martedì, luglio 29, 2008

Cattivi e stupidi, stupidi e cattivi.

Leggete questo articolo e rabbrividite (nulla di nuovo rispetto alle tendenze di questi giorni, ma l'evento in questione mi sembra segni un salto di qualità).

In sintesi: il deputato della Lega Nord Bragantini (mi scuso se non lo chiamo onorevole) rivela, senza pudore alcuno: "Erano le cinque di mattina: io avevo presentato un emendamento per limitare l'accesso agli assegni sociali degli extracomunitari, imponendo una residenza minima di 10 anni. L'onorevole Karl Zeller (Svp) aveva posto il limite di aver lavorato con un reddito pari all'importo dell'assegno sociale. Nella formulazione finale la frasi sono state unite".

I due criteri si sono sommati facendo sì che per accedere allo strumento minimo di sostegno ai poveri bisogna aver lavorato e soggiornato 10 anni nel nostro paese: il che significa, secondo Repubblica, che se questa norma antistranieri resta in piedi dal 1° gennaio 2009 il 95% delle persone che ne hanno diritto (circa 800.000 persone...di tutte le razze, inclusa l'italiana) perderanno l'assegno sociale di 400 euro.
Il che non è poi incoerente: questo governo odia gli stranieri ed i poveri in egual misura, anche se si prostra oltreTevere appena può a baciare mani ingioiellate.
Già se l'era presa con i malati terminali ed i precari, ma non passa giorno che azioni cattive e stupide si aggiungano alla lista delle nefandezze commesse da questa classe dirigente.

Oh, non temete, l'errore (cioè colpire i poveri sparando agli stranieri) verrà corretto in fretta, come dice il ministro Brunetta:
"Non vogliamo far torto a nessuno ma evitare gli abusi, perché è ora di dire basta ai furbastri che vengono qui per togliere la pensione a chi ne ha bisogno".

Riepiloghiamo: la Lega Nord ammette ormai esplicitamente di proporre norme antistranieri. Nello specifico, questa ha lo scopo (odiosissimo) di impedire il ricongiungimento familiare. Di impedire che le persone che lavorano qui (non i clandestini, attenzione: i lavoratori stranieri regolari!) possano vivere qui, in futuro, con le loro famiglie.
Brunetta conferma che lo scopo è "dire basta ai furbastri che vengono qui".

Ormai il fumoso equivoco relativo al "ce l'abbiamo solo con gli stranieri irregolari" si è dissolto: abbiamo un governo spudoratamente ed orgogliosamente xenofobo.
Possibile che nessuno di quelli che le ha votate, queste liste, senta ancora il bisogno di vergognarsi?
Possibile che l'italiano medio assomigli così tristemente, così irrimediabilmente a questa politica xenofoba, cattiva e stupida?

lunedì, luglio 21, 2008

Blog temporaneamente chiuso...

...per abituale e ciclico sfinimento psicofisico.
Questo minipost non serve dunque ad un fico secco, se non a raggiungere il numero 100 di quest'anno, 'che fermarmi a 99 mi dava un senso di incompiutezza ed almeno su questo posso far finta di aver raggiunto un obiettivo...:-)

Ma non gioite troppo, che come al solito poi torno.:-)

lunedì, luglio 14, 2008

Vajont e Bolzaneto: la giustizia e l'oblio

Vedere le cose con i propri occhi è cosa ben diversa dal sentirle raccontare.
Erano decenni che non tornavo nella valle del Vajont: allora ero un ragazzo, e gli imprecisi ma terrificanti racconti di mio padre su quel che avvenne nel 1963 fecero su di me un effetto strano, acuito dalla visione di quella gola stretta e di quella diga arditissima e solida.

Vidi poi, in tempi nemmeno troppo recenti, l'orazione civile di Paolini, e lessi il testo dello spettacolo scritto da lui con Gabriele Vacis.

