mercoledì, dicembre 28, 2011

Il sarto di Ulm

"Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo.
Perché sentiva la necessità di una morale diversa.
Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Sì, qualcuno era comunista perché, con accanto questo slancio, ognuno era come… più di sé stesso.
Era come… due persone in una.
Da una parte la personale fatica quotidiana e dall'altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita."
("Qualcuno era comunista",Giorgio Gaber, 1992).


Ahimè, lo confesso...
quando ero giovane, di Lucio Magri avevo una immagine abbastanza falsa.
Lo consideravo uno snob a vocazione minoritaria ed elitaria, complice il fatto che fosse un personaggio bello ed elegante e con (allora le giudicavo senza pietà) pericolose frequentazioni con il nemico (l'alta borghesia).
(Il divertente è che allora ero profondamente snob anch'io, frequentando tutti i gruppuscoli possibili pur di non contaminarmi con l'amato/odiato Gran Partito).

Devo anche dire che di lui mi dimenticai, nell'età della maturità, quando l'immensa galassia alla sinistra del PCI si dissolse (appena dopo che Occhetto decise di abbracciare mortalmente i "tempi nuovi" gettando la storia di milioni di persone in un buco nero...)

Il recente suicidio assistito in Svizzera (novembre 2011) me l'ha riportato alla mente. Ho letto prima con semplice curiosità, poi con attenzione le parole di coloro che gli furono amici, e che guarda caso sono persone di cui leggo da sempre con attenzione le parole: Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Luciana Castellina...

Ho scoperto solo in questa occasione (come molti, credo) l'esistenza di questo suo libro, redatto nel corso di lunghi anni e pubblicato nel 2009 - ultima sua opera, portata a termine nonostante la scomparsa della compagna e la conseguente depressione.

Un libro che esige attenzione e fatica, ma anche un libro bellissimo, interessante, intrigante, denso di elementi di riflessione ancora stupefacentemente attuali e non privo di elementi di speranza.

Un saggio su una delle vicende più interessanti della nostra storia nazionale: la nascita, la crescita e la morte del più importante partito comunista di massa nell'Europa Occidentale.

Una storia che oggi viene liquidata frettolosamente, e spesso con noncurante disprezzo, come "condannata dalla storia": eppure, una storia che è appartenuta a milioni di persone, e i cui influssi si sono sentiti anche all'esterno del nostro paese.

Storia il cui inizio reale viene simbolicamente indicato da Magri  con il ritorno in Italia di Togliatti dopo l'esilio in URSS, nel marzo 1944. Togliatti che, diversamente da quanto uno possa pensare, decide - pur con ristrettissimi spazi di manovra rispetto a quanto concesso e permesso da Stalin - di perseguire una via nazionale e caratteristica per il raggiungimento della rivoluzione socialista.
Ottenendo due grandissimi risultati: "l’elaborazione di una Carta costituzionale tra le più avanzate d’Europa per ciò che garantisce e per i valori che l’ispirano, che, malgrado l’aspra divisione politica, fu votata a larghissima maggioranza nel 1948 e tuttora resiste, seppure un po’ diroccata da molti assalti; e la nascita di un grande partito comunista, il maggiore in Occidente, la cui sola presenza stimolava quella di altri partiti popolari (e ciò assicurò una permanente e attiva partecipazione di massa alla politica italiana per decenni)."
Nel 1946 il PCI raggiunge i due milioni di iscritti: dopo la svolta della Bolognina, nel 1991, il PDS ne avrà 400.000.

Il saggio esamina con dovizia di particolari il particolare rapporto del PCI con il partito guida, caratterizzato da momenti di tensione a causa della non completa ortodossia italiana ed anche dal profilarsi - appena pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e del fronte antifascista a cui aderirono tutte le grandi potenze mondiali - di un possibile nuovo conflitto tra i due poli di influenza.

