Son tempi davvero difficili, questi…il clima di questo paese è talmente sovraeccitato ed incattivito che tentare di esprimere opinioni pacate – piuttosto che giudizi universali – è come tentare di sussurrare parole d’amore sotto il palco ad un concerto dei Greenday: inutile e frustrante.
Son tempi di masse furiose, incollerite, urlanti pronte a marciare verso il castello con le torce in una mano ed il cappio in un’altra, per fare giustizia sommaria e radere al suolo tutto quello che incontrano.
Me ne rendo conto. E’ assolutamente inutile dire che, nonostante tutto, in questo paese sfinito ed eticamente putrefatto la vita continua: gli ospedali e le scuole sono aperte, i treni e gli autobus continuano a portare in giro la gente, i supermercati traboccano di merci (spesso inutili), le autostrade nei weekend sono bloccate da code di settanta/ottanta chilometri, qualcuno spazza le strade, qualcuno pensa al futuro e a risolvere i problemi (il tutto in modo confuso, caotico, diverso per qualità da città a città: ma il tutto continua ad esistere).
La complessità di questo mondo, in questo momento, viene ignorata. Tutto magicamente funzionerebbe, a detta di alcuni, se si togliessero di mezzo quei mille-o-poco-più signori che siedono in Parlamento o sono al Governo (si, rivendico le iniziali maiuscole per le Istituzioni: sono anche mie, Cittadino di questo Stato, e ne difendo il senso e l’utilità).
Che sono, ovviamente, tutti ladri-incapaci-presuntuosi-arroganti.
E’ liberatorio, adesso, parlare male dei “politici”. Va di moda, è trendy, è necessario farlo più volte al giorno per sentirsi bene con se stessi. E se ieri si poteva fare solo al bar o sul pianerottolo con le borse della spesa, oggi ci sono possibilità infinite di farsi sentire: la mitica Rete, e le piazze stesse, che una volta venivano usate per ascoltarli, i “politici”, ed oggi ospitano i cappi virtuali.
Si può dar libero sfogo alla propria furia iconoclasta: abbattere, abbattere tutto; partiti, leader, istituzioni, la stessa organizzazione civile della vita deve essere gettata all’aria. Tanto, per magia, tutto rinascerà dalle macerie, bello e pulito, in modo spontaneo.
Questo è quello che pensavano anche gli anarchici, agli inizi del secolo scorso…ma c’è una sostanziale differenza. L’anarchismo credeva nell’uomo, nella sua bontà interiore, nella sua tendenza innata e naturale alla solidarietà e fratellanza: pensava che, abbattendo il sistema oppressivo che abbruttiva gli uomini, queste virtù sarebbero uscite alla luce illuminando il mondo nuovo.
Il senso comune di oggi no, non crede nell’uomo. Non ha fiducia in esso, lo disprezza, lo guarda con sospetto. Non si fida del vicino e del prossimo, a cui si accosta solo per gridare insieme contro un nemico comune. Vuole abbattere tutto solo per difendersi dal confronto, dalla fatica di vivere insieme e comprendersi, dal duro lavoro di costruzione di valori comuni e condivisi.
Il senso comune di oggi mi fa paura, e mi sembra assai peggio di quel che vuole abbattere.