamo, nella notte completamente buia, le luci fioche ma suggestive dei villaggi sparsi sul fianco della montagna, e, alzando gli occhi, la stupefacente, meravigliosa luminosità della Via Lattea, come da noi non è più possibile vederla. Che spettacolo straordinario!!! questa vista da sola giustifica il viaggio…
Reza ci riporta a Qazvin sotto casa di Mostafa, poi ci saluta e schizza via ad una velocità folle.
19 ottobre.
Moustafa ed Hassan, con le loro famiglie, non potevano lasciarci andare senza offrirci ancora la loro deliziosa ospitalità. Stamattina, dunque, sveglia alle 5,40, con obiettivo le grotte di Kataleh Khor, tra le più note e frequentate del paese.
Che sono lontanissime, tanto che ci metteremo ben sei ore di viaggio, pur intervallate da un classico ed organizzatissimo picnic sull’erba.
Le grotte sono in mezzo al deserto. Siamo ovviamente gli unici stranieri, e Hassan e Moustafa devono contrattare per non farci pagare il prezzo da turisti, solitamente dieci volte più alto di quello per locali. (la tesi vincente per convincere il bigliettaio è “non sono stranieri: sono nostri ospiti!”:-). Quindi pagano per noi 45.000 rial, e non 450.000…
Insieme a noi, entra nelle grotte un nutrito, simpatico ed assai rumoroso gruppo di donne iraniane, alcune delle quali senza velo (“qui la polizia non c’è”:-))
Le grotte, lunghe circa 3 km, sono molto belle e pittoresche, e ci godiamo la compagnia e la curiosità che si nutre nei nostri confronti. Molte donne chiacchierano con noi in inglese, raccontando la loro storia ed anche la loro frustrazione nei confronti di una struttura sociale ancora ineguale per i due sessi. Purtroppo non vengono prese precauzioni per salvare le grotte…luce e calore, nonchè le folle, ne comprometteranno probabilmente il futuro.
Ripartiamo e ci dirigiamo verso Soltanieh, dove arriviamo quasi al tramonto, ovvero con la luce migliore per vedere il Mausoleo Mongolo di Oljeitu.
Quando fu costruito, agli inizi del XIV secolo, Soltanieh era destinata a diventare la capitale della Persia. La cupola del Mausoleo, alta 45 metri, è ancora la più alta al mondo costruita in mattoni, e si dice che la sua fama fu così diffusa nel mondo da ispirare, un secolo dopo, la costruzione della Cupola del Duomo di Firenze da parte del Brunelleschi (forse la sua ispirazione reale derivò dal Pantheon di Roma, ma è bello pensare che questa meraviglia fosse conosciuta anche in occidente:-)).
3000 operai lavorarono per costruirlo...ora, nonostante sia un affascinante sito Unesco, mostra abbastanza la sua veneranda età. Un’impresa italiana, 45 anni fa, lo riempì di ponteggi per un restauro che abbandonò al’improvviso allo scoppio della Rivoluzione del 1979: i ponteggi sono rimasti lì ad arrugginire ed impedire la vista completa della favolosa cupola dall’interno.
3000 operai lavorarono per costruirlo...ora, nonostante sia un affascinante sito Unesco, mostra abbastanza la sua veneranda età. Un’impresa italiana, 45 anni fa, lo riempì di ponteggi per un restauro che abbandonò al’improvviso allo scoppio della Rivoluzione del 1979: i ponteggi sono rimasti lì ad arrugginire ed impedire la vista completa della favolosa cupola dall’interno.
Hassan e gli altri amici, con cui facciamo qualche foto, non lo avevano mai visto prima! Siamo contenti di averglielo rivelato…
Poi, calata la sera, Hassan e Moustafa si adoperano per cercare un taxi (forse l’unico, visto che di qui passano pochi turisti) che ci porti a Zanjan. Lo trovano con non poche difficoltà, quindi giunge il momento dei saluti commossi a tutte e due le famiglie…
Zanjan.