Nella valle ci sono tornato due sabati fa, grazie ad una amica carissima.
Il tempo sembra essersi fermato a quell'autunno del '63. La diga è ancora lì, ardita ed inutile. E' ancora lì la frana, quei duecentosessanta milioni di metri cubi che hanno cambiato radicalmente la fisionomia del luogo: dove il Vajont aveva pazientemente scavato, nei millenni, il suo corso, facendosi strada attraverso una antica frana, ora giace - da oltre quarant'anni - una montagna di detriti, dall'aspetto lunare.
Che, nonostante i decenni, ancora non è diventata parte del tutto, ma resta lì, estranea, ostile, diversa.
Ed è ancora lì, visibilissima, la ferita del Monte Toc, lucida e scura: quel taglio netto che mi riporta alla mente - chissà poi perchè - quando mio nonno usava un filo attaccato al tagliere di legno, per asportare le fette dalla polenta appena versata dal paiolo.

Dalla diga ci siamo spostati a Erto, il paese della valle che fu schiaffeggiato da una delle due spaventose onde prodotte dalla frana (quella che scese su Longarone, superando la diga, alla partenza era alta 70 metri: ed io cerco inutilmente, da sempre, di immaginarmi un simile muro d'acqua alto come un palazzo di venti piani).
158 morti, lì, sugli oltre 1900 provocati dal disastro, di cui solo 15 corpi ritrovati.

Il vecchio paese è silenzioso e vuoto: la vita si è spostata sopra quota ottocento di altitudine, dove è stata costruita la parte nuova del paese.
In un palazzo che ospita la sede del Parco vi è la mostra permanente sul disastro. Se avete il tempo di visitarla, conoscerete e ricorderete un sacco di cose (molte le raccontò Paolini, ma molte sicuramente si sono perse negli anfratti della memoria, e conviene ricordare, ricordare, ricordare).
Ricorderete lo spirito ardito degli imprenditori e l'orgoglio degli ingegneri della SADE, che progettarono ed innalzarono quell'opera unica al mondo, la più grande diga a doppia curvatura.
Ricorderete la reazione rozza e diffidente dei valligiani, che vennero subito bollati come oscurantisti e contrari al progresso.
Ricorderete le perizie geologiche, che da subito rivelarono una frana lunga 2 km sul Toc, a sua volta relitto di una antica frana: una cosa che tutti sapevano, senza dubbi, sin dall'inizio. E che divenne evidente, dopo gli allarmi lanciati dalla coraggiosa Tina Merlin sull'Unità, con la prima frana del 1960.
Ricorderete come, in nome del progresso che non si può fermare, e per vendere alla neonata Enel la diga che non era ancora stata collaudata, nel 1963 si procedette al riempimento dell'invaso nonostante le scosse di terremoto del quinto grado della scala Mercalli, nonostante i brontolii continui e le fessure che si aprivano sul Toc, nonostante la strada costruita attorno al lago artificiale fosse ormai inagibile a causa dei disassamenti che la laceravano.
Ricorderete come al sindaco di Longarone nessuno disse che le prove fatte con un modellino della diga e della valle avevano dimostrato la possibilità che, in seguito alla frana prevedibile e prevista, un'onda alta 20 metri avrebbe potuto superare la diga ed abbattersi sul paese: e sappiamo, dalla storia, che l'onda vera fu tre-quattro volte più spaventosa di quella prevista.
Ricorderete il dopo: il dolore, il disastro, la valle del Piave spazzata dal vento e dall'acqua. I corpi recuperati con gli uncini dai ponti, le case rase al suolo, gli oggetti sugli alberi.
Ricorderete le prestigiose penne di Dino Buzzati e Giorgio Bocca che parlano di fatalità, e le Commissioni di inchiesta (del governo e dell'Enel) che lo confermano, così come una perizia dell'Università di Padova.
E ricorderete un giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, che da solo contro tutti afferma che sia la frana che l'onda erano prevedibili, e che si tratta di omicidio colposo, e chiede 158 anni di pena per i responsabili.
Nessuna Università italiana osa produrre una perizia che smentisca i colleghi padovani, e Fabbri deve rivolgersi in Francia.
Dove gli confermano che tutto era prevedibile e previsto.
Ricorderete che, in primo grado, la tesi della prevedibilità della frana non viene accolta: in appello ed in cassazione (nel 1971, 15 giorni prima della prescrizione) finalmente si, ma porta alla condanna di soli due imputati per una pena complessiva (inclusi i condoni) di DUE ANNI E OTTO MESI.
Due anni e otto mesi di galera per oltre 1900 morti.

