Si, lo so che questo post poteva intitolarsi semplicemente "Renoir", ma visto che mi è tornata in mente la splendida canzone che De Gregori propose in ben due versioni nell'album del '78 che porta il suo nome (album bellissimo!), non ho saputo resistere...
Il post dovrebbe raccontare le sensazioni che ho provato alla visita della mostra su Renoir che si è aperta il 23 ottobre alla Galleria di Arte Moderna di Torino (per vederla c'è tempo fino al 23 febbraio 2014).
(Per una descrizione dettagliata del contenuto della mostra, vi rimando invece a questo perfetto post di Roberta.)
Come al solito, quando visito una mostra d'arte, parto da un livello di ignoranza quasi assoluto.
Nel caso di Renoir, sapevo più o meno che era un pittore francese dell'Ottocento, e che avesse vagamente a che fare con l'impressionismo (che, nella mia mente, è un concetto dai contorni abbastanza indefiniti come la pittura che lo caratterizza).
Ora ne so molto di più su questo personaggio, anche se so bene che l'80% delle nozioni scomparirà entro pochi giorni.
La mostra presenta una sessantina di quadri provenienti dai musei parigini (è, sembra, la più importante esposizione di Renoir finora organizzata in Italia).
Ce ne sono alcuni che adoro in particolare.
"L'altalena", quadro impressionista del 1876, è straordinario e magico per il modo in cui viene resa la luce che filtra attraverso le foglie (l'immagine qui sopra non restituisce neppure in minima parte la bellezza del quadro, rispetto alla visione dal vero).
E poi, ad esempio
"Ragazze al piano" del 1892: dopo il viaggio in Italia negli anni '80, affascinato da Raffaello e Tiziano, Renoir supera l'impressionismo.
Le altre opere in esposizione garantiscono un altissimo livello di emozione.
C'è tempo...ma non perdetevi la mostra!
venerdì, novembre 08, 2013
"Gli aerei stanno al cielo come le navi al mare..."
martedì, novembre 05, 2013
Il principio o il dubbio?
Il "caso Cancellieri" fornisce spunti per ragionamenti interessanti.
Premetto che sono completamente indifferente alla vita e alla morte dei componenti della famiglia Ligresti.
Così come sono (siamo) di fatto indifferente alla vita ed alla morte di milioni di persone che non diventano abbastanza interessanti da finire sul giornale.
Non analizzo dunque l'aspetto "umanitario" della questione. Sapere che la Ligresti stava male non mi muove a commozione.
Ma, nelle critiche avanzate alla Cancellieri, c'è qualcosa che non mi torna.
Le critiche si basano sul principio che un ministro non dovrebbe intervenire nei casi singoli, tantomeno se la persona coinvolta ha legami di amicizia/parentela.
Questo, secondo me, è un principio assai discutibile.
Alla fine, io credo che qualsiasi persona intervenga in tutte le situazioni in cui ha un coinvolgimento affettivo/emotivo, e mi parrebbe assai strano (ed anche poco umano) che ciò non accadesse.
La Cancellieri, si dice, ha fatto la stessa cosa che ha fatto per la Ligresti in altri 110 casi, parlandone con il direttore del DAP.
Allora, secondo lo stesso principio, anche questo è ingiusto, visto che su una popolazione carceraria di oltre 60.000 persone, sicuramente chi vive una situazione di disagio va ben oltre il numero di 110.
Estremizzando il principio, allora anche Schindler ed "i giusti" che salvarono gli ebrei commisero una profonda ingiustizia non salvando tutti quelli che non "conoscevano" e con cui, in quel momento, non avevano contatti o relazioni.
Insomma, sostengo che sia NATURALE fare qualcosa per le persone con cui si è in relazione, indipentemente dal ruolo che si ricopre.
Avrei pensato malissimo della Cancellieri se, a fronte di una richiesta di aiuto proveniente da una conoscente, non avesse fatto nulla in nome di un "principio" che, essendo di origine umana, vale esattamente quanto ogni altro principio.
Poi, pensare con fastidio ai Ligresti, ed anche al fatto che la Cancellieri abbia una relazione di amicizia con costoro, è un'altra cosa, che non c'entra con il principio sostenuto.