E poi la guerra fredda, la destalinizzazione, l'invasione dell'Ungheria...Magri descrive, con fonti di prima mano, i tumulti nel partito e l'intelligenza politica del suo ceto dirigente, a partire da Togliatti, nel comprendere gli errori sovietici - pur non potendo prenderne pubblicamente le distanze, in un clima particolare e di estrema polarizzazione del mondo (giudicare severamente a distanza è facile...ma forse bisognava esserci, no?:-))

Descrive poi l'atteggiamento del PCI di fronte al "miracolo economico", il suo rispetto dell'autonomia sindacale ma anche l'attenzione alla classe operaia come nuovo soggetto politico...e poi il Sessantotto, la Primavera di Praga (il PCI si schierò subito dalla parte di Dubcek, salvo disinteressarsi poi della restaurazione successiva), i rapporti con i nuovi movimenti studenteschi ed operai.

Ed ecco l'arrivo di Berlinguer, e l'espulsione del gruppo del Manifesto di cui Magri faceva parte: qui l'autore non recrimina, anzi ci fornisce una chiave di lettura convincente del perchè le cose non avrebbero potuto andare diversamente...

Poi, in chiave estremamente critica, Magri analizza la scelta del compromesso storico (dal 1975), con la quale un partito che potrebbe ormai scegliere di governare, avendone i numeri, decide invece di appoggiare un monocolore democristiano sulla base di un programma condiviso che si rivelerà ovviamente eluso, e farà fallire la scelta ancora prima della tragedia di Moro.

Dal 1980 in poi, Berlinguer capirà che quella strategia non ha futuro e darà vita ad una svolta che ripone al centro l'obiettivo di arrivare ad una società diversa e socialista in modo indipendente dalle alleanze, e con il supporto dei lavoratori: é questo il senso della sua presenza davanti ai cancelli della Fiat, nella vertenza - impossibile a vincersi - dei 35 giorni.

Giunsero poi Reagan e la Tatcher, e l'incapacità delle sinistra europea di dare una risposta diversa dall'adesione incondizionata al neoliberismo.
Ci provarono Mitterrand (che riesumò un partito socialista agonizzante) e il PC francese, ma durò poco.
Intanto agisce a livello mondiale l'intelligenza politica di Kissinger: violenza spietata in America Latina contro tutto ciò che minaccia gli interessi "imperiali" americani, ma dall'altro lato - astuta mossa che imbarazza l'URSS - opera il riconoscimento della Cina.

Poi, altri eventi dirompenti:l'intervista di Berlinguer a Scalfari nel 1981 che pose la "questione morale", con parole -ahimè - già troppo simili a quelle che non smettiamo di pronunciare oggi:

"I partiti hanno degenerato e questo è all’origine dei guai in Italia. I partiti oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificante conoscenza della vita e dei problemi della gente, ideali e programmi pochi e vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, spesso contraddittori, talvolta loschi, comunque senza rapporto con i bisogni umani emergenti. Senza smantellare tale macchina politica ogni risanamento economico, ogni riforma sociale, ogni avanzamento morale e culturale è precluso in partenza."

E, ancora, il clamoroso strappo con Mosca (dopo l'intervento sovietico in Afganistan, 1979, e la minaccia di intervento in Polonia, 1981).
Berlinguer, in TV, senza consultare preventivamente nessuno e assumendosene in proprio la responsabilità, affermò: "la spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre si è esaurita..." e la Direzione del PCI approvò, con il solo dissenso di Cossutta.
"...Cosa restava dietro questo "esaurimento"? - si chiede Magri - Un capitalismo vincente, cui non si poteva e non si doveva contrapporre un sistema alternativo, o invece si aprivano nuove contraddizioni, emergevano forze, bisogni, finalità per costruire un nuovo tipo di società?"
Questo strappo poteva essere il punto di partenza per un lavoro di rifondazione culturale sul tema del comunismo come obiettivo; le risorse c'erano: Marx e Gramsci, l'esperienza del Sessantotto, la tradizione originale del socialismo italiano...
Lo stesso Berlinguer asserì che il PCI necessitava di una rivoluzione copernicana che coinvolgesse i giovani,i pacifisti, le donne...
Nel mondo, intanto, nuovi rigurgiti di guerra fredda: i Cruise dovrebbero andare a Comiso, puntati sull'URSS di Breznev che si riarma: nasce un grande movimento europeo per il disarmo atomico bilaterale, cui il PCI diede appoggio convinto.