Per 220.000 rial ci facciamo portare all’hotel Sepid, in Imam Khomeini Street, dove la proprietaria è molto gentile e parla inglese. Il Sepid Hotel è in pieno centro. Ha vissuto giorni migliori, ma mantiene comunque un aspetto da hotel occidentale. Ci siamo solo noi ed un manovale di Monaco di Baviera. Ci facciamo dare una stanza (anche se non riscaldata) con il bagno all’europea, e non con la sola turca: dopo tre giorni, ci serve riprendere qualche comfort occidentale…
La stanza costa 240.000 toman. Alle 19,30 ci addormentiamo stravolti, senza cena. E dormiamo fino al mattino successivo alle 8,30!
20 ottobre.
Oggi l’obiettivo è visitare Thakt-e Soleyman, il “Tempio di Salomone”, che è un antico sito zoroastriano in mezzo al deserto, divenuto poi fortezza mongola.
La proprietaria dell’hotel ci aiuta a trovare l’autista, che per 2.000.000 di rial ci porterà in giro tutto il giorno. L’autista parla solo farsi, ma è molto simpatico. Ironizziamo sulla sua Peugeot con motore Paykan, che si comporta come una Peugeot solo in discesa, mentre in salita arranca esattamente come la vecchia Paykan che è realmente. Il viaggio è molto lungo e suggestivo. Attraversiamo pochi centri importanti ed una miriade di piccoli villaggi. Quando arriviamo al luogo, siamo ovviamente tra i pochissimi stranieri in circolazione. Un affascinante uomo persiano, dalle sembianze regali, che è venuto in visita con le figlie, ci usa per diverse foto, ma evitando accuratamente di farsi fotografare da solo con Carla:-)
Un grande lago (dalle esalazioni venefiche) al centro, intorno i resti di quella che fu tempio e fortezza, in un punto da cui si domina il deserto intorno, e da cui si eleva a poca distanza quella che è nota come “Prigione di Salomone” (una piccola collina vulcanica di cui si può vedere il cratere puzzolente di zolfo…)
Camminiamo tra i resti silenziosi di questo luogo affascinante, tra i resti di poderose mura e del tempio. Leggiamo che qui il fuoco sacro zoroastriano era mantenuto acceso attraverso un complesso sistema di tubature di ceramica, che convogliava al tempio dal fondo del lago le esalazioni combustibili…
Ad un tratto, sentiamo cantare. E’ un gruppo di Azeri iraniani, che cantano un canto nazionale. Azero, non iraniano.
Bastano pochi secondi per entrare in contatto e pochi minuti per ricevere un regalo (un melone) ed essere invitati come ospiti a casa loro. Peccato non poter accettare! Camminiamo con loro verso l’uscita, e li riprendiamo mentre cantano di nuovo per noi la canzone che non dimenticheremo…
Si avvicina l’ora della partenza, concordata con l’autista. Non abbiamo quindi il tempo di vedere il museo collegato al sito. Peccato, sarà improbabile tornare in questo luogo splendido.
L’autista ci attende (giusto il tempo di berci qualcosa in uno dei negozietti che sono davanti al parcheggio) e ci conduce alla collina chiamata “prigione di Salomone”. La breve ascensione ci porta alla suggestiva vista del cratere, per fortuna spento ma non meno esalante:-). Dalla cima si gode una buona vista sul Tempio.
Poi, si riparte e si torna a Zanjan, dove arriviamo che è già buio.
Ci sistemiamo ed usciamo per andare a cena. Quattro passi per la città ormai “chiusa”, e si cena in un bel ristorante situato in un ex caravanserraglio. (il luogo è suggestivo, il cibo ordinario, il prezzo 800.000 rial per due, circa 20 euro).
21 ottobre.