Sappiamo bene che chi ha molto potere e denaro vive in un mondo diverso dal nostro, ed ha contiguità non necessariamente con gli onesti, ma con chi ha potere e denaro.
Basta leggere un libro di Saviano per capire il senso di appartenenza dato dal potere e dai soldi. E' molto più facile, per un ricco, avere contatti e relazioni con la malavita organizzata, di quanto capiti a noi.
Le mafie che gestiscono immense ricchezze sono inevitabilmente contigue a chi possiede analoghe ricchezze.
Questo per dire che non mi scandalizzano le "relazioni pericolose" della Cancellieri. Le considero inevitabili, nella sua posizione.
E non pretendo da lei qualcosa che non vorrei qualcuno pretendesse da me: non aiutare, in nome di un principio astratto, le persone con cui si è in relazione.
Nel giudicare le cose (ed il prossimo) bisognerebbe sempre procedere con il dubbio, più che con i principi.
In questo condivido le domande che si pone Luca Sofri.
Premetto che sono completamente indifferente alla vita e alla morte dei componenti della famiglia Ligresti.
Così come sono (siamo) di fatto indifferente alla vita ed alla morte di milioni di persone che non diventano abbastanza interessanti da finire sul giornale.
Non analizzo dunque l'aspetto "umanitario" della questione. Sapere che la Ligresti stava male non mi muove a commozione.
Ma, nelle critiche avanzate alla Cancellieri, c'è qualcosa che non mi torna.
Le critiche si basano sul principio che un ministro non dovrebbe intervenire nei casi singoli, tantomeno se la persona coinvolta ha legami di amicizia/parentela.
Questo, secondo me, è un principio assai discutibile.
Alla fine, io credo che qualsiasi persona intervenga in tutte le situazioni in cui ha un coinvolgimento affettivo/emotivo, e mi parrebbe assai strano (ed anche poco umano) che ciò non accadesse.
La Cancellieri, si dice, ha fatto la stessa cosa che ha fatto per la Ligresti in altri 110 casi, parlandone con il direttore del DAP.
Allora, secondo lo stesso principio, anche questo è ingiusto, visto che su una popolazione carceraria di oltre 60.000 persone, sicuramente chi vive una situazione di disagio va ben oltre il numero di 110.
Estremizzando il principio, allora anche Schindler ed "i giusti" che salvarono gli ebrei commisero una profonda ingiustizia non salvando tutti quelli che non "conoscevano" e con cui, in quel momento, non avevano contatti o relazioni.
Insomma, sostengo che sia NATURALE fare qualcosa per le persone con cui si è in relazione, indipentemente dal ruolo che si ricopre.
Avrei pensato malissimo della Cancellieri se, a fronte di una richiesta di aiuto proveniente da una conoscente, non avesse fatto nulla in nome di un "principio" che, essendo di origine umana, vale esattamente quanto ogni altro principio.
Poi, pensare con fastidio ai Ligresti, ed anche al fatto che la Cancellieri abbia una relazione di amicizia con costoro, è un'altra cosa, che non c'entra con il principio sostenuto.
Sappiamo bene che chi ha molto potere e denaro vive in un mondo diverso dal nostro, ed ha contiguità non necessariamente con gli onesti, ma con chi ha potere e denaro.
Basta leggere un libro di Saviano per capire il senso di appartenenza dato dal potere e dai soldi. E' molto più facile, per un ricco, avere contatti e relazioni con la malavita organizzata, di quanto capiti a noi.
Le mafie che gestiscono immense ricchezze sono inevitabilmente contigue a chi possiede analoghe ricchezze.
Questo per dire che non mi scandalizzano le "relazioni pericolose" della Cancellieri. Le considero inevitabili, nella sua posizione.
E non pretendo da lei qualcosa che non vorrei qualcuno pretendesse da me: non aiutare, in nome di un principio astratto, le persone con cui si è in relazione.
Nel giudicare le cose (ed il prossimo) bisognerebbe sempre procedere con il dubbio, più che con i principi.
In questo condivido le domande che si pone Luca Sofri.
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