Tra il 1980 ed il 1985 il PCI dunque tentò un convinto rinnovamento di se stesso, e lo tradusse anche in iniziativa politica concreta.
La morte di Berlinguer (1984) condusse il PCI al 33,3%, primo partito italiano.
I voti crebbero fino a vertici mai raggiunti, ma la militanza continuò a ridursi.

Seguì, coraggiosamente, il referendum sulla scala mobile (promosso da Berlinguer, ma svoltosi nel 1985) contro il taglio per decreto operato da Craxi: perso, ma con il 46% dei voti.
Il centrosinistra, intanto, si fece esplicitamente patto di potere (CAF, Craxi- Andreotti-Forlani).
Natta, dopo Berlinguer, non ha la forza nè il carisma per mantenere la rotta del "secondo Berlinguer", e l'azione politica si rattrappisce, ritorna implicitamente al compromesso storico. 
A Natta succede Occhetto, e i dirigenti che lo supportano sposano la retorica del "nuovismo".( e quando uno sente, oggi,  dire che Matteo Renzi è il "nuovo", per forza che gli vengono i brividi...)

Nel 1985, in URSS, alla morte di Andropov (che comprese la gravità delle situazione e tentò azioni di riforma), e dopo la breve parentesi "restauratrice" di Cernenko, Gorbaciov diventa segretario del PCUS.
Ha inizio la Perestrojka: e, in pochi anni, tutto si sgretola per la dispersione degli interessi dovuta alle scosse al sistema, e per la spaccatura nel gruppo dirigente del PCUS su chi pensa che sia doveroso mantenere il carattere socialista del sistema e chi invece lo dà per irrevocabilmente superato.
Infine, l'implosione verticale e orizzontale dei centri decisionali, e il crollo dello Stato.

E poi, dopo il crollo del Muro, arriva la morte (autoprocurata) del PCI.
Occhetto:
"Il PCI si sente figlio della Rivoluzione Francese, non di quella russa." "Togliatti fu incolpevole complice di Stalin".
"Una terza via non esiste, noi non pensiamo di inventare un altro mondo. Questa è la società in cui viviamo e e in questa società vogliamo lavorare per cambiarla". O per starci meglio dentro?:-)

Il resto è storia recente, triste, visibile.
Di un partito "leggero" che decide di "ascoltare" la società e non di proporne una nuova.

Al termine del libro, Magri pubblica un testo del 1987 redatto da lui e fatto proprio da quella parte del PCI che si oppose allo scioglimento, e in parte confluì in Rifondazione Comunista.
Ed è un testo che impressiona per la lucidità dell'analisi, per il rigore delle domande che vengono poste.

Un testo attualissimo, che con vent'anni di anticipo esamina e analizza tutte le cause della situazione attuale - perchè le cose non capitano all'improvviso, e leggendo la realtà si possono intravedere segni e tracce che - anche se non immediatamente comprensibili - vanno doverosamente studiati.

