Compro il quotidiano, in un giorno qualunque, e dalla prima pagina un titolo mi urla la solita notizia: un altro "scandalo".
Che noia.
Salto a piè pari le prime pagine. Non reggo più quelle facce, non reggo più quelle parole.
In realtà non reggo più nulla.
Continuo a produrre pensieri e parole (non qui), ma senza nessuna speranza che si trasformino in semi: per pura testimonianza. Per puro dovere. Produco e lascio lì, per avere almeno una illusione di fertilità.
Mi sento incattivire, giorno dopo giorno.
Questa melassa di rumori, di comunicazioni verbali e gestuali perennemente fuori registro, questo interscambio continuo di nullismi ad alto volume mi fa male al cuore.
Tendo sempre più a rinchiudermi nel Fort Apache degli affetti e delle amicizie, a stare fuori dal mondo: perchè non riesco più a capire se devo augurarmene la definitiva rovina, o se devo soltanto ripulire i miei occhiali interiori da questa patina di sangue e cenere attraverso la quale lo osservo.
O, forse, devo rimodulare la mia visione del mondo adeguandola alla percezione che ne ho adesso: l'essere umano è di default uno sgradevole pezzo di materiale organico, e soltanto con una robusta iniezione di cultura e di affetto, costante e prolungata nel tempo, un individuo può emanciparsi dal suo destino e produrre qualcosa che, per l'insieme degli altri esseri umani, possa sapere di buono.
Ma la cultura è disprezzata e l'affetto non può diventare rigoglioso, in tempi in cui gli uomini vengono innaffiati con la solitudine e la paura: e l'individuo-evoluto-dallo-stato-di-materiale-organico è sempre più figlio del caso e della fortuna.
Forse c'è stato un tempo in cui i potenti del mondo hanno giocato a fare i filantropi.
Forse c'è stato un tempo in cui l'Europa, mentre schiacciava come sempre gli uomini-pidocchi che avevano la sventura di vivere in altri continenti, ha provato nelle sue terre a giocare ai "valori", e si è persino autoconvinta che la singola persona fosse un piccolo capitale su cui investire risorse: curarlo, educarlo, migliorarlo. Proteggerlo. Coltivarlo.
L'orrore estremo e pubblico della seconda guerra mondiale ha, per qualche decennio, radicato questa illusione: che un uomo migliore fosse necessario, che andasse costruito, per impedire il ripetersi di quel che era appena accaduto.
L'eco di questo tempo d'oro è giunto fino a noi, che abbiamo avuto le scuole gratis, gli ospedali gratis, i sindacati, i diritti, i partiti democratici, la costituzione, il cinema, la letteratura, i parchi, il benessere, le vacanze, i trasporti pubblici.
Adesso, queste cose non è che ci vengano tolte di brutto: vengono semplicemente lasciate andare a ramengo, come certi quartieri popolari alla periferia di Bucarest.
Il ricordo di quell'orrore è diventato così lontano e vago, negli anni, che il darwinismo sociale ha progressivamente ripreso il suo spazio.
Milioni di uomini-nulla, per i neopotenti, sono molto più utili di "individui migliori". E' bastato perfezionare gli strumenti di comunicazione di massa, e diffondere quattro idee in croce: "le cose più importanti della vita sono figa, soldi e potere (anche se questo elemento garantisce i primi due), nonchè trovare la strada più veloce e meno faticosa per arrivarci".
Il corollario è che gli uomini-nulla sono stati definitivamente convinti che esistono donne-nulla (tutte le donne, in sintesi) a cui essi sono fondamentalmente superiori, ed altri uomini-nulla-nulla (tutti quelli snob- comunisti- presuntuosi- intelligenti- froci - buonisti- amici degli extracomunitari) a cui sono egualmente e fondamentalmente superiori.
Per questo è oggi normale che il tamarro, nel traffico impazzito della metropoli, scenda da un SUV per spaccare la faccia ad un mite insegnante, estratto a forza da un'utilitaria, a cui aveva appena tagliato la strada, mentre una strafiga ('nzomma, la definizione va intesa secondo i canoni tamarri) sorride ebete dal finestrino brunato osservando compiaciuta l'esibizione di violenza (= potere).
Secondo la concezione degli uomini-nulla, noi uomini-nulla-nulla (con le nostre donne-nulla-nulla, che sono un sottinsieme peggiorativo dell'insieme inferiore delle donne-nulla) dobbiamo soffrire e morire e andare in rovina, perchè quando il gioco si fa duro devono resistere solo i migliori.
Vista la numerosità degli uomini-nulla (perchè, anche se sembra linguisticamente paradossale, è molto meno faticoso diventare uomini-nulla che uomini-nulla-nulla), è evidente che oggi il principale persecutore di ogni individuo che voglia diventare migliore non è direttamente il potere, ma la massa di schierani (uomini-nulla) che si frappongono tra il potere e noi, ad ogni livello della scala sociale.
Io, a costoro, voglio molto male.
Ma molto molto molto.
A volte sogno di aver un solo superpotere: quello di bucare le gomme con lo sguardo. Mi sarebbe utile per iniziare una campagna di punizione di sufficiente efficacia (soprattutto se attuata sulle strade deserte, di notte, ma anche sulle corsie di emergenza delle tangenziali, piste usualmente molto battute dagli uomini-nulla).
Un altro superpotere di indubbia utilità che mi piacerebbe avere sarebbe lo sguardo all'antineurone: cioè, quello che distrugge le merci lasciando intatte le persone. Dissolverei auto e televisori, telefonini e blackberry, console e ipad. (Graziati per definizione tutti gli strumenti musicali, le biciclette, i macchinari per fabbricare gianduiotti, i lettori di e-book e anche gli ipod: ohhhhh, se ho un superpotere sarò libero di usarlo come pare a me senza dover dare spiegazioni, no?).
E, chissà, forse basterebbe. Gli uomini-nulla senza merci sarebbero già fuori gioco. Potrebbe pure darsi che, in quelle condizioni di nudità merceologica, si accorgano di avere un cervello.
E che non sia nemmeno necessario deportarli da qualche parte per rieducarli.