Le sei spiaggie di granito rosa sono punteggiate, all’interno ed ai bordi, da immensi macigni da decine di tonnellate l’uno, anch’essi di un rosa commovente.
Essi danno l’impressione di essere stati plasmati nel pongo da un gruppo di giganti bambini e burloni, che li hanno con cura pacioccati, arrotondati, lisciati e premuti con le loro enormi dita, e poi gettati lì, a caso, uno sull’altro, nell’equilibrio più instabile ed assurdo possibile.
Due di queste spiaggie si aprono su altrettante piccole baie, che hanno un accesso ridotto alla vasta massa d’acqua esterna, e i macigni e gli scogli rosa danno un senso di protezione rispetto all’immane agitarsi di quel mondo scuro ed impetuoso che non si ferma mai.
In un sabato pomeriggio di agosto avanzato, migliaia di persone si inerpicano sui macigni che guardano le spiaggie, perché alle 16 è prevista la partenza della “24 ore di barca a vela”, il cui percorso si compie esclusivamente all’interno delle due baie: altre migliaia si assiepano lungo la strada che fiancheggia la spiaggia della partenza.
Le 47 imbarcazioni a vela, rigorosamente lunghe
Alle 16,10 risuona un colpo di cannone da una collina prossima alla spiaggia, e 47 pazzi si mettono a correre d’improvviso sulla sabbia, tra il boato della folla presente, per raggiungere le barche e il compare dell’equipaggio: uno salta a bordo, l’altro spinge la barca e si tuffa anch’esso a bordo.
Le 47 barche partono tutte assieme, caoticamente, nella stessa direzione: è previsto che facciano un primo giro di “scrematura” all’esterno della baia, in mare aperto, prima di percorrere per un giorno intero il percorso interno.
In soli 10 minuti si creano già precise gerarchie: quattro equipaggi filano veloci come il vento e si piazzano stabilmente in testa, dietro essi il resto delle imbarcazioni forma un gruppone più o meno sgranato ed indistinto, in coda si distinguono gli equipaggi che partecipano alla competizione più per celia che per vincere (tra essi si distingue una barca che innalza il vessillo dei pirati, e i membri dell’equipaggio, vestiti da corsari, passano più tempo a fingere di duellare a pistolettate, per l’ilarità del pubblico, che a governare la barca…)
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E’ sera, sono le 21 passate, non è ancora tramontato definitivamente il sole. Nella piccola piazzetta davanti al molo (ora c’è l’alta marea, e l’acqua sciaborda sotto il muro nascondendo completamente la spiaggia), affollata da centinaia di persone, si sono già succeduti diversi gruppi musicali e bande tradizionali bretoni, precedute dall’immancabile portabandiera con lo stendardo a strisce bianche e nere. La gara di vela intanto continua, nella baia illuminata dai riflettori. Gli stand gastronomici offrono sidro, vino bordeaux, crepes e galettes.
Sul palco sono attesi i Mask Ha Gazh (per ricordarmi il nome penso alla maschera a gas, ma dal logo del gruppo deduco che in bretone il nome voglia davvero dir quello!), e alcuni tecnici lavorano senza fretta agli ultimi preparativi prima del concerto.
Non vedo la batteria, e un po’ mi preoccupo (ci saran solo gli strumenti tradizionali stile bagadou, cioè banda bretone di paese? Non che non mi piaccia ascoltarli per un po’, ma mi piacerebbe sentire qualcosa di diverso…), ma poi sale alla sinistra del palco il chitarrista con lo strumento elettrico, e la cosa mi rassicura.
Lo raggiungono, posizionandosi alla sua destra ed all’estrema destra del palco, un violinista ed un suonatore di strumenti a fiato; ne ha in mano sette o otto, tra bombarde, piccoli flauti e vari cilindri suonabili di cui non saprei dire il nome esatto.
Quest’ultimo ha un aspetto da bambinone un po’ scemo, ma come al solito l’aspetto inganna, visto che (lo scoprirò dopo, comprando il cd) costui è autore di quasi tutte le musiche ed i testi del gruppo, e che durante il concerto si rivela un performer eccezionale.
Al centro del palco troneggia una massiccia pedana di legno su cui è posizionata una vecchia sedia, sempre di legno: a fianco, solo un microfono. Temo che qualcuno salga su a leggere vecchie storie bretoni, o favole, o poesie, o cose comunque per me meno comprensibili della musica.
Ad un certo punto sale sul palco un tipo massiccio e nerovestito, pelosissimo, con lunghi capelli grigi, baffi e pizzetto, dall’aspetto vagamente druidico.
La prima cosa che fa - lo intuisco dietro la pedana con la sedia - è togliersi le scarpe!
Quando riappare in primo piano, vedo che ha indossato un paio di zoccoli di legno neri, da contadino, assai consunti.
Si posiziona sulla sedia, ed estrae da un piccolo contenitore appeso all’asta del microfono (che prima non avevo notato) due…normali cucchiai da minestra!
Che cosa ne fa durante il concerto lo si può intuire dalla foto...
Insomma, la intera linea ritmica del gruppo è basata su due strumenti principali suonati dal nostro, che è anche la voce ed il leader del gruppo: sabots percussifs et cullieres, zoccoli percussivi e cucchiai!
Il concerto è molto bello: la musica è tradizionale bretone ma rivista in chiave rock, il druido ha una bella voce (canta in francese, talvolta in bretone), ed è istrionico, teatrale, coinvolgente.
Invita il pubblico a cantare nei coretti: spesso interrompe il concerto, visibilmente insoddisfatto della partecipazione corale, finge di indignarsi comicamente con i suoi compagni per un pubblico così noioso, srotola nastri di carta su cui c’è scritto solo “la-la-la…” per aiutare scherzosamente il karaoke di chi non conosce le parole del coretto…Uno spasso, davvero.
Non nuovo, ma simpatico, il trucco di dividere in due il pubblico e far fare la gara a chi canta più forte il refrain, sfotticchiando la presunta afonia della folla.
Il concerto è partecipatissimo, il pubblico locale evidentemente li conosce molto bene e li ama, ridendo divertito alle facezie del nostro che a me restano, ahimè, doverosamente oscure.
Ad un tratto improvvisa una storia evidentemente triviale i cui protagonisti sono due uccelli (deduco un presuntuoso gabbiano ed una civettuola folaga), ma purtroppo non so dire su cosa fosse basato il meccanismo comico della storia che ha fatto scompisciare la platea.
Prima ancora che il concerto finisca, alle 23 esatte, l’organizzazione dà il via ai fuochi d’artificio, sparati da un’isoletta di fronte a poche centinaia di metri dalla spiaggia, e la gente non sa più bene se guardare sul palco o lo spettacolo pirotecnico che si svolge dietro (già ci sono le barche, nella baia visibile alla sinistra del palco, che continuano a gareggiare sotto i riflettori!).
Il momento è bellissimo, magico...e in Bretagna ne vivrò moltissimi, di momenti simili.
1 commento:
Bello, fa venir voglia di andarci... Ho mancato quei posti per un pelo l'estate scorsa, e chissà se mai ci potò ancora andare, ora che faccio la nonna a tempo pieno! :-)
Ciao, buon autunno (prima o poi arriverà, nonostante le profezie di futuri inverni non-più-inverni).
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