lunedì, dicembre 05, 2011

Cautela


Trascorrerò i prossimi giorni, con la dovuta calma ed attenzione, a leggere le misure adottate dal governo (le misure, non i commenti: tenterò di farmi un'idea indipendente, visto che preferisco in questo momento non delegare più a nessuno, per quanto faticoso sia, il compito di capire).
Due enormi preoccupazioni che avevo (il taglio radicale del Trasporto Pubblico Locale ed il taglio lineare sulla Sanità, entrambi previsti dal governo precedente) sembrano attenuarsi - anche se vedrò meglio i dettagli, il che mi fa sentire colpevole per il post precedente:-)
Una cosa infatti è evidente: la natura di questo nuovo governo obbliga tutti a ripensare anche il proprio atteggiamento di cittadini.
La sguaiatezza, la superficialità, l'approssimazione, l'effetto annuncio sono qualcosa che fa parte di un'era che speriamo si possa cominciare a superare, sia da parte della classe dirigente che - cosa non meno importante - da parte nostra.
Da parte mia, prometto solennemente che su questo blog smetterò definitivamente di fare post con il tono "brutti bastardi, oseranno farci questo?". Era adattissimi alla massa di cialtroni precedente, ma da qui in poi risulterebbero sciocchi.
Il livello di confronto sembra essersi - fortunosamente - alzato, e questo impone obblighi a tutti.
Attenzione, non sto parlando solo di forma. Anche se la considero assai importante.
Non giudico il governo Monti "dallo stile". Direi che il comportamento di questo governo ci stupisce solo perchè, in quest'ultimo quindicennio, ci siamo abituati all'idea che chi governa debba essere come o peggio di noi.
In realtà, una "forma" normale come questa permette, finalmente di parlare delle cose - e di confrontarsi su di esse e sulla loro complessità, senza essere perennemente distratti dalla caotica pirotecnia degli annunci.
(Tra colleghi, in queste settimane, ricordavamo gli infiniti annunci che hanno contraddistinto le ultime "manovre" del governo B.: ed alla fine nessuno di noi è in grado di dire esattamente quali misure fossero state effettivamente adottate, dopo gli "strilli", le smentite, le retromarce...)
Anzi, non solo permette: OBBLIGA.

Obbliga a pensare che qualsiasi azione di governo (ma qualsiasi azione umana, in un mondo ad alto tasso di complessità) richiede tempo.
Ho apprezzato moltissimo il fatto che Monti, nella scelta dei ministri e nell'annuncio della manovra, si sia semplicemente preso il tempo che riteneva giusto e necessario, e non quello "atteso" dal mondo dei media.
Ho apprezzato moltissimo la scelta degli uomini e delle donne chiamate a fare i ministri: per quanto "tecnici", "bocconiani" e "papalini", (ed anche qui faccio ammenda per aver partecipato a una sorta di processo preventivo basato sulla appartenenza) si tratta di persone che hanno una profonda conoscenza delle materie per le quali sono state attribuite loro le funzioni di governo.
(Anche questa dovrebbe essere una cosa normale, ma il fatto che un po' ci stupisca indica che questa percezione ci ha fatto un po' difetto, negli ultimi tempi).
Ho apprezzato moltissimo che la ministra Fornero abbia espresso pubblicamente la propria emozione, nell'annunciare misure che incidono sensibilmente sulla vita reale e quotidiana delle persone: in tempi anche recenti, capitava più spesso di vedere tra i ministri ghigni sadici, maschere deformate dall'odio e dalla mancanza di rispetto verso le persone;  anche questo è un bel passo avanti rispetto "all'indietro in cui eravamo precipitati".

Nessun commento, dunque, per ora, sul contenuto della manovra. Ho ovviamente delle precise reazioni di tipo "emotivo", ma so che non sono più sufficienti nè adeguate al fatto che improvvisamente, nel giro di poche settimane, moltissime cose sono cambiate, e moltissime cambieranno nella nostra vita nel prossimo e nei prossimi anni.

Di fronte a un cambiamento così grande, ci vuole cautela.
E intelligenza, e conoscenza, e umiltà. Perchè tutto quel che c'è fuori sembra dover essere ricompreso, e di conseguenza sembra necessario riprendere le misure di se stessi nei confronti di un mondo che non si può più interpretare con gli strumenti usati fino ad ora.