Stamattina dobbiamo cambiare un po’ di soldi, anche per pagare l’albergo. Ci facciamo indicare dalla proprietaria dell’Hotel la Banca giusta (nessuna delle numerose nei dintorni ha un ufficio cambio, vista la carenza di turisti…)
Vado nella sede centrale della Mellat, che è la più grande banca iraniana, a circa un chilometro di distanza. Entro nell’atrio e…ovviamente mi perdo subito, visto che — non prevedendo visitatori “stranieri” — tutto è scritto esclusivamente in farsi, ed anche quel poco di numeri che comprendo, fuori contesto, non mi dicono nulla. Per fortuna, vedendomi smarrito, un signore mi si avvicina; non sa l’inglese, ma alla parola “change” capisce, chiede, e mi porta in un corridoio in cui mai mi sarei avventurato. E lì esiste un ufficio “Change”, con la scritta comprensibile che mi rassicura. Visto che metà se ne andranno per l’albergo, cambio 250 euro. Sono estremamente imbarazzato, perchè per i due impiegati una cifra del genere rappresenta una enormità…firmo e controfirmo, riottengo il passaporto ed esco con i miei dieci milioni di Rial in una busta…per lasciarne subito 4,8 all’hotel!
Intanto abbiamo prenotato, in una vicina agenzia di viaggi (anch’essa con scritte solo in farsi, e quindi praticamente invisibile ai nostri occhi) il viaggio su bus VIP fino a Tabriz…con l’obiettivo di giungere più a possibile entro stasera (a Jolfa, se ci riusciamo: sono circa 450 km…)
Partiamo all’ora di pranzo e circa 3 ore dopo siamo a Tabriz, nella grande autostazione della città. Che non è purtroppo quella da cui partono gli autobus verso nord. Riceviamo offerte di passaggio molto insistenti. Dopo una trattativa, troviamo chi ci porta a Jolfa per 650.000 Rial. Non è un tassista regolare, ma pazienza.Saliamo sulla piccola Saipa bianca (come quasi tutte le auto in Iran…il bianco è il colore meno costoso) e ci immettiamo sull’autostrada verso nord. Essere accompagnati davanti all’hotel ci costa un piccolo sovrapprezzo (“vi dovevo portare a Jolfa, non dentro Jolfa!”).
L’hotel consigliato dalla proprietaria del Sepid…risulta chiuso da tempo.
Nessuna indicazione spiega la situazione di abbandono. Consultando Google Maps, risulta che l’unico albergo praticabile è il Tourist Hotel. Un nome pretenzioso, visto che anche qui sembriamo essere gli unici “turisti”.
Tant’è che la ragazza alla reception non parla inglese (o forse non si osa).
L’hotel è molto ageè ed un po’ vetusto, ma pulito e accogliente, e non costoso (ci danno una stanza doppia affacciata sul piazzale, per 1.225.000 rial a notte…prezzo per i turisti, ovviamente, probabilmente i locali pagano un decimo).
Jolfa
E’ una cittadina con meno di diecimila abitanti, ma sembra pensata per ospitarne almeno 10 volte tanto. Immensi viali deserti, che rendono spettrale la Jolfa notturna, moltissimi palazzi in costruzione, vaste aree non edificate, una architettura “brutalista”, un vasto giardino con attrezzi per la ginnastica: il look è quello di una città sovietica. La piazza centrale è anonima, il bazar è un normale centro commerciale di aspetto moderno. Di fianco al bazar, la frontiera pedonale con l’Azerbaijan: ciò giustifica i numerosi uffici di cambio (tra l’altro convenientissimo per noi). Non c’è nessuno scorcio, nessun luogo che non risulti dimenticabile.
Cerchiamo un luogo per mangiare, ma il primo locale che sembra popolarissimo in realtà è un fake restaurant, non c’è nulla da mangiare…e non si capisce assolutamente per quale motivo stia aperto.
Camminando per le amene vie di Jolfa, troviamo finalmente un locale davvero autentico, “da Sherwin”. Mentre il padre cucina, Sherwin — che parla inglese — ci aiuta ad ordinare. Mangiamo benissimo in due ad un prezzo di ben 100.000 rial (due euro e mezzo in tutto).