Ricorderete, ancora, che il comune di Longarone avvia anche una causa civile, che nel 1997 si conclude con l'Enel costretta a risarcire i danni ai comuni colpiti: ci sono voluti 34 anni. Ingiustizia è fatta.

Ricorderete. Almeno questo, è importante. Sempre.

UPDATE: Mi giunge adesso notizia che anche il processo per le violenze di Bolzaneto del 2001, una delle orrende code sudamericane al G8 di Genova con decine di persone ferite, umiliate, maltrattate dai poliziotti, si è concluso con pene lievi, e grazie all'indulto nessuno andrà in galera.
In galera, per ora e per altri motivi, c'è andato Ottaviano del Turco, Presidente della Regione Abruzzo, sorpreso a ricevere mazzette. Ma non tema, perchè il nostro Presidente del Consiglio ha molto a cuore la sorte dei ladri e dei corrotti, ovviamente solo se potenti, e troverà presto il modo di liberarlo dalla solita congiura della magistratura.

mercoledì, luglio 09, 2008

L'arte ipocrita della dissociazione

E' buffa, questa corsa alla dissociazione che si è scatenata dopo le parole di Grillo e delle Guzzanti alla manifestazione di Piazza Navona. Buffa ed un po' scema: posso ancora capire che si dissoci chi l'ha organizzata, ma perchè diavolo deve intervenire dicendo la sua chi alla manifestazione non c'è andato?

Per quale motivo uno dovrebbe sentire il bisogno di dissociarsi da parole pronunciate da altri in un contesto al quale ha deciso di non aderire?

E' ovvio che Grillo e la Guzzanti, se e quando dicono cazzate, rappresentano se stessi e si assumono la responsabilità di quello che dicono. Perchè mai il PD dovrebbe affrettarsi a marcare le distanze? Perchè mai uno dovrebbe misurare le proprie idee sulla base di quello che dice uno che dovrebbe essergli assolutamente indifferente?

Perchè mai il Presidente della Repubblica dovrebbe offendersi con qualcuno di diverso da Grillo per le parole da lui pronunciate?

Non capisco, non capisco questo gioco stupido. Invece di parlare dell'argomento della manifestazione, della motivazione per cui sono scese in piazza migliaia di persone, tutti a commentare le parole più deficienti ed inutili, purchè siano state pronunciate da uno famoso e mediaticamente rilevante. Prestandosi al solito, squallido giochetto mediatico, cadendo nella trappola, si manca di rispetto a chi lì c'è andato perchè è seriamente preoccupato dello stato di salute di questa democrazia.

Che lo facciano Bondi e Berlusconi è ovvio, che lo faccia il PD è davvero stupido. Vedremo prima o poi qualche segno di miglioramento, nella salute mentale dell'opposizione?

(Penso anche alle infinite bandiere delle fazioni della sinistra a sinistra della sinistra del PD, ieri a Torino: che subito si sono raccolte davanti alla prima telecamera che passava, e pur non essendoci nemmeno un megafono per parlare al migliaio di scarrafoni che eravamo, con qualcuno che ha rilasciato interviste alle TV su non si sa bene cosa rappresentando non si sa bene chi...ed io mi sono sentito sgradevolmente usato, in questo caso.)


martedì, luglio 08, 2008

Io ci sono...

...intendo oggi pomeriggio alle 17 in Piazza Castello, a Torino, alla manifestazione promossa in concomitanza con quella di Roma sulla base di questo appello:

"Care concittadine e cari concittadini, il governo Berlusconi sta facendo approvare una raffica di leggi-canaglia con cui distruggere il giornalismo, il diritto di cronaca e l’architrave della convivenza civile, la legge uguale per tutti.
Questo attacco senza precedenti ai principi della Costituzione impone a ogni democratico il dovere di scendere in piazza subito, prima che il vulnus alle istituzioni repubblicane diventi irreversibile.
Poiché il maggior partito di opposizione ancora non ha ottemperato al mandato degli elettori, tocca a noi cittadini auto-organizzarci. Contro le leggi-canaglia, in difesa del libero giornalismo e della legge eguale per tutti, ci diamo appuntamento a Torino l’8 luglio in piazza Castello alle ore 17, per testimoniare con la nostra opposizione – morale, prima ancora che politica – la nostra fedeltà alla Costituzione repubblicana nata dai valori della Resistenza antifascista.
Vi chiediamo l’impegno a “farvi leader”, a mobilitare fin da oggi, con mail, telefonate, blog, tutti i democratici. La televisione di regime, ormai unificata e asservita, opererà la censura del silenzio.
I mass-media di questa manifestazione siete solo voi."