Prima di andare a nanna, non riesco a resistere dall’entrare in quel market vicino all’hotel per comprare qualche porcheria…
E una birra analcolica armena, dall’etichetta intraducibile, si rivelerà la cosa più simile ad una birra che riusciamo a bere durante il viaggio.
22 ottobre
Ahmed, l’autista che ingaggiamo il giorno dopo per l’escursione nella valle di Aras, si dichiara subito azero e non persiano. All’inizio del viaggio estrae dal cruscotto ed esibisce un gagliardetto dell’Azerbaijan, che poi occultera’ repentinamente in vista del primo controllo di polizia. Ci cerca anche, su Google, alcune foto di un eccidio di azeri compiuto una ventina di anni fa dagli armeni in un villaggio oltre il confine. (Ma leggendo la storia della guerra tra Armenia e Azerbaijan, scopriremo che è difficile definire i buoni ed i cattivi, in uno scambio selvaggio di azioni di guerra contro i civili che continuano fino a tempi recenti).
Con lui andiamo a visitare, il mattino, la chiesa armena di Santo Stefano (bellissima), per poi percorrere verso Ovest la valle di Aras fino ad una spiaggia su un lago artificiale, provocato da una diga, dalla cui riva si vede una grande città sul lato azero…non so quanti stranieri siano arrivati a bere il te in questo piccolo chioschetto in riva al lago…
Quando torniamo indietro, dopo una ventina di minuti ci rendiamo conto con orrore di aver lasciato la borsa di Carla al chiosco, con dentro passaporto e soldi.
Rifacciamo il percorso al contrario: quando arriviamo al chiosco, ci aspettano già: hanno messo la borsa in un sacchetto di plastica, senza nemmeno guardarci dentro, e il ragazzo ce la restituisce senza nemmeno accettare una doverosa mancia.
Prostrati dall’emozione dell’evento, chiediamo ad Ahmed di riportarci in albergo e ci diamo appuntamento per il pomeriggio.
Gironzoliamo per Jolfa, che si è fatta insolitamente vivace. Il luogo più popolato è la piazza dove si trova il confine pedonale con l’Azerbaijan, che prosegue con il bazar (che, essendo modernissimo, possiamo tranquillamente chiamare “centro commerciale”). Dove i prezzi sono molto bassi, come è tipico di una città di confine: ed infatti incontriamo delle ragazze di Tabriz, belle e gentili, sicuramente giunte qui per acquisti (che altro si potrebbe fare, a Jolfa?).
Anche il cambio è estremamente favorevole (47.000 rial per euro, contro i 35.000 dell’aeroporto di Teheran ed i 40.000 di Zanjan).
Mangiamo in un piccolo locale, poi torniamo in albergo dove ci raccoglie nuovamente Ahmed, con il quale ci inoltriamo ad Est lungo la riva dell’Aras.
Di fronte, oltre il fiume, abbiamo il confine. Per la prima parte con una Repubblica autonoma exclave dell’Azerbaijan, circondata a Nord dalla ostile Armenia, che contiene a sua volta una minuscola enclave armena: questo dà già un’idea di cosa sia accaduto da queste parti dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Armenia ed Azerbaijan confliggono di fatto da dopo l’indipendenza, nel 1991.
A poche decine di km da qui, c’è il Nagorno-Karabahk, un pezzo di Azerbaijan ora repubblica autonoma e filoarmena, dove il conflitto continua da 20 anni senza che il mondo, annoiato, se ne occupi più (è terra aspra, di montagna. E’ guerra aspra, di posizione).
Dall’altra parte del fiume, corre la ferrovia costruita dai sovietici, quando l’Impero era ancora forte, e che portava dalla Jolfa azera fino a Mosca. Ora ci sono tratti esplosi, bombardati, con treni abbandonati.
La parte iraniana del confine è ovviamente tranquilla e bellissima, a tratti amena, con una splendida vista sulle montagne imponenti azere e armene.