Si, la sento, ahimè, la canea autolesionista che monta attorno a queste manifestazioni...le stupidaggini dette un po' da tutti, dal PD in primo luogo (Di Pietro in questo caso mi sembra la persona che ha fatto le dichiarazioni più assennate e rispettose delle posizioni altrui), ma anche da parecchi organizzatori.
Si, confermo che non sopporto Grillo, e l'idea di vedere associata la mia presenza alle sue dichiarazioni mi irrita assai.
Ma in piazza ci vado lo stesso, come elettore e militante del PD, perchè mi sembra importante esserci. I miei rapporti col mio partito, poi, me li regolo io nelle sedi giuste:-)

mercoledì, luglio 02, 2008

Ossigeno

Per fortuna, non esistono solo le parole stuprate da un potere violento e dai suoi squallidi vassalli. Esistono parole che vengono posate con semplicità e dolcezza, a descrivere ambienti e mondi in cui l'uomo non è un essere livido, assatanato, impaurito, ma un soggetto che appartiene al mondo e lo rispetta, e lo ascolta.
Boschi, gelo, neve...silenzio, attesa. Fatica. Confronto, rispetto, consapevolezza. Equilibrio, anche nella competizione di una caccia che può essere leale.
Ossigeno, aria pulita. Parole lievi, eppure dense di immagini che danno pace, che parlano di una vita anche difficile ma in armonia con se stessi e con gli altri. Di amicizia, di umiltà, di apprendimento, di competenze mirabili (e ormai in estinzione, ahimè).

In questi giorni, sto usando spesso Rigoni Stern come antidoto al veleno inoculato nelle arterie del paese ed alla mia conseguente, irrefrenabile irritazione.
Funziona, sapete.

Delirio eversivo

"Il documento è di una gravità straordinaria: una sfida non solo al dettato costituzionale ma anche al quadro istituzionale del paese".

"Una scelta inaudita che pone fuori dalla Costituzione, dalla logica e dalla stessa legalità repubblicana un gruppo di attivisti di partito. E' evidente che un atto così grave determinerà prevedibili conseguenze".

No, non è come sembra: non sono le opinioni di persone di buon senso sulle ultime mosse del Presidente del Consiglio, lo scandaloso decreto salvapremier e il lodo Schifani.
Sono le parole eversive di due ultras della maggioranza sul documento del CSM che dice cose ragionevolissime sulle porcherie tentate dal governo, stando bene attento a non invadere terreni che non sono di propria competenza dopo il richiamo del Presidente della Repubblica.

Se il Ministero della Difesa fosse ancora fedele alla Repubblica, mi aspetterei che i Carabinieri venissero subito mandati a fare due chiacchiere con chi ha pronunciato queste parole.

Sblam! (un racconto)

La porta scura e lucida si chiude per sempre davanti alla piccola palla di pelo che rotola, per un poco ancora, sul gradino, e lentamente si ferma.

La palla sta lì, ferma, e quasi non si vede nella notte poco illuminata. C’è solo uno spicchio di luna, appeso lassù nel buio, una luna timida e giovane.

Per qualche minuto non accade nulla, o quasi. La palla di pelo è davanti alla porta della casa, la casa ha davanti un piccolo prato ben curato, il piccolo prato si affaccia su una strada asfaltata da poco.

La casa, il prato e la strada si trovano in un quartiere residenziale della città, popolato di altre case basse e piccoli prati ben curati e strade asfaltate bene, e a quest’ora di notte non c’è traffico, non ci sono pedoni.

Dopo lo SBLAM! che ha rotto il silenzio tipico di questo quartiere, in questa tipica notte di estate, soltanto il rombo sguaiato di un motore che passa qualche via più in là ritarda il momento in cui il silenzio, pian piano, si ricucirà da sé.

Sul gradino, la palla di pelo sembra ascoltare il silenzio.

Poi, d’un tratto, la palla sembra aprirsi, nel buio, e compare nella parte superiore prima un triangolo, poi un altro che completa il profilo di una coppia di orecchie.

Poi si solleva, cauto, un musetto impaurito mentre, dietro, si srotola timida una piccola coda, che prende ad agitarsi con un movimento lento.

Silenzio.

Alcuni attimi dopo, il piccolo gatto si leva ritto sulle zampe, inarca la schiena. Si rilassa, si ferma, e punta lo sguardo verso l’alto, verso quella porta che non si aprirà più.

SBLAM!

Quel rumore secco e spaventoso gli riecheggia ancora nella mente, e per un attimo lo paralizza.

Poi, lentamente, si volta, flessuoso, e si lascia alle spalle la porta, inoltrandosi sul vialetto che taglia in due il prato. Per sempre.

Cammina lentamente, perché è assai giovane e le sue zampe sono ancora corte. E’ guardingo e preoccupato: uscito dal vialetto ha svoltato a destra sul marciapiede, come se avesse in testa una direzione precisa in cui andare, e lo percorre piano ma con sicurezza. Quando passa sotto un lampione il suo pelo grigio tigrato diventa visibile, lancia bagliori d’acciaio, e se a volte alza il muso la luce gli accende le pupille: poi esce dal cerchio luminoso, e ritorna ad essere un’ombra scura e silenziosa che scivola verso l’ignoto.

*

Emma, seduta sull’unica panchina di quel giardino spelacchiato, sente i brividi di freddo che la percorrono dall’alto al basso, fino a toccare le sue ciabatte di plastica.

E’ estate, la temperatura questa notte è mite, ma Emma si sente sempre così quando esce dall’appartamento in cui le voci dei suoi genitori, come tutte le sere, iniziano ad alzarsi, ed a diventare aspre, ed affilate come coltelli.

Lei esce piano, di nascosto, tanto non se ne accorge nessuno. Scende dal quinto piano, scende per le scale, con i suoi otto anni che le scivolano via dal vestito leggero e troppo corto, e dagli occhi sotto forma di lacrime trattenute.

Dovrebbe essere a nanna, a quest’ora: ma lei ci va sempre vestita, perché sa che tanto le loro voci presto iniziano a non farla dormire, e appena accade lei fugge fuori, piano, facendo attenzione a non far sentire lo scatto della porta che si chiude.

Quando arriva sotto, nell’androne di cemento che le correnti rendono inospitale anche d’estate, inizia a sentirsi meglio, e a volte sorride, sorride solo per se stessa.

Esce fuori, ed i palazzoni intorno sembrano guardarla con qualche occhio acceso qua e là, mentre arriva alla panchina.

Davanti al suo palazzo c’è un piccolo giardinetto, corroso dall’incuria e dall’abbandono, ma lei non fa più caso alle cose tristi.

Le basta il silenzio, e allora va a sedersi sullo schienale della panchina come vede fare di giorno ai ragazzi grandi, quando si affaccia alla finestra sognando di volare via.

Si mette lì, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia nude, e appoggia la testa fra le mani, con i lunghi capelli neri che le scivolano scomposti lungo le dita.

Chiude piano gli occhioni color nocciola, e ascolta con la mente ogni brivido di freddo, seguendolo nel suo percorso verso le ciabatte.

Ad ogni brivido che parte, il suo corpo sembra diventare più piccolo.

*

Palladipelo non ha la nozione del tempo, ma sente che i polpastrelli sotto le zampe iniziano a fargli male: il che vuol dire, lo capisce, che ha camminato tanto, e che i marciapiedi lisci del quartiere da cui è partito hanno pian piano lasciato il posto a percorsi più ruvidi, a lampioni più radi e case sempre più alte.

Lo SBLAM! nella sua mente ancora lo fa sobbalzare, a tratti, ma qui il silenzio è diverso da casa sua: è come se avesse un suono ed un odore diverso, lo sente più pericoloso, è costretto ad essere più attento. Non sa che cosa sia una periferia, ma ne sente il respiro ostile.