Ci sono anche luoghi turistici, come quello che visitiamo che comprende una cascata ed un canyon, pieno di posti per picnic che ci immaginiamo brulicanti durante il weekend (ma, nelle ultime ore di luce di un giorno normale, non c’è nessuno).
Arriviamo fino al primo posto di frontiera con l’Armenia, e poi torniamo a Jolfa. Le gite del mattino e del pomeriggio ci sono costate in tutto 2 milioni di rial.
Ci mettiamo d’accordo con Ahmed per il viaggio del giorno dopo fino a Marand, dove incontreremo la nostra amica Soulmaz,conosciuta quando era studentessa universitaria a Torino.
Torniamo a mangiare e bere qualcosa da Sherwin (di nuovo per meno di due euro in due…) e ce ne andiamo a nanna (Jolfa, mi sa, non ci mancherà, e non credo che la vedremo mai più in vita nostra).
23 ottobre
Partenza da Jolfa dopo colazione, e dopo aver pagato l’albergo. Amhed ci porta a Marand per 500.000 rial.
Ci troviamo in una piazza alla periferia di Marand, e ci vogliono un po’ di telefonate perchè Amhed e Soulmaz trovino l’esatto punto di incontro:-)
Finalmente ce la facciamo! Ad accompagnare Soulmaz c’è una sua simpatica amica, Mariam, che è anche proprietaria dell’auto e che ci ospiterà a casa sua, in un palazzone nuovo della periferia di Marand.
In casa siamo accolti festosamente dalla mamma e dalla sorella di Mariam. Con loro, vivono anche i nonni anziani, che hanno discrete difficoltà di movimento.
Marand non è affatto una città turistica, quindi non ne troverete traccia sulle guide. Ma è una città iraniana “vera” e di discrete dimensioni, e questo per noi ha rappresentato un ulteriore elemento di interesse.
La moschea, ad esempio, è molto bella e suggestiva.
Visitiamo una serie di grotte scavate nel tufo, da cui si gode un bel panorama sulla città e, nel pomeriggio, un vecchio caravanserai che si sta trasformando in hotel.
Girando per il bel bazar, nel tardo pomeriggio, diventiamo ovviamente attrazione per tutti coloro che capiscono che siamo stranieri, visto che siamo una autentica rarità: studenti e persone di ogni età, curiosissime come sempre di scambiare con noi in inglese qualche opinione sul paese e su di loro…
24 ottobre
Oggi, con Mohamed come autista, puntiamo a nord. Andiamo fino a Maku, a pochi km dal confine con Turchia, Armenia ed Azerbaijan, che è avvolta dalle montagne ed è praticamente infossata in un gigantesco canyon. Dalla sua periferia torreggia imponente il monte Ararat, che si trova in Armenia ma si mostra ai paesi confinanti con la sua mole.
Andiamo a visitare la villa novecentesca, in stile occidentale e con bei giardini, di un famoso comandante azero. Poi, nei pressi della città, resti di fortificazioni e grotte che guardano l’Ararat.
Inizia poi un infinito, faticoso viaggio (interrotto da un rapido pranzo) verso la bellissima chiesa medievale e ortodossa di San Taddeo (Qareh Kalisa), relativamente vicina a Maku ma alla quale, inspiegabilmente, arriviamo verso il tramonto. Il che la rende ancora più suggestiva e spettacolare.
25 ottobre.
Oggi abbiamo chiesto a Soulmaz di portarci a Tabriz, da dove prenderemo il volo il pomeriggio per Teheran: sappiamo che è una città colma di cose interessanti, e che ha uno dei più antichi e bei bazar del paese, e ci spiace perderla del tutto. Ci andiamo con Mohamed, ovviamente, che oltre che da autista ci fa da guardia del corpo, e con la mamma di Mariam.
Tabriz sarà nel 2018 “capitale del turismo islamico”, e questa “qualifica” appare un po’ ovunque su manifesti e scritte, un po’ come se si tenessero le Olimpiadi.
Prima visitiamo l’originale Mausoleo dei Poeti, una costruzione modernissima dedicata al poeta principale della città, Ostad Sharyhar. Poi la Casa della Costituzione, dedicata alla Rivoluzione Costituzionale del 1906, che esplose proprio a Tabriz: che assomiglia ai musei “rivoluzionari” di tutto il mondo, e nello specifico mi ricorda quello dell’Avana.
Visitiamo una moschea, che non è la famosa Blu, un paio di case di inizio ‘900, che ci ricordano molto l’architettura nostrana, vediamo un paio di ponti seicenteschi, purtroppo non valorizzati come quelli di Isfahan, e poi ci gettiamo nel bellissimo e immenso bazar (di cui è difficile trovare sia l’ingresso che l’uscita, come dice la guida:-)), dove passiamo parecchio tempo.
Il momento più bello è quando Mohamed si infila in un cunicolo misterioso che si rivela, al fondo di un sottoscala, una minuscola casa da tè. Li ci sediamo a chiacchierare con un gruppo di iraniani curiosissimi di noi e dell’Italia. Il tempo sembra fermarsi, e il tè è buonissimo.:-)
Ad un certo punto, una signora col chador si indigna perché fotografiamo una bottega abbastanza caratteristica e disordinata. Soulmaz reagisce e ne nasce un alterco abbastanza eccitato. Il tipo della bottega, in realtà, sorride divertito e senza alcun problema alla macchina fotografica.
Prima di farci portare all’Aereoporto, resta il tempo per andare a berci un tè in un luogo simbolo di Tabriz, il Parco Elgoli. Un Parco fresco e piacevole, con al centro un laghetto con la ricostruzione di un palazzo dell’epoca Qajar, la cui particolarità è quella di essere il ritrovo di tutta la gioventù della città. Molta di essa si accorge infatti degli estranei, e tra timidezza ed entusiasmo ci vengono estorte una quantità incredibile di foto insieme.
Nell’arrivo al Parco Mohamed litiga con un vecchietto che vende sigarette, ed occlude senza ragione un posto auto…Mohamed, senza troppi complimenti e con una raffica di insulti persiani, gli sposta il carretto!
Poi si va di corsa all’aereoporto, dove purtroppo giungono i momenti dei saluti tristi e degli arrivederci…salutiamo Soulmaz, la mamma di Mariam e Mohamed…sono stati gentilissimi!
All’aeroporto di Tabriz, in attesa del volo per Teheran, conosciamo una bella ragazza della capitale che è medico.
Chiacchieriamo ovviamente sul tema del velo: è a conoscenza dell’iniziativa del “velo bianco il mercoledì”, promossa da associazioni internazionali: ma evidentemente è un tema “da stranieri”, che non ha particolare seguito nè conoscenza nel Paese.
Arrivati a Teheran, ci prenota un passaggio con l’App Snapp, che in Italia equivarrebbe a Zego e permette di ottenere passaggi in auto dai privati.
Per un nostro errore l’indirizzo che forniamo è sbagliato, e l’autista si incazza per telefono con la nostra povera nuova amica, ma poi accetta comunque di portarci a destinazione per 255.000 rial (un’ora di viaggio per meno di 7 euro…). Nel lungo viaggio dall’aeroporto di Marabad ai quartieri orientali, ci rendiamo di nuovo conto di quanto sia enorme Teheran!
Morvarid, la sorella di Mariam, ed i suoi genitori (Abudllah e Sedireh), nonostante sia sera inoltrata, ci attendono con una ospitalità impressionante.
Dopo averci fatto sistemare nella loro bella casa al terzo piano, ci offrono frutta e dolci, e poi una splendida cena con kebal fatto sul momento da Abdullah.