*

La panchina su cui Emma sta seduta da tempo volge lo schienale al palazzo, e se lei avesse gli occhi aperti vedrebbe il vialone che parte dal suo palazzo e taglia in due la schiera di condomini come una ferita, e che se lo segui fino in fondo, camminando per ore – dicono gli altri ragazzini – ti porta nell’altra periferia, quella dei ricchi, quella che profuma di fiori, quella dove ogni ragazzino vive in case comode dove non ci sono voci affilate che li inseguono negli angoli spingendoli a scappare.

Qualcuno dice che dentro quelle case c’è troppo silenzio e presto vien voglia di scappar fuori, e che persino questo prato spelacchiato è più divertente di una vita comoda, se la si vive da soli.

Forse lassù, a casa sua, le voci si saranno abbassate, forse sarà tornato quel silenzio pesante, greve, che per Emma è quasi peggio di un urlo.

Ma Emma non ha ancora voglia di tornare su: tanto nessuno si accorge mai che non è nel suo letto, nessuno dopo una guerra ha voglia di andare a distribuire carezze a chi dovrebbe dormire.

*

Palladipelo è stanco. Questa strada è troppo lunga, i palazzi che la chiudono troppo alti ed opprimenti, ed inizia a sentire la stanchezza, il freddo, la fame.

Laggiù in fondo la strada finisce, c’è qualcosa a chiuderla, e Palladipelo si dice che deve arrivare lì, poi basta, poi si troverà un posto sicuro e si fermerà, si riposerà.

E cammina ancora, con la coda verso il basso, trascinando i polpastrelli doloranti.

*

Emma tiene gli occhi chiusi. Le braccia sono fredde, a causa dell’umidità che inizia a pervadere la notte, ma lei resiste, immobile, come se dovesse sfidare il tempo.

Quindi non lo vede, il piccolo felino esausto che si dirige lento verso di lei, lei che è l’unica fonte di calore rimasta in questa notte poco illuminata.

*

Palladipelo ci mette tutta la forza che gli è rimasta, per fare il balzo che lo porta su quella panchina. Non sa bene cosa fare, adesso che è di fianco a questa piccola donna che sembra una statua, che forse è davvero una statua come quella dei giardini in cui viveva lui.

Non sa bene cosa fare, e l’unica cosa che gli viene in mente è appoggiare il piccolo naso triangolare, gelido e stanco, su un polpaccio di lei, anch’esso gelido e stanco.

Emma, a quel contatto, apre gli occhi e china la testa verso la sorgente di quella strana sensazione. Lo vede lì al suo fianco, Palladipelo, con quel suo muso incerto e timoroso della sua reazione. Lei lo guarda stupita, e lui non sapendo bene cosa fare emette un miagolio stonato. Lei lo guarda sorridendo, e lui miagola di nuovo.

Allora lei alza la testa, allarga le braccia e lo afferra dolcemente, e se lo posa in grembo.

Palladipelo le aderisce come fosse un pezzo di Emma, ed Emma e Palladipelo – se uno li vedesse adesso - sembrano una cosa sola.

Stanno così per un po’, sulla panchina, a godersi per un po’ il calore l’uno dell’altra, ed a scambiarselo pian piano.

Poi, Emma se lo stringe forte al petto. Si alza, con le braccia e le gambe che le comunicano il dolore della lunga immobilità, e lasciando la panchina si inoltra verso l’androne, nel silenzio più assoluto. Sale le scale due gradini alla volta cercando di non fare rumore, ed al suo piano gira piano la maniglia della porta ed entra al buio nel corridoio di casa sua. Palladipelo tace complice.

Emma ritrova in silenzio la sua stanza, entra, tasta il letto e si infila finalmente sotto il lenzuolo: Palladipelo dal petto cerca una posizione più comoda, e la trova sulla pancia di lei che ben presto si muove sempre più lentamente, nel ciclico su e giù del sonno.

E anche Palladipelo finalmente chiude gli occhi, rasserenato.

E chi li vedesse ora, addormentati e sorridenti, direbbe che davvero stanno sognando lo stesso, identico sogno.

*