Morvarid ha 17 anni ed è bella ed esuberante: non so se rappresenti la gioventù iraniana della classe media, ma a noi impressiona. Se la cava con l’inglese, e sta frequentando una scuola italiana a Teheran. Suona bene un paio di strumenti tradizionali persiani, a corda e percussione, fa arti marziali, si nutre di musica attraverso i canali turchi che trasmettono video musicali dai modelli puramente occidentali (e donne dai capelli sciolti e senza velo).
Sia Morvarid che i suoi genitori sono gentilissimi e dolci.
Dopo cena,usciamo a fare quattro passi per il quartiere, che è residenziale e tranquillo, pieno di verde, e non sembra affatto diverso da quello delle nostre città (anzi, forse è più sicuro…)
Morvarid ci porta a vedere (da fuori) la casa di Ahmadinejad, presidiata dalla polizia, con il suo gippone Nissan bianco con le barre anteriori anti alci parcheggiato davanti. All’ex Presidente (2004–2013), che si dice sia stato arrestato dopo gli ultimi moti popolari di dicembre 2017, piacciono evidentemente ancora gli stessi veicoli, come dimostra questa famosa foto dell’epoca in cui era in carica.
26 ottobre
Questa mattina abbiamo chiesto a Morvarid ed ai suoi genitori di poter visitare il recentissimo “Museo della Rivoluzione Islamica e della Guerra Santa”, e loro — dopo una deliziosa colazione — ci accompagnano con la loro Peugeot bianca, tenuta con sacralità.
Il Museo si trova in un edificio modernissimo, molto vasto, e ci ricorda come impostazione il Museo della Seconda Guerra Mondiale di Danzica.
E’ indubbiamente un museo “di parte”, che racconta la Rivoluzione e la Guerra con l’Iraq dal punto di vista esclusivo del regime, ma non per questo è meno interessante e coinvolgente. La retorica del martire permea le prime sale, colme di effetti personali di personaggi simbolo della Rivoluzione e della Guerra, nonchè di manichini molto verosimili e di rappresentazioni 3d.
Il racconto della rivoluzione esclude ovviamente le componenti che ne furono cancellate, dopo il primo percorso comune, dal Partito della Rivoluzione Islamica di Khomeini.
Gli ambienti dedicati alla guerra sono emotivamente coinvolgenti e scenograficamente complessi. Si può percepire con esattezza e realismo il bombardamento di un pacifico villaggio iraniano, in un locale che restituisce un’esperienza sensoriale completa; si vaga tra complessi industriali bombardati e scuole distrutte.
Mine e kalashnokov sono usati per installazioni stupefacenti e moderne. Moltissimi i dati che dimostrano quanto fosse impari la lotta tra l’Iran, aggredito e quasi solo, e la immensa platea degli alleati di Saddam Hussein.
Spettacolare il corridoio dedicato alla informazione di quel tempo (con i giornali internazionali) e alla “vittoria” proclamata dall’Iran nel 1988.
Fuori dal grande palazzo, un vasto spazio è dedicato ai mezzi militari di ogni dimensione, incluso un razzo:-)
Dopo la lunga visita, che dura ore, usciamo a bere il te nel giardinetto di fronte.
Nel pomeriggio, ci spostiamo in uno dei grandi parchi , molto bello e occidentale, nella periferia nord di questa immensa e sempre più affascinante capitale.
Molta acqua, molto verde, molti attrezzi ginnici…
27 ottobre.
E purtroppo, anche questo secondo, splendido viaggio persiano è giunto al termine.
Facciamo un’ultima, indimenticabile colazione, poi tutta la famiglia ci accompagna a quello che è stato il nostro punto di partenza, l’aeroporto IKA.
Restano con noi fino all’ultimo…e poi nulla, ci tocca lasciarci, con immensa commozione e grandissimo dispiacere, e la certezza che torneremo, torneremo ancora!
Il decollo per Istanbul avviene nel pomeriggio.
E quando il Jumbo della Turkish stacca le sue ruote dalla pista, è come se un pezzo del nostro cuore fosse rimasto a terra e chiedesse al resto di tornare indietro…
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